La violenza sessuale

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La violenza sessuale
NOTA DI FONDO
La violenza sessuale: uno strumento di guerra
“É diventato più pericoloso essere una donna che va ad attingere l’acqua o che va a
raccogliere la legna da ardere che essere un combattente al fronte.”
-- Febbraio 2012, Signora Margot Wallström, Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite per i
crimini sessuali in situazioni di conflitto
É di gran lunga più probabile che le vittime degli attuali conflitti armati siano i civili piuttosto che i
militari. Secondo la Campagna delle Nazioni Unite contro la violenza sessuale in situazioni di
conflitto, la stragrande maggioranza delle vittime delle guerre odierne si riscontrano tra i civili, per
lo più donne e bambini. Particolarmente le donne possono essere esposte a gravi forme di violenza
sessuale, che talora sono messe in atto in modo sistematico allo scopo di ottenere obiettivi militari o
politici.
Durante le guerre spesso vengono commessi stupri allo scopo di seminare il terrore tra la
popolazione, di disgregare famiglie, di distruggere comunità, e, in alcuni casi, di modificare la
composizione etnica della generazione successiva. Talora si fa ricorso allo stupro per contagiare
deliberatamente le donne con il virus dell’HIV o rendere le donne appartenenti alla comunità presa
di mira incapaci di procreare.
In Ruanda, durante il genocidio protrattosi per tre mesi nel 1994 furono stuprate tra le 100.000 e le
250.000 donne.
Le agenzie delle Nazioni Unite calcolano che più di 60.000 donne siano state stuprate durante la
Guerra civile in Sierra Leone (1991-2002), più di 40.000 in Liberia (1989-2003), fino a 60.000 nella
ex Yugoslavia (1992-1995), e almeno 200.000 nella Repubblica Democratica del Congo durante gli
ultimi 12 anni di guerra.
Gli effetti della violenza sessuale perdurano anche dopo la fine del conflitto, comprendendo
gravidanze indesiderate, infezioni trasmesse per via sessuale e l’emarginazione per infamia. La
stessa violenza sessuale su vaste proporzioni può continuare o addirittura aumentare in seguito al
conflitto, come conseguenza della mancanza di sicurezza e della situazione di impunità. Inoltre
provvedere ai bisogni dei superstiti – che comprendono l’assistenza sanitaria, la cura contro il virus
dell’HIV, il sostegno psicologico, gli aiuti economici e il risarcimento legale – richiede risorse di cui
la maggior parte dei paesi nel dopo conflitto non dispongono.
Riconoscere la violenza sessuale come crimine internazionale
Per secoli, la violenza sessuale in situazioni di conflitto è stata tacitamente accettata in quanto
inevitabile. Un rapporto del 1998 delle Nazioni Unite sulla violenza sessuale e sul conflitto armato
rileva che, storicamente, i militari consideravano lo stupro un legittimo bottino di guerra.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, tutte le parti del conflitto furono accusate di aver commesso
stupri di massa, tuttavia nessuno dei due tribunali istituiti a Tokyo e a Norimberga dai paesi alleati
risultati vittoriosi per perseguire i presunti crimini di guerra hanno riconosciuto il reato di violenza
sessuale.
É stato solo nel 1992, a fronte dei diffusi stupri di donne nella ex Yugoslavia, che il tema è giunto
all’attenzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il 18 dicembre 1992, il Consiglio ha
dichiarato la “prigionia di massa, organizzata e sistematica e lo stupro di donne, in particolare di
donne musulmane, in Bosnia e in Erzegovina” un crimine internazionale che deve essere affrontato.
In seguito, lo Statuto del Tribunale Penale Internazionale per la ex Yugoslavia (ICTY, 1993) ha
incluso lo stupro come crimine contro l’umanità, accanto ad altri crimini come la tortura e lo
sterminio, qualora siano commessi durante un conflitto armato e siano diretti contro una
popolazione di civili. Nel 2001, il Tribunale Penale Internazionale per la ex Yugoslavia è stato il
primo tribunale internazionale a dichiarare la persona accusata colpevole di stupro come reato
contro l’umanità. Inoltre, il Tribunale ha ampliato la definizione di schiavitù come reato contro
l’umanità includendo la schiavitù sessuale. In precedenza, il lavoro forzato era l’unico tipo di
schiavitù ad essere considerato come reato contro l’umanità.
Anche il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda (ICTR, 1994) ha dichiarato che lo stupro è
un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità. Nel 1998, il Tribunale Penale Internazionale per
il Ruanda è stato il primo tribunale internazionale a dichiarare la persona accusata colpevole di
stupro in quanto reato di genocidio (impiegato per commettere genocidio). Il processo contro un ex
sindaco, Jean-Paul Akayesu, ha stabilito che lo stupro e la violenza carnale costituiscono atti di
genocidio nella misura in cui sono stati commessi intenzionalmente per distruggere, in tutto o in
parte, il gruppo etnico Tutsi.
Lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, in vigore a partire da luglio 2002, comprende
lo stupro, la schiavitù sessuale, la prostituzione forzata, la gravidanza forzata, la sterilizzazione
forzata, o “qualsiasi altra forma di violenza sessuale di analoga gravità” come crimine contro
l’umanità qualora sia commesso in modo diffuso o sistematico. I mandati di arresto emessi dalla
Corte Penale Internazionale comprendono diversi capi d’accusa di stupro sia come crimine di
guerra che come crimine contro l’umanità.
Benchè le modifiche alle leggi internazionali e nazionali costituiscano i principali passi per
consentire la punizione e la fine della violenza sessuale, essi tuttavia non possono avere buon esito
senza un fondamentale cambiamento nell’atteggiamento sociale nei confronti degli abusi sessuali
sulle donne.
“In questo momento, è la donna che subisce uno stupro che viene marchiata con l’infamia e bandita
a causa di esso”, afferma il Dottor Denis Mukwege Mukengere, direttore del Panzi Hospital di
Bukavu nella Repubblica Democratica del Congo. “Oltre alle leggi, dobbiamo far sì che vengano
inflitte sanzioni sociali in favore della donna. Dobbiamo arrivare alla situazione in cui la vittima
riceve il sostegno della comunità mentre è l’uomo che la stupra che viene marchiato con l’infamia,
bandito e punito da parte dell’intera comunità.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
Negli ultimi anni il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è adoperato in gran misura per
aiutare ad accrescere la consapevolezza e dare l’avvio all’azione contro la violenza sessuale in
situazioni di conflitto:
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La Risoluzione 1325 (2000) del Consiglio di Sicurezza esortava gli Stati Membri ad
intensificare la partecipazione delle donne nella “prevenzione e risoluzione dei conflitti” e nel
“mantenimento e nella promozione della pace e della sicurezza.” Invitava le parti coinvolte nel
conflitto armato a rispettare le leggi internazionali a tutela dei diritti delle donne e delle bambine
civili e ad includere politiche e procedure che proteggano le donne dai crimini a sfondo sessuale
come lo stupro e la violenza carnale.
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La Risoluzione 1820 (2008) del Consiglio di Sicurezza esortava a porre fine all’uso di brutali
atti di violenza sessuale contro donne e bambine come tattica di guerra e a porre fine all’impunità
degli esecutori. Richiedeva al Segretario Generale e alle Nazioni Unite di fornire protezione a donne
e bambine nei tentativi compiuti dalle Nazioni Unite per mantenere la sicurezza, compresi i campi
profughi, e di incoraggiare la partecipazione delle donne in tutte le operazioni di costruzione della
pace.
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La Risoluzione 1888 (2009) del Consiglio di Sicurezza disponeva minuziosamente le misure
per fonire ulteriore protezione a donne e bambini contro la violenza sessuale in situazioni di
conflitto, quali invitare il Segretario Generale a nominare un rappresentante speciale per dirigere e
coordinare l’operato delle Nazioni Unite sul tema, ad inviare un gruppo di esperti in situazioni che
destano particolare preoccupazione, e ad affidare i mandati per le operazioni di peacekeeping a dei
consulenti per la protezione di donne e bambini.
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La Risoluzione 1889 (2009) del Consiglio di Sicurezza riaffermava la risoluzione 1325,
condannava il perpetrare la violenza sessuale contro le donne nelle situazioni di conflitto, ed
esortava gli Stati Membri delle Nazioni Unite e la società civile a tenere in considerazione la
necessità di poteggere e di valorizzare donne e bambine, comprese quelle associate a gruppi armati,
nella programmazione post-bellica.
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La Risoluzione 1960 (2010) del Consiglio di Sicurezza invitava il Segretario Generale ad
elencare le parti verosimilmente sospettate di aver commesso o di essere responsabili di casi di
violenza sessuale nelle situazioni all’ordine del giorno del Consiglio. Inoltre richiedeva la
costituzione di misure finalizzate a monitorare, analizzare, e denunciare piani specifici di violenza
sessuale collegata ai conflitti.
UN Action alla guida dell'impegno ONU contro le violenze sessuali in situazioni di conflitto.
Nel 2007 nasce UN Action Against Sexual Violence in Conflict, un'unità in seno alle Nazioni Unite il
cui compito è coordinare il lavoro di 13 enti impegnati nella lotta contro le violenze sessuali nei
conflitti. La presenza di un unico organismo di riferimento facilita il coordinamento tra le varie
organizzazioni, ne favorisce la responsabilizzazione e ne incoraggia l'intervento, coinvolgendole
nello sviluppo di strategie per la prevenzione e il sostegno delle vittime di tali crimini.
UN Action ha collaborato, tra le altre iniziative, alla realizzazione e messa in opera della prima
strategia globale per la lotta alla violenza sessuale in situazioni di conflitto nella Repubblica
Democratica del Congo; ha inoltre promosso la realizzazione in Liberia di un programma congiunto
contro la violenza sessuale, che vede impegnati il governo liberiano e il Sistema delle Nazioni Unite.
Finanziata dall'organizzazione governativa umanitaria australiana AusAID, UN Action ha
documentato, con l'aiuto del Dipartimento delle operazioni per il mantenimento della pace e del
Rappresentante speciale ONU per i crimini sessuali in situazioni di conflitto, le migliori pratiche per
la conservazione della pace. Da questo lavoro di documentazione è nato l'Inventario analitico delle
pratiche per il mantenimento della pace, un elenco di metodi - diretti o indiretti - in grado di
contrastare le violenze sessuali prima e durante i conflitti; in tale pubblicazione sono raccolte
strategie di ogni genere: dalla raccolta di legna in gruppo di Darfur alle uscite al mercato con
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accompagnatori; dai pattugliamenti notturni ai sistemi di allerta precoce della Repubblica
Democratica del Congo.
UNiTE per mettere fine alla violenza sulle donne
Nel 2008 il Segretario Generale Ban Ki-moon ha lanciato UNiTE per mettere fine alla violenza sulle
donne, una campagna per la prevenzione e l'eliminazione della violenza contro donne e ragazze di
tutto il mondo, sia in tempi di guerra che di pace. UNiTE ha raccolto l'impegno di agenzie ONU,
rapprentanti di governo e società civile per il conseguimento di un obiettivo comune.
Il Rappresentante Speciale del Segretario Generale
Nel 2010 Margot Wallström è stata nominata Rappresentante Speciale del Segretario Generale per
la violenza sessuale in situazioni di conflitto, con la risoluzione 1888 del Consiglio di Sicurezza. Il
suo ruolo è quello di guidare, tramite UN Action, gli organismi impegnati nella lotta contro gli abusi
sulle donne e di coordinarne gli sforzi con l’elaborazione di strategie sistematiche.
In occasione della sua nomina nel marzo 2010, Margot Wallström ha identificato quelle che saranno
le cinque priorità del suo mandato:
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mettere fine all'impunità;
emancipare le donne;
mobilitare i leader politici;
includere la violenza sessuale tra le tattiche e le conseguenze dei conflitti armati;
garantire una risposta più coerente al problema da parte del sistema ONU.
E proprio per mantener fede al suo impegno contro l'impunità dei crimini sessuali in situazioni di
conflitto, nel 2010 Margot Wallström ha scelto di partecipare attivamente alla negoziazione con
gruppi armati della Repubblica democratica del Congo, conclusasi con l'arresto del tenente
colonnello Mayele, sospettato degli stupri di massa perpetrati pochi mesi prima nella parte
orientale del paese. La Rappresentante Speciale ha inoltre ideato una matrice di indicatori di
violenza sessuale imminente in situazioni di conflitto, uno strumento che aiuterà tutori dell'ordine
e analisti nell'idendificazione delle "situazioni a rischio".
Nel febbraio 2012, in occasione della presentazione al Consiglio di Sicurezza del rapporto annuale
sulla violenza sessuale in situazioni di conflitto nel mondo, la signora Wallström si è così espressa:
"La violenza sessuale in situazioni di conflitto non è una realtà limitata a una particolare area
geografica, ma un problema di carattere globale".
Nel rapporto, dal titolo "Violenza sessuale in situazioni di conflitto: rapporto del Segretario
Generale"pubblicato il 13 gennaio 2012, per la prima volta vengono nominate le forze militari,
milizie cittadine e i gruppi armati sospettati di essere i peggiori responsabili di tali crimini. Tra i
nomi spiccano quelli dell'Esercito di resistenza del Signore della Repubblica centrale africana e in
Sud Sudan, i gruppi armati e il vecchio esecito della Costa d'Avorio e le forze armate della
Repubblica democratica del Congo.
Il rapporto dimostra come la violenza sessuale rappresenti una minaccia per la sicurezza delle
nazioni e sia stata spesso d'intralcio per l'instaurazione della pace a seguito di conflitti, come
accaduto in Chad, nella Repubblica dell'Africa centrale, in Nepal, Sri Lanka, Timor Est, Liberia,
Sierra Leone e Bosnia Herzegovina; la violenza sessuale è stata utilizzata anche nel corso di elezioni
politiche, scioperi e disordini civili in Egitto, Guinea, Kenya e Siria e molti altri paesi.
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Nel suo discorso al Consiglio di Sicurezza Margot Wallström ha inoltre sottolineato come non solo le
donne e i bambini, ma anche gli uomini debbano essere tutelati contro le violenze sessuali; la
Rappresentante Speciale ha fatto particolare riferimento alla Siria, dove gli abusi sessuali sui
prigionieri sono usati come metodo per ottenere informazioni.
Nel marzo 2012, con l'aiuto del Sottosegretario Generale per gli affari politici B.Lynn Pascoe,
Margot Wallström ha delineato alcune direttive secondo le quali la violenza sessuale in situazioni di
conflitto deve essere un elemento di primaria importanza nei negoziati di pace o di sospensione
delle ostilità. Il Rappresentante Speciale ha aggiunto che tali norme, sostenute da UN Action,
"ridisegnano il nostro modo di concepire e mettere in atto i trattati di pace e di cessate il fuoco". "I
negoziati dovranno non solo mettere a tacere le armi, ma porre fine alle tattiche di terrore, come gli
stupri".
Ulteriori informazioni sono disponibili nei seguenti link:
UN Action e Ufficio del Rappresentante Speciale del Segretario Generale per la violenza sessuale in situazioni
di conflitto: www.stoprapenow.org
UNiTE per porre fine alla violenza contro le donne: www.un.org/en/women/endviolence
Programma di solidarietà delle
www.un.org/preventgenocide/rwanda
Nazioni
Unite
alle
vittime
del
genocidio
in
Ruanda
Pubblicato dal Dipartimento per l'Informazione pubblica, marzo 2012
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