Nuove immagini per nuove scritture

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Nuove
immagini per
nuove scritture
Per una didattica della storia con l’uso
della cinematografia africana
Silvia Failli
Il cinema ci fornisce straordinari materiali
per affrontare con gli allievi i temi della storia
africana, non solo quelli di tipo antropologico, come i griot, ma anche eventi storici scottanti, come Lumumba e l’indipendenza del
Congo, o le tragedie del Rwanda.
La storia non è semplicemente il passato
che abbiamo alle spalle, è anche e soprattutto il prodotto di un presente che la (ri)costruisce sulla base di implicite finalità. La
didattica della storia ha sovente sofferto di
una certa mancanza di consapevolezza a
questo livello, mostrandosi, di conseguenza, incapace di prodursi in un’ottica autocritica rispetto ai contenuti da essa stessa veicolati. Testimonianza di questa difficoltà è
la manualistica scolastica, che tende in genere a riprodurre prospettive settoriali mascherandole di universalità. La memoria
collettiva viene così forgiata secondo direttive di senso che sono a loro volta storicamente determinate. Non c’è da scandalizzarsene, ma è bene esserne consapevoli in
modo da porsi nelle migliori condizioni per
far perno sulla criticità acquisita.
Un ausilio prezioso per effettuare questo duplice movimento di acquisizione di consapevolezza e di riposizionamento critico può essere rappresentato dallo sguardo dell’altro.
È in virtù di una collocazione eccentrica rispetto alla prospettiva abitualmente assunta che si rende, infatti, possibile aprire ulteriori dimensioni di lettura a rappresentazio-
ni che tenderebbero altrimenti ad autoconvalidarsi. Diviene allora importante dar forza
all’alterità ed è proprio questa una delle ragioni del ricorso alla cinematografia africana
per il ripensamento della didattica. Essa viene presentata in questa sede non tanto come
strumento utile per aggiungere contenuti
informativi al canone disciplinare scolastico,
quanto come occasione di decentramento
cognitivo rispetto alle prospettive consolidate.
Al di là di queste considerazioni generali,
prima di addentrarsi nel percorso proposto
occorre effettuare qualche premessa di carattere specifico.
Una prima considerazione riguarda la difficoltà di reperimento delle opere della «cinematografia africana». Com’è avvenuto
per la manualistica scolastica, infatti, anche la cinematografia ha sofferto e continua a soffrire di sguardi egemonici. Il funzionamento del circuito commerciale detta
inesorabili leggi di mercato e le indicazioni
che forniamo qui di seguito risentono grandemente di questo stato di cose. Se, pertanto, da una parte si è cercato di tenere conto
della reperibilità nel circuito homevideo
italiano, la scarsità di materiale effettivamente rintracciabile ci ha costretto anche a
delle eccezioni (che verranno debitamente
segnalate).
Una seconda considerazione concerne il
concetto stesso di «cinematografia africana». Parlare di cinema africano è, infatti, problematico in quanto profonde differenze caratterizzano le molte cinematografie dei
paesi del continente; l’aggettivo «africano»,
inoltre, può designare comunemente sia i
film sull’Africa, sia quelli prodotti o coprodotti in paesi africani, sia quelli realizzati da
registi di origine africana. La selezione che
proponiamo esclude le zone del Maghreb,
dell’Egitto e del Sudafrica in quanto necessiterebbero di un’analisi a sé; si tratta, d’altra
parte, di una selezione composita relativamente alla “africanità” delle pellicole ed i titoli proposti sono riconducibili tanto all’ambito della fiction, quanto a quello del documentario.
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Una terza considerazione concerne la definizione stessa del concetto di storia e la
questione della validità delle fonti e delle
metodologie in prospettiva di ricerca storica. È una questione di ordine epistemologico che necessiterebbe di un lungo dibattito, ma che è al contempo impossibile eludere poiché, diversamente da quanto avviene per la storiografia canonica, in Africa
è sovente l’oralità a costituire l’ambito di
reperimento del materiale informativo. Ne
consegue l’esplosione stessa dei confini disciplinari, con l’inevitabile intersecazione
del dominio del mito con quello della storia.
Ri-scrivere la storia
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Tra le voci più autorevoli nel rivendicare il
diritto all’esercizio dello sguardo anche in
direzione di una vera e propria “riscrittura”
della storia troviamo Sembène Ousmane
(1923-2007). Prima scrittore, poi regista, il
pioniere della cinematografia africana (il
suo La noire de..., del 1966, viene comunemente indicato come il primo lungometraggio dell’Africa nera) ha considerato la cinematografia uno degli strumenti educativi
per eccellenza (la «scuola della sera», secondo le sue stesse parole), oltre che di vera
e propria militanza socio-politica. Sono almeno tre i lavori considerati propriamente
storici della sua cinematografia: Emitaï
(1971), che mette in scena un episodio di resistenza delle donne senegalesi al predominio francese durante la seconda guerra
mondiale; Ceddo (1976), con la messa a fuoco di alcune strategie di penetrazione nell’Africa dell’Ovest di cristianesimo ed
Islam; Camp de Thiaroye (1988), che centra
l’attenzione su un episodio ben poco glorioso dell’armata coloniale francese in Senegal. Si tratta di tre lungometraggi che fanno
emergere con evidenza l’impegno educativo di cui Sembène si fa propugnatore: far sì
che, attraverso la fruizione filmica, l’immaginario dello spettatore non si chiuda in visioni di comodo, che si aprano degli interrogativi e che, attraverso la rivisitazione di
eventi del passato, si venga sollecitati a ri-
Campo Thiaroye
In Senegal, nel 1944, un battaglione di fucilieri
arriva al campo di Thiaroye fiero di aver combattuto i nazisti in Europa. La fierezza lascia presto
posto alla disillusione di fronte alle promesse
non mantenute, all’umiliazione, al razzismo della gerarchia militare. Esasperati, i soldati sequestrano un generale e reclamano quanto dovuto
loro. L’ufficiale cede ma invia i propri carri contro il campo [Cinemateca di Ouagadougou, Catalogo 2008].
mettere in questione lo stesso presente. Focalizzandosi su vicende ad alto valore simbolico (oltre che reale), il regista ne propone
una lettura che smarca rispetto alle immagini consolidate e mette in atto, non senza
modalità iconoclastiche, una vera e propria
strategia di riappropriazione del passato da
parte di soggetti a cui è stata riconosciuta
poca voce in capitolo. Un tentativo eversivo,
che non avrebbe potuto non incontrare
ostacoli, come testimonia il fatto che le opere del regista sono incappate a più riprese
nelle maglie della censura: Emitaï e Camp
de Thiaroye (quest’ultimo pluripremiato alla Mostra del cinema di Venezia) hanno incontrato numerosi ostacoli in Francia, men-
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tre Ceddo ha dovuto addirittura far fronte
all’ostracismo senegalese che, ai tempi del
presidente Senghor, si è fatto scudo di una
presunta imprecisione linguistica per bloccare la circolazione dell’opera.
Dei tre lavori indicati solo Camp de Thiaroye
è reperibile in Italia nella versione Vhs doppiata1, gli altri possono essere rinvenuti solo
con sottotitoli in varie altre lingue2.
Un antidoto al dogma: sapere
di non sapere
Spostandoci sull’altro versante del continente, nell’area del Corno d’Africa, incontriamo Hailé Gerima (1946). Il regista etiope,
docente presso la Howard University di Washington, sta godendo di un momento di
particolare notorietà in Italia in virtù della
recente uscita sugli schermi del suo Teza,
premiato a Venezia nel 2008, vincitore ai festival di Cartagine e Ouagadougou. I lavori
di Gerima trattano prevalentemente tematiche a carattere storico e ripercorrono alcune
importanti questioni legate allo schiavismo
(Sankofa, 1993) ed al colonialismo (Adwa,
an African victory3, 1999). Un tema, quest’ultimo, che fa da sfondo anche a Teza,
seppure nel contesto di un discorso più ampio relativo alla diaspora africana in Europa,
con il suo razzismo mai sopito, ed allargando la problematica storica fino a comprendere le vicende di tutta una generazione di
intellettuali che, dopo le brutalità del colonialismo, ha fallito nell’obiettivo di edificare
una nuova, moderna Etiopia. L’intento di
Gerima, come lui stesso afferma, è di oltrepassare l’idea di una realizzazione cinematografica di evasione rispetto alle asperità
del reale e, in esplicito contrasto con lo “stile hollywoodiano”, di uscire dall’illusione
delle risposte dogmatiche (poiché, come sostiene il regista, se è vero che noi «pensiamo di sapere», l’ambito del nostro non-sapere è così vasto che, anti-socraticamente, sarebbe più corretto dire che «non sappiamo
neanche di non sapere»).
Dei due film di Gerima reperibili in Italia,
Teza delinea una vicenda strettamente intrecciata con la storia africana e mondiale,
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Teza
Anbenber torna al suo villaggio senza una gamba, immerso nell’incubo di ricordi che premono
per farsi strada. La storia del protagonista e
quella dell’Etiopia prendono forma congiuntamente: alle spalle l’imperialismo di Hailé Selassié e le tracce della presenza italiana, poi la rivoluzione di Menghistu ed il successivo disordine
politico e sociale, ma anche gli studi in una Germania percorsa da inattese discriminazioni razziali.
mentre Sankofa4, ambientato in massima
parte in una piantagione del Nord America,
è più centrato sulle brutalità dello schiavismo che sulle sue ragioni storiche. Teza è
stato distribuito nelle sale cinematografiche5 nella versione doppiata ed è in vendita
in Dvd6.
La disumanità dell’umano
Un terzo luogo di intersecazione fra «cinematografia africana» e storia è rappresentato dai lavori di Raoul Peck (1953), anch’egli scrittore e regista. Con la sua biografia
1. VHS, distribuz.: Deltavideo.
2. http://www.cine3mondes.com
3. Mypheduh Films: http://
www.sankofa.com/cata
log
4. http://www.saverianibrescia.com
5. Distribuz.: Ripley’s film.
6. Distribuz.: Cecchi Gori
Home Video.
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7. Per il documentario in
pellicola:
http://www.
coeweb.org; per il Dvd in
varie lingue: http://www.
jbaproduction.com; per il
Festival di Verona: [email protected]
8. http://www.hbo.com
siamo nel mezzo di evidenti intrecci culturali: nato a Port-au-Prince, ha avuto lo Zaire/Congo come seconda patria, per divenire ministro della Cultura ad Haiti, ma lavorando e studiando a cavallo di Stati Uniti,
Germania e Francia (dove è stato insignito
del titolo di Cavaliere delle Arti e della Letteratura). Tra le sue opere più significative,
due prendono spunto dall’assassinio del
primo ministro Patrice Lumumba, padre
dell’indipendenza congolese: il documentario Lumumba. La mort d’un prophète
(1991) ed il lungometraggio Lumumba
(2000), entrambi pluripremiati in diversi festival nel mondo. Due lavori realizzati con
forte attenzione documentaristica: come il
regista tiene a precisare, anche per la realizzazione della sua fiction ha utilizzato
«talmente tante fonti e testimonianze da
non dover inventare niente», e tutti i discorsi riproposti «sono autentici, sia quelli
di Lumumba che quelli di Kasa Vubu e del
re del Belgio». L’accostamento delle due
opere sarebbe d’altra parte utile per rilevare il diverso trattamento cui sono stati sottoposti i materiali documentari, nonché per
riflettere sull’uso stesso del linguaggio cinematografico (nel secondo lavoro, ad
esempio, la compatta documentazione è
sembrata ad alcuni supportare un intento
agiografico). In entrambe le opere, il ritratto dell’eroe congolese ucciso dalle pallottole belghe viene tracciato mettendo in luce,
con l’orrore della storia, l’inquietante compromissione dell’Occidente.
Purtroppo il documentario può essere visio-
Lumumba
Di notte, in piena savana, due militari belgi fanno a pezzi il cadavere di un
uomo e ne cancellano per sempre ogni traccia. Si tratta dell’eroe dell’indipendenza congolese, Patrice Lumumba, che dopo solo sei mesi al governo
dello Stato indipendente del Congo viene brutalmente assassinato. Personaggio scomodo nella scena politica internazionale, Lumumba lascia il posto a Mobutu, che imporrà la sua dittatura per più di trent’anni. Il film traccia
un ritratto appassionante della vita e del pensiero del leader carismatico
svelando i retroscena privati e politici che l’hanno portato alla sconfitta e alla
morte [Festival del Cinema Africano di Milano, Catalogo XI].
nato solo in pellicola, mentre la fiction è reperibile con facilità in Dvd, ma con sottotitoli in francese, inglese, tedesco, spagnolo
(per informazioni su una prossima reperibilità in Italia suggeriamo di contattare l’organizzazione del Festival del cinema africano
di Verona)7.
Il riferimento a Raoul Peck ci fornisce l’occasione per accennare ad un’altra area d’interesse storico/cinematografico: quella relativa al genocidio del Rwanda-Burundi. Il consenso conseguito con Lumumba presso le
popolazioni africane ha fatto guadagnare al
regista un credito di fiducia tale da consentirgli di accedere a testimonianze dirette e a
documenti originali sul genocidio, ivi comprese le deposizioni rilasciate da carnefici e
vittime nell’ambito della Commissione Pace
e Riconciliazione dell’Onu. Il risultato di questo lavoro è Sometimes in April (2005), che è
stato proiettato in prima mondiale allo stadio
di Kigali al cospetto di un pubblico di 30.000
persone che gli hanno tributato un grande
consenso. Purtroppo il film non è reperibile in
italiano, ma solo con sottotitoli in varie altre
lingue8.
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In Italia ha avuto una certa diffusione, invece, Hotel Rwanda, dell’irlandese Terry
George9. Si tratta di un film che può sicuramente essere utilizzato per accendere l’interesse verso una tematica di così forte rilievo e che fornisce anche degli utili elementi di contestualizzazione, ma nell’ambito di una concezione narrativa spettacolare
di impianto hollywoodiano che rischia di relegare sullo sfondo la complessità della vicenda storica.
Sul tema del genocidio ruandese sono d’altra parte reperibili in Italia degli altri lavori,
che tengono, però, la tematica storica sullo
sfondo per centrare la narrazione su altri
contenuti ad essa connessi. È questo il caso
di Munyurangabo (2007), del coreano Lee
Isaac Chung, interamente girato in Ruanda,
e del pluripremiato cortometraggio Waramutsého! (2009) del camerunese Auguste
Bernard Kouemo Yanghu10.
ne, resiste la testimonianza dei burkinabé,
nella cui memoria l’immagine del presidente
si conserva assolutamente viva e idealizzata
(a dispetto della permanenza sull’attuale
seggio presidenziale di colui che viene indicato come il più probabile mandante del suo
assassinio).
Il documentario è rinvenibile con sottotitoli in
varie lingue; per informazioni sulla possibilità di reperimento della versione in italiano
suggeriamo di contattare l’organizzazione
del Festival del cinema africano di Verona11.
Per ripercorrere visivamente alcune tappe
della storia recente dell’Africa un ulteriore
documentario è African lens, di Shravan
Vidyarthi. Il regista realizza il proprio lavoro
utilizzando le immagini fotografiche di un
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Confidando nella distribuzione...
Sospesi nel limbo della distribuzione sono
due altri documentari che ci sentiamo di segnalare in quanto di forte pertinenza per la
didattica della storia, auspicandoci che la
procedura per la loro reperibilità in Italia sia
terminata al momento dell’uscita di questo
articolo.
Il primo è il documentario Thomas Sankara.
L’homme integre (2007), che ripercorre i
quattro anni di governo del presidente del
Burkina Faso fino al suo assassinio nel 1987.
In questo caso la regia è del belga Robin
Shuffield, cui si deve il tentativo di imporre
all’attenzione una figura di assoluto rilievo
per la storia dell’Africa che è generalmente
assente dal sistema dei riferimenti storici
dei nostri manuali scolastici. L’indagine ha
portato il regista a rinvenire negli archivi
francesi materiali rimasti emblematicamente intonsi, incellofanati sotto la polvere del
tempo e confinati nell’oblio dell’insignificanza, salvatisi, quindi – si potrebbe affermare – più per esito di una rimozione che per
vera e propria cura conservativa, mentre
molto altro materiale risulta essere stato distrutto. A fronte di questa sorta di dispersio-
9. Distribuz.: Cecchi Gori.
10. Per entrambi: http://
www.coeweb.org
11. [email protected]
Thomas Sankara. L’homme integre
Il documentario è stato costruito recuperando
immagini di repertorio, testimonianze, estratti
di discorsi ufficiali e ci fornisce un ritratto di
Sankara relativo ai 4 anni di quella Presidenza
che ha fatto seguito alla rivoluzione del 1983 e
che si è tragicamente conclusa il 15 ottobre 1987
con la morte/uccisione del suo eminente propugnatore. Estratti di discorsi rivelano la sua visione del governo e delle relazioni internazionali ed
evidenziano l’insieme di idee che lo hanno mitizzato nella coscienza di molti [ImmaginAfrica
2007, catalogo].
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Moderni griot
Per quanto riguarda, infine, l’ultima questione cui abbiamo accennato nella parte iniziale di questo scritto e relativa alla problematica storiografico-epistemologica, indichiamo la reperibilità in Italia di un lavoro di Dani
Kouyaté, Keïta! L’heritage du griot (1994): il
film mette in scena il rapporto fra un anziano
griot ed un ragazzino, il quale scopre la storia della propria terra attraverso i racconti
del vecchio.
Il griot è la figura che, per antonomasia, rappresenta la continuità della tradizione, la biblioteca vivente della società, la sua memoria storica. Dani (1961), regista del film, figlio
African lens
Il regista coniuga una biografia individuale fino
ad oggi rimasta sconosciuta – quella del fotografo indo-kenyota Priya Ramrakha – con le
“biografie” dei paesi africani nel periodo cruciale dell’indipendenza e del post-indipendenza: il
Kenya con la figura del futuro presidente Jomo
Kenyatta e l’inquietante vicenda della rivolta
dei Mau Mau, il Congo con la carismatica figura
di Patrice Lumumba, ma anche la Rhodesia/Zimbabwe, lo Yemen... fino al tragico finale della
morte in Nigeria mentre sta realizzando un reportage in occasione della guerra civile del Biafra [ImmaginAfrica 2008, catalogo].
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12. http://www.priyafoun
dation.org; [email protected]
noto reporter indo-kenyota rimasto ucciso
nel corso della guerra del Biafra durante lo
svolgimento del proprio lavoro. Anche il regista ha origini indiane, testimoniate dal suo
stesso nome, ma è nato e cresciuto a Nairobi,
in Kenya, dove esercita la professione di
giornalista e dove risiede una nutrita comunità di indiani, giunti al seguito degli inglesi
per la costruzione della rete ferroviaria. Il documentario, bello per le immagini, è particolarmente utile per dare spessore visivo a luoghi e persone che hanno intessuto la storia
dell’Africa del XX secolo.
Per la reperibilità di African lens rinviamo al
sito ufficiale del film e suggeriamo di contattare l’organizzazione del Festival del cinema
africano di Verona per l’eventuale reperibilità della versione in italiano12.
Keïta! L’heritage du griot
L’eredità del griot, ovvero l’importanza della tradizione orale per la trasmissione della cultura e
della storia dei popoli africani. Il griot, depositario di questo immenso potere, è rappresentato
nel film dall’anziano Djeliba, che lascia un giorno il villaggio, per recarsi in città ad iniziare il
giovane Mabo alla conoscenza di sé attraverso
la storia dei suoi antenati. I racconti di Djeliba
sono avvincenti e carichi di magia al punto che
Mabo comincia a trascurare la scuola. Intessuta
nel film vi è la storia mitica di Soundiata Keïta,
fondatore dell’impero mandingo.
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del volto più conosciuto della cinematografia africana, Sotigui Kouyaté (1936-2010), è il
primogenito dell’ultima discendenza di una
delle più note famiglie di griot dell’Africa
sub-sahariana. “Griot moderno”, come il padre ha scelto di appropriarsi degli strumenti
di comunicazione del mondo occidentale per
continuare nella tradizione ereditata. La figura del griot, come lui stesso afferma, attraversa, infatti, un momento di particolare difficoltà: radio, televisione, stampa, ne stanno
occupando gli spazi e, per le nuove generazioni, il suo ruolo si sta svuotando di senso;
cinema e teatro divengono, allora, gli stru-
menti per recuperare la possibilità stessa
della trasmissione. «Il cinema è il mio lavoro,
il teatro il mio piacere», afferma il regista, solo che il teatro (il buon teatro) sembra ancor
più difficile da realizzare in un’Africa che,
mancando dei necessari mezzi di sussistenza, non riesce ad investire sulla cultura; il cinema di conseguenza, dice il regista, «per
me non è un divertimento, è un’arma» per difendersi dall’aggressione delle immagini
che arrivano in Africa da ovunque e per continuare ad esistere come cultura.
Keïta! L’heritage du griot è reperibile in Italia13.
13. http://www.saverianibrescia.com
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