a cura del Settore Ricerca e Informativa Finanziaria

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a cura del Settore Ricerca e Informativa Finanziaria
3 ottobre 2016
a cura del Settore Ricerca
e Informativa Finanziaria
Sui mercati europei la settimana appena passata è stata condizionata dall’intensificarsi delle
preoccupazioni sul settore bancario tedesco, che ha vissuto un periodo particolarmente pesante in termini
di flusso di notizie e associata volatilità. Il bilancio della settimana è stato però alleviato dal recupero di
Wall Street venerdì, che ha permesso ai maggiori indici europei di chiuderla con perdite inferiori all’1%. Da
rilevare la profonda differenziazione di performance delle banche italiane all’interno dell’indice Euro Stoxx
Banks: tre banche italiane, infatti, figurano tra i migliori dieci performer e quattro figurano tra i peggiori
dieci. Questa settimana si apre con indici azionari asiatici ed europei in territorio positivo; il flusso di notizie
del weekend è stato dominato dagli sviluppi politici in UK riguardo la Brexit e in Spagna riguardo la crisi del
PSOE e le associate possibilità di formazione di un nuovo governo (vedi sotto su entrambi).
Stamane sono stati rilasciati i dati sugli indici PMI del settore manifatturiero di settembre nell’area euro,
con la conferma dei numeri preliminari già rilasciati per Germania, Francia e Area Euro e i numeri per Italia
e Spagna che evidenziano entrambi un miglioramento rispetto ai livelli di agosto.
In settimana il governo italiano ha presentato la Nota di Aggiornamento al DEF 2016. I numeri principali
sono oramai noti e possono essere riassunti così:
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Una revisione al rialzo degli obiettivi di finanza pubblica per i prossimi anni, con il primo declino del
rapporto debito/Pil rimandato al prossimo anno. Questo apre una serie di fronti di negoziazione
con le autorità europee dal momento che rappresenta un mancato rispetto del sentiero previsto
dall’impianto di norme fiscali costruito negli ultimi anni.
Un mantenimento dell’ipotesi di completa normalizzazione delle condizioni macro italiane nei
prossimi anni, riassunte in una crescita del Pil nominale attorno al 3% nel 2018-2019. Questo
implicherebbe una crescita reale superiore all’1% (ed a quello che si crede sia il potenziale di
crescita dell’economia italiana) e un’inflazione vicina al 2%, con un completo rientro delle spinte
deflazionistiche degli ultimi anni.
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Nelle prossime settimane il flusso di notizie sul tema sarà dominato dalle negoziazioni con le autorità
europee sui margini di flessibilità richiesti. La sensazione di essere già stati qui è forte ed è esatta. Il
problema è costituito dal fatto che negli ultimi anni la giacca troppo stretta di un impianto di regole fiscali
semi-automatiche si sta rivelando sempre più inadatta a gestire l’attuale fase macroeconomica. La buona
notizia è che questo è ormai generalmente riconosciuto. La cattiva notizia è che non si può buttare a mare
a pochi anni dalla sua adozione l’impianto faticosamente costruito. La soluzione adottata sinora è
permettere all’Italia (e agli altri paesi) di sfruttare tutti gli spazi di flessibilità comunque esistenti. Questa è
la posizione della BCE e della Commissione e fintanto che questi spazi esistono la migliore strategia per
l’Italia è quella di giocare secondo le regole. Per quanto possa suonare cinico, Brexit, deflazione, riforme
strutturali, crisi dei migranti, tragedie naturali permettono decimo di punto percentuale dopo decimo di
punto percentuale di sperare che nel futuro (si spera prossimo) la forte crescita del Pil (nominale) prevista
dal governo rimetta sul giusto sentiero le grandezze di finanza pubblica.
Sul fronte politico, vi sono altre questioni aperte nell’area euro, su cui il mercato ha avuto, come detto,
qualche lume durante il fine settimana:
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In UK è in corso il congresso del partito conservatore; il piatto forte del congresso è stato servito
domenica con il discorso del primo ministro Theresa May, che ha chiarito che l’attivazione dell’art.
50 (inizio trattative per definire il meccanismo di uscita dall’UE), avverrà prima della fine del marzo
2017. Da quella data vi saranno circa due anni per completare il processo negoziale di uscita
effettiva. Pare del tutto evidente il fatto che il flusso di dati in UK si mantiene migliore di quanto
temuto prima del referendum e che questo stia dando fiato a chi spinge per un’attivazione in forma
“hard” del processo di uscita.
In Spagna il risultato negativo nelle elezioni amministrative e la rivolta interna all’organo di governo
del partito hanno gettato il PSOE nel caos. Sabato il segretario del partito Sanchez si è dimesso e
paradossalmente questo potrebbe favorire la formazione di un governo di minoranza guidato dal
PP. Questo eviterebbe il rispetto della scadenza del 31 ottobre per la formazione di un nuovo
governo, pena nuove elezioni a dicembre, che rimangono comunque una possibilità concreta.
Per quanto riguarda il calendario economico, come ogni primo venerdì del mese verranno rilasciati i numeri
sul mercato del lavoro USA (non-farm payrolls), che costituiranno il pezzo forte della settimana sotto il
profilo del flusso di notizie macro. Il consensus si attende 170mila nuovi occupati a settembre, che
costituirebbe una continuazione del ritmo di crescita recente (media degli ultimi sei mesi: 175 mila), ed un
tasso di disoccupazione stabile al 4,9%.
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