dal hio al nuo - Movimento Domenicano del Rosario

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dal hio al nuo - Movimento Domenicano del Rosario
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Movimento Domenicano del Rosario - Provincia “S. Domenico in Italia”
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1 / 2012
ROSARIUM
Proprietà:
Provincia Domenicana S. Domenico in Italia
via G.A. Sassi 3 - 20123 Milano
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fr. Mauro Persici o.p.
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Alla redazione dell’inserto
per i bambini hanno collaborato
Ilaria Giannarelli con Massimiliano,
Serena e Daniela Guerrini
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Il numero è stato chiuso il 15 febbraio 2012
Meditazioni sulla preghiera del santo Rosario
3
L’Anno della Fede per essere “pasta nuova”
in Cristo nostra Pasqua
8
La Pasqua ebraica come premessa
della Pasqua cristiana
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Catechismo per tutti: il tabernacolo
18
Usare bene internet
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Rubriche: Testimonianze pag. 24; Pagina della riconoscenza pag. 30; Nuovi iscritti pag. 31
Meditazioni
sulla preghiera
del santo
Rosario
a cura del P. Angelo Bellon o.p.
In queste prime pagine di apertura della rivista, da anni, ci
siamo riproposti di offrirvi articolati “stralci” di riflessioni
che possano aiutare ad approfondire e radicare un sentimento di devota gratitudine che lega tutti quanti alla Vergine e al
suo rosario...
Ci rallegra di esservi sempre riusciti.
Abbiamo appena concluso il ciclo biennale di riflessioni tratte dalle relazioni tenute al “Convegno sul Rosario” celebrato a Bologna. Relazioni che sono state raccolte nel libro “Il
rosario - teologia, storia, spiritualità” pubblicato dalle
Edizioni Studio Domenicano che ringraziamo per la concessione di pubblicazione.
Ora, ringraziando il p. Angelo Bellon o.p. per la gentile concessione, vorremmo proporre a partire da questo numero
alcuni “stralci”, di un suo contributo alla preghiera del
santo Rosario pubblicato nel sito:
http://www.amicidomenicani.it/.
Buona meditazione!
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Le invenzioni di Dio e le invenzioni di Maria
Il Profeta Isaia dice: “Manifestate tra i popoli le sue meraviglie” (Is 12,4). San
Girolamo, traducendo in latino, allude più alle invenzioni di Dio che alle sue
meraviglie: “Notas facite in populis adinventiones eius”. Si potrebbe tradurre
dunque: “Fate conoscere tra i popoli le sue invenzioni”. Le invenzioni di Dio
sono immense, infinite. Ogni creatura è un’invenzione di Dio e merita il nostro
stupore e la nostra gratitudine. Davide si sente indegno di narrarle. Per questo,
provvede prima a purificarsi: “Lavo nell’innocenza le mie mani e giro attorno al
tuo altare, Signore, per far risuonare voci di lode e per narrare tutte le tue meraviglie” (Sal 26,7). Queste invenzioni sono così splendide e piene di amore che
vanno narrate con giubilo: “Offrano a lui sacrifici di lode, narrino con giubilo le
sue opere” (Sal 107,22). Sono così perfette che neanche i santi riescono a dirle:
“Ricorderò ora le opere del Signore e descriverò quanto ho visto. Con le parole
del Signore sono state create le sue opere. Il sole con il suo splendore illumina
tutto, della gloria del Signore è piena la sua opera. Neppure i santi del Signore
sono in grado di narrare tutte le sue meraviglie, ciò che il Signore onnipotente
ha stabilito perché l’universo stesse saldo a sua gloria” (Sir 42,15-17).
Ma tra tutte le invenzioni di Dio, tre sono così grandi e sbalorditive da togliere
addirittura il fiato: la sua incarnazione, la maternità divina di Maria, i sacramenti e tra tutti in particolare quello dell’Eucaristia. Di fronte a Cristo, Dio e
uomo, di fronte a Maria, Madre di Dio, e di fronte al SS. Sacramento viene da
dire insieme con S. Tommaso: “Muto s’umilia tutto il pensier mio” (“Tibi se cor
meum totum subicit quia te contemplans totum deficit”).
Ma oltre alle invenzioni di Dio, vi sono anche le invenzioni di Maria, che la
Chiesa, mutuando l’espressione della Sacra Scrittura, venera come la Madre del
bell’amore, del timore, della scienza e della santa speranza (Sir 24,24). Per questo si può dire che le invenzioni di Maria sono tutte invenzioni di amore, di
scienza e di santa speranza. Fra tutte, una delle più eccellenti è il santo Rosario,
che Lei ha donato al mondo principalmente attraverso l’Ordine di san
Domenico, “il suo Ordine”.
Mirabili somiglianze tra i sacramenti e il santo Rosario
Nel Rosario contempliamo una sapienza soprannaturale analoga a quella che i
teologi ammirano nei Sacramenti.
I sacramenti sono elementi materiali (segni) che mettono in contatto con realtà
soprannaturali (la grazia). Essi toccano l’uomo nella sua totalità di anima e di
corpo. Attraverso i segni viene coinvolto il corpo, per mezzo della grazia santificante viene coinvolta l’anima.
Quando vengono celebrati, Dio passa in mezzo agli uomini. È Cristo infatti che
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li celebra e dona la sua grazia. Analogamente, la preghiera del Rosario tocca
l’uomo nella sua totalità: il suo corpo mediante la recitazione vocale, la sua
anima mediante la contemplazione. E, come nei Sacramenti le realtà materiali
sono indissociabili dalle parole, così nel Rosario la preghiera vocale e la contemplazione del mistero formano un tutt’uno indivisibile.
E se nei sacramenti Cristo passa in mezzo agli uomini per benedire e per salvare, per purificare e santificare, perché da lui esce una virtù che sana tutti (Lc
6,19), così similmente, quando si prega con il Rosario, Cristo passa e ognuno
può dire dentro di sé: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me” (Mc 10,47).
Il Rosario è il distintivo del vero cristiano
I sacramenti sono le celebrazioni esteriori che distinguono i cristiani dai non cristiani. Nella loro celebrazione i fedeli mostrano di aver in comune la stessa
fede, la stessa speranza, lo stesso amore (carità).
Quando si prega con il Rosario avviene qualcosa di simile: i credenti esprimono
con questo segno la loro devozione a Maria e l’obbedienza ai suoi desideri,
espressi lungo i secoli e principalmente nelle grandi apparizioni di Lourdes e di
Fatima. Il Rosario è il segno del vero cristiano. In genere si nota che coloro che
pregano con il Rosario sono anche fedeli all’Eucaristia domenicale e talvolta
anche a quella quotidiana, si confessano, praticano le penitenze stabilite dalla
Chiesa, sono obbedienti ai Pastori che lo Spirito ha posto a pascere il gregge...
Mutuando un’espressione di Isaia (Is 11,12), si può dire che la preghiera del
Rosario è “un vessillo alzato per le nazioni... che raduna dai quattro angoli della
terra” e rende visibile un marchio di fedeltà.
Il Rosario è il Vangelo messo in forma di preghiera
Nella preghiera del Rosario sono ripresentati tutti i misteri centrali della fede
cristiana: dall’incarnazione redentrice alla risurrezione finale.
Come l’Eucaristia è il memoriale della vita, della passione, morte e risurrezione
di Gesù, così il Rosario mette in comunione vitale con tutti gli eventi della
redenzione.
È il Credo messo in forma di preghiera. È il Credo che viene contemplato, adorato, amato e vissuto. È il Vangelo messo in forma di preghiera.
È il Vangelo che entra nella nostra vita per illuminarla, orientarla e trasformarla.
Giovanni Paolo II ha scritto: “Il Rosario, infatti, pur caratterizzato dalla sua
fisionomia mariana, è preghiera dal cuore cristologico. Nella sobrietà dei suoi
elementi, concentra in sé la profondità dell’intero messaggio evangelico, di cui
è quasi un compendio.
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In esso riecheggia la preghiera di Maria, il suo perenne Magnificat per l’opera
dell’Incarnazione redentrice iniziata nel suo grembo verginale. Con esso il
popolo cristiano si mette alla scuola di Maria, per lasciarsi introdurre alla contemplazione della bellezza del volto di Cristo e all’esperienza della profondità
del suo amore.
Mediante il Rosario il credente attinge abbondanza di grazia, quasi ricevendola
dalle mani stesse della Madre del Redentore” (Rosarium Virginis Mariae, 1).
Il Rosario è una preghiera
particolarmente necessaria nel nostro tempo
Non sarà sfuggito a nessuno che il Cielo (Lourdes, Fatima) in questi ultimi
secoli ha raccomandato la preghiera del santo Rosario, e con una insistenza tale
da non esserci nulla di simile nella storia precedente.
A Lourdes la Madonna, nelle varie apparizioni, ha sempre tenuto in mano la
corona del Rosario. A Fatima, in tutte le sei apparizioni, non solo ha tenuto il
Rosario in mano, ma ha chiesto di recitarlo tutti i giorni. Si badi bene: non qualche volta, ma tutti i giorni. E il motivo sembra facilmente intuibile: gli uomini
oggi rischiano di essere travolti dal chiasso e dalla frenesia della vita.
Come una foglia che viene portata via dalla corrente del fiume, così essi rischiano di vivere senza saperne il perché e del tutto incuranti del loro destino eterno.
Questa preghiera invece costringe dolcemente a prendere un certo spazio di
tempo (12-15 minuti) per fermarsi, riflettere, ripensare alla propria vita nella
prospettiva della vita di Cristo.
Dopo aver pregato con il Rosario, ci si sente più sollevati, come uno che ha
potuto respirare in profondità. Non solo il cielo ha raccomandato il Rosario, ma
anche tutti i Papi del ’900, a partire da Leone XIII, hanno insistentemente chiesto di pregare col Rosario.
Scrive Giovanni Paolo II: “Tra i Papi più recenti che, in epoca conciliare, si
sono distinti nella promozione del Rosario, desidero ricordare il Beato Giovanni
XXIII e soprattutto Paolo VI, che nell’Esortazione apostolica Marialis cultus
sottolineò, in armonia con l’ispirazione del Concilio Ecumenico Vaticano II, il
carattere evangelico del Rosario ed il suo orientamento cristologico. Io stesso,
poi, non ho tralasciato occasione per esortare alla frequente recita del Rosario”
(Rosarium Virginis Mariae, 3).
P. Angelo Bellon, domenicano, docente di teologia morale, cura
il sito “Amici domenicani”. Risiede attualmente nel convento di
Genova e cura la casa di Alessandria.
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la Pasqua
Benedetto XVI
invita i credenti
a una fede non astratta
L’Anno della Fede,
per essere “pasta nuova”
in Cristo nostra Pasqua
L’importante, afferma, è che “nessuno diventi pigro nella fede”,
bensì che sia testimone coerente “per le strade del mondo” con
uno stile di “gioia e rinnovato entusiasmo”.
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hi immaginasse l’”Anno della Fede”, indetto da Papa Benedetto XVI tra l’11 ottobre 2012 ed
il 24 novembre 2013, come un evento “etereo”, astratto, spiritualistico, farebbe meglio a ricredersi.
Ed a rivalorizzare il significato viceversa più profondo e vero di quest’iniziativa, assunta dal Sommo
Pontefice non a caso nella ricorrenza dei 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II e dei 20 anni
dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica.
Nel Motu proprio “Porta fidei”, con cui è stata annunciata l’indizione dell’Anno della Fede, non si fa
mistero di cosa propriamente il Santo Padre intenda ovvero una religiosità concreta, tangibile, quasi
“palpabile” quale “testimonianza della carità” (Motu proprio “Porta fidei”, n.14). E cita espressamente San Giacomo: “A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere?
Quella fede può forse salvarlo?”. Ed ancora: “La fede, se non è seguita dalle opere, in sé stessa è
morta. Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le
opere ed io con le opere ti mostrerò la mia fede»” (Gc 2,14-18). Il che significa che una religiosità
fatta solo di elucubrazioni, di ragionamenti o anche di buoni sentimenti, da sola, non basta e non
salva.
Ma Benedetto XVI non si ferma qui. Non indica soltanto la necessità di una concretezza spirituale.
Qualora questa non avesse visibilità e, quindi, valenza pubblica, rilievo pubblico, qualora non incidesse nel quotidiano e non cambiasse la vita propria e del prossimo, pure sarebbe vana. Il Papa dice
“no” alla fede “da sagrestia”, limitata e chiusa in queste mura, e dice “sì” invece ad una fede solare,
chiara, evidente, riconoscibile. Quindi, annunciata, non messa tra parentesi, non adattata alle mode
del tempo e del mondo. Poiché, se non fosse subito ben individuabile, se non fosse chiara, se fosse
taciuta o sussurrata, nessuno la scorgerebbe, nessuno la vedrebbe, nessuno ne verrebbe interrogato
nel profondo del proprio cuore: “Professare con la bocca indica che la fede implica una testimonianza ed un impegno pubblici. Il cristiano non può mai pensare che credere sia un fatto privato. La fede
è decidere di stare con il Signore per vivere con Lui. E questo ‘stare con Lui’ introduce alla com-
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prensione delle ragioni per cui si crede. La fede, proprio perché è atto della libertà, esige anche la
responsabilità sociale di ciò che si crede. La Chiesa nel giorno di Pentecoste mostra con tutta evidenza questa dimensione pubblica del credere e dell’annunciare senza timore la propria fede ad
ogni persona. È il dono dello Spirito Santo, che abilita alla missione e fortifica la nostra testimonianza, rendendola franca e coraggiosa” (“Porta fidei”, n.10). Dove? Ovunque! “L’amore di Cristo
– prosegue il Santo Padre – ci spinge ad evangelizzare. Egli, oggi come allora, ci invia per le strade
del mondo, per proclamare il Suo Vangelo a tutti i popoli della terra” (“Porta Fidei”, n. 7). Da qui
l’invito, pressante, urgente, ad “un più convinto impegno ecclesiale”, ritenuto “necessario”. Sapendo
che Nostro Signore non ci lascia mai soli, anzi si prende grande cura di noi, anche quando tutto parrebbe umanamente suggerire il contrario.
Ciò Papa Ratzinger l’ha ben evidenziato nel corso dell’udienza generale, tenuta lo scorso 11 gennaio
in Aula Paolo VI: “La preghiera di Gesù – ha affermato – quando si avvicina la prova anche per i
suoi discepoli, sorregge la loro debolezza, la loro fatica di comprendere che la via di Dio passa
attraverso il Mistero pasquale di morte e risurrezione, anticipato nell’offerta del pane e del vino.
L’Eucaristia è cibo dei pellegrini, che diventa forza anche per chi è stanco, sfinito, disorientato”.
Due dimensioni, dunque, quella della testimonianza e quella dell’annuncio, che Gesù Cristo ci ha
affidato in modo esplicito e chiaro. A partire, anche in questo caso, non da una teoria, da un’astrazione, bensì a partire da un incontro, l’“incontro con Cristo”, ch’è la terza dimensione posta in risalto in
questo Motu proprio dal Santo Padre, addirittura posta all’inizio dell’importante documento.
Dimensione, da vivere con “gioia” e “rinnovato entusiasmo”: questa è la modalità, questo è l’approccio giusto!
Poiché i credenti, scriveva già sant’Agostino nel “De utilitate credendi”, “si fortificano credendo”,
ponendo al centro l’Eucaristia e vivendo con coerenza, come Benedetto XVI spiega: “Quest’Anno
sarà un’occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia” (“Porta fidei”, n. 9). Allo stesso tempo, “auspichiamo che la testimonianza
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di vita dei credenti cresca nella sua credibilità. Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata e riflettere sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente
deve fare proprio, soprattutto in questo Anno”.
E giusto qui, nella concretezza di un evento, si svolge, si intreccia uno stringente, imprevedibile, stupefacente parallelo con un altro evento, anzi con l’Evento per antonomasia, quello pasquale. Poiché
la via della fede, ieri come oggi come domani, era, è e sarà quella che, attraverso l’esperienza cruda
ed empirica della Croce, indica e conduce l’umanità intera alla Salvezza.
Un itinerario, che richiama il concetto di “passaggio” proprio della Pasqua ebraica, per l’appunto
memoria del passaggio del deserto, per giungere, dopo 430 anni di schiavitù in Egitto, dal Mar Rosso
alla Terra Promessa. Analogamente, già nell’omelia per l’inizio del proprio ministero petrino,
Benedetto XVI affermò: “La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia
con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza”.
Altra analogia: nell’Anno della Fede, il Santo Padre ci invita a “ritrovare il gusto” di nutrirsi “della
Parola di Dio, trasmessa dalla Chiesa in modo fedele, e del Pane della vita, offerti a sostegno di
quanti sono suoi discepoli” (“Porta fidei”, n.3). Ancora Gesù è così l’Agnello, ancora dona Se stesso, ancora non è semplicemente “segno”, bensì celebra veramente, concretamente la Pasqua:
“L’antico non era stato negato, ma solo così portato al suo senso pieno”, sottolinea lo stesso Papa
Ratzinger in “Gesù di Nazareth-Dall’ingresso di Gerusalemme fino alla risurrezione” (cap. IV),
richiamando san Paolo: “Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!” (I Cor 5,7).
Quali gli strumenti che in questo Motu proprio vengono indicati ai fedeli, per vivere appieno la bellezza di quest’Anno straordinario, dedicato alla Fede? Sono due, come già si anticipava poc’anzi: il
Concilio Vaticano II ed il Catechismo della Chiesa Cattolica.
Partiamo dal Concilio, poiché il Santo Padre specifica anche – singolarmente – che tipo di lettura si
debba fare dei testi conciliari: “È necessario – afferma – che essi vengano letti in maniera appro-
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priata”, non in se stessi e per se stessi, bensì “all’interno della tradizione della Chiesa”. E questa è
una precisazione molto importante, oltre che di estremo interesse, in quanto ci fa vivere, ci fa sentire
il respiro molto ampio del Corpo mistico di Dio, ch’è poi la Chiesa, capace di estendersi in prospettiva, solo poggiando sulle solide e millenarie spalle di una tradizione tutt’altro che accantonata. Già
nel celebre discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005, Benedetto XVI aveva invitato a leggere e recepire il Concilio “guidati da una giusta ermeneutica”. E qui si ritrova sostanzialmente lo stesso concetto, ribadito ed approfondito.
Anche il Catechismo non viene proposto alla semplice lettura, come fosse “teoria”, somma di moniti
e regole, tutt’altro; viene piuttosto offerto quale “incontro con una Persona che vive nella Chiesa”
ovvero con Cristo (“Porta fidei”, n. 11). Quest’Anno speciale, avverte il Sommo Pontefice, ha un
obiettivo: fare in modo che “nessuno diventi pigro nella fede” (n. 15), piaga fin troppo diffusa nel
contesto attuale.
“Ciò di cui il mondo oggi ha particolarmente bisogno – afferma – è la testimonianza credibile di
quanti, illuminati nella mente e nel cuore dalla Parola del Signore”, siano in grado di suggerire, di
instillare, d’infondere il “desiderio di Dio e della vita vera, quella che non ha fine”, rendendoci, da
“lievito vecchio”, una “pasta nuova” (I Cor 5,7) in Cristo nostra Pasqua, immolato per noi.
Mauro Faverzani
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INTERVISTA
a Suor M aria Luisa G asperi
La Pasqua ebraica
come premessa della
Pasqua cristiana
Interessante esperienza fatta da Suor Maria Luisa Gasperi
con i bimbi del catechismo.
“La Pasqua cristiana, come del resto tutto il Cristianesimo,
presuppone il fatto ebraico. Se non si tenesse presente l’ebraismo come humus vitale e non trascorso, allora il
Cristianesimo sarebbe qualcosa di sospeso nell’aria e senza
fondamento”.
S
uor Maria Luisa Gasperi appartiene alla Congregazione di Nostra Signora di Sion,
Congregazione dal carisma molto particolare, quello di testimoniare nella Chiesa e nel mondo
l’Amore di Dio verso il popolo ebreo ed affrettare il compimento delle promesse riguardanti ebrei e
gentili. Quest’anno, i bambini di quinta elementare, che Suor Maria Luisa segue a catechismo,
hanno fatto un’esperienza davvero singolare: hanno conosciuto la ‘prima alleanza’ ovvero l’antichissima Pasqua ebraica, i cui simboli ben si prestano a comprendere ancor meglio lo spessore dell’azione salvifica di Gesù nella “nuova” Pasqua, quella che anche noi celebriamo:
“Sì, quest’anno, a marzo, abbiamo proposto ai bambini del terzo anno dell’’iniziazione cristiana,
quindi di quinta elementare, bambini che hanno circa 11 anni, la celebrazione, adattata, della
Pasqua Ebraica. Lo scorso anno, in preparazione alla prima Comunione, con questi bambini abbiamo lavorato molto sulla ‘nuova alleanza’: Gesù si reca a Gerusalemme per celebrare Pasqua con i
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discepoli, Gesù istituisce l’Eucarestia il
Giovedì Santo, Gesù muore e risorge la
domenica di Pasqua, il primo giorno dopo
il sabato. Quest’anno torniamo con attenzione alla ‘prima alleanza’, l’antichissima
Pasqua ebraica, quando Dio aveva permesso a Mosè di guidare il suo popolo
fuori dall’Egitto, dove gli Ebrei erano stati
schiavi. Inoltre la nostra celebrazione si
innesta bene anche nel percorso catechistico di questo terzo anno: la storia biblica
dei Grandi Patriarchi. I simboli della Cena
della Pasqua ebraica, come ho potuto
notare in precedenti esperienze, aiuteranno molto i ragazzi non solo a capire e a
contestualizzare il significato profondo di
gesti e parole, ma anche a comprendere
ancora meglio lo spessore dell’azione salvifica di Gesù della Nuova Pasqua. L’erba
verde ricorderà la primavera, la stagione della Pasqua; l’«haroset» la libertà dopo i lavori forzati; il
«maror» (le erbe amare), la schiavitù e l’oppressione; l’uovo, l’offerta al Tempio; il vino rosso, il
sangue asperso sugli stipiti delle case per ‘preservare’ i primogeniti, e così via. Certo, qualcuno fa
magari più fatica a seguire, ma tutti credo abbiano vissuto un’esperienza bella e unica, che sicuramente ricorderanno anche a distanza di anni e che diverrà ancora più preziosa man mano che i
ragazzi conosceranno e sperimenteranno la storia del Popolo di Dio in cammino verso il Regno”.
Che differenze e che analogie sussistono tra Pasqua ebraica e Pasqua cristiana?
“Il nome ebraico Pesach ha la stessa radice del verbo, che significa “passare oltre”; in particolare,
ricorda il passaggio della morte oltre le case degli ebrei nell’ultima piaga inflitta agli egiziani, per
indurre il faraone a lasciare partire gli ebrei. Gli ebrei scampati “passano oltre” la condizione di
schiavitù e diventano un popolo libero, attraverso un altro passaggio “miracoloso”, quello del mar
Rosso. La Pasqua cristiana è il “passaggio” dalla morte alla vita attraverso la Risurrezione di Gesù,
il Crocifisso. In entrambi i “passaggi” riconosciamo umilmente, se siamo credenti, l’opera misericordiosa di Dio. Il ricordo dell’uscita dall’Egitto si celebra con un racconto “memoriale”. Che cosa
significa? Vuol dire che chi è presente al racconto non solo ricorda, ma lui stesso è come se fosse
liberato “dalla schiavitù” e destinatario di una promessa futura di liberazione definitiva, che sarà
ancora dono di Dio. Nella celebrazione della Pasqua cristiana, che si rinnova in ogni Eucaristia, i
cristiani compiono il “memoriale” della morte e della risurrezione di Gesù, in attesa della manifestazione definitiva della salvezza, come dice una delle acclamazioni della liturgia riformata dopo il
concilio Vaticano II: “Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa
della tua venuta”. La Pasqua, con il Cristianesimo, ha acquisito un nuovo significato, indicando il
passaggio da morte a vita per Gesù Cristo ed il passaggio a vita nuova per i cristiani, liberati dal
peccato con il sacrificio sulla Croce e chiamati a risorgere con Gesù. La Pasqua cristiana è quindi la
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chiave interpretativa della nuova alleanza, concentrando in sé il significato del mistero messianico
di Gesù e collegandolo alla Pesach dell’Esodo. La Pasqua ebraica, quindi, è la celebrazione della
meta raggiunta, “la Terra Promessa”, resa possibile dall’Esodo. Ma anche la Pasqua cristiana necessita di un esodo, l’uscita cioè dalla determinazione naturale dell’uomo e l’apertura a quella eccedenza, che in Cristo si è fatta manifesta ed è diventata promessa per tutti di un compimento che
attende l’ottavo giorno.
Ma al di là di queste ricerche di significato teologico, c’è una considerazione, che prendo da un’intervista di Gabriella Caramore, fatta nel corso della rubrica radiofonica “Uomini e profeti” a Paolo
De Benedetti: «In generale, si può dire che la Pasqua cristiana, come del resto tutto il Cristianesimo, presupponga il fatto ebraico. Se non si tenesse presente l’ebraismo come humus vitale e
non trascorso, allora il Cristianesimo sarebbe qualcosa di sospeso nell’aria e senza fondamento…
Se gli ebrei non fossero usciti dall’Egitto, se non fossero diventati popolo, se non fossero stati condotti attraverso il deserto fino alla terra promessa, verrebbe a mancare la base teologica per il cristianesimo» (PAOLO DE BENEDETTI, Sulla Pasqua, [a cura di Gabriella Caramore] Morcelliana,
Brescia 2001, pp. 13-14)”. Ancora: Il Seder (ordine), come si chiama la cena rituale di Pesach, è
stato pensato in forma didattica per adempiere al comandamento biblico, più volte ripetuto:
«...Ricorderai questi avvenimenti per tutte le generazioni future e li racconterai ai tuoi figli e ai figli
dei tuoi figli e mangerai pane azzimo per sette giorni».
La festa è preparata accuratamente per suscitare la curiosità dei bambini, già durante la vigilia coinvolti nella ricerca ed eliminazione di ogni cibo lievitato, che non deve essere più mangiato per tutti i
sette giorni di festa; infatti la festa degli Azzimi, che inizialmente era una festa agricola, è stata
unita, già dai tempi biblici, a quella di Pesach. «Perché questa sera è diversa dalle altre sere?», chiede il bambino ebreo al padre davanti alla tavola imbandita all’inizio della lettura della Haggadà
(racconto e titolo del libro usato per il Seder, che è il “racconto” fondamentale della storia ebraica).
La risposta è la narrazione dei prodigi operati da Dio per liberare il popolo di Israele dalla schiavitù
di Egitto. «Il testo è composto da una raccolta di testi biblici, di passi talmudici o midrashici, e in
un certo senso non è altro che il pretesto per un lungo commento destinato ai bambini. Per l’ebraismo infatti il luogo ideale della trasmissione della memoria affettiva è la tavola familiare, mentre la
scuola serve ad approfondire le conoscenze.
Possiamo paragonare l’esperienza della sera di Pesach alle veglie nelle aie, dove gli anziani trasmettevano il loro sapere alle nuove generazioni” (PH. HADDAD, L’ebraismo spiegato ai miei amici,
Giuntina, Firenze 2003, 129s).
Vi sono usi particolari e/o segni specifici in corrispondenza alla Pasqua ebraica?
“Ho già detto della liberazione della casa dai cibi lievitati. Sulla tavola imbandita per il Seder, in un
vassoio, sono stati preparati dei cibi simbolici: il pane azzimo in ricordo delle feste di primavera e
dell’uscita precipitosa dall’Egitto, le erbe amare, che evocano la tristezza della schiavitù, il haroseth, un impasto a base di frutti, che ricorda la creta per fare i mattoni, quelli che gli ebrei dovevano
preparare, quand’erano sottoposti ai lavori forzati per la costruzione delle città egiziane. Una zampa
di agnello ricorda sia le feste degli antichi pastori, sia il sacrificio pasquale, che si offriva nel tempio
di Gerusalemme. Infine, un uovo sodo è simbolo del tempio distrutto (l’uovo è il cibo dei giorni di
lutto per la perdita di una persona cara) e ricorda insieme l’eternità (l’uovo è senza principio e senza
fine), oltre ad avere altri significati che le diverse tradizioni hanno scovato durante i secoli. Azzime,
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Cammino della Congregazione Nostra Signora di Sion
1846 Consacrazione del primo nucleo di religiose di Nostra Signora di Sion.
1847 La Congregazione allarga i suoi rami in varie parti del mondo.
1855 Padre Maria Alfonso, sacerdote ormai da sette anni e collaboratore del
fratello Teodoro, acquista un terreno a Gerusalemme per costruire un
convento per le Suore di Sion, l’Ecce Homo. Fonti archeologiche attestano che tale edificio sorge su una parte dell’ area della Fortezza Antonia.
1865 La Congregazione riceve l’ approvazione dalla Santa Sede.
1965 Data importante per la Congregazione. In seguito alla Dichiarazione
conciliare Nostra Aetate, il Cardinale Agostino Bea, nel suo messaggio
alle religiose, lo esprimeva chiaramente: “La dichiarazione Nostra
Aetate è un programma per tutti, ma particolarmente per voi, Suore di
Nostra Signora di Sion. Finora la vostra missione era fondata principalmente sulle Costituzioni, ora questa missione vi è proposta dalla Chiesa”.
1955 La Congregazione ha aperto a Parigi un “Centro di Studi e Informazione
su Israele”. Dopo la promulgazione della costituzione Nostra aetate da
parte del Concilio Vaticano II (1965), con il sostegno del cardinale
Augustin Bea e di padre Cornelius Rijk, promuove la costituzione del
Service International de Documentation Judéo-Chrétienne (SIDIC), con
sede a Roma, che dal 1966 fino al suo scioglimento nel 2009 ha svolto
un ruolo di primo piano a livello internazionale nella definizione dei
nuovi rapporti tra Chiesa cattolica ed ebraismo.
Vocazione della Congregazione
Le religiose di Sion sono chiamate a testimoniare il disegno di Dio su Israele e
sulle nazioni, a lavorare per l’unità, a far crescere stima e comprensione, a collaborare per un mondo di giustizia, di pace e di amore. Le Religiose di Nostra
Signora di Sion hanno oggi come fine principale la promozione del dialogo
interreligioso tra cattolici ed ebrei, ortodossi e musulmani; si dedicano all’istruzione, alla catechesi e ad altre opere di assistenza sociale e sanitaria.
Attività della Congregazione
Le religiose di Sion operano in 22 nazioni sparse nei 5 continenti. La loro missione si esprime nella catechesi, nell’attività pastorale, nei movimenti ecumenici, nelle varie forme di educazione e di opere sociali. A Milano le religiose di
Sion operano dal 1968. Propongono corsi di ebraico biblico, organizzano conferenze per conoscere Israele e si impegnano nel dialogo ecumenico della
Diocesi.
Attraverso le varie forme di educazione, le religiose trasmettono la visione
biblica che loro stesse cercano di scoprire maggiormente.
15
Il Litostrato, pavimentazione di epoca romana che la tradizione afferma essere quella del cortile del palazzo di
Ponzio Pilato ove fu flagellato Gesù. Attualmente è conservato all’interno del Monastero delle Suore di Sion a
Gerusalemme.
erbe amare e haroseh si mangiano dopo aver recitato le rispettive benedizioni, prima della cena vera
e propria, la zampa di agnello funge solo da ricordo, perché i sacrifici di animali non ci sono più
dopo la distruzione del tempio e l’uovo è un simbolo aggiunto, nel quale si possono trovare molteplici significati, non legati direttamente al Pesach come ricordo dell’uscita dall’Egitto. Quattro
coppe di vino, che si bevono dopo aver recitato la benedizione, e a cui si sono date diverse interpretazioni, scandiscono la parte rituale precedente la cena e la benedizione del pasto che la segue. Una
coppa speciale, la quinta, viene preparata per Elia, e si riempie quasi alla fine aprendo la porta in un
gesto che indica la speranza nell’arrivo del Messia, di cui il profeta è ambasciatore. Il racconto si
svolge attraverso passi biblici e tradizionali, recitazione di salmi e di preghiere che coinvolgono i
presenti, li inducono a ricordare, ma anche li aprono alla dimensione del mistero dell’opera di Dio
protagonista della liberazione”.
Vi sono altri cibi tradizionali?
“Ho già detto dei cibi simbolici – afferma Suor Maria Luisa – Posso aggiungere che le erbe amare
vengono scelte a seconda delle verdure coltivate nei diversi Paesi; nel rito italiano sono sedano e
lattuga, mentre il haroset viene preparato con ricette diverse, che si tramandano nelle varie famiglie.
Quanto ai cibi della cena, tutti osservano il comandamento di non consumare nulla di lievitato e le
regole generali della kasherut, che valgono per ogni pasto ebraico, cioè i precetti sulla “purità” del
cibo, dei quali il principale è quello di non mescolare carne con latte e latticini, ma nella scelta si
rifanno alle abitudini del loro paese e della famiglia”.
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Sion
Nome biblico di Gerusalemme, città
della Pace, un simbolo di Israele, a
cui Maria appartiene.
Gerusalemme è anche la fine dei
tempi, verso cui camminiamo, il luogo di raccolta nell’unità di Israele e
le nazioni.
“Questa parola ricorda a tutti la
speranza della nostra vocazione”.
Alla Pasqua ebraica vien data anche una
denominazione particolare, quella di “Festa
della Libertà”. Perché? E come si esterna, si
manifesta tale aspetto caratteristico?
“Tutta la festa è memoriale della liberazione
dalla schiavitù, per diventare un popolo libero
e indipendente. Tutto il racconto e il modo
Theodore Ratisbonne
festivo di celebrare proclama tale libertà, che
non è solo libertà materiale, ma anche spirituale. A questo proposito, bisogna aggiungere che l’uscita dall’Egitto e il passaggio del Mar Rosso iniziano il cammino nel deserto verso il Sinai, dove il dono della Torah porta a compimento la liberazione stessa. Gli ebrei sono un popolo libero dai condizionamenti umani, un popolo che può accettare consapevolmente la volontà divina. Per praticare la giustizia richiesta dalla Torah bisogna essere liberi esteriormente e interiormente. A partire dal secondo giorno della festa di Pesach, si contano i giorni che portano a quella di Shavuoth (settimane in ebraico, Pentecoste dal nome greco)
memoriale del dono della Torah. Le due feste sono strettamente legate”.
Lei appartiene all’Ordine delle Suore di Nostra Signora di Sion: quale il vostro carisma?
“La nostra Congregazione religiosa – afferma – è nata dal carisma dato a Teodoro Ratisbonne.
La Parola di Dio lo guidò alla fede, e in Gesù Cristo, scoprì che Dio è amore.
Fin dall’inizio fu colpito dai passi della Scrittura
relativi al destino del popolo ebreo e all’amore di
Gesù Cristo per il suo popolo. Qui trovò un’ ispirazione e una chiamata apostolica.
L’esperienza vissuta dal fratello Alfonso (foto
accanto) il 20 gennaio 1842, con l’apparizione
della B.V. Maria nella chiesa di S. Andrea delle
Fratte a Roma, confermò tale ispirazione. Da quel
momento, Teodoro fondò la Congregazione di
Nostra Signora di Sion, per essere testimone nella
Chiesa e nel mondo della fedeltà di Dio al suo
amore per il popolo ebreo e per affrettare il compimento delle promesse che riguardano gli ebrei e
i gentili”.
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catechismo per tutti
Tabernacolo
I
l centro dell’assemblea eucaristica (Messa) è dato dall’altare. Conclusa, però, la celebrazione, la
pietà dei fedeli è concentrata nel tabernacolo. Qui, infatti, è presente Gesù sotto le specie del pane.
Il tabernacolo rimanda all’altare. Gesù rimane nel tabernacolo affinché, in caso di necessità, possa
essere portato agli ammalati, per essere ricevuto da coloro che solo spiritualmente possono partecipare alla Messa e per essere adorato da chiunque.
Chi riceve la comunione fuori della Messa dovrebbe sempre intenzionalmente unirsi alla celebrazione eucaristica. La presenza di Gesù nel tabernacolo realizza in modo eminente la volontà di Dio
di dimorare in mezzo agli uomini. Il tabernacolo si richiama, infatti, a quello del Vecchio
Testamento, voluto da Dio quando il suo popolo peregrinava nel deserto.
Tabernacolo ebraico
Si racconta nell’Esodo: “Il Signore disse a Mosè: «Ordina agli Israeliti che raccolgano per me
un’offerta. La raccoglierete da chiunque sia generoso di cuore... Essi faranno un santuario ed io abiterò in mezzo a loro. Eseguirete ogni cosa secondo quanto ti mostrerò, secondo il modello della
Dimora e il modello di tutti i suoi arredi»” (Cap. 25).
In quel tempo il popolo era nomade, e il santuario – “la tenda di Dio” – era mobile. La tenda era
divisa in due parti: la prima, chiamata il “santo”, la seconda, sul fondo, il “santo dei santi” che conteneva l’arca, in cui erano conservate la manna e le due tavole della Legge. Le due parti erano separate da un velo. Il popolo si radunava entro il recinto, attorno al tabernacolo.
Questa divisione si mantenne anche dopo la costruzione del tempio a Gerusalemme.
Tabernacolo cristiano
Il tabernacolo attuale richiama più propriamente il “santo dei santi”, perché chiuso sul davanti e
velato dal “conopèo” (le due piccole tendine poste davanti alla porticina). Queste tendine, obbligatorie prima della riforma liturgica, ora si vedono raramente. In qualche chiesa il “velo” è richiamato
da un tendaggio che, appeso a una corona sottostante il soffitto, sopra il tabernacolo, scende allargandosi fino ad abbracciare tutto l’altare.
* La sistemazione del tabernacolo subì nei secoli diverse vicende. Ci furono periodi in cui esso fu
ricavato entro il muro sul fianco del presbiterio, oppure, sempre sul presbiterio, su una colonna.
Prevalse negli ultimi secoli la sistemazione sull’altare maggiore, più propriamente a ridosso della
18
ANDREA ORCAGNA, Tabernacolo (part.),
Firenze, Orsanmichele
mensa. Nelle grandi chiese con cappelle a più altari, era collocato su uno di questi.
La sistemazione sull’altare maggiore s’instaurò allorché, per reazione alle eresie che negavano la
presenza reale di Cristo, la Chiesa accentuò il culto verso Gesù nel sacramento.
Oggi la liturgia sconsiglia tale posizione sull’altare dove si celebra la Messa, poiché l’altare è la
mensa della Cena e l’Altare della croce. Durante la Celebrazione eucaristica si avrebbe, perciò, un
“doppione”.
Suggerisce invece una diversa sistemazione: in uno spazio adatto, che favorisca il raccoglimento
personale, specialmente in chiese frequentate da visitatori, o impegnate per altre celebrazioni:
“Si raccomanda vivamente che il luogo, in cui si conserva la SS. Eucarestia, sia situato in una cappella adatta alla preghiera privata e all’adorazione dei fedeli. Se poi questo non si può attuare,
l’Eucarestia sia collocata in un altare, o anche fuori dell’altare, in un luogo della chiesa molto visibile e debitamente ornato, tenuta presente la struttura di ciascuna chiesa e le legittime consuetudini
di ogni luogo”.
Le soluzioni possono quindi essere diverse: l’importante è che il tabernacolo attiri l’attenzione di
chi entra in chiesa e magari si ferma sulla porta. Non ha senso nascondere ed ignorare Gesù presente fra noi! (in alcune chiese è così nascosto che... si fa fatica a trovarlo!). Un semplice sguardo diretto al tabernacolo, la semplice osservazione della scelta dei materiali e dell’attenzione posta nella
sua elaborazione e disegno dev’essere sufficiente per farci mormorare: «Vedi, Signore? Ti abbiamo
riservato il meglio che possediamo, il più bello: artistico o semplice, costoso o umile. Per te, la dimora migliore; e il posto più degno: per Te, divino Ospite del tabernacolo».
Ammessa la presenza reale e permanente del Signore sotto le specie eucaristiche del pane e del
vino, consacrate nella celebrazione della Messa... in qualsiasi posto si trovino, bisogna custodirle
con sommo rispetto ed attenzione, e in esse si deve adorare Cristo presente...
19
Tabernacolo della Pieve di Lammari
* La presenza di Gesù nel tabernacolo è segnalata soprattutto dalla lampada ad olio, o dal “cerone”
(misto olio e cera), diverso dai cosiddetti “lumini”. La lampada, incessantemente accesa e dalla
fiamma viva e mobile, vuole essere un segno che sostituisce la presenza dei fedeli attraverso un’adorazione perpetua.
* La Chiesa raccomanda la devozione pubblica del Santissimo – attraverso le benedizioni eucaristiche – e quella privata dei fedeli.
“Trattenendosi presso Cristo Signore, essi godono della sua intima familiarità; dinanzi a Lui aprono
il loro cuore per loro stessi e per tutti i loro cari e pregano per la pace e la salvezza del mondo. Offrendo la loro vita con Cristo al Padre nello Spirito Santo, attingono da quel mirabile scambio un
aumento di fede, di speranza e di carità. Alimentano così le giuste disposizioni per celebrare, con la
devozione conveniente, il memoriale del Signore e ricevere frequentemente quel pane che c’è dato
dal Padre. Attendano dunque i fedeli con ardore alla venerazione di Cristo Signore nel sacramento,
secondo il loro stato di vita, e i pastori li guidino a
ciò con l’esempio e li esortino con opportuni am«Si custodisca la SS. Eucaristia
monimenti”.
in un unico tabernacolo, inamoSono insegnamenti del Concilio che illustrano, con
vibile e solido, non trasparente,
parole misurate ma sante, lo spirito e il contenuto
e chiuso in modo da evitare il
della preghiera del vero adoratore del sacramento.
più possibile il pericolo di una
Un’istruzione pontificia raccomanda a questo scopo
profanazione»
che le chiese e i pubblici oratori restino aperti alme(S. Congr. dei Riti, Istruzione).
no diverse ore, sia il mattino sia la sera.
P. Claudio Truzzi ocd
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Dinanzi al SS. Sacramento
Lasciami, Signor, che qui prostrato,
cosciente del mio nulla in tua presenza,
e, pur temendo di peccar d’irriverenza,
mi permetta l’alto onore di farti compagnia.
Lo so di non essere degno di guardarti,
ma fidando nel tuo amor e tua clemenza,
si calma il clamore di mia coscienza
e m’inonda la calma al contemplarti.
Nel mondo, Signore, per dimenticarti
è tutto confusion e un vociferare
che m’inquietano in modo
sconvolgente.
Per questo, Signore, vengo a pregarti,
che permetta all’alma un poco di godere
della quieta pace del tuo Tabernacolo.
José Ramón de Pablo
La Visita
Lasciami entrare, Signore, ché ho premura...;
ché devo ritornare in un mondo che corre,
immerso nell’ambizione e nel peccato,
orfano di luce e di risate.
Lasciami entrare, ché il mio dolore richiede
una pausa in questo mio cammino incessante;
perché, Signore, per così tanta stanchezza,
ho il gesto sperduto e la virtù esangue.
Lasciami entrare, Signore: intendo soltanto
fermarmi un attimo per ritrovare la calma,
pensare un poco e dialogare con Te.
Sono il medesimo di ieri, il tuo vecchio amico,
lasciami entrare per confortarmi l’anima
e poi, Signore, quando vorrai... continuo.
A. Trujillo Téllez
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usare bene internet
I video presentati in queste pagine li potete trovare su:
http://www.sulrosario.org/libreria/video-gallery/video-karaoke.html
http://www.sulrosario.org/libreria/video-gallery/video-sul-rosario.html
http://www.sulrosario.org/libreria/video-gallery/video-interessanti.html
http://www.sulrosario.org/libreria/video-gallery/video-misteri-del-rosario.html
Invito di Benedetto XVI a dire il rosario
Immagine stupenda quella del Papa che,
all'incontro con i bambini del Benin, ha
tirato fuori la sua Corona del Rosario invitando tutti non solo a portarlo con sé, ma
soprattutto a non vergognarsi di dirlo, recitarlo, anche insieme ai genitori... Vi offriamo in video le parole espresse da
Benedetto XVI, facciamole nostre e facciamole conoscere.
Beato Giovanni XXIII al “Rosario vivente”
Il 4 maggio 1963 il beato Pontefice
Giovanni XXIII incontrava, per la
prima volta, il Primo Pellegrinaggio
Nazionale del Rosario Vivente, un
evento che possiamo definire storico.
Vi offriamo allora l'audio originale di
quell'incontro montato in video
come un karaoke affinché possiate
sia leggerlo che ascoltarlo, e meditarlo saggiamente.
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Cari Amici, alternandoli ai semplici video, vogliamo ora offrirvi anche una serie di
video-karaoke attraverso i quali “rispolverare” certi canti più o meno conosciuti,
specialmente della nostra tradizione...
Ave Maria splendore del mattino
Dalla voce di Chieffo ci piace ricordare questo canto-preghiera, Ave Maria Splendore del
mattino, offrendolo anche a voi in formato
karaoke.
Adoro Te fonte della vita
Offriamo alla vostra attenzione e meditazione un canto del RnS
adatto per l'Adorazione Eucaristica.
Sub Tuum praesidium
In Egitto si segnala la preghiera più antica (fine
III secolo) che si conosca su Maria, e a Maria:
"Sotto la tua protezione ci rifugiamo, santa
Madre di Dio, non dimenticare le suppliche di
noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni
pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta...". Ve la
offriamo in formato karaoke per poterla imparare più facilmente... con la sua melodia tradizionale e in latino.
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Testimonianze
Incontro del
Rosario a Loreto
Invitati, accolti e ospitati....
noi, amore che si manifesta innanzi tutto nel
dono che ci ha fatto della Madonna e poi della
Santa Chiesa... eh sì, perchè è bella la Chiesa
ed è Santa, e tutti i peccati che provano a
sporcarle il volto, sono costantemente lavati
via dal sangue dei martiri e dal dono della vita
che tutti i suoi ministri e consacrati hanno
offerto per Lei e per tutto il popolo cristiano:
quante vite spese completamente solo per
essere a servizio dei fedeli... ecco la bellezza
dei nostri sacerdoti, un’offerta quotidianamente rinnovata ed un sigillo che essi porteranno per tutta l’eternità!
E poi come non ricordare l’ardore dei canti
eseguiti da Roberta e Paolo, una coppia che,
anche quest’anno, ci ha fatto il regalo di animare in modo speciale la nostra preghiera...
all’inizio abbiamo invocato lo Spirito santo
proprio seguendo la Sequenza musicata da
loro e devo ammettere che questo canto mi ha
suscitato delle emozioni forti, come la lode
all’Immacolata... in questi momenti si sperimenta concretamente il detto di sant’Agostino
che chi canta prega due volte!
Inoltre pregando il tempo passa veloce, ed è
ora di consumare il nostro pranzo al sacco,
così ci sistemiamo alla spicciolata nel piazzale dietro alla Santa Casa: la giornata ci sorride
soleggiata fin dal mattino, e quello stupendo
panorama che declina dai colli di Loreto per
estendersi fino al mare, è proprio in armonia
Che era una giornata speciale si sentiva nell’aria... il nostro gruppo era più numeroso del
solito e poi già sul pullman c’erano tante
facce nuove... e da subito ecco che padre
Mauro ci introduce in quel clima di preghiera
che ci accompagnerà per tutto il giorno, iniziando proprio con la meditazione dei misteri
del rosario.
Così fra un’Ave Maria e un Padre Nostro (che
pace iniziare la giornata pregando la Vergine!)
vedere in lontananza la cupola di Loreto ci dà
un sussulto di gioia: Mamma, stiamo arrivando!
Appena scesi dal pullman ci accoglie Ilaria
che ci accompagna nella cripta del Crocifisso,
una cappella molto accogliente, posta proprio
sotto la Santa Casa, e qui ci uniamo a tanti
altri pellegrini: abbiamo scoperto che ci sono
gruppi da Fermignano, da Cagli, da Secchiano, da Sant’Angelo in Vado, da Ancona, da
Chiesanuova di Treia, da Ancona e provincia... persino da Imola, da Castel Bolognese e
da Fornecette di Pisa... e la cripta, per quanto
aggiungiamo delle sedie, fa veramente fatica a
contenerci tutti!
Però il clima è raccolto, e proprio nella meditazione dei misteri del rosario padre Mauro ci
scalda il cuore richiamando la nostra attenzione sull’amore che Dio Padre ha per ognuno di
24
con la nostra voglia di pace e di compagnia.
Dopo il “caffè d’ordinanza” non possiamo
farci mancare una visita dentro alla Santa
Casa... e poi rieccoci riuniti nella cripta:
sono arrivati altri amici, sono i ragazzi della
“Comunità Cenacolo” fondata da madre
Elvira, questa volta saranno loro, insieme a
padre Mauro, a condurre, animare e meditare il rosario.
I loro visi sono belli, puliti e radiosi... viene
spontaneo confrontarli con i loro coetanei
che ancora si perdono negli inganni delle
droghe e dello sballo, pensare che anche
loro, prima di entrare in comunità, avevano
dipinte sul volto quelle tremende espressioni
di indifferenza e di disperazione e che invece, oggi, sono proprio dei “Figli della luce”,
come titola un loro musical!
Infatti essi stessi ci testimoniano che, ridotti
a schiavitù proprio da quelle che credevano
essere le più grandi conquiste di libertà,
erano arrivati al punto che vivere o morire
era per loro indifferente... anzi forse credevano che solo la morte potesse dare loro
l’ultima illusione di libertà.
E invece eccoli lì, davanti a noi, in ginocchio
per tutto il tempo dinnazi al Santissimo Sacramento, esposto mentre si meditava il Rosario. Quando il mondo vorrebbe farci chiudere in noi stessi, alimentare la nostra disillusione verso una realtà che è solo capace di
nefandezze, dove il dolore ha diritto di
mostrarsi solo per affliggere e spaventare...
ecco che queste testimonianze ci ridonano la
speranza e ci fanno venir voglia, perché no,
di spegnere la televisione, perché possiamo
andare incontro a tutte quelle realtà che,
spesso silenziosamente, ci testimoniano la
gioia della vita donata da Dio... come ci
veniva detto al convegno di Bologna, anche
se “fa più rumore un albero che cade” non
bisogna mai dimenticare che accanto a noi
c’è “una foresta che cresce”.
Eh sì... proprio accanto a noi; infatti basta
spostarsi di pochi chilometri da Loreto per
arrivare a Osimo dove vive una famiglia un
po’ speciale... che padre Mauro ha chiamato,
inaspettamente per loro e fortunatamente per
noi, a dare la propria testimonianza: ecco
Cesare, sua moglie Daniela e il figlio Michele sul pulpito.
Cesare e Daniela hanno nove figli, un bambino che è volato in Cielo prima di nascere e
le prime due figlie femmine che all’età di 18
e 21 anni sono due monache di clausura...
poi ci sono tutti gli altri sei ragazzini e bambini che continuano la loro vita quotidiana...
nella normalità di una famiglia che ha messo
Dio al primo posto!
Ecco il loro messaggio:
«Noi non siamo e non abbiamo niente di
speciale, semplicemente abbiamo deciso di
consacrare la nostra unione alla Vergine...
ogni giornata inizia con la santa Messa e si
conclude con il Rosario, stiamo attenti ad
alimentare un dialogo ed un confronto sincero e amorevole fra di noi, cerchiamo di non
sprecare il tempo che abbiamo e di non inquinare la nostra mente con notizie di morte
e di disperazione.
I nostri figli sono partecipi e condividono le
scelte un po’ controcorrente che distinguono
la nostra famiglia (certamemente in casa
nostra non troverete 8 cellulari, 8 auto o 6
motorini), però la loro gioia e la loro viva-
25
della giornata e, alle intenzioni dei fedeli,
tocca a noi fargli una piccola sorpresa: eh sì,
perchè oggi è per tutti una giornata un po’
speciale, abbiamo tutti voglia di fare a padre
Mauro gli auguri per il suo 25° anniversario
di ordinazione sacerdotale, e così, i rappresentanti di quasi tutti i gruppi si alternano
all’ambone per esprimere un’intenzione di
preghiera: “Grazie Signore per il dono di
padre Mauro, grazie per la sua fedeltà in
questi 25 anni, grazie perchè gli hai affidato
la promozione del Santo Rosario, grazie per
il dono di tutti i sacerdoti: proteggili Si gnore, perché siano sempre custoditi sotto il
manto della Beata Vergine Maria...”.
Ormai la giornata giunge al termine, i pullman “scalpitano” nel parcheggio, i saluti
sono tutti degli arrivederci, una nuova comunione si è instaurata fra di noi e, se mi guardo intorno, vedo dei volti sorridenti, sento
che tutti insieme abbiamo vissuto una giornata particolare e anche se ne dimenticheremo i particolari, credo che questa sensazione
di essere stati “coccolati” proprio dalla
Mamma che ci invitati, accolti e ospitati in
casa sua.. beh, queste sensazioni credo che
non ci lasceranno per diverso tempo...
cità ci testimoniano che anch’essi hanno trovato la “perla preziosa”, quella per cui vale la
pena vendere tutto ciò che si possiede!».
Padre Mauro ci confida che appena ne ha la
possibilità si ferma volentieri a casa di Cesare
e Daniela, perché l’amore e la pace che si
respirano accanto a loro, sono veramente un
balsamo per l’anima e la gioia di vedere i loro
figli, che si fanno vivacemente attorno per
mostrare loro i loro piccoli tesori e le loro
ultime conquiste, danno una allegria tutta speciale!
Ecco perché, un’altra tappa irrinunciabile per
padre Mauro quando visita le Marche è la
comunità dei ragazzi: anche qui ogni volta
rimane stupito dalla serietà con la quale questi
giovani sono fedeli alla loro preghiera, in special modo all’Adorazione Eucaristica. Quante
volte ha sentito i loro passi nella notte entrare
nella cappellina per “non lasciare in pace Gesù”... lo stesso Gesù che invece troppo spesso
è abbandonato nei tabernacoli delle nostre
chiese.
E queste passeggiate notturne lasciano il
segno, padre Mauro ci confida che si sente
quando una persona prega, quando è abituata
ad avere e a cercare un dialogo sincero con
Dio...
Gesù viene riposto ed inizia la santa Messa,
padre Mauro ripercorre i momenti più belli
Oggi è la memoria liturgica di santa Teresa
di Gesù Bambino (che bella coincidenza!) e
il mese di ottobre è iniziato... abbiamo ricevuto tanti suggerimenti perché questo sia
veramente un mese in cui la nostra preghiera
possa essere alimentata con nuove intenzioni
e perché no, siamo invitati ad offrire qualche
piccolo sacrificio, magari lasciando a Loreto
quella fastidiosa debolezza che ci impedisce
di spiccare il volo verso l’amore di Dio!
Grazie a tutti.
una pellegrina felice di aver partecipato!
26
Incontro del
Rosario a Merna
La pace, la gioia di sentirci accolti e
nutriti come figli amati, la serenità
che ne consegue, ci accompagnano
pazienza verso noi stessi e verso gli altri,
soprattutto quando questi ultimi ci infastidiscono con le loro lentezze. Mentre meditiamo, lo
sguardo si posa ora sul sorriso dolce di Maria,
più spesso sul suo piede che calpesta deciso il
serpente, ora sul cuore aperto di Gesù da cui
sgorgano gocce d’acqua e di sangue, ora sul
suo volto dolce e fermo, ora sul viso sereno e
mite di san Vincenzo che porta in braccio un
bambino malato. Dalle finestre aperte entra un
po’ d’aria a mitigare la calura, assieme alle
voci dei bambini di un gruppo di famiglie in
ritiro e al cinguettio degli uccellini. Il pasto al
sacco è consumato in fraternità. C’è poi spazio
per gironzolare, per chiacchierare, per scambiarsi pensieri, per pregare in ginocchio lungo i
gradini della Scala Santa. La tela posta alla sua
sommità ritrae Gesù flagellato, nudo, bendato,
schernito e dileggiato da una folla esagitata e
sguaiata. Ci sembra che ancor oggi Gesù stia
vivendo la sua passione, nei tanti suoi testimoni che muoiono per la fede, ma anche nella
persona del Papa, di recente addirittura denunciato alla Corte Penale Internazionale dell’Aia.
Ci aspetta la visita al complesso del santuario
che occupa tutta la sommità di questa piccola
collina in territorio sloveno, nella Valle del
Vipacco, a due passi da Gorizia. Ci accompagna Suor Ancilla, delle Figlie della Carità, che
hanno qui la loro casa di riposo. Il suo passo
leggero, il suo sorriso, il suo italiano che dice
di non sapere bene, ma che invece è correttissimo, sono come una brezza leggera che ci
accompagna in questo afoso pomeriggio di fine
estate. Visitiamo la loro casa, il grande orto ben
tenuto, il parco, il centro giovanile, il capanno-
Problematico raggiungere il Santuario di San
Grado a Merna per il raduno del Movimento
Domenicano del Rosario del Friuli-Venezia
Giulia. La chiesa con i suoi due campanili è lì,
a portata di mano. Continuiamo a vederla in
cima al colle, ma le indicazioni sono carenti e
sbagliamo strada. Alla fine, tra basse case e
cortili, ecco la strada di accesso, ripida, tortuosa, troppo stretta per il pullman che porta i partecipanti al Raduno Regionale provenienti da
Trieste e da Villesse. Ma il signor Romano è un
bravo autista e infine eccoci arrivati. Ci accoglie festante Padre Mauro. Arrivano anche gli
amici di Udine: è sempre bello ritrovarsi, anno
dopo anno. Una breve visita alla chiesa e poi
su, al quinto piano della casa di esercizi spirituali. Ci accoglie, sotto il tetto, una moderna
cappellina con piccole finestrelle che guardano
il bosco. Colpisce la forma arrotondata del
tabernacolo, dell’altare e dell’ambone, tutti
splendenti di un sobrio rivestimento dorato.
Dietro all’altare un grande mosaico illuminato
in trasparenza in forma di trittico, con Gesù al
centro, tra la Madonna e san Vincenzo de
Paoli. Sì, perché il complesso del santuario è
retto dai Padri Lazzaristi fondati proprio da
questo grande santo della carità.
Con le sue sapienti riflessioni e le sue provocazioni, Padre Mauro ci guida con passione e
amore a guardarci dentro, a rientrare in noi
stessi, a prendere coscienza della nostra incapacità di amare. E ci sprona ad esercitare la
27
ne di lavoro dei senza fissa dimora che Padre
Pietro intercetta e segue, la piccola stalla dove
ha deciso di fermarsi una femmina di capriolo
che pare ormai proprio addomesticata, la casa
di esercizi tutta linda e accogliente. Sono le
meraviglie che sa operare il Signore con i suoi
figli e le sue creature. Di nuovo in cappellina,
con la recita del santo Rosario davanti al Santissimo Sacramento, con Padre Mauro che
festeggia il 25° di ordinazione. La santa Messa
è di ringraziamento per averci donato questo
padre domenicano predicatore così capace di
attualizzare il Vangelo e di trascinare con il suo
carisma.
La pace, la gioia di sentirci accolti e nutriti
come figli amati, la serenità che ne consegue,
ci accompagnano nel rientro a casa. Grazie,
Padre Mauro, per averci dato la possibilità di
un salutare ricupero di energie spirituali in questa giornata trascorsa in armonia e fede, in fraternità. Grazie.
della Madonna Addolorata di Merna, località
nella vicina Slovenia.
Padre Mauro Persici ci aspettava e ci ha invitati
a visitare il Santuario, prima della riunione
nella cappella del comprensorio.
L’incontro si è sviluppato su vari temi, uno dei
quali sulla Chiesa, punto di riferimento del cristiano. L’esperienza, ha proseguito padre
Mauro, ci dice che in ognuno di noi convivono
fede e incredulità, desiderio di bene e inclinazione al male, docilità e resistenza...
Dopo una sosta “alimentare”, suor Ancilla
delle Figlie della Carità ci ha fatto visitare il
convento, la Scala Santa, risalente al 1600 e la
vasta tenuta che circonda il Santuario.
L’incontro si è concluso con la preghiera del S.
Rosario e la S. Messa.
Padre Mauro si è congedato comunicandoci il
prossimo incontro, in settembre del prossimo
anno, probabilmente al Santuario della Madonna Madre e Regina di Monte Grisa a Trieste.
Siamo partiti da quel sacro luogo, contenti di
aver passato una giornata di serena spiritualità,
all’ascolto della Parola del Signore, così bene
espressa da padre Mauro.
Cesare
“Maria dal cielo fonte inesauribile
di speranza”
Una splendida giornata di sole ha accompagnato un folto gruppo di pellegrini al Santuario
28
Il rosario
dei bambini
F
ratelli, io prima non volevo entrare neanche in chiesa perché dicevo: «Se non ci vado
mai, perché ci devo andare ora?». Ma pochi
giorni dopo mia mamma mi disse: «Vuoi
andare a dire il rosario?». Io non sapevo
neanche come si diceva, eppure accettai, così
ogni volta che ci andavo mi veniva voglia di
andarci di nuovo e così pregavo anche a casa.
Era bellissimo, così vi dico: «Andate in chiesa e pregate e vi verrà voglia di farlo ogni
momento!».
Maria Cristina
P
er me il rosario è un modo per chiedere
un favore alla Madonna, è un modo per pregare per qualcuno che sta male o che è triste, è un modo per fare un sacrificio, ad
esempio rinunciare ai videogiochi, è un
modo per incontrarsi con amici e giocare
insieme.
È un modo di felicità.
Per me fare il rosario nel mese di maggio è
stata un’esperienza nuova, perché si faceva
tutti i giorni in parrocchia alle 20,00; insieme ai miei amici, facevamo la gara a chi
diceva più decine.
Il nostro don Francesco, quando qualcuno
sbagliava, lo correggeva; alla fine della serata, finito il rosario, andavamo fuori insieme al don a giocare, e ci divertivamo un
mucchio.
Per me questo mese di maggio con il santo
rosario è stato un modo di felicità.
Daniele
L
a mia esperienza, partecipando al mese
di rosario in parrocchia, è stata bella e interessante. Sebbene io sia venuto dopo un po’
(due settimane o poco più) e abbia detto una
decina poche volte, sono comunque contento
di esserci stato e di aver detto il rosario. La
mia impressione è che pregare è bello, specie
se si è in tanti.
Io ho guidato poche volte la preghiera del
rosario, perché o c’erano già dei miei amici
che si erano prenotati o perché avevo paura
di sbagliare (cosa che qualche volta facevo).
Quando pregavo ero concentrato a non perdere le parole di quello/a che conduceva il
rosario.
Ci andavo anche per incontrare i miei amici
e per giocare a fine rosario. Ci sono anche i
premi, ma quelli non mi interessavano granché. Qualche volta mi dispiaceva non vedere
alcune partite di calcio in TV, che iniziano
alle 20,45.
Manuele Guido
29
i nostri pellegrinaggi
termine iscrizioni 31 marzo 2012
Pellegrinaggio del Rosario a Lourdes
in treno dal 21 al 27 aprile 2012
partenza dalle stazioni ferroviarie di: Rimini, Cesena, Forlì, Faenza, Imola, Bologna,
Modena, Reggio Emilia, Parma, Piacenza (*)
(*) Per coloro che provengono da fuori regione Emilia Romagna
se richiesto si valuterà l’opportunità di organizzare il trasferimento per e da i luoghi di partenza.
organizzazione: UNITALSI sezione Emilia Romagna
Movimento Domenicano del Rosario
Con le nostre proposte desideriamo offrire la possibilità di condividere
fraterni “momenti di spiritualità” mariana scanditi dalla meditazione e
dalla preghiera suggerita dalle celebrazioni proprie ai luoghi visitati.
raduni del rosario
1
S a n t u a r io d e l l a B . V . d e l R o s a r io d i F o n t a n e l l a t o (P R )
domenica 13 maggio 2012 in occasione dei 500 anni di presenza dei Frati Domenicani
2
S a n t u a r io d i M o n t e G r is a a Tr ie s t e sabato 29 settembre 2012
3
Co m u n it à Ce n a co l o a L o r e t o ( A N ) sabato 6 ottobre 2012
I ra g a z zi di suor Elvira
per ogni informazione rivolgersi a:
tel. 0521.822899 oppure 335.5938327
e-mail [email protected] - http / / www.sulrosario.org
In caso di mancato recapito inviare all’ufficio di Bologna CMP detentore del conto
per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa