Blockchain, smart contracts, bitcoin: notai, avvocati

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Blockchain, smart contracts, bitcoin: notai, avvocati
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GIOVEDÌ 1 GENNAIO 2015
Giornale di Lecco
A cura di Publi(iN) Tel. 039.9989.1
i.p.
FILO DIRETTO CON IL NOTAIO DANIELE MINUSSI Se avete un quesito, scrivete a [email protected]
Blockchain, smart contracts, bitcoin: notai, avvocati, giudici in soffitta?
LECCO (afm) Il notaio Daniele
Minussi risponde ai quesiti dei
lettori. Se anche voi avete una
richiesta da sottoporre alla sua
attenzione scrivete una email
a: [email protected]
Con frequenza sempre maggiore si sente parlare di bitcoin, smart contracts, applicazioni basate su una tecnologia informatica innovativa fondata sulla cosiddetta
“blockchain”. Di cosa si tratta?
Il bitcoin è una delle criptovalute più “famose”. In parole brevi è una moneta elettronica
creata nel 2009. Si basa sulla
crittografia, vale a dire una speciale tecnica di cifratura delle
informazioni che fa uso di una
chiave pubblica nota a tutti e di
una chiave privata, conosciuta
soltanto dal suo titolare. A differenza di quanto si può dire
della maggior parte delle monete tradizionali, il bitcoin (ma
la stessa cosa si può dire per le
altre criptovalute che successivamente hanno preso vita)
non è originato da un ente centrale (come la Banca Centrale
Europea). Esso nasce e si sviluppa su una base di dati digitali
distribuiti nella rete internet distribuita tra i nodi che la formano. Tali nodi tengono traccia
delle transazioni, cioè dei movimenti tra i “portafogli” elettronici. Fino ad ora la rete Bitcoin, nella sua attuale configurazione, permette il possesso e il trasferimento anonimo
della moneta, anche se sono
attualmente allo studio sistemi
di regolazione e di tracciamento dei pagamenti e ferve il dibattito tra gli esperti del settore
e le Banche centrali per evitare
che lo strumento possa essere
utilizzato per effettuare riciclaggio di denaro sporco o provvedere ad eseguire pagamenti
a fronte di operazioni illecite.
E gli “smart contracts”? sono
protocolli informatici che servono a far rispettare l'esecuzione di un accordo, una sorta
di contratto elettronico, più
spesso una clausola contrattuale che contiene una logica di
autoesecuzione. Tutto questo
allo scopo di evitare il ricorso a
notai o avvocati che predispongano il testo contrattuale,
quando non addirittura ad ulteriori soggetti quali il giudice
nell’ipotesi di violazione delle
intese raggiunte o fasi come
quella dell’esecuzione (con
l’intervento dell’ufficiale giudiziario) che attui in via coattiva il
pronunciamento dell’autorità
giudiziaria.
Gli “Smart contracts” sono
dunque dotati di un'interfaccia
utente che mette a disposizione una serie di scelte multiple
guidate che simulano la logica
delle clausole contrattuali. In
tal modo si pensa che molti tipi
di clausole contrattuali potrebbero non soltanto essere rese
automatiche in tutto o in parte,
ma addirittura auto-ottemperanti, vale a dire che potrebbero garantire, nell’ipotesi di
inadempimento di una delle
parti, l’automatica esecuzione
di una sanzione a carico
dell’inadempiente. Un esempio potrà meglio chiarire il concetto: si pensi alla automazione di una penale consistente
nel porre a carico il pagamento
di una certa somma di denaro a
carico di una delle parti. Con
uno smart contract sarebbe
possibile “automatizzare” sia
la previsione contrattuale, sia il
trasferimento di una somma di
denaro da un conto ad un altro
conto sulla base di un algoritmo informatico che andrebbe a sostituire le varie farraginose fasi del giudizio e
dell’esecuzione.
Va infine fatto un breve cenno
alla “blockchain” (in italiano
“catena di blocchi”). Che cosa
è? Si tratta di una base di dati
informatici distribuita nel web,
nella rete internet, che mantiene in modo continuo una lista crescente di records (registrazioni), i quali fanno riferimento ad altri records preesistenti nella lista stessa. Questi blocchi sono legati tra loro e,
tra i vari elementi dei quali sono
costituiti, v’è anche una marcatura temporale ed un insieme di dati che trasforma la “parola d’ordine” privata in un
blocchetto “pubblico” della catena di dati che va a formare la
blockchain. In via di approssimazione, giusto per fornire
un’immagine che serva anche
per i non addetti ai lavori, è
come se in internet vi sia, “vi-
vente” nei nodi dei vari servers
sparsi per il mondo, un gigantesco “serpentone” informatico di dati composto da blocchetti che via via vengono aggiunti da ciascun utente e sono
comprensibili a tutti, ma sono
utilizzabili soltanto se si ha a
disposizione la chiave privata di
ciascuno dei soggetti che ha
formato il proprio blocchetto.
Ciascun blocchetto si appoggia
sugli altri in modo che non è
possibile modificare nessun
blocchetto senza il consenso di
chi ha formato gli altri. Insomma: una sorta di memoria perenne condivisa sulla quale
“appoggiare” dati, che possono consistere in contratti, immagini, suoni, unità convenzionali che le persone si possano
scambiare come moneta per
comprare beni e servizi. Una
rivoluzione? Probabilmente si:
la storia ce lo dirà.
A questo punto occorre osservare come già si parla apertamente di una tecnologia in
grado di sovvertire le regole in
molti settori. Per rimanere aderente al nostro tema, si parla
già di “contratti automatici”, il
che potrebbe comportare la
“rottamazione” di avvocati, di
notai, di giudici. L’aspirazione
ad una sicurezza superiore per
la contrattualistica esistente
associata all’idea di poter ridurre i costi di transazione ovviamente è condivisibile. La
complessità del sistema, la farraginosità delle norme rende
agevole comprendere come il
cittadino aspiri ad una maggiore semplificazione, alla chiarezza ed alla disintermediazione
che conduce alla convenienza
economica. La speranza di
conseguire tali risultati con le
sole rivoluzioni tecnologiche
spesso è però illusoria. È vero
che posso “automatizzare” il
funzionamento di un contratto,
pervenire all’autenticazione
delle sottoscrizioni per il tramite di un procedimento informatico, scambiarlo a distanza avvalendomi della rete, ma
occorre pur sempre che vi sia
alla base un presupposto: la
conoscenza delle norme e delle regole, del funzionamento
degli istituti giuridici, delle conseguenze delle condotte regolate dal diritto. Per lo stesso
motivo in base al quale se desidero acquistare un salame
vado dal salumiere e se voglio il
pane vado dal fornaio, altrettanto accade se ho l’esigenza
di redigere un contratto: è logico andare da chi ne sa qualcosa. Per di più se desidero che
la sottoscrizione di quell’accordo sia accertata in maniera piena, a tale attestazione va conferita pubblica fede. Giova osservare come attualmente nel
nostro ordinamento anche la
sottoscrizione digitale, per
possedere tale forza, deve essere autenticata da notaio, il
quale non deve soltanto certificare con forza legale piena
questo aspetto, ma deve assicurare che il contenuto del
testo contrattuale rispetti le
prescrizioni legali e non sia affetto da vizi invalidanti. Non si
tratta però di un retaggio medievale, come spesso si crede,
ma di soddisfare esigenze di
sicurezza e protezione sempre
attuali. Altrimenti potreste credere di potervi operare al cuore
da soli soltanto perché hanno
inventato una nuova sonda cardiaca telecomandata?
Daniele Minussi