La calcificazione vascolare nel paziente con insufficienza renale
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La calcificazione vascolare nel paziente con insufficienza renale
Rassegna Recenti Prog Med 010; 101: -5 La calcificazione vascolare nel paziente con insufficienza renale cronica Mario Cozzolino1, Elena Missaglia1, Alberto Ortiz, Antonio Bellasi3, Teresa Adragao, Theofanis Apostolou5, Giorgio Vescovo6, Maurizio Gallieni7 Riassunto. Le linee-guida Kidney Disease Improving Global Outcomes (KDIGO) hanno introdotto per la prima volta, nel 006, la definizione e i criteri diagnostico-terapeutici di un disordine sistemico del metabolismo minerale – la calcificazione vascolare – causato dall’insufficienza renale cronica. Viene suggerito che la diagnosi sia effettuata con RX addominale ed ecocardiogramma in alternativa alla più complessa TC. La patologia è associata a fattori di alto rischio cardiovascolare con conseguente prognosi sfavorevole. Di tali fattori, uno dei più importanti è l’iperfosfatemia; pertanto è necessario individuare marcatori precoci delle anomalie dell’omeostasi del fosforo (quale FGF-3) al fine di identificare tempestivamente i pazienti maggiormente critici, in cui attuare terapia adeguata: il trattamento con sevelamer costituisce strategia efficace, in aggiunta alla sola somministrazione di carbonato di Ca, e una serie di evidenze sembra suggerire una preferenza a favore di sevelamer rispetto ai chelanti a base di calcio. Patients affected by chronic kidney disease (CKD) suffer by secondary hyperparathyroidism and hyperphosphatemia. The new KDIGO guidelines identify a new definition in CKDMBD (Mineral Bone Disorder), in which vascular calcification plays a central role. In fact, CKD patients that present vascular calcification have highest risk of cardiovascular morbility and mortality. Recently, it has been elucidated that the control of phosphate is one of the major problems for the nephrology community. Furthermore, new markers, such as FGF-3, have been identified as inducers of vascular calcification and cardiovascular disease in CKD. Therefore, the use of calcium-free phosphate-binders may reduce the risk of cardiovascular disease by reducing both serum phosphate and FGF-3 levels. Parole chiave. Calcificazione vascolare, calcio, chelanti a base di calcio, FGF-3, fosforo, insufficienza renale cronica, iperfosfatemia, iperparatiroidismo, ormone paratiroideo, rischio cardiovascolare, sevelamer. Key words. Calcium, cardiovascular risk, chronic kidney disease, fibroblast growth factor-3, hyperparathyroidism, hyperphosphatemia, parathyroid hormone, sevelamer, vascular calcification. Introduzione del metabolismo minerale, causato dalla malattia renale cronica, caratterizzato da tre manifestazioni (presenti da sole o in associazione): anomalie di parametri di laboratorio (Ca, P, PTH e vitamina D), anomalie ossee e calcificazione vascolare (figura 1). La insufficienza renale cronica (CKD, secondo l’acronimo internazionale = Chronic Kidney Disease) rappresenta, negli Stati Uniti, la seconda causa di morte dopo il carcinoma polmonare. L’aumento di mortalità è evidente in tutti gli stadi della malattia, compresi i meno gravi1. La causa di questo fenomeno è essenzialmente legata all’aumento del rischio cardiovascolare dovuto alla presenza di patologia vascolare: nei pazienti con CKD, infatti, si rilevano con elevata frequenza lesioni aterosclerotiche e arteriosclerotiche. Accanto ai classici fattori di rischio per queste lesioni (fumo, dislipidemia, ecc.), vi sono quelli tipici del CKD ed, in particolare, l’iperparatiroidismo e l’osteodistrofia renale. Il termine “Cronic Kidney Disease - Mineral Bone Disorder” (CKD-MBD), nato nel 2006, è stato presentato per la prima volta in un Position Statement della KDIGO2. In questa pubblicazione si è definito il CKD-MBD come un disordine sistemico Summary. Vascular calcification in chronic kidney disease. Cronic Kidney Disease– Mineral Bone Disorder (CKD-MBD) Disordine sistemico del metabolismo minerale, causato dalla insufficienza renale cronica, caratterizzato da tre manifestazioni (presenti da sole o in associazione): 1. 2. 3. anomalie di parametri di laboratorio (Ca, P, PTH e vitamina D) anomalie ossee calcificazione vascolare Figura 1. Definizione di CKD-MBD. 1Ospedale S. Paolo, Milano; Ospedale Virgen del Rocío, Siviglia (Spagna); 3Ospedale S. Orsola-Malpighi, Bologna; Ospedale S. Cruz, Carnaxide (Portogallo); 5Ospedale Evangelismos, Atene (Grecia); 6Ospedale di Vicenza; 7Ospedale S. Carlo Borromeo, Milano. Pervenuto il 23 agosto 2010. M. Cozzolino et al.: La calcificazione vascolare nel paziente con insufficienza renale cronica Il Position Statement della KDIGO ha aperto la strada alla pubblicazione delle linee-guida per la diagnosi e la gestione di questa patologia3. Tuttavia, la maggior parte delle indicazioni incluse in esse è classificata come “suggerimento” e non come vera e propria raccomandazione. Questo pone il medico in una posizione di grande libertà, ma al contempo, di grande responsabilità: a lui solo spetta il compito di costruire il miglior approccio terapeutico e gestionale per il particolare paziente che si trova di fronte. Nelle linee-guida KDIGO 2009 vengono introdotte per la prima volta raccomandazioni per lo screening della calcificazione vascolare. In particolare, viene suggerito che la diagnosi possa essere effettuata anche con radiografia addominale laterale e con ecocardiogramma, in alternativa alla complessa e costosa tomografia computerizzata. Secondo le linee-guida, i pazienti con diagnosi di calcificazione vascolare o valvolare vanno inclusi nella classe di massimo rischio cardiovascolare. Pertanto, la presenza o meno di calcificazione dovrebbe rappresentare un fattore chiave nella scelta delle strategie da adottare nella gestione del paziente. In particolare, viene raccomandato che l’utilizzo di chelanti del P a base di Ca andrebbe limitato in pazienti con ipercalcemia, calcificazione vascolare, bassi livelli di ormone paratiroideo (PTH) o malattia adinamica dell’osso (figura 2). Inoltre, si suggerisce che i livelli di P e Ca debbano rientrare nel range di normalità. Più complessa appare invece la gestione dei livelli di PTH: in questi esiste una grande variabilità, per cui gli obiettivi terapeutici dovrebbero essere valutati sul singolo paziente, prendendo in considerazione altre variabili quali la presenza di iperfosfatemia, ipocalcemia e carenza di vitamina D. Andrebbe prestata attenzione anche agli andamenti temporali di questi parametri: variazioni nel tempo dei livelli di P o di PTH dovrebbero indurre ad adottare adeguate misure terapeutiche. Importante sottolineare, infine, che non sempre i livelli ematici dei minerali e degli ormoni coinvolti nel CKD-MBD permettono di avere un quadro completo della patologia, non prendendo in esame né il bilanciamento né l’omeostasi del calcio. Per questi motivi, è noto che il trattamento con chelanti del P consente di normalizzare i livelli di P e di PTH, ma l’utilizzo del carbonato di calcio può comunque favorire la progressione delle calcificazioni vascolari. Restrizioni all’uso di chelanti a base di calcio Calcificazioni Bassi livelli di PTH Ipercalcemia Malattia adinamica dell’osso Figura . Restrizioni nell’uso dei chelanti del fosforo a base di calcio secondo le linee guida KDIGO. Il decorso della CKD-MBD La CKD-MBD, insieme al rischio di calcificazione vascolare, comincia a manifestarsi precocemente nel corso della storia clinica del paziente con insufficienza renale cronica. Infatti, tale patologia determina fin dal suo esordio una disregolazione del metabolismo minerale che ha conseguenze sia sullo scheletro, sia sul sistema cardiovascolare. Tali effetti si manifestano in tutti i pazienti con CKD e non solo in quelli sottoposti a emodialisi4. L’iperparatiroidismo, che compare con GFR intorno ai 49,5 ml/min, è una delle prime manifestazioni associate al CKD-MBD, mentre l’iperfosfatemia si manifesta più tardivamente, quando il GFR è ridotto a 36,9 ml/min5. Ciò è spiegato dal fatto che il PTH ha un effetto fosfaturizzante, quindi per osservare variazioni significative dei livelli ematici di P è necessario che la patologia renale sia progredita a tal punto che gli effetti benefici del PTH non siano più evidenti. È interessante notare come la frazione di escrezione del fosforo cominci ad aumentare prima che si manifesti l’incremento del PTH. Ciò significa che esiste qualche altra sostanza che, oltre al PTH, agisce cercando di aumentare l’escrezione di P. Probabilmente tale ruolo è sostenuto dal FGF-23 (Fibroblast Growth Factor-23), una fosfatonina che inizia a svolgere la sua attività sul rene precocemente, quando il GFR è ancora di circa 90 ml/min e quando i livelli di PTH rientrano ancora nella norma6. Le evidenze di associazione tra livelli ematici di P e rischio cardiovascolare sono numerose. Una metanalisi del 2009 ha evidenziato come l’iperfosfatemia sia associata ad un aumento del rischio di progressione della CKD, di patologie cardiovascolari, di coronaropatia, di infarto miocardico o di morte7. Tale associazione è risultata evidente sia nella popolazione generale, sia nei soggetti con CKD (GFR<60 ml/min). CKD-MBD è una problematica centrale nella gestione del paziente con insufficienza renale cronica poiché è associato non solo alla calcificazione vascolare, ma anche a disfunzione endoteliale, aterosclerosi e ipertrofia del ventricolo sinistro8,9. L’associazione è evidente anche in soggetti giovani, nei quali elevati livelli di fosfatemia (anche se nell’intervallo di normalità) sono risultati associati a un più alto rischio di aterosclerosi coronarica10. La presenza di calcificazione vascolare è un fattore di rischio cardiovascolare indipendente da quelli tradizionali: entrambe le tipologie di calcificazione individuate nei pazienti con CKD (intimale, associata a stenosi, e mediale, non associata a stenosi) determinano un significativo aumento del rischio cardiovascolare. L’aumento del rischio si osserva anche nella popolazione generale, dove il livello di calcificazione coronarica è risultato correlato all’incidenza di eventi coronarici maggiori11. L’impatto del grado di calcificazioni coronariche nei pazienti con CDK sulla mortalità è stato dimostrato sia nei pazienti in emodialisi che nei pazienti non sottoposti a trattamento sostitutivo12,13. 3 Recenti Progressi in Medicina, 101 (11), novembre 010 È dunque importante adottare strategie atte a ridurre l’impatto della CKD-MBD sugli esiti clinici, e sebbene di notevole interesse, le evidenze che possano guidare il medico verso questo obiettivo sono ancora scarse. Per esempio, in uno studio retrospettivo è stato dimostrato che la somministrazione di chelanti del P è in grado di migliorare la sopravvivenza di pazienti con CKD14. Non tutti i chelanti del P, però, sembrano possedere questo effetto positivo. Nello studio RIND si è dimostrato che sevelamer riduce di 11 volte la progressione della calcificazione coronarica rispetto a chelanti a base di Ca14 (figura 3). Inoltre, in un’analisi secondaria è stato dimostrato come il trattamento con sevelamer abbia un importante effetto anche in termini di riduzione della mortalità: esso consente di ridurre del 28% la mortalità assoluta rispetto ai chelanti a base di Ca14. Il ruolo del fosforo nella CKD-MBD La fisiopatogenesi della calcificazione vascolare in pazienti con CKD-MBD è molto complessa in quanto coinvolge numerosi meccanismi molecolari e può avere luogo in diversi tessuti e organi. Storicamente si tende ad assegnare al PTH il ruolo centrale in questa patologia, con Ca, P e vitamina D considerati attori principali. Di recente, però, si è rivoluzionato questo schema, assegnando al P il ruolo di parametro chiave nella fisiopatologia della CKDMBD. Esistono numerose evidenze a supporto: nelle patologie ossea, paratiroidea, renale e cardiovascolare; ed anche di una diretta associazione fosforo e mortalità. FOSFORO E IPERPARATIROIDISMO SECOnDARIO Calcificazioni coronariche : studio RIND Sevelamer Sali di calcio CACS mediano Incr Incremento d 11 volte Baseline 6 mesi 12 mesi 18 mesi Figura 3. Punteggio di calcificazione coronarica associato a trattamento con sevelamer o sali di calcio. I chelanti del P permettono di controllare in modo efficace l’iperparatiroidismo secondario associato al CKD. La loro azione è stata svelata in un modello animale di CKD16: in ratti nefrectomizzati uremici e iperfosfatemici il trattamento con chelanti del P (carbonato di calcio e sevelamer) ha ridotto in modo significativo i livelli sierici di PTH ed il peso della ghiandola paratiroide rispetto ai controlli, attraverso una riduzione del tasso mitotico e della crescita delle cellule della paratiroide. FOSFORO E CALCIFICAzIOnE VASCOLARE In pazienti con CKD, l’iperfosfatemia è implicata direttamente nella calcificazione vascolare in quanto induce iperparatiroidismo secondario, che determina a sua volta perdita di massa ossea e aumento del rapporto Ca x P. Non è ancora noto se nella ghiandola paratiroide esistano recettori per il P; tuttavia è stato dimostrato che il P stimola la secrezione di PTH15, stabilizEscrezione renale di fosforo zando il mRNA dell’ormone e aumentandone in questo modo la sintesi. Tale effetto sembra essere diretto, indiLivelli sierici pendente dai livelli di Ca e di fosfato vitamina D e dai rispettivi recettori (figura 4). assorbimento intestinale Il P è implicato anche neldi fosforo l’iperplasia della paratiroide, Livelli sierici che può rappresentare il ledi calcio FGF-23 assorbimento game tra iperfosfatemia ed intestinale iperparatiroidismo secondadi calcio rio. Il P agisce, con un meccanismo non ancora del tutto 1,25 (OH)D3 Riassorbimento PTH chiaro, sulla via di segnale renale che si origina dall’interaziodi fosforo ne tra TGFα (Transforming Growth Factor α) ed EpiderFigura . Regolazione dei livelli di fosforo ed evoluzione dell’iperparatiroidismo secondario. mal Growth Factor Receptor (EGFR). M. Cozzolino et al.: La calcificazione vascolare nel paziente con insufficienza renale cronica In un recente studio effettuato su pazienti con CKD non in dialisi, livelli di fosfatemia > 4 mg/dl sono risultati associati in modo statisticamente significativo con la presenza di calcificazione nelle arterie coronariche, nell’aorta discendente e nelle valvole aortiche e mitrali17. Nel medesimo studio si è osservato che maggiore è il grado di iperfosfatemia, più elevato è il numero di siti di calcificazione osservati nel paziente. È stato dimostrato che il P agisce inducendo nelle cellule della muscolatura liscia vasale una trasformazione fenotipica che le rende simili, per attività mineralizzante della matrice extracellulare, a osteoblasti18. Il meccanismo coinvolge Pit-1, un cotrasportatore fosfato/Na, ed implica un aumento dell’espressione di geni osteoblasto-specifici: Osf2/Cbfa-1. Cbfa-1, a sua volta, regola l’espressione dell’osteocalcina, uno dei geni più importanti dell’osteoblastogenesi19. Nonostante il ruolo centrale del P nella calcificazione ectopica, non tutti i chelanti del calcio hanno dimostrato la stessa efficacia nel ridurre il rischio di questa condizione. In modelli animali di CKD, sevelamer è risultato superiore al carbonato di calcio nel ridurre il rischio di calcificazione renale, vascolare e miocardica20. FOSFORO E MORBILITà/MORTALITà CARDIOVASCOLARE E PROGRESSIOnE DELLA InSuFFICIEnzA REnALE CROnICA Esistono molti dati relativi all’associazione tra iperfosfatemia e morbilità/mortalità cardiovascolare in pazienti in dialisi. Tale associazione è stata dimostrata anche in soggetti sani21 e in pazienti con funzione renale normale e storia di infarto miocardico22. Inoltre, numerosi studi hanno dimostrato che l’effetto negativo del P è evidente anche nei pazienti con CKD non ancora in dialisi, nei quali l’iperfosfatemia è associata ad un notevole incremento della mortalità23. Nei pazienti con CKD in predialisi, infine, l’iperfosfatemia rappresenta anche un fattore indipendente di rischio di un più rapido declino della funzione renale24. È evidente, pertanto, l’importanza di controllare la fosfatemia in questo tipo di pazienti attraverso una terapia adeguata. Va valutato quando e con quali modalità iniziare questo tipo di trattamento, per prevenire iperfosfatemia, iperparatiroidismo secondario e calcificazione vascolare. Fattore di crescita dei fibroblasti-23 (FGF-23): il suo ruolo nel CKD-MBD L’iperfosfatemia, tra le anomalie dei parametri di laboratorio tipiche della CKD-MBD, è quella con la più forte associazione con la mortalità cardiovascolare e per qualunque causa24,25. Tuttavia, è sempre più evidente come non sia sufficiente mantenere i livelli di P nella norma per evitare l’incremento di mortalità. Ciò significa che nell’omeosta- si di questo minerale devono svolgere un ruolo importante anche altre sostanze. Oggi l’attenzione è rivolta al FGF-23, una proteina con effetto ipofosfemizzante, dotata di azione sistemica. FGF-23 (Fibroglast Growth Factor-23) appartiene alla famiglia dei fattori di crescita dei fibroblasti, di cui fanno parte 22 altre molecole suddivise in 7 sottofamiglie ed è sintetizzato in prevalenza nel tessuto osseo, da parte di osteociti e osteoblasti26,27. L’azione fisiologica di FGF-23 sul metabolismo di P e vitamina D è stata scoperta con lo studio di diverse malattie genetiche caratterizzate da anomalie nell’espressione di questa proteina. Esistono infatti alcune forme ereditarie di rachitismo caratterizzate da un aumento dei livelli di FGF-23, in cui si osservano ipofosfatemia e anomalie ossee28. La presenza della proteina Klotho è essenziale affinché FGF-23 possa esercitare la sua azione. Klotho è un cofattore permissivo per il recettore di FGF-23 e, al contempo, ne determina la specificità tessutale. È stato dimostrato che livelli estremamente elevati di FGF-23 in assenza di Klotho non hanno alcun impatto sul metabolismo minerale. L’importanza di Klotho è sottolineata dal fatto che topi privi di questo gene hanno un fenotipo biochimico praticamente identico a quello di topi FGF23 knockout, caratterizzato (tra le altre anomalie) da iperfosfatemia, ipervitaminosi D, ipercalcemia e ipoglicemia. FGF-23 esercita il suo effetto ipofosfatemizzante agendo principalmente sul rene: esso aumenta l’escrezione renale di P riducendo l’espressione dei cotrasportatori Na/P (NPT2a e NPT2c), riduce i livelli di 1,25(OH) vitamina D, inibendo la 1 alfa idrossilasi e stimolando la 24 idrolasi. Le recenti evidenze sul ruolo chiave di FGF-23 nel metabolismo del P hanno fatto sì che il meccanismo fisiopatologico dello sviluppo dell’iperparatiroidismo in pazienti con CKD sia stato riesaminato. Oggi si ritiene che, con il progredire dell’insufficienza renale, l’escrezione del P si riduca e, di conseguenza, si determini iperfosfatemia. Questa condizione, a sua volta, causa un incremento della secrezione di FGF-23 da parte degli osteoblasti. Tale sostanza aumenta l’escrezione renale del P e riduce i livelli circolanti di calcitriolo, causando in questo modo iperparatiroidismo secondario29. È stato dimostrato che i livelli di FGF-23 aumentano col progredire della CKD e risultano associati in modo inversamente proporzionale con il GFR30. Pazienti con CKD sottoposti a emodialisi presentano valori di FGF-23 circa cento volte più elevati rispetto alla popolazione generale e tali livelli aumentano in modo parallelo ai livelli di fosfatemia, man mano che si assiste alla riduzione della funzione renale31. L’aumento di FGF-23 è precoce nel corso della CKD: analogamente a quanto succede per il PTH, FGF-23 aumenta fin dalle primissime fasi della malattia32, molto prima rispetto all’esordio dell’iperfosfatemia33. Il livelli di FGF-23 sono risultati un predittore dello sviluppo di iperparatiroidismo secondario mi- 5 6 Recenti Progressi in Medicina, 101 (11), novembre 010 gliore rispetto agli altri parametri tradizionalmente considerati: fosfatemia, livelli di PTH, calcemia, ecc.33 e sono stati associati ad una più rapida progressione della malattia renale cronica34. Diversi studi hanno dimostrato che FGF-23 rappresenta un marker di rischio cardiovascolare. Dallo studio PIVUS, un trial prospettico, osservazionale, effettuato su pazienti di 70 anni di età, è emerso che livelli elevati di FGF-23 (anche restando nell’intervallo di normalità) sono collegati ad un maggior grado di aterosclerosi35, all’aumento dell’indice di massa del ventricolo sinistro, al rischio di iperplasia del ventricolo sinistro36, e in un altro trial, in pazienti con funzione renale compromessa (eGFR<60 ml/min), FGF-23 è stato associato anche alla rigidità arteriosa7. In pazienti sottoposti a emodialisi, infine, i livelli ematici di FGF23 sono risultati correlati al rischio di calcificazione dell’aorta37 e dei vasi periferici38, ed in modo significativo alla mortalità. Anche in pazienti con CKD non sottoposti a dialisi, i livelli di FGF-23 sono risultati associati a parametri implicati nelle complicanze legate a questa patologia, quali densità minerale ossea, livelli di proteina C reattiva, fosfatemia e diabete mellito39. Il trattamento con sevelamer rappresenta una strategia efficace per ridurre non solo la fosfatemia, ma anche i livelli di FGF-23. Tale efficacia è stata dimostrata innanzitutto in un modello animale di CKD (topi trattati con adenina). Sevelamer ha ridotto la fosfatemia, con conseguente calo delle concentrazioni ematiche di FGF-2340. Risultati analoghi sono stati ottenuti anche in un campione di pazienti sottoposti a emodialisi, nei quali l’aggiunta di sevelamer alla terapia con carbonato di Ca ha permesso di ridurre i livelli di FGF-23 rispetto alla terapia con solo carbonato di Ca41. Infine, in uno studio molto recente effettuato su pazienti con CKD normofosfatemici, 6 settimane di trattamento con sevelamer hanno permesso di ridurre i livelli di FGF-23 in modo superiore al carbonato di calcio, sebbene entrambi i trattamenti siano risultati efficaci nel diminuire le concentrazioni ematiche di PTH42. Il FGF-23 potrebbe diventare, pertanto, un importante obiettivo terapeutico nella gestione del CKD. Nelle fasi precoci della malattia, questa sostanza potrebbe dare un contributo alla riduzione della ritenzione di P, riducendone i livelli ematici e contribuendo a posticipare nel tempo lo sviluppo dell’iperparatiroidismo secondario. Nelle fasi più tardive della CKD, invece, ridurre i livelli di FGF23 potrebbe consentire di controllare la calcificazione vascolare e modulare il metabolismo osseo, con un effetto positivo in termini di riduzione di morbilità e di mortalità. Miti e realtà sul calcio L’uso di chelanti del P a base di Ca è un argomento di notevole rilevanza nella pratica clinica, sebbene sia tuttora ancora molto controverso. Non esistono prove definitive a favore o contro l’utilizzo di tali farmaci, ma una serie di evidenze sicuramente interessanti. Sono state prodotte numerose campagne pubblicitarie a sostegno dell’effetto benefico del Ca sul sistema scheletrico. Alcune evidenze scientifiche sembrano supportare questa ipotesi. In una rassegna del 2009, effettuata su 32 studi clinici controllati, si è dimostrato che, in donne in post-menopausa, l’integrazione alimentare con Ca migliora la BMD rispetto ai controlli43. Tuttavia, in alcuni degli studi presi in considerazione il Ca sembra avere un effetto opposto, riducendo la BMD. Nonostante l’effetto positivo sulla BMD, però, il Ca non sembra ridurre il rischio di fratture ossee. In uno studio prospettico, osservazionale, effettuato su oltre 70.000 donne in post-menopausa, durato 18 anni, è stato dimostrato che il consumo di Ca non è associato alla diminuzione del rischio di frattura. Una significativa riduzione (-37%) è risultata evidente, invece, nelle donne con elevata assunzione alimentare di vitamina D (>12,5 mcg/die)44. L’integrazione alimentare con Ca non solo non è un efficace strumento di prevenzione delle fratture, ma presenterebbe anche rischi per la salute. Per esempio, in uno studio nel quale sono state arruolate oltre 36.000 donne in post-menopausa, randomizzate a ricevere Ca (1 g/die) e vitamina D (400 UI) o placebo per 7 anni, è stato dimostrato che l’integrazione alimentare aumenta leggermente la BMD, non riduce il rischio di fratture, ma incrementa in modo notevole il rischio di calcolosi renale45. Un’interessante metanalisi ha preso in considerazione studi nei quali il Ca era stato somministrato in monoterapia, non in associazione con vitamina D. Ne è emerso che il Ca non ha alcun effetto preventivo sulle fratture vertebrali e sembra addirittura aumentare il rischio di quelle dell’anca46. Nello scegliere un trattamento medico, bisogna pertanto avere una visione complessiva degli esiti. L’esempio classico è quello dell’ovariectomia preventiva effettuata in pazienti sottoposte a isterectomia. Questo intervento annulla le probabilità che le pazienti sviluppino una forma rara di neoplasia (il carcinoma delle ovaie), ma le espone a un elevatissimo rischio di patologie cardiovascolari. Il parallelismo con il Ca è immediato: l’integrazione alimentare con questo minerale in donne in post-menopausa migliora leggermente lo stato di salute dello scheletro, ma espone le pazienti a un aumento del rischio di infarto miocardico. Nel paziente con CKD esistono certamente alcune giustificazioni teoriche per la somministrazione di sali di Ca: la carenza di vitamina D, che riduce l’assorbimento intestinale di Ca; la presenza di ipocalcemia, che aumenta il rischio di iperparatiroidismo; l’iperfosfatemia, che giustifica l’impiego di chelanti del P a base di Ca. Per questi motivi le linee-guida suggeriscono di adottare misure per mantenere i livelli di Ca nei limiti di normalità, sebbene con una debole forza della raccomandazione e una bassa qualità delle evidenze. M. Cozzolino et al.: La calcificazione vascolare nel paziente con insufficienza renale cronica Tuttavia, è bene notare che l’ipocalcemia non rappresenta una problematica importante nella gestione del paziente con CKD. Questa condizione, infatti, ha un’incidenza piuttosto bassa47: raggiunge il 20% solo quando il GFR scende sotto i 20 ml/min. Iperfosfatemia e livelli di PTH rappresentano di certo questioni di maggiore importanza per lo specialista in nefrologia. Sono ormai numerose le evidenze a sfavore dell’utilizzo dei chelanti a base di Ca e del ruolo che un bilancio positivo del Ca svolga sullo sviluppo di calcificazioni vascolari. Dosi molto elevate di Ca orale, pertanto, andrebbero evitate. Dosi più basse, invece, possono risultare utili se si riesce a mantenere neutro il bilancio del minerale nel paziente (anche attraverso l’impiego di una dieta specifica o di bagni di dialisi a bassa concentrazione di Ca). Inoltre, ai chelanti a base di Ca andrebbero preferite le efficaci alternative terapeutiche esistenti. Un capitolo a parte merita la gestione della calcemia in pazienti trattati con cinacalcet. Il cinacalcet è il primo dei farmaci “calcio mimetici”, capaci cioè di aumentare la sensibilità dei recettori calcio-sensibili della paratiroide nei confronti del calcio extracellulare e di ridurre la secrezione di ormone paratiroideo e i livelli di calcemia. Si è rivelato un farmaco utile in nefrologia per il controllo dell’iperparatiroidismo, in pazienti dializzati già in trattamento con chelanti del P e vitamina D attiva, senza aumentare i livelli di Ca o di P. Tuttavia, a volte, l’utilizzo di questo farmaco provoca ipocalcemia. Come gestire questa condizione? Gli interventi attuati per contrastare gli effetti ipocalcemizzanti di cinacalcet, come per esempio la somministrazione di dosi orali di Ca, possono causare ulteriori riduzioni della secrezione di PTH, portando i livelli ematici dell’ormone al di sotto dei valori normali e risultando, così, in un carico eccessivo di Ca che può provocare calcificazioni ectopiche, anche vascolari. Pertanto la supplementazione a lungo termine con Ca in pazienti trattati con cinacalcet può essere pericolosa. È preferibile quindi ridurre la dose del farmaco48. In conclusione, nel paziente con CKD-MBD il controllo dell’apporto di Ca è fondamentale ed i momenti chiave in cui questo si rende necessario sono almeno tre. Nell’emodialisi è necessario controllare la concentrazione di calcio nel bagno di dialisi. In soggetti con iperfosfatemia è necessario ridurre la somministrazione di chelanti del P a base di Ca (figura 2). Infine, in pazienti con iperparatiroidismo trattati con cinacalcet è bene evitare che i livelli di Ca si riducano eccessivamente. Calcio e rischio di aritmia Il Ca è coinvolto in numerose funzioni dei miociti: ha un ruolo chiave non solo nella contrazione e nel rilassamento, ma anche nel coordinamento di molte funzioni cellulari (crescita, differenziamento, produzione di energia, ecc.) e nell’apoptosi. I livelli citoplasmatici di Ca all’interno dei miociti sono attivamente mantenuti circa 10.000 volte più bassi rispetto ai fluidi extracellulari, grazie a un complesso sistema di pompe, scambiatori e canali ionici. All’interno dei miociti, il Ca necessario alla contrazione è contenuto all’interno del reticolo sarcoplasmatico49. Viene liberato nel citosol durante la sistole e prontamente riassorbito durante la diastole. Quando le concentrazioni citoplasmatiche di Ca sono particolarmente elevate, intervengono anche i mitocondri, esercitando un effetto tampone. Alcune condizioni patologiche possono alterare le concentrazioni di Ca all’interno dei miociti. Per esempio, queste aumentano in presenza di acidosi associata a ischemia e riperfusione, in quanto la riduzione del pH intracellulare attiva gli scambiatori Ca/Na e se le concentrazioni non vengono tamponate dai mitocondri, possono avere effetti tossici sulla cellula. Nei pazienti con CKD che presentano acidosi metabolica, tale condizione si verifica frequentemente. Il Ca è coinvolto anche nella proliferazione cellulare: è in grado di attivare AKT, una proteinochinasi che ha un ruolo nello sviluppo dell’ ipertrofia cardiaca. In alcune condizioni patologiche, come CKD e insufficienza cardiaca, l’attivazione di AKT è più elevata della norma: di conseguenza si osserva dilatazione cardiaca, aumento dell’angiotensina II e presenza di sovraccarico di volume. Gli stessi effetti potrebbero essere provocati, quindi, da elevati livelli di Ca, attraverso l’interazione con AKT. L’effetto più evidente del sovraccarico di Ca sui miociti è l’apoptosi. Quando l’eccesso citoplasmatico di Ca supera la capacità tampone dei mitocondri, infatti, si osserva rottura della membrana mitocondriale, rilascio di citocromo C e attivazione della caspasi, con conseguente apoptosi del miocita50. In condizioni patologiche, quale la CKD, i miociti gestiscono il Ca in modo completamente diverso dalla norma e con maggiore difficoltà. L’aumento dei livelli di Ca durante la contrazione diviene più lento, così come la susseguente riduzione dei livelli di Ca durante la fase di rilassamento risulta prolungata51. L’eccesso di Ca può esercitare un vero e proprio effetto tossico sui miociti (e quindi sul miocardio), attraverso diversi meccanismi: causando un eccessivo consumo energetico poiché incrementa la contrattilità; esercitando un effetto aritmogenico, in quanto maggiore energia è utilizzata per la contrazione e non può essere utilizzata per il funzionamento di trasportatori di Ca; provocando apoptosi, anomalie della crescita e del differenziamento (causa di ipertrofia o di atrofia cardiaca). Tutto ciò può avere ripercussioni cliniche estremamente negative, quali rimodellamento del miocardio e aumento del rischio di morte cardiaca improvvisa. Quest’ultima è una delle cause più importanti di mortalità osservata nei pazienti con CKD. Dei 20 decessi su 100 pazienti in dialisi che si verificano ogni anno, infatti, 5 sono attribuibili ad essa. 7 Recenti Progressi in Medicina, 101 (11), novembre 010 La morte cardiaca improvvisa può essere dovuta a ischemia, ma anche ad altre condizioni patologiche, prima fra tutte la sindrome del QT lungo. Nei pazienti sottoposti a dialisi la presenza di sindrome del QT lungo (un fattore di rischio per aritmia) è molto comune. Il Ca è implicato direttamente nel prolungamento del QT osservato nei pazienti con CKD, poiché, in condizioni patologiche, prolunga la fase di ripolarizzazione dei miociti52. Inoltre, in un modello animale di sindrome del QT lungo è stato dimostrato come l’aumento delle concentrazioni di Ca citosolico induca l’insorgenza di aritmie cardiache53. È lecito, a questo punto, ipotizzare che il sovraccarico di calcio (come può essere osservato nei pazienti con CKD) possa determinare un aumento del Ca intracellulare nei miociti, con conseguente aumento del rischio di aritmia. In uno studio effettuato su 79 pazienti in dialisi peritoneale, i livelli citosolici di Ca sono risultati fortemente associati alla durata del QT e nella metà dei soggetti valutati questo è risultato prolungato. I livelli di Ca sono coinvolti anche nel meccanismo aritmogenico associato ai peptidi natriuretici (NP), proteine che aumentano i livelli di cGMP, una molecola che a sua volta attiva i canali ionici, specialmente nel miocardio. È stato dimostrato che i livelli di peptide natriuretico cerebrale (BNP) nei pazienti sottoposti a dialisi sono più elevati e superiori anche a quelli di pazienti con disfunzione sistolica, oltre ad essere direttamente proporzionali al QTc. Uno studio effettuato in un modello animale ha permesso di dimostrare che livelli elevati di BNP bloccano l’attività del SERCA (Sarco/Endoplasmic Reticulum Ca2+ ATPase), l’enzima che pompa attivamente il Ca dal citosol al reticolo sarcoplasmatico, aumentando i livelli di Ca citosolico e incrementando il rischio di aritmia54. Sempre in un modello animale è stato dimostrato che i NP incrementano i transienti di Ca, aumentando il tempo di ripolarizzazione e quindi il QT55. Oltre ai modelli animali, anche evidenze cliniche dimostrano l’associazione tra NP e rischio di aritmia. In pazienti con insufficienza cardiaca grave, trattati con nesiritide, un analogo del BNP, è stato necessario interrompere la somministrazione del farmaco per l’elevata mortalità a 30 giorni56, a causa di aritmie. In conclusione, in considerazione del ruolo chiave del sovraccarico di Ca nell’insorgenza di aritmie potenzialmente fatali, nei pazienti con CKD la valutazione della calcemia e il controllo elettrocardiografico del QT risultano strumenti utili nella prevenzione della morte cardiaca improvvisa. Diagnosi radiografica di calcificazione vascolare Secondo le linee-guida KDIGO, i pazienti con calcificazione vascolare vanno considerati a massimo rischio cardiovascolare. Per questo motivo la diagnosi di calcificazione vascolare assume una grande importanza e dovrebbe guidare la gestione del paziente con CKD-MBD2. Attualmente tale diagnosi si avvale di diverse tecniche. Le più sofisticate sono rapprsentate dalla Electron Beam Computed Tomography (EBCT) e la Multislice Computed Tomography (MSCT). Entrambe consentono una valutazione quantitativa e sono considerate il gold standard diagnostico per la valutazione della calcificazione coronarica e dell’aorta; tuttavia hanno il limite di essere costose, di sottoporre i pazienti a elevate dosi di radiazioni e di non consentire comunque la discriminazione tra calcificazione intimale e mediale. Radiografia ed ecocardiografia, invece, sono tecniche semiquantitative, più semplici da eseguire e meno costose. Permettono di effettuare un efficace screening dei pazienti, al fine di individuare quelli a maggior rischio di eventi cardiovascolari. Inoltre, hanno il vantaggio di non necessitare dell’intervento di un radiologo per essere interpretate. Secondo le linee-guida KDIGO, la radiografia addominale laterale rappresenta una valida alternativa alla tomografia computerizzata nella diagnosi di calcificazione vascolare aortica, mentre l’ecocardiografia può essere utilizzata per rilevare la presenza di calcificazioni valvolari2. Diversi tipi di punteggi vengono utilizzati per il calcolo del livello di calcificazione e sono basati sull’analisi delle immagini radiografiche. Uno dei più noti è il punteggio di Kauppila. Si tratta di un indice della calcificazione dell’aorta addominale introdotto nel 1997 e basato su esami radiografici lombari. Ad ogni segmento dell’aorta addominale corrispondente alle vertebre L1, L2, L3 e L4 viene assegnato un punteggio da 0 a 3 in base alla severità della calcificazione osservata. La valutazione viene effettuata sia per la parte anteriore, sia per quella posteriore dell’aorta. La somma dei valori ottenuti rappresenta il punteggio di Kauppila e varia da 0 a 2457. Il gruppo di lavoro di Adragao ha introdotto, nel 2004, un punteggio di agevole utilizzo per la valutazione della calcificazione vascolare, basato su una radiografia del bacino e una delle mani58 (figura 5 alla pagina seguente). Ciascuna immagine radiografica viene divisa in quattro quadranti: in caso di presenza di calcificazione viene assegnato 1 punto al quadrante, altrimenti il punteggio è 0. La somma dei punteggi ottenuti negli 8 quadranti determina il punteggio complessivo. Sono numerosi gli studi basati su questi e altri indici radiografici, nei quali i livelli di calcificazione vascolare sono risultati associati con rischio di morte, con fattori di rischio per patologia cardiovascolare, con arteriopatia periferica e con il rischio di fratture patologiche. In pazienti sottoposti ad emodialisi la calcificazione vascolare è risultata associata a una più elevata mortalità cardiovascolare e per qualunque causa59-62, a rigidità arteriosa (un importante fattore di rischio cardiovascolare) e a un aumento del rischio di frattura vertebrale63,64. In questi pazienti è stata dimostrata un’associazione tra densità minerale ossea (BMD) (valutata mediante DXA) e calcificazione vascolare65. M. Cozzolino et al.: La calcificazione vascolare nel paziente con insufficienza renale cronica Arteria radiale Arteria digitale Arteria iliaca l’acidificazione. Questi risultati dovrebbero essere utilizzati per ottimizzare la composizione del bagno di dialisi e del grado di alcalinizzazione in pazienti con nefropatia terminale (ESRD). QuAL è IL nESSO TRA CALCIFICAzIOnE VASCOLARE E OSTEOPEnIA? Arteria femorale È stato di recente dimostrato in un modello animale di CKD (topi nefrectomizScore = 4 Score = 4 zati) che calcificazione va4 sezioni: iliaca, femorale, radiale e digitale. Presenza di calcificazione (irregolare o lineare) = 1 scolare ed osteopenia sono Assenza di calcificazione = 0 associate in modo bidirezionale69 . In questo studio, doFigura 5. Indice di calcificazione vascolare basato su radiogrammi: introdotto dal gruppo di lavoro di po 20 settimane di dieta ad Adragao5. elevato contenuto di P, i topi hanno sviluppato iperfosfatemia, elevati livelli ematici di PTH, calcificazione aortica e riduzione della Secondo le linee-guida KDIGO, la valutazione massa ossea. Nei tessuti aortici si è osservato un della densità minerale ossea non dovrebbe essere aumento dell’espressione dei geni muscolari e una effettuata routinariamente in pazienti con CKD 3riduzione di quelli di tipo osseo; tali modifiche nel5, in quanto questa indagine non permette di prel’espressione genetica potrebbero rappresentare dire il rischio di fratture né di determinare il tipo proprio il nesso molecolare che lega osteopenia e di osteodistrofia. Tuttavia, è stato di recente dimocalcificazione vascolare. L’aumento dei livelli di P, strato che la valutazione della BMD femorale (ma infatti, è associato ad un aumento della sintesi, da non quella lombare) è associata in modo significaparte delle arterie, di inibitori solubili della calcitivo con la porosità corticale66. Questo esame poficazione. Tale reazione difensiva e compensatoria, trebbe pertanto essere utile per valutare la porosiattuata dai vasi per prevenire la calcificazione, tà corticale in pazienti con CKD 5, al fine di preprovoca una demineralizzazione ossea che può sfovedere il rischio di fratture. ciare in osteopenia (figura 6). Infine, elevati punteggi di calcificazione vascolare sono risultati associati a valori dell’indice ABI <0,9, indice di presenza di arteriopatia peIperfosfatemia, calcificazioni vascolari e osteopenia riferica. L’impatto di questa patologia è rilevante nei pazienti in emodialisi con una frequenza di circa il 23%, con ricorso all’amputazione nel 6% Calcificazioni vascolari dei casi ed una sopravvivenza media successiva a tale procedura che supera di poco i 3 anni67. Variazioni nell’espressione genica* Ca x P Iperfosfatemia Questioni irrisolte nella calcificazione vascolare Tra i fattori di rischio della calcificazione vascolare ve ne sono alcuni non modificabili (età, durata della dialisi, diabete ecc.) e altri sui quali è possibile intervenire (fosfatemia, calcemia, iper- e ipoparatiroidismo, ecc.). Esistono però numerosi altri aspetti legati alla calcificazione vascolare sui quali è necessario fare ulteriore chiarezza. Osteopenia sintesi di inibitori solubili della calcificazione * Aumento dell’espressione dei geni di tipo muscolare e riduzione di quelli di tipo osseo Figura 6. Variazione dell’espressione genica in presenza di iperfosfatemia e associazione tra osteopenia e calcificazione vascolare69. QuAL è LO STATuS ACIDO/BASE OTTIMALE PER PREVEnIRE LA CALCIFICAzIOnE VASCOLARE? L’APPORTO DI CA DEVE ESSERE LIMITATO? È stato dimostrato che l’alcalinizzazione incrementa la calcificazione vascolare in cellule della muscolatura liscia vasale e in ratti uremici68, mentre esistono dati a supporto di un effetto protettivo del- Il ruolo dell’apporto di Ca (sia esso derivante da integrazione alimentare, sia da chelanti del P) è oggetto di sempre maggiore attenzione. 9 50 Recenti Progressi in Medicina, 101 (11), novembre 010 L’apporto di Ca raccomandato per soggetti anziani sani è elevato, sovrapponibile a quello consigliato per bambini e adolescenti durante la crescita, per ovviare alla riduzione di massa ossea osservata in questa popolazione70. Tuttavia anche la prevalenza di calcificazione vascolare aumenta con l’età, suggerendo l’adozione di strategie opposte. Di recente uno studio randomizzato e controllato, effettuato su un campione di donne sane in post-menopausa, ha messo ulteriormente in dubbio l’appropriatezza dell’integrazione alimentare con Ca. Nei soggetti randomizzati a ricevere 1 g di citrato di Ca al giorno, infatti, si è osservato un aumento significativo del rischio di infarto miocardico, che ha cominciato a rendersi evidente dopo i primi 2 anni di trattamento71. Se l’apporto di Ca nella popolazione sana è divenuto oggetto di controversie, lo è ancora di più nei soggetti con CKD. In pazienti iperfosfatemici sottoposti a emodialisi è stato dimostrato che il trattamento con chelanti a base di Ca riduce l’attenuazione trabecolare nelle vertebre toraciche e, al contempo, aumenta la calcificazione coronarica. È interessante osservare come la terapia con sevelamer, nello stesso campione, non abbia avuto un impatto negativo né sulla densità ossea, né sulla calcificazione vascolare72. Le linee-guida internazionali non aiutano a fare completa chiarezza sul ruolo del Ca. Le KDIGO, per esempio, suggeriscono che l’uso di chelanti a base di calcio debba essere limitato in pazienti con ipercalcemia, calcificazione arteriosa, malattia ossea adinamica o livelli di PTH persistentemente ridotti (figura 2). Non è chiaro, però, di quanto debba essere effettivamente ridotto il dosaggio dei chelanti a base di Ca e quali siano i pazienti a rischio di calcificazione vascolare da sottoporre a screening. DOPO QuAnTO TEMPO L’ADOzIOnE DI un InTERVEnTO ChE hA un IMPATTO SuI FATTORI ASSOCIATI ALLA CALCIFICAzIOnE VASCOLARE DETERMInA EFFETTI VISIBILI In TERMInI DI MORTALITà? Nella popolazione generale (donne sane in postmenopausa) l’intervallo tra inizio della supplementazione con Ca e incremento del rischio di infarto miocardico è di circa 2 anni. L’effetto sulla mortalità dovrebbe, presumibilmente, risultare più tardivo. Nei soggetti con ESRD, l’aumento della mortalità diventa evidente dopo circa 2 anni dall’inizio della dialisi13. In questo gruppo di pazienti il livello di calcificazione coronarica al basale è risultato un significativo predittore di mortalità. QuALE ChELAnTE DEL FOSFORO MIGLIORA LA SOPRAVVIVEnzA DI PAzIEnTI COn CKD-MBD? Non esistono ancora forti evidenze a supporto della scelta di un trattamento o dell’altro. Tuttavia, una serie di evidenze sembra suggerire che sevelamer debba essere preferito ai chelanti a base di Ca, in quanto questi ultimi possono aumentare la mor- talità cardiovascolare. Il primo dato è stato ottenuto in uno studio retrospettivo del 2007 effettuato su pazienti incidenti in emodialisi. Dopo 2 anni di follow up, sevelamer ha determinato migliori percentuali di sopravvivenza rispetto ai chelanti a base di Ca (76 vs 70% rispettivamente)73. La seconda evidenza è relativa allo studio RIND, nel quale pazienti incidenti sottoposti a emodialisi sono stati randomizzati a ricevere sevelamer o chelanti a base di Ca per 18 mesi, e poi tenuti in follow-up fino a 66 mesi. Al termine dei 18 mesi della fase randomizzata si sono rilevate differenze significative nella calcificazione carotidea a favore di sevelamer rispetto ai chelanti a base di Ca74 (figura 3). Anche l’analisi a lungo termine della sopravvivenza (end-point secondario) ha mostrato, già dopo 18 mesi, differenze a favore di sevelamer13. La terza evidenza deriva dallo studio DCOR, un trial randomizzato, in aperto, di confronto tra la terapia con sevelamer e con chelanti a base di Ca in pazienti prevalenti sottoposti a emodialisi. Non sono state rilevate differenze statisticamente significative nella mortalità per qualunque causa tra i due approcci terapeutici, eccetto che nei pazienti anziani (≥65 anni). In questo sottogruppo l’effetto benefico di sevelamer è risultato evidente a partire dai 2 anni di trattamento75. Conclusioni Le anomalie del metabolismo osseo nei pazienti con insufficienza renale cronica sono associate ad una prognosi sfavorevole. Sono sempre più numerose le evidenze a supporto di un’associazione tra CKD-MBD e rischio cardiovascolare. L’iperfosfatemia, in particolare, rappresenta uno dei più importanti fattori di rischio, anche per minime variazioni sieriche. Per questo motivo è importante identificare nuovi marker precoci (FGF-23) delle anomalie dell’omeostasi del P, che permettano di individuare tempestivamente i pazienti a maggior rischio di calcificazione vascolare e di attuare una terapia adeguata. Diversi studi hanno dimostrato che la calcificazione vascolare, indipendentemente dalla sua localizzazione, rappresenta un importante predittore di mortalità. L’esame radiografico rappresenta uno strumento semplice ed efficace per effettuare la diagnosi di calcificazione vascolare. Bibliografia 1. Foley RN, Parfrey PS, Sarnak MJ. Clinical epidemiology of cardiovascular disease in chronic renal disease. Am J Kideny Dis 1998; 32 (Suppl 3): S112-S9. 2. Moe S, Drüeke T, Cunningham J, et al. Kidney Disease: Improving Global Outcomes (KDIGO). Kidney Int 2006; 69: 1945-53. 3. KDIGO. Clinical practice guideline for the diagnosis, evaluation, prevention, and treatment of chronic kidney disease-mineral and bone disorder (CKDMBD). Kidney Int 2009; 76 (suppl 113): S1-S130. 4. Chi-yuan Hsu. FGF-23 and outcomes research: when physiology meets epidemiology. New Engl J Med 2008; 359: 584: 92. M. Cozzolino et al.: La calcificazione vascolare nel paziente con insufficienza renale cronica 5. Moranne O, Froissart M, Rossert J, et al. Timing of onset of CKD-related metabolic complications. J Am Soc Nephrol 2009; 20: 164-71. 6. 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