La calcificazione vascolare nel paziente con insufficienza renale

Transcript

La calcificazione vascolare nel paziente con insufficienza renale
Rassegna
Recenti Prog Med 010; 101: -5
La calcificazione vascolare nel paziente con insufficienza renale cronica
Mario Cozzolino1, Elena Missaglia1, Alberto Ortiz, Antonio Bellasi3, Teresa Adragao,
Theofanis Apostolou5, Giorgio Vescovo6, Maurizio Gallieni7
Riassunto. Le linee-guida Kidney Disease Improving Global Outcomes (KDIGO) hanno introdotto per la prima volta, nel 006, la definizione e i criteri diagnostico-terapeutici di un disordine sistemico del metabolismo minerale – la
calcificazione vascolare – causato dall’insufficienza renale
cronica. Viene suggerito che la diagnosi sia effettuata con
RX addominale ed ecocardiogramma in alternativa alla più
complessa TC. La patologia è associata a fattori di alto rischio cardiovascolare con conseguente prognosi sfavorevole. Di tali fattori, uno dei più importanti è l’iperfosfatemia;
pertanto è necessario individuare marcatori precoci delle
anomalie dell’omeostasi del fosforo (quale FGF-3) al fine
di identificare tempestivamente i pazienti maggiormente
critici, in cui attuare terapia adeguata: il trattamento con sevelamer costituisce strategia efficace, in aggiunta alla sola
somministrazione di carbonato di Ca, e una serie di evidenze sembra suggerire una preferenza a favore di sevelamer rispetto ai chelanti a base di calcio.
Patients affected by chronic kidney disease (CKD) suffer by
secondary hyperparathyroidism and hyperphosphatemia.
The new KDIGO guidelines identify a new definition in CKDMBD (Mineral Bone Disorder), in which vascular calcification plays a central role. In fact, CKD patients that present
vascular calcification have highest risk of cardiovascular
morbility and mortality. Recently, it has been elucidated
that the control of phosphate is one of the major problems
for the nephrology community. Furthermore, new markers,
such as FGF-3, have been identified as inducers of vascular calcification and cardiovascular disease in CKD. Therefore, the use of calcium-free phosphate-binders may reduce
the risk of cardiovascular disease by reducing both serum
phosphate and FGF-3 levels.
Parole chiave. Calcificazione vascolare, calcio, chelanti a
base di calcio, FGF-3, fosforo, insufficienza renale cronica,
iperfosfatemia, iperparatiroidismo, ormone paratiroideo,
rischio cardiovascolare, sevelamer.
Key words. Calcium, cardiovascular risk, chronic kidney disease, fibroblast growth factor-3, hyperparathyroidism, hyperphosphatemia, parathyroid hormone, sevelamer, vascular calcification.
Introduzione
del metabolismo minerale, causato dalla malattia
renale cronica, caratterizzato da tre manifestazioni (presenti da sole o in associazione): anomalie di
parametri di laboratorio (Ca, P, PTH e vitamina D),
anomalie ossee e calcificazione vascolare (figura 1).
La insufficienza renale cronica (CKD, secondo
l’acronimo internazionale = Chronic Kidney Disease) rappresenta, negli Stati Uniti, la seconda
causa di morte dopo il carcinoma polmonare. L’aumento di mortalità è evidente in tutti gli stadi della malattia, compresi i meno gravi1. La causa di
questo fenomeno è essenzialmente legata all’aumento del rischio cardiovascolare dovuto alla presenza di patologia vascolare: nei pazienti con CKD,
infatti, si rilevano con elevata frequenza lesioni
aterosclerotiche e arteriosclerotiche. Accanto ai
classici fattori di rischio per queste lesioni (fumo,
dislipidemia, ecc.), vi sono quelli tipici del CKD ed,
in particolare, l’iperparatiroidismo e l’osteodistrofia renale.
Il termine “Cronic Kidney Disease - Mineral Bone Disorder” (CKD-MBD), nato nel 2006, è stato
presentato per la prima volta in un Position Statement della KDIGO2. In questa pubblicazione si è
definito il CKD-MBD come un disordine sistemico
Summary. Vascular calcification in chronic kidney disease.
Cronic Kidney Disease– Mineral Bone Disorder
(CKD-MBD)
Disordine sistemico del metabolismo minerale, causato dalla
insufficienza renale cronica, caratterizzato da tre manifestazioni
(presenti da sole o in associazione):
1.
2.
3.
anomalie di parametri di laboratorio (Ca, P, PTH e vitamina D)
anomalie ossee
calcificazione vascolare
Figura 1. Definizione di CKD-MBD.
1Ospedale S. Paolo, Milano; Ospedale Virgen del Rocío, Siviglia (Spagna); 3Ospedale S. Orsola-Malpighi, Bologna; Ospedale S. Cruz,
Carnaxide (Portogallo); 5Ospedale Evangelismos, Atene (Grecia); 6Ospedale di Vicenza; 7Ospedale S. Carlo Borromeo, Milano.
Pervenuto il 23 agosto 2010.
M. Cozzolino et al.: La calcificazione vascolare nel paziente con insufficienza renale cronica
Il Position Statement della KDIGO ha aperto la
strada alla pubblicazione delle linee-guida per la
diagnosi e la gestione di questa patologia3. Tuttavia,
la maggior parte delle indicazioni incluse in esse è
classificata come “suggerimento” e non come vera e
propria raccomandazione. Questo pone il medico in
una posizione di grande libertà, ma al contempo, di
grande responsabilità: a lui solo spetta il compito di
costruire il miglior approccio terapeutico e gestionale per il particolare paziente che si trova di fronte.
Nelle linee-guida KDIGO 2009 vengono introdotte per la prima volta raccomandazioni per lo
screening della calcificazione vascolare. In particolare, viene suggerito che la diagnosi possa essere effettuata anche con radiografia addominale laterale e con ecocardiogramma, in alternativa alla
complessa e costosa tomografia computerizzata.
Secondo le linee-guida, i pazienti con diagnosi
di calcificazione vascolare o valvolare vanno inclusi nella classe di massimo rischio cardiovascolare.
Pertanto, la presenza o meno di calcificazione dovrebbe rappresentare un fattore chiave nella scelta delle strategie da adottare nella gestione del paziente. In particolare, viene raccomandato che
l’utilizzo di chelanti del P a base di Ca andrebbe limitato in pazienti con ipercalcemia, calcificazione
vascolare, bassi livelli di ormone paratiroideo
(PTH) o malattia adinamica dell’osso (figura 2).
Inoltre, si suggerisce che i livelli di P e Ca debbano rientrare nel range di normalità. Più complessa appare invece la gestione dei livelli di PTH:
in questi esiste una grande variabilità, per cui gli
obiettivi terapeutici dovrebbero essere valutati sul
singolo paziente, prendendo in considerazione altre variabili quali la presenza di iperfosfatemia,
ipocalcemia e carenza di vitamina D. Andrebbe
prestata attenzione anche agli andamenti temporali di questi parametri: variazioni nel tempo dei
livelli di P o di PTH dovrebbero indurre ad adottare adeguate misure terapeutiche.
Importante sottolineare, infine, che non sempre
i livelli ematici dei minerali e degli ormoni coinvolti nel CKD-MBD permettono di avere un quadro completo della patologia, non prendendo in
esame né il bilanciamento né l’omeostasi del calcio. Per questi motivi, è noto che il trattamento con
chelanti del P consente di normalizzare i livelli di
P e di PTH, ma l’utilizzo del carbonato di calcio può
comunque favorire la progressione delle calcificazioni vascolari.
Restrizioni all’uso di chelanti a base di calcio
Calcificazioni
Bassi livelli
di PTH
Ipercalcemia
Malattia
adinamica
dell’osso
Figura . Restrizioni nell’uso dei chelanti del fosforo a base di calcio secondo le linee guida KDIGO.
Il decorso della CKD-MBD
La CKD-MBD, insieme al rischio di calcificazione vascolare, comincia a manifestarsi precocemente nel corso della storia clinica del paziente con
insufficienza renale cronica. Infatti, tale patologia
determina fin dal suo esordio una disregolazione
del metabolismo minerale che ha conseguenze sia
sullo scheletro, sia sul sistema cardiovascolare. Tali effetti si manifestano in tutti i pazienti con CKD
e non solo in quelli sottoposti a emodialisi4. L’iperparatiroidismo, che compare con GFR intorno ai
49,5 ml/min, è una delle prime manifestazioni associate al CKD-MBD, mentre l’iperfosfatemia si
manifesta più tardivamente, quando il GFR è ridotto a 36,9 ml/min5. Ciò è spiegato dal fatto che il
PTH ha un effetto fosfaturizzante, quindi per osservare variazioni significative dei livelli ematici
di P è necessario che la patologia renale sia progredita a tal punto che gli effetti benefici del PTH
non siano più evidenti.
È interessante notare come la frazione di escrezione del fosforo cominci ad aumentare prima che si
manifesti l’incremento del PTH. Ciò significa che
esiste qualche altra sostanza che, oltre al PTH, agisce cercando di aumentare l’escrezione di P. Probabilmente tale ruolo è sostenuto dal FGF-23 (Fibroblast Growth Factor-23), una fosfatonina che inizia
a svolgere la sua attività sul rene precocemente,
quando il GFR è ancora di circa 90 ml/min e quando i livelli di PTH rientrano ancora nella norma6.
Le evidenze di associazione tra livelli ematici di P
e rischio cardiovascolare sono numerose. Una metanalisi del 2009 ha evidenziato come l’iperfosfatemia
sia associata ad un aumento del rischio di progressione della CKD, di patologie cardiovascolari, di coronaropatia, di infarto miocardico o di morte7. Tale associazione è risultata evidente sia nella popolazione
generale, sia nei soggetti con CKD (GFR<60 ml/min).
CKD-MBD è una problematica centrale nella gestione del paziente con insufficienza renale cronica
poiché è associato non solo alla calcificazione vascolare, ma anche a disfunzione endoteliale, aterosclerosi e ipertrofia del ventricolo sinistro8,9. L’associazione è evidente anche in soggetti giovani, nei quali elevati livelli di fosfatemia (anche se nell’intervallo di normalità) sono risultati associati a un più
alto rischio di aterosclerosi coronarica10.
La presenza di calcificazione vascolare è un
fattore di rischio cardiovascolare indipendente da
quelli tradizionali: entrambe le tipologie di calcificazione individuate nei pazienti con CKD (intimale, associata a stenosi, e mediale, non associata a stenosi) determinano un significativo aumento del rischio cardiovascolare. L’aumento del
rischio si osserva anche nella popolazione generale, dove il livello di calcificazione coronarica è
risultato correlato all’incidenza di eventi coronarici maggiori11.
L’impatto del grado di calcificazioni coronariche
nei pazienti con CDK sulla mortalità è stato dimostrato sia nei pazienti in emodialisi che nei pazienti non sottoposti a trattamento sostitutivo12,13.
3
Recenti Progressi in Medicina, 101 (11), novembre 010
È dunque importante adottare strategie atte a ridurre l’impatto della CKD-MBD sugli esiti clinici, e
sebbene di notevole interesse, le evidenze che possano guidare il medico verso questo obiettivo sono ancora scarse. Per esempio, in uno studio retrospettivo
è stato dimostrato che la somministrazione di chelanti del P è in grado di migliorare la sopravvivenza
di pazienti con CKD14. Non tutti i chelanti del P, però, sembrano possedere questo effetto positivo. Nello
studio RIND si è dimostrato che sevelamer riduce di
11 volte la progressione della calcificazione coronarica rispetto a chelanti a base di Ca14 (figura 3). Inoltre, in un’analisi secondaria è stato dimostrato come
il trattamento con sevelamer abbia un importante
effetto anche in termini di riduzione della mortalità: esso consente di ridurre del 28% la mortalità assoluta rispetto ai chelanti a base di Ca14.
Il ruolo del fosforo nella CKD-MBD
La fisiopatogenesi della calcificazione vascolare
in pazienti con CKD-MBD è molto complessa in
quanto coinvolge numerosi meccanismi molecolari e
può avere luogo in diversi tessuti e organi. Storicamente si tende ad assegnare al PTH il ruolo centrale in questa patologia, con Ca, P e vitamina D considerati attori principali. Di recente, però, si è rivoluzionato questo schema, assegnando al P il ruolo di
parametro chiave nella fisiopatologia della CKDMBD. Esistono numerose evidenze a supporto: nelle patologie ossea, paratiroidea, renale e cardiovascolare; ed anche di una diretta associazione fosforo
e mortalità.
FOSFORO E IPERPARATIROIDISMO SECOnDARIO
Calcificazioni coronariche : studio RIND
Sevelamer
Sali di calcio
CACS mediano
Incr
Incremento
d
11 volte
Baseline
6 mesi
12 mesi
18 mesi
Figura 3. Punteggio di calcificazione coronarica associato a trattamento con sevelamer o sali di calcio.
I chelanti del P permettono di controllare in
modo efficace l’iperparatiroidismo secondario associato al CKD. La loro azione è stata svelata in
un modello animale di CKD16: in ratti nefrectomizzati uremici e iperfosfatemici il trattamento
con chelanti del P (carbonato di calcio e sevelamer)
ha ridotto in modo significativo i livelli sierici di
PTH ed il peso della ghiandola paratiroide rispetto ai controlli, attraverso una riduzione del tasso
mitotico e della crescita delle cellule della paratiroide.
FOSFORO E CALCIFICAzIOnE VASCOLARE
In pazienti con CKD, l’iperfosfatemia è implicata direttamente nella calcificazione vascolare in
quanto induce iperparatiroidismo secondario, che
determina a sua volta perdita di massa ossea e aumento del rapporto Ca x P.
Non è ancora noto se nella ghiandola paratiroide esistano recettori per il
P; tuttavia è stato dimostrato che il P stimola la secrezione di PTH15, stabilizEscrezione renale
di fosforo
zando il mRNA dell’ormone
e aumentandone in questo
modo la sintesi. Tale effetto
sembra essere diretto, indiLivelli sierici
pendente dai livelli di Ca e
di fosfato
vitamina D e dai rispettivi
recettori (figura 4).
assorbimento
intestinale
Il P è implicato anche neldi fosforo
l’iperplasia della paratiroide,
Livelli sierici
che può rappresentare il ledi calcio
FGF-23
assorbimento
game tra iperfosfatemia ed
intestinale
iperparatiroidismo secondadi calcio
rio. Il P agisce, con un meccanismo non ancora del tutto
1,25 (OH)D3
Riassorbimento
PTH
chiaro, sulla via di segnale
renale
che si origina dall’interaziodi fosforo
ne tra TGFα (Transforming
Growth Factor α) ed EpiderFigura . Regolazione dei livelli di fosforo ed evoluzione dell’iperparatiroidismo secondario.
mal Growth Factor Receptor
(EGFR).
M. Cozzolino et al.: La calcificazione vascolare nel paziente con insufficienza renale cronica
In un recente studio effettuato su pazienti con
CKD non in dialisi, livelli di fosfatemia > 4 mg/dl
sono risultati associati in modo statisticamente significativo con la presenza di calcificazione nelle
arterie coronariche, nell’aorta discendente e nelle
valvole aortiche e mitrali17. Nel medesimo studio
si è osservato che maggiore è il grado di iperfosfatemia, più elevato è il numero di siti di calcificazione osservati nel paziente.
È stato dimostrato che il P agisce inducendo
nelle cellule della muscolatura liscia vasale una
trasformazione fenotipica che le rende simili, per
attività mineralizzante della matrice extracellulare, a osteoblasti18. Il meccanismo coinvolge Pit-1,
un cotrasportatore fosfato/Na, ed implica un aumento dell’espressione di geni osteoblasto-specifici: Osf2/Cbfa-1. Cbfa-1, a sua volta, regola l’espressione dell’osteocalcina, uno dei geni più importanti dell’osteoblastogenesi19.
Nonostante il ruolo centrale del P nella calcificazione ectopica, non tutti i chelanti del calcio hanno dimostrato la stessa efficacia nel ridurre il rischio di questa condizione. In modelli animali di
CKD, sevelamer è risultato superiore al carbonato
di calcio nel ridurre il rischio di calcificazione renale, vascolare e miocardica20.
FOSFORO E MORBILITà/MORTALITà CARDIOVASCOLARE
E PROGRESSIOnE DELLA InSuFFICIEnzA REnALE CROnICA
Esistono molti dati relativi all’associazione tra
iperfosfatemia e morbilità/mortalità cardiovascolare in pazienti in dialisi. Tale associazione è stata dimostrata anche in soggetti sani21 e in pazienti con funzione renale normale e storia di infarto
miocardico22. Inoltre, numerosi studi hanno dimostrato che l’effetto negativo del P è evidente anche
nei pazienti con CKD non ancora in dialisi, nei
quali l’iperfosfatemia è associata ad un notevole incremento della mortalità23.
Nei pazienti con CKD in predialisi, infine,
l’iperfosfatemia rappresenta anche un fattore indipendente di rischio di un più rapido declino della funzione renale24.
È evidente, pertanto, l’importanza di controllare la fosfatemia in questo tipo di pazienti attraverso una terapia adeguata. Va valutato quando e
con quali modalità iniziare questo tipo di trattamento, per prevenire iperfosfatemia, iperparatiroidismo secondario e calcificazione vascolare.
Fattore di crescita dei fibroblasti-23 (FGF-23):
il suo ruolo nel CKD-MBD
L’iperfosfatemia, tra le anomalie dei parametri
di laboratorio tipiche della CKD-MBD, è quella con
la più forte associazione con la mortalità cardiovascolare e per qualunque causa24,25. Tuttavia, è sempre più evidente come non sia sufficiente mantenere i livelli di P nella norma per evitare l’incremento di mortalità. Ciò significa che nell’omeosta-
si di questo minerale devono svolgere un ruolo importante anche altre sostanze.
Oggi l’attenzione è rivolta al FGF-23, una proteina con effetto ipofosfemizzante, dotata di azione
sistemica. FGF-23 (Fibroglast Growth Factor-23)
appartiene alla famiglia dei fattori di crescita dei
fibroblasti, di cui fanno parte 22 altre molecole
suddivise in 7 sottofamiglie ed è sintetizzato in
prevalenza nel tessuto osseo, da parte di osteociti
e osteoblasti26,27. L’azione fisiologica di FGF-23 sul
metabolismo di P e vitamina D è stata scoperta
con lo studio di diverse malattie genetiche caratterizzate da anomalie nell’espressione di questa
proteina. Esistono infatti alcune forme ereditarie
di rachitismo caratterizzate da un aumento dei livelli di FGF-23, in cui si osservano ipofosfatemia
e anomalie ossee28.
La presenza della proteina Klotho è essenziale
affinché FGF-23 possa esercitare la sua azione.
Klotho è un cofattore permissivo per il recettore di
FGF-23 e, al contempo, ne determina la specificità
tessutale. È stato dimostrato che livelli estremamente elevati di FGF-23 in assenza di Klotho non
hanno alcun impatto sul metabolismo minerale.
L’importanza di Klotho è sottolineata dal fatto che
topi privi di questo gene hanno un fenotipo biochimico praticamente identico a quello di topi FGF23 knockout, caratterizzato (tra le altre anomalie)
da iperfosfatemia, ipervitaminosi D, ipercalcemia
e ipoglicemia.
FGF-23 esercita il suo effetto ipofosfatemizzante agendo principalmente sul rene: esso aumenta
l’escrezione renale di P riducendo l’espressione dei
cotrasportatori Na/P (NPT2a e NPT2c), riduce i livelli di 1,25(OH) vitamina D, inibendo la 1 alfa
idrossilasi e stimolando la 24 idrolasi.
Le recenti evidenze sul ruolo chiave di FGF-23
nel metabolismo del P hanno fatto sì che il meccanismo fisiopatologico dello sviluppo dell’iperparatiroidismo in pazienti con CKD sia stato riesaminato. Oggi si ritiene che, con il progredire dell’insufficienza renale, l’escrezione del P si riduca e, di
conseguenza, si determini iperfosfatemia. Questa
condizione, a sua volta, causa un incremento della
secrezione di FGF-23 da parte degli osteoblasti. Tale sostanza aumenta l’escrezione renale del P e riduce i livelli circolanti di calcitriolo, causando in
questo modo iperparatiroidismo secondario29.
È stato dimostrato che i livelli di FGF-23 aumentano col progredire della CKD e risultano associati in modo inversamente proporzionale con il
GFR30. Pazienti con CKD sottoposti a emodialisi
presentano valori di FGF-23 circa cento volte più
elevati rispetto alla popolazione generale e tali livelli aumentano in modo parallelo ai livelli di fosfatemia, man mano che si assiste alla riduzione
della funzione renale31. L’aumento di FGF-23 è
precoce nel corso della CKD: analogamente a
quanto succede per il PTH, FGF-23 aumenta fin
dalle primissime fasi della malattia32, molto prima
rispetto all’esordio dell’iperfosfatemia33.
Il livelli di FGF-23 sono risultati un predittore
dello sviluppo di iperparatiroidismo secondario mi-
5
6
Recenti Progressi in Medicina, 101 (11), novembre 010
gliore rispetto agli altri parametri tradizionalmente considerati: fosfatemia, livelli di PTH, calcemia, ecc.33 e sono stati associati ad una più rapida progressione della malattia renale cronica34.
Diversi studi hanno dimostrato che FGF-23
rappresenta un marker di rischio cardiovascolare.
Dallo studio PIVUS, un trial prospettico, osservazionale, effettuato su pazienti di 70 anni di età, è
emerso che livelli elevati di FGF-23 (anche restando nell’intervallo di normalità) sono collegati
ad un maggior grado di aterosclerosi35, all’aumento dell’indice di massa del ventricolo sinistro, al rischio di iperplasia del ventricolo sinistro36, e in un
altro trial, in pazienti con funzione renale compromessa (eGFR<60 ml/min), FGF-23 è stato associato anche alla rigidità arteriosa7. In pazienti sottoposti a emodialisi, infine, i livelli ematici di FGF23 sono risultati correlati al rischio di calcificazione dell’aorta37 e dei vasi periferici38, ed in modo significativo alla mortalità. Anche in pazienti con
CKD non sottoposti a dialisi, i livelli di FGF-23 sono risultati associati a parametri implicati nelle
complicanze legate a questa patologia, quali densità minerale ossea, livelli di proteina C reattiva,
fosfatemia e diabete mellito39.
Il trattamento con sevelamer rappresenta una
strategia efficace per ridurre non solo la fosfatemia, ma anche i livelli di FGF-23. Tale efficacia è
stata dimostrata innanzitutto in un modello animale di CKD (topi trattati con adenina). Sevelamer ha ridotto la fosfatemia, con conseguente calo
delle concentrazioni ematiche di FGF-2340. Risultati analoghi sono stati ottenuti anche in un campione di pazienti sottoposti a emodialisi, nei quali
l’aggiunta di sevelamer alla terapia con carbonato
di Ca ha permesso di ridurre i livelli di FGF-23 rispetto alla terapia con solo carbonato di Ca41. Infine, in uno studio molto recente effettuato su pazienti con CKD normofosfatemici, 6 settimane di
trattamento con sevelamer hanno permesso di ridurre i livelli di FGF-23 in modo superiore al carbonato di calcio, sebbene entrambi i trattamenti
siano risultati efficaci nel diminuire le concentrazioni ematiche di PTH42.
Il FGF-23 potrebbe diventare, pertanto, un importante obiettivo terapeutico nella gestione del
CKD. Nelle fasi precoci della malattia, questa sostanza potrebbe dare un contributo alla riduzione
della ritenzione di P, riducendone i livelli ematici e
contribuendo a posticipare nel tempo lo sviluppo
dell’iperparatiroidismo secondario. Nelle fasi più
tardive della CKD, invece, ridurre i livelli di FGF23 potrebbe consentire di controllare la calcificazione vascolare e modulare il metabolismo osseo,
con un effetto positivo in termini di riduzione di
morbilità e di mortalità.
Miti e realtà sul calcio
L’uso di chelanti del P a base di Ca è un argomento di notevole rilevanza nella pratica clinica,
sebbene sia tuttora ancora molto controverso.
Non esistono prove definitive a favore o contro
l’utilizzo di tali farmaci, ma una serie di evidenze
sicuramente interessanti.
Sono state prodotte numerose campagne pubblicitarie a sostegno dell’effetto benefico del Ca sul
sistema scheletrico. Alcune evidenze scientifiche
sembrano supportare questa ipotesi. In una rassegna del 2009, effettuata su 32 studi clinici controllati, si è dimostrato che, in donne in post-menopausa, l’integrazione alimentare con Ca migliora
la BMD rispetto ai controlli43. Tuttavia, in alcuni
degli studi presi in considerazione il Ca sembra
avere un effetto opposto, riducendo la BMD.
Nonostante l’effetto positivo sulla BMD, però, il
Ca non sembra ridurre il rischio di fratture ossee.
In uno studio prospettico, osservazionale, effettuato su oltre 70.000 donne in post-menopausa, durato 18 anni, è stato dimostrato che il consumo di Ca
non è associato alla diminuzione del rischio di frattura. Una significativa riduzione (-37%) è risultata evidente, invece, nelle donne con elevata assunzione alimentare di vitamina D (>12,5 mcg/die)44.
L’integrazione alimentare con Ca non solo non è
un efficace strumento di prevenzione delle fratture,
ma presenterebbe anche rischi per la salute. Per
esempio, in uno studio nel quale sono state arruolate oltre 36.000 donne in post-menopausa, randomizzate a ricevere Ca (1 g/die) e vitamina D (400 UI)
o placebo per 7 anni, è stato dimostrato che l’integrazione alimentare aumenta leggermente la BMD,
non riduce il rischio di fratture, ma incrementa in
modo notevole il rischio di calcolosi renale45.
Un’interessante metanalisi ha preso in considerazione studi nei quali il Ca era stato somministrato in monoterapia, non in associazione con vitamina
D. Ne è emerso che il Ca non ha alcun effetto preventivo sulle fratture vertebrali e sembra addirittura aumentare il rischio di quelle dell’anca46.
Nello scegliere un trattamento medico, bisogna
pertanto avere una visione complessiva degli esiti.
L’esempio classico è quello dell’ovariectomia preventiva effettuata in pazienti sottoposte a isterectomia. Questo intervento annulla le probabilità che
le pazienti sviluppino una forma rara di neoplasia
(il carcinoma delle ovaie), ma le espone a un elevatissimo rischio di patologie cardiovascolari. Il parallelismo con il Ca è immediato: l’integrazione alimentare con questo minerale in donne in post-menopausa migliora leggermente lo stato di salute
dello scheletro, ma espone le pazienti a un aumento del rischio di infarto miocardico.
Nel paziente con CKD esistono certamente alcune giustificazioni teoriche per la somministrazione di sali di Ca: la carenza di vitamina D, che riduce l’assorbimento intestinale di Ca; la presenza
di ipocalcemia, che aumenta il rischio di iperparatiroidismo; l’iperfosfatemia, che giustifica l’impiego di chelanti del P a base di Ca. Per questi motivi
le linee-guida suggeriscono di adottare misure per
mantenere i livelli di Ca nei limiti di normalità,
sebbene con una debole forza della raccomandazione e una bassa qualità delle evidenze.
M. Cozzolino et al.: La calcificazione vascolare nel paziente con insufficienza renale cronica
Tuttavia, è bene notare che l’ipocalcemia non
rappresenta una problematica importante nella
gestione del paziente con CKD. Questa condizione,
infatti, ha un’incidenza piuttosto bassa47: raggiunge il 20% solo quando il GFR scende sotto i 20
ml/min. Iperfosfatemia e livelli di PTH rappresentano di certo questioni di maggiore importanza per
lo specialista in nefrologia.
Sono ormai numerose le evidenze a sfavore dell’utilizzo dei chelanti a base di Ca e del ruolo che
un bilancio positivo del Ca svolga sullo sviluppo di
calcificazioni vascolari. Dosi molto elevate di Ca
orale, pertanto, andrebbero evitate. Dosi più basse, invece, possono risultare utili se si riesce a
mantenere neutro il bilancio del minerale nel paziente (anche attraverso l’impiego di una dieta
specifica o di bagni di dialisi a bassa concentrazione di Ca). Inoltre, ai chelanti a base di Ca andrebbero preferite le efficaci alternative terapeutiche esistenti.
Un capitolo a parte merita la gestione della calcemia in pazienti trattati con cinacalcet. Il cinacalcet è il primo dei farmaci “calcio mimetici”, capaci cioè di aumentare la sensibilità dei recettori
calcio-sensibili della paratiroide nei confronti del
calcio extracellulare e di ridurre la secrezione di
ormone paratiroideo e i livelli di calcemia. Si è rivelato un farmaco utile in nefrologia per il controllo dell’iperparatiroidismo, in pazienti dializzati già in trattamento con chelanti del P e vitamina
D attiva, senza aumentare i livelli di Ca o di P.
Tuttavia, a volte, l’utilizzo di questo farmaco provoca ipocalcemia. Come gestire questa condizione?
Gli interventi attuati per contrastare gli effetti
ipocalcemizzanti di cinacalcet, come per esempio
la somministrazione di dosi orali di Ca, possono
causare ulteriori riduzioni della secrezione di PTH,
portando i livelli ematici dell’ormone al di sotto dei
valori normali e risultando, così, in un carico eccessivo di Ca che può provocare calcificazioni ectopiche, anche vascolari. Pertanto la supplementazione a lungo termine con Ca in pazienti trattati
con cinacalcet può essere pericolosa. È preferibile
quindi ridurre la dose del farmaco48.
In conclusione, nel paziente con CKD-MBD il
controllo dell’apporto di Ca è fondamentale ed i
momenti chiave in cui questo si rende necessario
sono almeno tre. Nell’emodialisi è necessario controllare la concentrazione di calcio nel bagno di
dialisi. In soggetti con iperfosfatemia è necessario
ridurre la somministrazione di chelanti del P a base di Ca (figura 2). Infine, in pazienti con iperparatiroidismo trattati con cinacalcet è bene evitare
che i livelli di Ca si riducano eccessivamente.
Calcio e rischio di aritmia
Il Ca è coinvolto in numerose funzioni dei miociti: ha un ruolo chiave non solo nella contrazione
e nel rilassamento, ma anche nel coordinamento di
molte funzioni cellulari (crescita, differenziamento,
produzione di energia, ecc.) e nell’apoptosi.
I livelli citoplasmatici di Ca all’interno dei miociti sono attivamente mantenuti circa 10.000 volte
più bassi rispetto ai fluidi extracellulari, grazie a
un complesso sistema di pompe, scambiatori e canali ionici. All’interno dei miociti, il Ca necessario
alla contrazione è contenuto all’interno del reticolo sarcoplasmatico49. Viene liberato nel citosol durante la sistole e prontamente riassorbito durante
la diastole. Quando le concentrazioni citoplasmatiche di Ca sono particolarmente elevate, intervengono anche i mitocondri, esercitando un effetto
tampone.
Alcune condizioni patologiche possono alterare
le concentrazioni di Ca all’interno dei miociti. Per
esempio, queste aumentano in presenza di acidosi
associata a ischemia e riperfusione, in quanto la
riduzione del pH intracellulare attiva gli scambiatori Ca/Na e se le concentrazioni non vengono tamponate dai mitocondri, possono avere effetti tossici sulla cellula. Nei pazienti con CKD che presentano acidosi metabolica, tale condizione si verifica
frequentemente.
Il Ca è coinvolto anche nella proliferazione cellulare: è in grado di attivare AKT, una proteinochinasi che ha un ruolo nello sviluppo dell’ ipertrofia cardiaca. In alcune condizioni patologiche,
come CKD e insufficienza cardiaca, l’attivazione
di AKT è più elevata della norma: di conseguenza
si osserva dilatazione cardiaca, aumento dell’angiotensina II e presenza di sovraccarico di volume.
Gli stessi effetti potrebbero essere provocati, quindi, da elevati livelli di Ca, attraverso l’interazione
con AKT.
L’effetto più evidente del sovraccarico di Ca sui
miociti è l’apoptosi. Quando l’eccesso citoplasmatico
di Ca supera la capacità tampone dei mitocondri, infatti, si osserva rottura della membrana mitocondriale, rilascio di citocromo C e attivazione della caspasi, con conseguente apoptosi del miocita50.
In condizioni patologiche, quale la CKD, i miociti gestiscono il Ca in modo completamente diverso dalla norma e con maggiore difficoltà. L’aumento dei livelli di Ca durante la contrazione diviene
più lento, così come la susseguente riduzione dei
livelli di Ca durante la fase di rilassamento risulta prolungata51.
L’eccesso di Ca può esercitare un vero e proprio
effetto tossico sui miociti (e quindi sul miocardio),
attraverso diversi meccanismi: causando un eccessivo consumo energetico poiché incrementa la contrattilità; esercitando un effetto aritmogenico, in
quanto maggiore energia è utilizzata per la contrazione e non può essere utilizzata per il funzionamento di trasportatori di Ca; provocando apoptosi, anomalie della crescita e del differenziamento (causa di ipertrofia o di atrofia cardiaca). Tutto
ciò può avere ripercussioni cliniche estremamente
negative, quali rimodellamento del miocardio e aumento del rischio di morte cardiaca improvvisa.
Quest’ultima è una delle cause più importanti
di mortalità osservata nei pazienti con CKD. Dei
20 decessi su 100 pazienti in dialisi che si verificano ogni anno, infatti, 5 sono attribuibili ad essa.
7
Recenti Progressi in Medicina, 101 (11), novembre 010
La morte cardiaca improvvisa può essere dovuta a ischemia, ma anche ad altre condizioni patologiche, prima fra tutte la sindrome del QT lungo.
Nei pazienti sottoposti a dialisi la presenza di sindrome del QT lungo (un fattore di rischio per aritmia) è molto comune. Il Ca è implicato direttamente nel prolungamento del QT osservato nei pazienti con CKD, poiché, in condizioni patologiche, prolunga la fase di ripolarizzazione dei miociti52. Inoltre, in un modello animale di sindrome del QT lungo è stato dimostrato come l’aumento delle concentrazioni di Ca citosolico induca l’insorgenza di aritmie cardiache53. È lecito, a questo punto, ipotizzare che il sovraccarico di calcio (come può essere osservato nei pazienti con CKD) possa determinare
un aumento del Ca intracellulare nei miociti, con
conseguente aumento del rischio di aritmia. In uno
studio effettuato su 79 pazienti in dialisi peritoneale, i livelli citosolici di Ca sono risultati fortemente associati alla durata del QT e nella metà dei
soggetti valutati questo è risultato prolungato. I livelli di Ca sono coinvolti anche nel meccanismo
aritmogenico associato ai peptidi natriuretici (NP),
proteine che aumentano i livelli di cGMP, una molecola che a sua volta attiva i canali ionici, specialmente nel miocardio. È stato dimostrato che i livelli
di peptide natriuretico cerebrale (BNP) nei pazienti sottoposti a dialisi sono più elevati e superiori anche a quelli di pazienti con disfunzione sistolica, oltre ad essere direttamente proporzionali al QTc.
Uno studio effettuato in un modello animale ha
permesso di dimostrare che livelli elevati di BNP
bloccano l’attività del SERCA (Sarco/Endoplasmic
Reticulum Ca2+ ATPase), l’enzima che pompa attivamente il Ca dal citosol al reticolo sarcoplasmatico, aumentando i livelli di Ca citosolico e incrementando il rischio di aritmia54. Sempre in un modello animale è stato dimostrato che i NP incrementano i transienti di Ca, aumentando il tempo di ripolarizzazione e quindi il QT55.
Oltre ai modelli animali, anche evidenze cliniche dimostrano l’associazione tra NP e rischio di
aritmia. In pazienti con insufficienza cardiaca grave, trattati con nesiritide, un analogo del BNP, è
stato necessario interrompere la somministrazione del farmaco per l’elevata mortalità a 30 giorni56,
a causa di aritmie.
In conclusione, in considerazione del ruolo chiave del sovraccarico di Ca nell’insorgenza di aritmie
potenzialmente fatali, nei pazienti con CKD la valutazione della calcemia e il controllo elettrocardiografico del QT risultano strumenti utili nella
prevenzione della morte cardiaca improvvisa.
Diagnosi radiografica di calcificazione vascolare
Secondo le linee-guida KDIGO, i pazienti con
calcificazione vascolare vanno considerati a massimo rischio cardiovascolare. Per questo motivo la
diagnosi di calcificazione vascolare assume una
grande importanza e dovrebbe guidare la gestione
del paziente con CKD-MBD2.
Attualmente tale diagnosi si avvale di diverse
tecniche. Le più sofisticate sono rapprsentate dalla Electron Beam Computed Tomography (EBCT)
e la Multislice Computed Tomography (MSCT).
Entrambe consentono una valutazione quantitativa e sono considerate il gold standard diagnostico
per la valutazione della calcificazione coronarica e
dell’aorta; tuttavia hanno il limite di essere costose, di sottoporre i pazienti a elevate dosi di radiazioni e di non consentire comunque la discriminazione tra calcificazione intimale e mediale.
Radiografia ed ecocardiografia, invece, sono tecniche semiquantitative, più semplici da eseguire e
meno costose. Permettono di effettuare un efficace
screening dei pazienti, al fine di individuare quelli a maggior rischio di eventi cardiovascolari. Inoltre, hanno il vantaggio di non necessitare dell’intervento di un radiologo per essere interpretate.
Secondo le linee-guida KDIGO, la radiografia addominale laterale rappresenta una valida alternativa alla tomografia computerizzata nella diagnosi di calcificazione vascolare aortica, mentre l’ecocardiografia può essere utilizzata per rilevare la
presenza di calcificazioni valvolari2.
Diversi tipi di punteggi vengono utilizzati per
il calcolo del livello di calcificazione e sono basati
sull’analisi delle immagini radiografiche. Uno dei
più noti è il punteggio di Kauppila. Si tratta di un
indice della calcificazione dell’aorta addominale introdotto nel 1997 e basato su esami radiografici
lombari. Ad ogni segmento dell’aorta addominale
corrispondente alle vertebre L1, L2, L3 e L4 viene
assegnato un punteggio da 0 a 3 in base alla severità della calcificazione osservata. La valutazione
viene effettuata sia per la parte anteriore, sia per
quella posteriore dell’aorta. La somma dei valori
ottenuti rappresenta il punteggio di Kauppila e varia da 0 a 2457.
Il gruppo di lavoro di Adragao ha introdotto, nel
2004, un punteggio di agevole utilizzo per la valutazione della calcificazione vascolare, basato su
una radiografia del bacino e una delle mani58 (figura 5 alla pagina seguente). Ciascuna immagine
radiografica viene divisa in quattro quadranti: in
caso di presenza di calcificazione viene assegnato 1
punto al quadrante, altrimenti il punteggio è 0. La
somma dei punteggi ottenuti negli 8 quadranti determina il punteggio complessivo.
Sono numerosi gli studi basati su questi e altri
indici radiografici, nei quali i livelli di calcificazione vascolare sono risultati associati con rischio di
morte, con fattori di rischio per patologia cardiovascolare, con arteriopatia periferica e con il rischio di fratture patologiche.
In pazienti sottoposti ad emodialisi la calcificazione vascolare è risultata associata a una più
elevata mortalità cardiovascolare e per qualunque
causa59-62, a rigidità arteriosa (un importante fattore di rischio cardiovascolare) e a un aumento del
rischio di frattura vertebrale63,64. In questi pazienti è stata dimostrata un’associazione tra densità minerale ossea (BMD) (valutata mediante
DXA) e calcificazione vascolare65.
M. Cozzolino et al.: La calcificazione vascolare nel paziente con insufficienza renale cronica
Arteria
radiale
Arteria
digitale
Arteria
iliaca
l’acidificazione. Questi risultati dovrebbero essere utilizzati per ottimizzare la composizione del bagno di dialisi e del grado di alcalinizzazione in pazienti con nefropatia terminale (ESRD).
QuAL è IL nESSO TRA CALCIFICAzIOnE VASCOLARE E OSTEOPEnIA?
Arteria
femorale
È stato di recente dimostrato in un modello animale di CKD (topi nefrectomizScore = 4
Score = 4
zati) che calcificazione va4 sezioni: iliaca, femorale, radiale e digitale. Presenza di calcificazione (irregolare o lineare) = 1
scolare ed osteopenia sono
Assenza di calcificazione = 0
associate in modo bidirezionale69 . In questo studio, doFigura 5. Indice di calcificazione vascolare basato su radiogrammi: introdotto dal gruppo di lavoro di
po 20 settimane di dieta ad
Adragao5.
elevato contenuto di P, i topi
hanno sviluppato iperfosfatemia, elevati livelli ematici di PTH, calcificazione aortica e riduzione della
Secondo le linee-guida KDIGO, la valutazione
massa ossea. Nei tessuti aortici si è osservato un
della densità minerale ossea non dovrebbe essere
aumento dell’espressione dei geni muscolari e una
effettuata routinariamente in pazienti con CKD 3riduzione di quelli di tipo osseo; tali modifiche nel5, in quanto questa indagine non permette di prel’espressione genetica potrebbero rappresentare
dire il rischio di fratture né di determinare il tipo
proprio il nesso molecolare che lega osteopenia e
di osteodistrofia. Tuttavia, è stato di recente dimocalcificazione vascolare. L’aumento dei livelli di P,
strato che la valutazione della BMD femorale (ma
infatti, è associato ad un aumento della sintesi, da
non quella lombare) è associata in modo significaparte delle arterie, di inibitori solubili della calcitivo con la porosità corticale66. Questo esame poficazione. Tale reazione difensiva e compensatoria,
trebbe pertanto essere utile per valutare la porosiattuata dai vasi per prevenire la calcificazione,
tà corticale in pazienti con CKD 5, al fine di preprovoca una demineralizzazione ossea che può sfovedere il rischio di fratture.
ciare in osteopenia (figura 6).
Infine, elevati punteggi di calcificazione vascolare sono risultati associati a valori dell’indice ABI <0,9, indice di presenza di arteriopatia peIperfosfatemia, calcificazioni vascolari e osteopenia
riferica. L’impatto di questa patologia è rilevante nei pazienti in emodialisi con una frequenza di
circa il 23%, con ricorso all’amputazione nel 6%
Calcificazioni vascolari
dei casi ed una sopravvivenza media successiva a
tale procedura che supera di poco i 3 anni67.
Variazioni nell’espressione
genica*
Ca x P
Iperfosfatemia
Questioni irrisolte nella calcificazione vascolare
Tra i fattori di rischio della calcificazione vascolare ve ne sono alcuni non modificabili (età, durata della dialisi, diabete ecc.) e altri sui quali è
possibile intervenire (fosfatemia, calcemia, iper- e
ipoparatiroidismo, ecc.). Esistono però numerosi
altri aspetti legati alla calcificazione vascolare sui
quali è necessario fare ulteriore chiarezza.
Osteopenia
sintesi di inibitori solubili
della calcificazione
* Aumento dell’espressione dei geni di tipo muscolare e riduzione di quelli di tipo osseo
Figura 6. Variazione dell’espressione genica in presenza di iperfosfatemia e associazione tra osteopenia e calcificazione vascolare69.
QuAL è LO STATuS ACIDO/BASE OTTIMALE PER PREVEnIRE
LA CALCIFICAzIOnE VASCOLARE?
L’APPORTO DI CA DEVE ESSERE LIMITATO?
È stato dimostrato che l’alcalinizzazione incrementa la calcificazione vascolare in cellule della muscolatura liscia vasale e in ratti uremici68, mentre
esistono dati a supporto di un effetto protettivo del-
Il ruolo dell’apporto di Ca (sia esso derivante da
integrazione alimentare, sia da chelanti del P) è
oggetto di sempre maggiore attenzione.
9
50
Recenti Progressi in Medicina, 101 (11), novembre 010
L’apporto di Ca raccomandato per soggetti anziani sani è elevato, sovrapponibile a quello consigliato per bambini e adolescenti durante la crescita, per ovviare alla riduzione di massa ossea osservata in questa popolazione70. Tuttavia anche la
prevalenza di calcificazione vascolare aumenta con
l’età, suggerendo l’adozione di strategie opposte.
Di recente uno studio randomizzato e controllato, effettuato su un campione di donne sane in
post-menopausa, ha messo ulteriormente in dubbio l’appropriatezza dell’integrazione alimentare
con Ca. Nei soggetti randomizzati a ricevere 1 g di
citrato di Ca al giorno, infatti, si è osservato un aumento significativo del rischio di infarto miocardico, che ha cominciato a rendersi evidente dopo i
primi 2 anni di trattamento71.
Se l’apporto di Ca nella popolazione sana è divenuto oggetto di controversie, lo è ancora di più
nei soggetti con CKD. In pazienti iperfosfatemici
sottoposti a emodialisi è stato dimostrato che il
trattamento con chelanti a base di Ca riduce l’attenuazione trabecolare nelle vertebre toraciche e,
al contempo, aumenta la calcificazione coronarica.
È interessante osservare come la terapia con sevelamer, nello stesso campione, non abbia avuto un
impatto negativo né sulla densità ossea, né sulla
calcificazione vascolare72.
Le linee-guida internazionali non aiutano a fare
completa chiarezza sul ruolo del Ca. Le KDIGO, per
esempio, suggeriscono che l’uso di chelanti a base di
calcio debba essere limitato in pazienti con ipercalcemia, calcificazione arteriosa, malattia ossea adinamica o livelli di PTH persistentemente ridotti (figura 2). Non è chiaro, però, di quanto debba essere
effettivamente ridotto il dosaggio dei chelanti a base di Ca e quali siano i pazienti a rischio di calcificazione vascolare da sottoporre a screening.
DOPO QuAnTO TEMPO L’ADOzIOnE DI un InTERVEnTO ChE hA
un IMPATTO SuI FATTORI ASSOCIATI ALLA CALCIFICAzIOnE VASCOLARE
DETERMInA EFFETTI VISIBILI In TERMInI DI MORTALITà?
Nella popolazione generale (donne sane in postmenopausa) l’intervallo tra inizio della supplementazione con Ca e incremento del rischio di infarto
miocardico è di circa 2 anni. L’effetto sulla mortalità dovrebbe, presumibilmente, risultare più tardivo. Nei soggetti con ESRD, l’aumento della mortalità diventa evidente dopo circa 2 anni dall’inizio
della dialisi13. In questo gruppo di pazienti il livello di calcificazione coronarica al basale è risultato
un significativo predittore di mortalità.
QuALE ChELAnTE DEL FOSFORO MIGLIORA
LA SOPRAVVIVEnzA DI PAzIEnTI COn CKD-MBD?
Non esistono ancora forti evidenze a supporto
della scelta di un trattamento o dell’altro. Tuttavia,
una serie di evidenze sembra suggerire che sevelamer debba essere preferito ai chelanti a base di Ca,
in quanto questi ultimi possono aumentare la mor-
talità cardiovascolare. Il primo dato è stato ottenuto in uno studio retrospettivo del 2007 effettuato su
pazienti incidenti in emodialisi. Dopo 2 anni di follow up, sevelamer ha determinato migliori percentuali di sopravvivenza rispetto ai chelanti a base di
Ca (76 vs 70% rispettivamente)73. La seconda evidenza è relativa allo studio RIND, nel quale pazienti incidenti sottoposti a emodialisi sono stati randomizzati a ricevere sevelamer o chelanti a base di Ca
per 18 mesi, e poi tenuti in follow-up fino a 66 mesi.
Al termine dei 18 mesi della fase randomizzata si sono rilevate differenze significative nella calcificazione carotidea a favore di sevelamer rispetto ai chelanti a base di Ca74 (figura 3). Anche l’analisi a lungo termine della sopravvivenza (end-point secondario) ha mostrato, già dopo 18 mesi, differenze a favore di sevelamer13. La terza evidenza deriva dallo
studio DCOR, un trial randomizzato, in aperto, di
confronto tra la terapia con sevelamer e con chelanti
a base di Ca in pazienti prevalenti sottoposti a emodialisi. Non sono state rilevate differenze statisticamente significative nella mortalità per qualunque
causa tra i due approcci terapeutici, eccetto che nei
pazienti anziani (≥65 anni). In questo sottogruppo
l’effetto benefico di sevelamer è risultato evidente a
partire dai 2 anni di trattamento75.
Conclusioni
Le anomalie del metabolismo osseo nei pazienti
con insufficienza renale cronica sono associate ad
una prognosi sfavorevole. Sono sempre più numerose le evidenze a supporto di un’associazione tra
CKD-MBD e rischio cardiovascolare. L’iperfosfatemia, in particolare, rappresenta uno dei più importanti fattori di rischio, anche per minime variazioni sieriche. Per questo motivo è importante identificare nuovi marker precoci (FGF-23) delle anomalie dell’omeostasi del P, che permettano di individuare tempestivamente i pazienti a maggior rischio
di calcificazione vascolare e di attuare una terapia
adeguata. Diversi studi hanno dimostrato che la
calcificazione vascolare, indipendentemente dalla
sua localizzazione, rappresenta un importante predittore di mortalità. L’esame radiografico rappresenta uno strumento semplice ed efficace per effettuare la diagnosi di calcificazione vascolare.
Bibliografia
1. Foley RN, Parfrey PS, Sarnak MJ. Clinical epidemiology of cardiovascular disease in chronic renal disease. Am J Kideny Dis 1998; 32 (Suppl 3): S112-S9.
2. Moe S, Drüeke T, Cunningham J, et al. Kidney Disease: Improving Global Outcomes (KDIGO). Kidney
Int 2006; 69: 1945-53.
3. KDIGO. Clinical practice guideline for the diagnosis, evaluation, prevention, and treatment of chronic
kidney disease-mineral and bone disorder (CKDMBD). Kidney Int 2009; 76 (suppl 113): S1-S130.
4. Chi-yuan Hsu. FGF-23 and outcomes research:
when physiology meets epidemiology. New Engl J
Med 2008; 359: 584: 92.
M. Cozzolino et al.: La calcificazione vascolare nel paziente con insufficienza renale cronica
5. Moranne O, Froissart M, Rossert J, et al. Timing of
onset of CKD-related metabolic complications. J Am
Soc Nephrol 2009; 20: 164-71.
6. Ix JH, Shlipak MG, Wassel CL, Whooley MA. Fibroblast growth factor-23 and early decrements in kidney function: The Heart And Soul Study. Nephrol
Dial Transplant 2010; 25: 993-7.
7. Kanbay M, Goldsmith D, Akcay A, Covic A. Phosphate: the silent stealthy cardiorenal culprit in all
stages of chronic kidney disease. Blood Purif 2009;
27: 220-30.
8. Mirza MA, Larsson A, Lind L, et al. Circulating fibroblast growth factor-23 is associated with vascular dysfunction in the community. Atherosclerosis
2009; 205: 385-90.
9. Onufrak SJ, Bellasi A, Shaw LJ, et al. Phosphorus
levels are associated with subclinical atherosclerosis in the general population. Atherosclerosis 2008;
199: 424-31.
10. Foley RN, CollinsAJ, Herzog CA, et al. Serum phosphorus levels associate with coronary atherosclerosis
in young adults. J Am Soc Nephrol 2009; 20: 397-404.
11. Detrano R, Guerci AD, Carr JJ, et al. Coronary calcium as a predictor of coronary events in four racial
or ethnic groups. N Engl J Med 2008; 358: 1336-45.
12. Watanabe E, Lemos MM, Manfredi SR, Draibe SA,
Canziani ME. Impact of cardiovascular calcification
in nondialyzed patients after 24 months of followup. Clin J Am Soc Nephrol 2010; 5: 189-94.
13. Block GA, Raggi P, Bellasi A, Kooienga L, Spiegel
DM. Mortality effect of coronary calcification and
phosphate binder choice in incident hemodialysis patients. Kidney Int 2007; 71: 438-41.
14. Isakova T, Gutiérrez OM, Chang Y, et al. Phosphorus
binders and survival on hemodialysis. J Am Soc Nephrol 2009; 20: 388-96.
15. Silver J, Kilav R, Naveh-Many T, et al. Mechanisms
of secondary hyperparathyroidism. Am J Physiol Renal Physiol 2002; 283: 367-76.
16. Cozzolino M, Dusso AS, Liapis H, et al. The effects of
sevelamer hydrochloride and calcium carbonate on
kidney calcification in uremic rats. J Am Soc Nephrol 2002; 13: 2299-308.
17. Adeney K, Siscovick D, Ix J, et al. Association of serum
phosphate with vascular and valvular calcification in
moderate CKD. J Am Soc Nephrol 2009; 20: 381-7.
18. Mathew S, Lund R, Chaudhary L, Geurs T, Hruska
K. Vitamin D receptor activators can protect against
vascular calcification. J Am Soc Nephrol 2009; 19:
1509-19.
19. Cozzolino M, Brancaccio D, Gallieni M, Slatopolsky
E. Pathogenesis of vascular calcification in chronic
kidney disease. Kidney Int 2005; 68: 429-36.
20. Cozzolino M, Staniforth ME, Liapis H, et al. Sevelamer hydrochloride attenuates kidney and cardiovascular calcifications in long-term experimental uremia. Kidney Int 2003; 64: 1653-61.
21. Dhingra, R, Sullivan LM, Fox CS, et al. Relations of
serum phosphorus and calcium levels to the incidence of cardiovascular disease in the community.
Arch Intern Med 2007; 167: 879-85.
22. Tonelli M, Sacks F, Pfeffer M, Gao Z, Curhan G. Relation between serum phosphate level and cardiovascular event rate in people with coronary disease.
Circulation 2005; 112: 2627-33.
23. Kestenbaum B, Sampson JN, Rudser KD, et al. Serum phosphate levels and mortality risk among people with chronic kidney disease. J Am Soc Nephrol
2005; 16: 520-8.
24. Voormolen N, Noordzij M, Grootendorst DC, et al.
PREPARE study group. High plasma phosphate as a
risk factor for decline in renal function and mortali-
25.
26.
27.
28.
29.
30.
31.
32.
33.
34.
35.
36.
37.
38.
39.
40.
41.
42.
ty in pre-dialysis patients. Nephrol Dial Transplant
2007; 22: 2909-16. Epub 2007.
Young EW, Albert JM, Satayathum S, et al. Predictors and consequences of altered mineral metabolism: the Dialysis Outcomes and Practice Patterns
Study. Kidney Int 2005; 67: 1179-87.
Liu S, Guo R, Simpson LG, et al. Regulation of
FGF23 expression but not degradation by Phex. J
Biol Chem 2003; 278: 37419-26.
Riminucci M, Collins MT, Fedarko NS, et al. FGF-23
infibrous dysplasia of bone and its relationship to renal
phosphate wasting. J Clin Invest 2003; 112: 683:92.
Fukumoto S. Physiological regulation and disordersof phosphate metabolism: pivotal role of fibroblast
growth factor 23. Intern Med 2008; 47: 337-43.
Saito T, Fukumoto S. Fibroblast Growth Factor 23
(FGF23) and Disorders of Phosphate Metabolism. Int
J Pediatr Endocrinol 2009; 2009: 496514. Epub 2009.
Gutierrez O, Isakova T, Rhee E, et al. Fibroblast
growth-factor-23 mitigates hyperphosphatemia but
accentuates calcitriol deficiency in chronic kidneydisease. J Am Soc Nephrol 2005; 16: 2205-15.
Gutierrez OM, Januzzi JL, IsakovaT, et al. Fibroblast growth factor 23 and left ventricular hypertrophy in chronic kidney disease. Circulation 2009; 119:
2545-52.
Westerberg PA, Linde T, Wikstrom B, et al. Regulation offibroblast growth factor-23 in chronic kidney
disease. Nephrol Dial Transplant 2007; 22: 3202-7.
Nakanishi S, Kazama JJ, Nii-Kono T, et al. Serum fibroblast growth factor-23 levels predict the future
refractory hyperparathyroidism in dialysis patients.
Kidney Int 2005; 67: 1171-8.
Fliser D, Kollerits B, Neyer U, et al. Fibroblast
growth factor 23 (FGF23) predicts progression of
chronic kidney disease: The Mild To Moderate Kidney Disease (MMKD) Study. J Am Soc Nephrol 2007;
18: 2600-8.
Mirza M, Hansen T, Johansson L, et al. Relationship
between circulating FGF23 and total body atherosclerosis in the community. Nephrol Dial Transplant
2009; 24: 3125-31.
Mirza M, Larsson A , Melhus H, Lind L, Larsson TE.
Serum intact FGF23 associate with left ventricular
mass, hypertrophy and geometry in an elderly population. Atherosclerosis 2009; 207: 546-51.
Nasrallah M, Amal R, El-Shehaby AR, et al. Fibroblast growth factor-23 (FGF-23) is independently
correlated to aortic calcification in haemodialysis patients. Nephrol Dial Transplant 2010; 25: 2679-85.
Jean G, Bresson E, Terrat JC, et al. Peripheralvascular calcification in long-haemodialysis patients:
associated factors and survival consequences. Nephrol Dial Transplant 2009; 24: 948-55.
Manghat P, Fraser WD, Wierzbicki AS, Fogelman I,
Goldsmith DJ, Hampson G. Fibroblast growth factor-23 is associated with C-reactive protein, serum
phosphate and bone mineral density in chronic kidney disease. Osteoporos Int 2009.
Nagano N, Miyata S, Abe M, et al. Effect of manipulating serum phosphorus with phosphate binder on
circulating PTH and FGF23 in renal failure rats.
Kidney Int 2006; 69: 531-7.
Koiwa F, Onoda N, Kato H, et al. Prospective randomized multicenter trial of sevelamer hydrochloride
and calcium carbonate for the treatment of hyperphosphatemia in hemodialysispatients in Japan.
Ther Apher Dial 2005; 9: 340-6.
Oliveira R, Cancela A, Graciolli FG, et al. Early control of PTH and FGF23 in normophosphatemic CKD
patients: a new target in CKD-MBD therapy? Clin J
Am Soc Nephrol 2010; 5: 286-91.
51
5
Recenti Progressi in Medicina, 101 (11), novembre 010
43. Nordin B. The effect of calcium supplementation on
bone loss in 32 controlled trials in postmenopausal
women. Osteoporos Int 2009; 20: 2135-43.
44. Feskanich D, Willett WC, Colditz GA. Calcium, vitamin D, milk consumption, and hip fractures: a prospective study among postmenopausal women. Am
J Clin Nutr 2003; 77: 504-11.
45. Jackson R, LaCroix A, Gass M, et al. Calcium plus
vitamin D supplementation and the risk of fractures. N Engl J Med 2006; 354: 669-83.
46. Reid IR, Grey AB, Bolland BJ. Calcium supplementation for older men and women? Osteoporos Int
2008; 19: 1119-23.
47. Levin A, Bakris GL, Molitch M, et al. Prevalence of
abnormal serum vitamin D, PTH, calcium, and phosphorus in patients with chronic kidney disease: results of the study to evaluate early kidney disease.
Kidney Int 2007; 71: 31-8.
48. Block GA, Zeig S, Sugihara J, et al. Combined therapy with cinacalcet and low doses of vitamin D sterols in patients with moderate to severe secondary
hyperparathyroidism. Nephrol Dial Transplant
2008; 23: 2311-8.
49. Schaub MC, Martin A, Hefti MA, Zaugg M. Integration of calcium with the signaling network in cardiac myocytes. J Mol Cell Cardiol 2006; 41: 183-214.
50. Chen X, Zhang X, Kubo H, et al. Ca2+ influx-induced
sarcoplasmic reticulum ca2+ overload causes mitochondrial-dependent apoptosis in ventricular myocytes. Circ Res 2005; 97: 1009-17.
51. Harding SE, MacLeod KT, Jones SM, Vescovo G,
Poole-Wilson PA. Contractile responses of myocytes
isolated from patients with cardiomyopathy. Eur Heart J 1991; 12 (Suppl. D): 44-8.
52. Abriel HSJ, Keller DI, Gavillet B, et al. Molecular
and clinical determinants of drug-induced long QT
syndrome: an iatrogenic channelopathy. Swiss Med
Wkly 2004; 134: 685-94.
53. Choi BR, Burton F, Salama G. Cytosolic Ca2+ triggers early afterdepolarizations and Torsade de Pointes in rabbit hearts with type 2 long QT syndrome. J
Physiol 2002; 543: 615-31.
54. Kögler H, Schott P, Toischer K, et al. Relevance of
brain natriuretic peptide in preload-dependent regulation of cardiac sarcoplasmic reticulum Ca2+ ATPase expression. Circulation 2006; 113: 2724-32.
55. Wollert KC, Yurukova S, Kilic A, et al. Increased effects of C-type natriuretic peptide on contractility
and calcium regulation in murine hearts overexpressing cyclic GMP-dependent protein kinase I. Br
J Pharmacol 2003; 140: 1227-36.
56. Kögler H, Schott P, Toischer K, et al. Relevance of
brain natriuretic peptide in preload-dependent regulation of cardiac sarcoplasmic reticulum Ca2+ ATPase expression. Circulation 2006; 113: 2724-32.
57. Kauppila LI, Polak JF, Cupples LA, Hannan MT,
Kiel DP, Wilson PW. New indices to classify location,
severity and progression of calcific lesions in the abdominal aorta: a 25-year follow-up study. Atherosclerosis 1997; 132: 245-50.
58. Adragao T, Pires A, Lucas C, et al. A simple vascular
calcification score predicts cardiovascular risk in
haemodialysis patients. Nephrol Dial Transplant
2004; 19: 1480-8.
59. London GM, Guerin AP, Marchais SJ, Metivier F,
Pannier B, Adda H. Arterial media calcification in
end-stage renal disease: impact on all-cause and cardiovascular mortality. Nephrol Dial Transplant
2003; 18: 1731-40.
60. Okuno S, Ishimura E, Kitatani K, et al. Presence of
abdominal aortic calcification is significantly associated with all-cause and cardiovascular mortality
61.
62.
63.
64.
65.
66.
67.
68.
69.
70.
71.
72.
73.
74.
75.
in maintenance hemodialysis patients. Am J Kidney
Dis 2007; 49: 417-25.
Ogawa T, Ishida H, Akamatsu M, et al. Progression
of aortic arch calcification and all-cause and cardiovascular mortality in chronic hemodialysis patients.
Int Urol Nephrol 2010; 42: 187-94.
Schlieper G, Kruger T, Djuric Z, et al. Vascular access calcification predicts mortality in hemodialysis
patients. Kidney Int 2008; 74: 1582-7.
Adragao T, Pires A, Curto JD, et al. A plain X-ray vascular calcification score is associated with arterial
stiffness and mortality in dialysis patients. Nephrol
Dial Transplant 2009; 24: 997-1002.
Rodríguez-García M, Gómez-Alonso C, Naves-Díaz
M, et al. Vascular calcifications, vertebral fractures
and mortality in haemodialysis patients. Nephrol
Dial Transplant 2009; 24: 239-46.
Adragao T, Branco P, Birne R, et al. Bone mineral
density, vascular calcifications, and arterial stiffness
in peritoneal dialysis patients. Perit Dial Int 2009;
28: 668-72.
Adragao T, Herberth J, Monier-Faugere MC, et al.
Femoral bone mineral density reflects histologically
determined cortical bone volume in hemodialysis patients. Osteoporos Int 2010; 21: 619-25.
Combe C, Albert JM, Bragg-Gresham JL, et al. The
burden of amputation among hemodialysis patients
in the Dialysis Outcomes and Practice Patterns
Study (DOPPS). Am J Kidney Dis 2009; 54: 680-92.
De Solis A, Gonzales-Pacheco FR, Deudero JJ, et al.
Alkalinization potentiates vascular calcium deposition in an uremic milieu. J Nephrol 2009; 22: 647-53.
Román-García P, Carrillo-López N, Fernández-Martín JL, Naves-Díaz M, Ruiz-Torres MP, Cannata-Andía JB. High phosphorus diet induces vascular calcification, a related decrease in bone mass and changes
in the aortic gene expression. Bone 2010; 46: 121-8.
Cannata-Andía JB, Rodríguez-García M, CarrilloLópez N, et al. Vascular calcifications: pathogenesis,
management and impact on clinical outcomes. J Am
Soc Nephrol 2006; 17 (Suppl 3): S267-73.
Bolland MJ, Barber PA, Doughty RN, et al. Vascular
events in healthy older women receiving calcium
supplementation: randomised controlled trial. BMJ
2008; 336: 262-6.
Raggi P, James G, Burke SK, et al. Decrease in thoracic vertebral bone attenuation with calcium-based
phosphate binders in hemodialysis. J Bone Miner
Res 2005; 20: 764-72.
Borzecki A, Lee A, Wang SW, Brenner L, Kazis LE.
Survival in end stage renal disease: calcium carbonate vs. sevelamer. J Clin Pharm Ther 2007; 32: 617-24.
Block GA, Spiegel DM, Ehrlich J, et al. Effects of sevelamer and calcium on coronary artery calcification
in patients new to hemodialysis. Kidney Int 2005;
68: 1815-24.
Suki WN, Zabenh R, Cangiano JL, et al. Effects of
sevelamer and calcium-based phosphate binders on
mortality in hemodialysis patients. Kidney Int 2007;
72: 1130-7.
Indirizzo per la corrispondenza:
Prof. Mario Cozzolino
Azienda Ospedaliera San Paolo
Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria
uO nefrologia e Dialisi
Via A. di Rudinì 01 Milano
E-mail: [email protected]