napolitano firma lo scudo 81821 firme dicono no

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napolitano firma lo scudo 81821 firme dicono no
Il direttore del Tg1 ha dato una lezione di giornalismo a
tutti i giornalisti che danno le notizie che lui non dà.
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www.ilfattoquotidiano.it
SANGUE E CEMENTO
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€ 1,20 – Arretrati: € 2,00
Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46)
Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
Domenica 4 ottobre 2009 – Anno 1 – n° 11
Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma
tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
NAPOLITANO FIRMA LO SCUDO
81821 FIRME DICONO NO “É
Il presidente:”Tanto lo avrebbero ripresentato”
DIVERSAMENTE
CONCORDI
di Marco Travaglio
Presidente ci dispiace
di Antonio
Padellaro
dc
aro Presidente Napolitano. Ieri, in
Basilicata, un cittadino le ha rispettosamente chiesto di non firmare il
decreto che con il pretesto del rimpatrio dei capitali condona montagne di
reati. Lei ha risposto che se anche avesse
respinto quel condono, il governo l'avrebbe ripresentato lo stesso. Ci ha colpito la forza del tono oltre che, naturalmente, la sostanza, pesante, delle parole.
Un segno, forse, di tensione. Come a dire: il decreto è quello che è ma non chiedetemi di fare ciò che i poteri non mi
consentono. Quasi che parlando alla singola persona, lei si fosse rivolto a quella
parte del Paese che ha sempre creduto
nella legge che persegue i reati. E che
adesso non può accettare che il reato diventi legge. Tra quei tanti che le hanno
chiesto di non firmare ci sono anche gli
81821 cittadini italiani che hanno sottoscritto l'appello a lei rivolto dalle colonne di questo giornale da Bruno Tinti e
condiviso da autorevoli giuristi. C’era
scritto: lo scudo che permette agli evasori di rimpatriare i capitali nascosti
all’estero nei paradisi fiscali, spingerà
l’Italia ancora più in fondo nel precipizio
di illegalità e di immoralità che ci sta separando dai Paesi civili. Quelle 81821 firme trasmesse venerdi via mail agli uffici
del Quirinale non hanno meritato, però,
alcun cenno di risposta. Ce ne dispiace.
Non pensiamo a un silenzio infastidito
poiché ben conosciamo la considerazione con cui ha sempre guardato alla libera
informazione, la stessa che in queste ore
manifesta a difesa della sua autonomia
minacciata.
Siamo sicuri che lei saprà trovare il modo
per non fare sentire ancora più sole quelle persone che a lei si sono rivolte e a lei
guardano con fiducia. Quella stessa solitudine che hanno avvertito dopo l'approvazione del cosiddetto lodo Alfanoche solleva dai processi le quattro più
alte cariche dello Stato. Protezione di cui
il presidente della Camera Gianfranco Fini ha deciso di non avvalersi nella causa
intentatagli dal magistrato Woodcock
(che ha ritirato la querela) e che, tra pochi giorni potrebbe essere dichiarata incostituzionale dai giudici della Consulta.
Solitudine che, immaginiamo, accompagni le decisioni della più alta carica dello
Stato davanti a un governo protervo.
Pronto, come ci ha detto, a rispedirle sulla scrivania la stessa legge vergogna che
lei avesse eventualmente respinto. Frase,
riteniamo, più dura da pronunciare che
da ascoltare.
C
É legge il condono
voluto da
Tremonti sul
rimpatrio dei
capitali nascosti
all’estero
I grandi evasori
ringraziano
Grande adesione
all’appello
del Fatto
Feltri pag. 6 z
Udi Furio Colombo
Udi Massimo Fini
LA FINE
RIDARE
DEL
LA VISTA
PARLAMENTO AI CIECHI
hi vive dentro o vicino
alle istituzioni vede
per forza quello che sta
accadendo. È finita la
repubblica
parlamentare.
Camera e Senato sono luoghi
di confronto e di scontro,
due strani club in cui nessupag. 5 z
no è titolare.
C
er resuscitare un morto a
Cristo fu sufficiente dire:
"Lazzaro, alzati e cammina". Per ridare la vista a un
cieco dovette farne di tutti i colori: sputò per terra, impastò la
sua santa saliva col fango, spalmò questo impasto sugli occhi
pag. 13 z
del cieco.
P
LA STAMPA RIFIUTA IL BAVAGLIO
Un momento della grande manifestazione di ieri a piazza del Popolo a Roma (FOTO EMBLEMA)
LODO MONDADORI x A De Benedetti 750 milioni dalla Fininvest
B. deve restituire il maltolto
a Finininvest dovrà pagare alla Cir di
Carlo De Bendetti 750 milioni di euro.
Lo stabilisce la sentenza depositata ieri
al tribunale di Milano che condanna la
società di Berlusconi a risarcire il danno causato dalla “corruzione giudiziaria” del lodo
Mondadori.
Gomez e Lillo pag. 9 z
L
in libreria
Daniel Borrillo
Omofobia
Storia e critica di un pregiudizio
postfazione di Stefano Fabeni
CATTIVERIE
Tremonti sullo scudo fiscale: “Non credo
che la criminalità si servirà di questo
str umento”. Sarebbero disonesti.
(www.spinoza.it)
Un’analisi critica dell’omofobia. Un libro che
ci obbliga a prendere posizione in un dibattito politico oggi più che mai di attualità.
www.edizionidedalo.it
imperdonabile, ci vuole il pugno di
ferro”, tuona Antonello Soro,
capogruppo dell’Armata Brancaleone
che si fa chiamare Pd. Il pugno
dovrebbe darselo da solo, visto che il compito di un
capogruppo è quello di tenere unito il gruppo. Ma
l’altro giorno il gruppo non c’era, salvando Al
Tappone e il suo scudo salvamafia (prontamente
firmato da Giorgio Ponzio Pelato alla velocità della
luce). Delle due l’una: a) Soro si dimette per palese
inadeguatezza; b) quella sullo scudo salvamafia era
considerata una votazione fra le tante. Ma Soro non
si dimette, anzi definisce “fisiologico” il tasso di
assenteismo dell’altro giorno e se la prende con un
tal Gaglioni che è un po’ come Pasquale Zambuto di
“Alto gradimento”: non conta nulla. Ecco, tutta
colpa di Zambuto. Dunque non resta che l’opzione
B. A meno che lo facciano apposta. Come dice
Gianni Vattimo, “o lo fanno gratis e sono coglioni, o
lo fanno a pagamento e sono mascalzoni”. E non si
sa cosa sia peggio. Se l’altro giorno, anziché
accampare scuse da Asilo Mariuccia (“e morta mia
zia”) o certificati medici alla Totò (“quest’anno c’è
stata una grande morìa delle vacche, come voi ben
sapete”), se ne fosse alzato uno a dire: “non potevo
votare perché stavo esportando capitali all’estero”,
avrebbe almeno meritato una stretta di mano per la
sincerità. Invece si son dati tutti malati, vista
l’improvvisa pandemia che ha colpito le truppe
dacchè si vota lo scudo.
Malata la Marianna Madia, così giovane e già così
cagionevole. Argentin dal medico, come pure
Misiti (Idv): devono avere lo stesso dottore, che
riceve solo quando si vota lo scudo. Carra bloccato
da un intervento al rene, ma per fortuna l’illustre
infermo s’è prontamente ripreso, riuscendo
addirittura ad aggiornare il suo blog per farcelo
sapere. Fioroni, segnalato contemporaneamente a
un convegno a Torino e presso il medico a Roma, è
ubiquo. Esclusi gl’impegni parlamentari. Secondo
La Stampa, “da febbraio deve evitare di stare troppo
seduto”: l’idea di dimettersi per curarsi, evitando
effetti collaterali sulla collettività, non lo sfiora. Un
altro stava benissimo, ma faceva la badante al
fratello. La Binetti concionava alla festa per i 150
anni della Croce Rossa, ricorrenza che càpita una
volta sola: “sono professoressa di medicina - spiega
lei – non potevo mancare”, ma è “dispiaciutissima”.
La Melandri è “in missione a Madrid per conto del
Pd” con tal Pistelli: forse imparano dagli spagnoli
come si fa l’opposizione. E’ della comitiva pure la
Lanzillotta, non si sa se per conto di Dio (come i
Blues Brothers) o di se stessa, comunque molto
impegnata a sparacchiare su Annozero. “Non dico
che la cosa non mi turbi”, dichiara contrita la Linda,
“ma noi tre non siamo mica a spasso”. Vero: volete
mettere la Global Progress Conference della
Fundaciòn Ideas? Da Madrid avevano fatto sapere
che, senza le ideas del trio
Melandri-Pistelli-Lanzillotta, annullavano tutto.
Nulla di nuovo sotto il sole: non è la prima volta
che questi onorevoli granturismo che sarebbero
strapagati per stare in Parlamento e invece nei
momenti decisivi fanno tutt’altro, salvano la ghirba
al Cainano. Sono la sua assicurazione sulla vita.
Sotto il Berlusconi-2, quasi tutte le leggi vergogna
potevano andare a picco sulla pregiudiziale di
costituzionalità, ma passavano regolarmente
perché i vuoti nella Cdl erano sempre compensati
dalle voragini nel centrosinistra. Viceversa, quando
governava Prodi con due soli voti in più al Senato, il
centrodestra era sempre presente in forze, e se il
governo durò quasi due anni fu perchè Ciampi,
Scalfaro, Franca Rame e Rita Levi Montalcini – età
media 90 anni – non mancarono mai una
votazione, rischiando le piaghe da decubito e
attirandosi gl’insulti quotidiani dei vari Schifani.
Gente seria, d’altri tempi. Per quelli del Pd (per
non parlare dell’Udc), il termine “oppositori” è un
po’ forte. Chiamiamoli, come dice Ellekappa,
“diversamente concordi”.
pagina 2
Domenica 4 ottobre 2009
Enti e sindacati:
chi c’era
e chi mancava
D
GIORNALISTI E REGIME
a Articolo 21 all’Unione della
Stampa cattolica; dalla Cgil alle Acli;
dalla Tavola della Pace alla
presidente della Provincia de L’Aquila, Stefania
Pezzopane. Sono state migliaia le adesioni di
associazioni, enti, sindacati e singoli cittadini alla
manifestazione di ieri in piazza del Popolo. Sul
sito della Federazione della Stampa, nelle scorse
settimane, le firme si sono moltiplicate. Sono
comparsi tutti i partiti del centrosinistra (Pd,
Italia dei Valori, Rifondazione Comunista,
Sinistra e libertà), la Cgil, moltissimi comitati di
redazione (la rappresentanza sindacale interna,
ndr), compresi quelli dei cattolici Avvenire e
Famiglia Cristiana o quelli delle reti Mediaset, la
Rete degli Studenti medi e l’Unione degli
Universitari, i partigiani della F.I.A.P., le Donne
contro il razzismo. Impossibile elencarli tutti. Ma
c’è anche chi si è dissociato dalla piazza: è il caso
dell’associazione Lettera 22, che l’ha definita una
manifestazione “con fini di propaganda politica”.
Mancava anche Marco Pannella: “Quelli che
hanno manifestato sono gli stessi contro i quali
ho combattuto per 40 anni”.
Piazza del Popolo
invasa
dai farabutti
IN 300MILA SECONDO GLI ORGANIZZATORI
di Silvia
D’Onghia
a piazza si comincia a
riempire già intorno alle
14,30, quando arrivano i
primi pullman dal nord
Italia. Ai lati, gli stand di molti
quotidiani, dell’associazione
Articolo 21, di Emergency, di
Libertà e Giustizia. E naturalmente quello della padrona di
casa, la Federazione nazionale della Stampa, che ieri è riuscita a riempire piazza del Popolo, a Roma, con una manifestazione a difesa della libertà dell’informazione. Almeno
300 mila persone, secondo gli
organizzatori, forse qualcuno
in meno, diciamo noi, ma fatto sta che da anni non si vedeva una delle piazze più belle di Roma così gremita.
L
Sul palco
l’Fnsi
attori
cantanti
ma niente
politici
Un’iniziativa, originariamente programmata per il 19 settembre, poi rinviata a causa
dell’attentato a Kabul, che ha
visto l’adesione di comitati di
redazione, associazioni, partiti del centrosinistra e singoli
cittadini. C’è chi arriva da Milano, perchè “essere in piazza
è un dovere civico”, chi dalle
Marche, perchè “un presidente del Consiglio non può mettere il bavaglio all’opinione
pubblica”. Ci sono signori anziani (qualcuno si è anche
portato la sedia da casa), ma
ci sono anche tantissimi ragazzi. Come Lorenzo, che a
14 anni legge i giornali su Internet, perchè “guardando
solo i telegiornali non si capisce come va il mondo”. Ci
sono anche personaggi del
mondo della cultura e dello
spettacolo, come l’attrice Stefania Sandrelli, “emozionata
ma orgogliosa di manifestare
per la libertà di stampa, prima
che sia troppo tardi”. Ovunque, bandiere, palloncini e
striscioni, cartelli indirizzati
al premier Berlusconi, come
quello sul pancione di Monica: “Ora denuncia anche me”.
O i tanti che ricordano la Loggia P2.
Dal palco, poco dopo le
15,30, parte la musica dell’Orchestra di piazza Vittorio. Poi,
prende la parola il segretario
dell’Fnsi Franco Siddi, che
ringrazia prima di tutto la
Cgil, presente anche Gugliel-
di Carlo Tecce
TG4 LIVE
LIBERTÀ
SECONDO FEDE
milio Fede è così sensibile al tema che alle 4 del
pomeriggio ha trasmesso una diretta sulla
manifestazione per la libertà d’informazione. In
studio il pensiero liberale di Piero Ostellino, in
collegamento dalla piazza (e non dal salotto di
Bruno Vespa) Piero Sansonetti, direttore de l’
“Altro”. A Roma erano in 300 mila a protestare per
il bavaglio, per le televisioni che da sei mesi ignorano
gli scandali di Palazzo, per le querele di Silvio
Berlusconi contro i quotidiani non schierati a destra
o non di sua proprietà. Dallo studio del Tg 4,
notoriamente imparziale, Fede ci mostrava donne
fresche di parrucchiere e distinti signori in cravatta
che rispondevano perplessi, a volte stupiti o
infastiditi, alle domande degli inviati d’assalto: “Ma
come, abbiamo tanti giornali, tante televisioni.
Perché si lamentano?”. Niente di falso, soltanto la
negazione della realtà. Chapeau, in materia Fede è
un maestro.
E
mo Epifani. Dalla piazza piovono fischi, invece, quando
vengono nominate Cisl e Uil,
che hanno deciso di non aderire; ma tra le migliaia di persone sventolano anche le loro
bandiere. “I giornalisti non
vogliono e non cercano nemici -ha detto Siddi dal palco- gli
unici nemici sono quelli che
attentano alla libertà. Berlusconi ritiri il ddl Alfano sulle
intercettazioni e le cause temerarie intentate contro i
giornalisti”.
“Una libera informazione è il presupposto per una società libera -gli ha fatto eco
il presidente emerito della Corte Costituzionale
Valerio
Onida- il cittadino
meno informato, o
scorrettamente informato, è meno libero”.
Piazza del Popolo si
riempie nuovamente di fischi quando
viene nominato il direttore de Il Giornale
Vittorio Feltri.
Nel backstage c’è
In alto una immagine della piazza
concitazione, parte
al centro Saviano
anche qualche spin-
tone: la scorta di Roberto Saviano non permette ai colleghi di avvicinarsi troppo. Ma
quando Saviano sale sul palco, un boato si leva dalla folla:
“In Italia non vengono chiusi i
giornali dalla polizia politica
nè vengono arrestati i giornalisti, ma non siamo liberi di
raccontare senza temere ritorsioni. L’economia criminale viene vista come un problema marginale per il paese,
nessuno si appassiona a questi temi. E scrivere di mafie
diventa sempre più difficile.
La libertà di espressione dovrebbe essere un fondamento
del dibattito politico, non un
risultato”. “Verità e potere
non coincidono mai”, conclude Saviano tra gli applausi.
E poi ancora musica, con Teresa De Sio, Simone Cristicchi, Marina Rei. Intorno a
piazza del Popolo, il traffico è
impazzito: nessuno ha previsto deviazioni o chiusura delle strade, forse nessuno si
aspettava una partecipazione
così alta. Che cresce ancora
quando in piazza giunge anche una parte del corteo dei
precari della scuola e dell’università, che decidono di fare
un cordone per consentire il
deflusso ai lati. “Siamo pronti
allo sciopero per difendere
Annozero”, assicura dal palco
l’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai. “Siamo in un regime di libertà vigilata”, annuncia l’attore Neri Marcorè, che
legge un brano di de Tocqueville. E Jasmine Trinca riporta
le parole di Anna Politkovskaja. “La stampa non può essere
lo zerbino del potere”, scrive
il direttore di Famiglia Cristiana
Don Sciortino, in un messaggio letto dal palco. “Siamo tutti farabutti”, gridano le persone in piazza, mentre la sera
cala su Roma. Lo stesso slogan
urlato dalle oltre mille persone che si sono ritrovate in
piazza dei Mercanti, a Milano,
per un sit in spontaneo.
ANDREA CAMILLERI
“IL PD? CAVALIERI INESISTENTI”
di Stefano Ferrante
personaggi del centrosinistra? Vi“I
sconti dimezzati quando hanno assunto la leadership, cavalieri inesistenti
quando sono riusciti a raggiungere il potere”.
Non può stupire che parlando di politica
Andrea Camilleri torni sempre e comunque ai libri. Così ricorre a Italo Calvino
per tracciare il suo ritratto dei capi mancati dell’attuale opposizione.
Ma a quali personaggi possono essere
paragonati , Prodi, D’Alema, Veltroni, Rutelli, Fassino, Cofferati?
“Come soggetti letterari sarebbero impresentabili. E poi il destino dei protagonisti dei romanzi è tutto nelle mani
dell’autore, il destino dei politici dipende dall’elettorato e soprattutto da loro
stessi. Però mi sembra giusto il riferimento al protagonista de Il rosso e il nero, Julien
Sorel (all’interno del libro “Il fantasma
del leader” di Alessandra Sardoni, ndr)
perduto nel suo sogno bonapartista di
scalare il potere, un sogno continuamente contraddetto e disdetto. Sono tutte
sfaccettature di Julien, perché prima ancora di dover combattere contro gli avversari politici o i concorrenti nel partito
sembrano dover combattere a priori contro se stessi, contro le loro contraddizioni. E’ una specie di peccato originale”.
Insomma non ce la fanno perché non
sanno chi sono?
“ Per quelli che vengono dal partito che
aveva un pater familias duro e severo in cui
tutti si riconoscevano, la perdita del padre e la sua damnatio memoriae hanno prodotto una repellenza viscerale per quel
modello. Hanno insomma rinnegato i padri. E così sono leader dimezzati sin
dall’inizio”.
Un problema di crisi d’identità…
“Guardi, mi viene in mente una vignetta
del New Yorker che mostra un paziente disteso sul lettino e lo psicoanalista che
con un’espressione di contentezza sul
volto gli dice: ‘Ho da darle una buona notizia. Lei non ha nessun complesso d’inferiorità lei è realmente inferiore’. Difficile essere in crisi d’identità quando non
si ha un’identità”.
Ma se non sanno più da dove vengono
sapranno almeno dove vanno…
“E invece no. E questo vale sia per quelli
che vengono dal centro che per quelli
che vengono dalla sinistra. Sono in mezzo al guado. Hanno lasciato una sponda
che aveva tratti precisi e tentano di raggiungere la sponda opposta che nella
realtà non esiste perché essi stessi ne devono definire l’aspetto, devono crearselo, via via che si avvicinano”.
Un po’ frustrante…
“Sì perché il procedere dei guadanti non
è mai stato omogeneo. Quelli che sono
stati di volta in volta i capofila hanno avuto idee diverse sul percorso. E il risultato
è stato ritardare il viaggio con continue
deviazioni, ritorni indietro, ripensamenti, soste. E poi c’è un’altra questione…”
Cioè?
“ Una volta i capi carismatici nei grandi
comizi riuscivano a sintonizzarsi perfettamente col respiro di milioni di seguaci.
Seducevano più che per l’ideologia per
una granitica autoconvinzione, che era
cieca passione. Oggi invece si è sostituita
la passione politica con la ragione politica, ma la ragione non corroborata dalla
passione non è altro che l’esercizio del
dubbio. E il dubbio si riflette nella capacità di comunicare, diminuita, in un era
in cui i media si moltiplicano. E hanno
capito troppo tardi l’importanza della
Tv…
Del congresso del Pd che idea si è fatto? Uscirà fuori un vero leader?
“Alla fine la polemica interna finirà col
danneggiare tutti e tre. Rivolgersi al concorrente dello stesso partito come se si
fosse in campagna elettorale è uno sbaglio, che indebolisce la leadership”.
Ma il centrosinistra ha bisogno di un
leader carismatico per battere Berlusconi…
“Certe notti sogno il capo carismatico,
certe altre ne ho una paura fottuta. Ma c’è
un’altra domanda che mi frulla in testa in
questi giorni visto quello che è successo
in parlamento sullo scudo fiscale”.
Quale?
“Ma c’è davvero la volontà politica di far
cadere Berlusconi oppure no, magari
perché non si sa cosa viene dopo? Credo
che più che l’opposizione Berlusconi
debba temere l’elettorato. E se stesso”.
Domenica 4 ottobre 2009
pagina 3
Onida inneggia a Feltri
E Santoro e Travaglio
se ne vanno via
S
GIORNALISTI E REGIME
ono lì anche per la loro libertà. La
squadra di Annozero al completo
scende dal lato destro di piazza del
Popolo, dal vialone di Villa Borghese. La gente
riconosce Michele Santoro, Marco Travaglio e
Vauro, si apre un varco all’improvviso e i tre
passano in mezzo alla folla: applausi, foto con i
bambini, autografi. Giovanna studia
Giurisprudenza, viene da Crotone, dieci ore di
pullman: “Resistere, resistere, vi prego non
fatevi zittire, fate capire agli italiani da chi siamo
governati”. Gli autori e i redattori di Annozero
sono dietro al palco, si aspettano un’altra
settimana di passione per la puntata di giovedì
prossimo che parlerà di mafia e politici, della
stagione delle stragi e della trattativa con lo
Stato. Potrebbe intervenire Massimo
Ciancimino, figlio di Vito, il sindaco di Palermo
condannato per mafia e morto nel 2002. E
intanto la festa continua, fin quando l’ex giudice
costituzionale Valerio Onida elogia Vittorio
Feltri. Proprio ieri che il Giornale titolava:
“Chiudete Annozero e che sia finita”. Troppo.
Santoro, Travaglio e Vauro se ne vanno.
ARRABBIATI & SORRIDENTI
Aclisti, comunisti, interisti-leninisti, piddini, fan di Belushi
E anche l’Udc: da secoli l’opposizione non si ritrovava unita
di Luca Telese
re amiche, Grazia, Mariella e Patrizia, sono venute
insieme, dalla Toscana.
Tutte e tre con una cerniera da lampo rossa stretta davanti alla bocca. E raccontano: “Ci
siamo chieste: ma noi, come ci
sentiamo oggi? Ci siamo risposte: imbavagliate. Bene, eccoci
qua”. E' la prima foto che ho
scattato, con il telefonino, e la
trovate qui al lato. Due ragazzi
di Roma, invece, si sono appesi
dei cartelli al collo: “Utilizzatore finale” lui, “letteronza” lei.
Ridono: “Abbiamo voluto rispettare la divisione dei ruoli
della nuova Italia...”. Cristina,
da Vasto, si è disegnata un cartello: “Tutti, tutti/ Siamo tutti
farabutti”, e lei – invece - non
ride affatto: “Lo vorrei dare in
testa a chi so io...”.. C'era molto
bricolage, molta fantasia, ieri
T
Un’immagine di ieri in piazza ()
SCUOLA
I PRECARI SI RITROVANO
IN PIAZZA, MA SENZA ONDA
di Marina
Boscaino
che punto siamo con il precariato
scolastico non lo dice solo la grande
manifestazione di ieri, che ha visto sfilare il mondo della scuola democratica
per le strade di Roma. Lo dice la situazione di mobilitazione più o meno continua che ha caratterizzato queste prime
settimane di scuola. Lo dicono i presìdi
ostinati, nonostante i riflettori dei media
si siano già spenti, annoiati, su questa
vicenda. L'anno scorso di questi tempi
avvenivano le prove tecniche di trasmissione dell'Onda, che sarebbero sfociate
nelle straordinarie, vulcaniche manifestazioni del 30 ottobre. L'anno scorso,
però, i tagli erano annunci, tristi promesse. Si protestava contro uno scellerato progetto di distruzione programmatica della scuola pubblica. Quest'anno
quei tagli hanno il volto di donne e uomini e toccano la loro vita. Spesso non
sono volti giovanissimi: l'età media di un
precario della scuola è oggi 41 anni.
Ma sono i volti di un mondo che sta
perdendo progressivamente capacità di
indignarsi e di esercitare vigilanza sui
diritti collettivi.
Perché i precari saranno coloro che pagheranno di più gli 8 miliardi di tagli
(che si stanno traducendo anche nell'eliminazione di 140.000 posti di lavoro,
di cui 80.000 docenti e 40.000 del personale Tecnico-Ausiliario) inflitti dai
promotori dello scudo fiscale a chi dovrebbe essere paradossalmente (il sense
of humor di chi ci governa non ha mai
fine!) uno dei beneficiari dell'ignobile
provvedimento tradotto in legge qualche giorno fa: la scuola dello Stato.
Ciò che sta accadendo ai precari non
significa solo relegare definitivamente
esistenze individuali nell'incertezza del
diritto; non significa solo umiliarle con
la messinscena demagogica dei contratti
A
di solidarietà (una sorta di graduatoria
nelle graduatorie per chi si spartirà le
briciole); non significa solo indebolire
ulteriormente una categoria già vessata
da stipendi da fame e incertezza esistenziale (iniziare a lavorare, quando va bene, a ottobre; e finire – quando va meglio
– con gli scrutini estivi o alla chiusura
dell'anno scolastico).
iò che sta accadendo ai precari è anCquesto
che il senso di una manovra sottile di
governo: l'innesco di guerre tra
poveri. Come fare fuori i precari lo stanno spiegando, infatti, tutte quelle scuole
che, costrette da necessità economiche
e rette da dirigenti più realisti del re,
attribuiscono segmenti (in gergo "spezzoni") di cattedre – tradizionalmente assegnati ai supplenti – a personale interno docente di ruolo, che andrà a svolgere un numero di ore superiore a quelle
previste dal contratto e a rendere possibile l'espulsione degli altri. Ciò che sta
accadendo ai precari, infine, è il senso di
un attacco violentissimo al diritto allo
studio.
Perché comporta conseguenze gravissime (diminuzione degli insegnanti di sostegno; impossibilità per le scuole di
convogliare risorse umane su attività
che le rendono presidio di educazione
alla cittadinanza; e, infine, incapacità di
istituire l'insegnamento alternativo alla
religione cattolica, previsto dalla legge,
ma ormai impossibile da attuare, con
gravissima lesioni dei diritti fondamentali della persona) coniugandosi con altri provvedimenti, come l'aumento del
rapporto docente/alunni – previsto nella Finanziaria – che, oltre a rendere le
classi sempre più numerose, viola in
moltissimi casi qualunque norma di sicurezza, in scuole che – come è stato
evidenziato in un recentissimo studio –
sono tutt'altro che a norma.
in piazza (e, scusate l'orgoglio,
moltissime copie de Il Fatto).
Leader marcati a uomo. Ci
sono tanti modi in cui puoi raccontare una manifestazione,
ma c'è sempre un segno, un ricordo nitido che ti resta impresso nel taccuino e nella memoria. Di questa piazza, tutti
quelli che ci sono stati ricorderanno che non se ne usciva più.
Tutti pigiati come sardine, tutti
incastonati in piazza del Popolo, sudori, cappellini, striscioni bandiere, e persino palloncini: quelli dell'Arci, quelli della Cgil, quelli de l'Unità.... E poi
i gazebo, le bandiere, gli “interisti leninisti” (giuro, esistono
davvero, con tanto di gagliardetto), le bandiere delle Acli,
Sinistra e libertà, i Blues Brothers (con un vaffa anti-Cavaliere attribuito a Belushi) il Partito Comunista dei Lavoratori
di Marco Ferrando, i sindacalisti della Cisl (che temerariamente sono venuti anche se il
loro sindacato non ha aderito),
tantissime bandiere dell'Udc,
del Pdci, di Rifondazione, e anche la falce e martello nel quadrato di Marco Rizzo. C'erano
proprio tutti, e tutte le vie di
uscita erano intasate: un muro
umano sbarra via del Corso, un
vortice turbina in direzione
piazzale Flaminio e verso il fiume i vigili hanno dovuto transennare perché la marea umana straripava sul Lungotevere.
Cose mai viste, così come i muraglioni stipati di arrampicatori temerari, che hanno rischiato pur di avere un posto con vista sul palco. “Rob-berto!
Rob-berto!”, boato assordante
quando Andrea Vianello fa capire che Roberto Saviano sta
per materializzarsi sul palco.
Gaia, di quattro anni, sulle spalle della madre. Prima manifestazione? “Ma che dice? E' in
piazza contro Berlusconi da
quando è nata!”.
“In parlamento votate”.
Quando Pierluigi Bersani la attraversa, questa muraglia umana incandescente, si becca anche qualche tirata d'orecchie:
“Andate a votare in Parlamento!”. Sull'altro lato, pochi minuti dopo, Dario Franceschini
(che malgrado l'apripista della
vigilanza non riesce ad uscire)
esclama costernato: “Hai capito? Siamo finiti in mezzo ai precari della scuola!” (Già, perché
c'erano pure loro: hanno finito
il loro corteo e sono venuti ad
aggiungersi, con le loro bandiere viola). Walter Veltroni fa
capire di sentirsi anche lui arrabbiato: “Molta gente qui pensa che le assenze in aula siano
state gravi? Bene, anche io sono tra loro”.
“Indignati con i nostri”. Ma
quanti sono in tutto? Centomila, o trecentomila, poco importa: l'unica cosa certa è che erano stipati come sardine, non
accadeva da secoli. La seconda
cosa che non si scorda facilmente è questo strano stato
d'animo che attraversa il corteo: un po' scanzonato, un po' furibondo. Come
un ruggito sotto
la pelle, una tensione comune.
Chiedo a due signori
anziani
molto teneri (i capelli bianchi, entrambi con il bastone, i giornali
sotto
braccio)
che si tengono
per mano, in bilico sul cornicione. Come vi sentite? E i due – Paola ex insegnante, e Mauro, ex dirigente d'azienda – all'unisono rispondono: “Noi siamo incazzatissimi,
grazie”. Sorridono, però. Aldo
e Donatella, dalle Marche, quasi mi placcano: “Scusa, sei de Il
Fatto, no? Scrivilo che siamo indignati con il partito che votiamo! Scrivilo che li vorremmo
votare ancora, ma che devono
finirla con le loro beghe congressuali!”.Massimo D'Alema
arriva senza cravatta. Ironico,
affilato, molto poco inciucista:
“Io credo che questa gente sia
qui per dire qualcosa di chiaro.
Non deve essere il governo a
decidere chi sono gli ospiti dei
talk show. Sono qui perché lo
spazio della libertà in Italia si va
restringendo sempre di più”.
Poi anche lui parla della questione dei parlamentari del Pd
“assenti” in Aula: “Mi spiace,
ma dire che con venti deputati
in più avremmo vinto è una falsità. Abbiamo perso, capita
che anche in Parlamento si finisca per avere cento voti in
meno...”. Però aggiunge: “Sicuramente si pone un problema
di conduzione del gruppo,
questo sì”. Vuol dire che va
cambiato il capogruppo? Occhi spalancati: “Ecco, scrivete:
questo lo ha detto un giornalista. Io ho detto un'altra cosa”.
Abbracci a sorpresa. Anche
sotto il palco c'è un po' di tutto.
Pressato come una sardina anche lui, arriva Roberto Saviano.
Si infila in una roulotte, poi viene scortato da un plotone di
Tra Di Pietro
e De Magistris
abbraccio
nel retropalco
guardie del colpo e di telecamere fin sopra il palco. Sotto, a
sentirlo, c'è tutta la famiglia
Sandrelli: Stefania, Amanda, e il
nipotino. Paolo Ferrero stringe
serafico la mano a Nichi Vendola (vuol dire che è proprio una
giornata epocale), e D'Alema
nega di voler far fuori il presidente della Puglia: “Ma come,
sono cinque anni che lo tengo
su...”. Sarà una magìa? Sarà che
questa piazza riesce ad azzerare le tante guerriglie del centrosinistra? Miracolo. Di sicuro
l'occasione serve a mettere da
parte le voci di guerra fratricida fra Antonio Di Pietro e Luigi
De Magistris. Il tutto accade
molto teatralmente, proprio in
piazza, quando il leader dell'Italia dei valori si mette a gridare: “Giiiigggììì! Giiigggììì! Vietti
a fare la foto!”. Gigi arriva, Di
Pietro lo incravatta con il braccio, si gira verso i fotografi e
sorride: “Siamo amici fraterni”. De Magistris aggiunge:
“Facciamo opposizione insieme, presto governeremo insieme”. Potrebbe essere un slogan buono per tutti quelli che
sono qui. In fondo, a pensarci
bene, è la prima volta che, dai
tempi dell'Unione (da prima
della campagna elettorale che
ha diviso il centrosinistra) una
grande folla variopinta, si è ritrovata nella stessa piazza. Mille anime, mille colori, tanta voglia di cambiare. Stipati come
sardine, sorridenti, ma anche
incazzati neri. Eppure, per un
giorno, felici di essere tornati
insieme.
pagina 4
Domenica 4 ottobre 2009
Con i voti mancanti
l’opposizione avrebbe
fermato lo scudo
P
PD NELLA BUFERA
er ben due volte questa
settimana mentre si votava lo
scudo fiscale, le assenze
nell’opposizione sono state decisive.
Martedì la maggioranza stava per andare
sotto con 267 voti, ma l’opposizione si è
fermata su 215 (dei 279 che aveva sulla
carta). Mancavano 59 del Pd, 8 dell’Udc, 2
dell’Idv. In particolare, all’interno del
Partito democratico spiccavano le assenze
dei leader Bersani e Franceschini,
evidentemente “sovraccarichi” per la
durezza del confronto congressuale.
La scena, però, si è ripetuta venerdì, durante
il voto finale di Montecitorio. Il
provvedimento è passato con 270 voti contro
250. Solo di 20, dunque, lo scarto. Mancavano
25 deputati del Pd, 7 dell’Udc, 1 dell’Idv. In
tutto 13 in più di quanti sarebbero stati
necessari all’opposizione per battere la
maggioranza.
A questo punto Antonello Soro, capogruppo
del Pd a Montecitorio ha annunciato sanzioni
per 11 assenti ingiustificati.
“Dimettetevi tutti”
IL NOSTRO BLOG E LE ASSENZE IN AULA
i proponiamo alcuni dei
commenti dei nostri lettori, piovuti sul nostro
blog (www.antefatto.it)
a seguito della pubblicazione
dei nomi dei deputati dell'opposizione che, con le loro assenze più o meno giustificate, hanno di fatto permesso
allo scudo fiscale di diventare
legge dello Stato. Per ben due
volte di seguito.
Giuseppe Musina
Io mi indigno ancora di più
quando sono quelli di sinistra
a comportarsi in questo modo, perché sono quelli che ho
votato e pretendo che lavorino per bloccare certe vergogne. Chi non ha una giustificazione più che valida per
l'assenza deve dimettersi immediatamente. È ora di finirla
con i soliti giochetti.
M.Santon
Tutti lo avevano affermato.
Lo scudo fiscale era una battaglia di idee sulla legalità e
l'onestà. E queste battaglie si
combattono anche contro i
numeri. Nessuno ricorda più
Enrico Toti? I malati dovevano andare alla Camera anche
con la flebo attaccata. Fosse
V
solo per l'onore di prendere
uno stipendio da parlamentare!
giovanni arixi
Lo scudo fiscale è passato a
colpi di minoranza! Grazie
opposizione!
Fabio
Secondo me c'è un malinteso
di fondo, e vi state tutti scaldando per nulla, non è OPPOSIZIONE, ma 0 POSIZIONE, zero posizione, cioè nessuna posizione! Pensateci,
bastava infatti mantenere la
posizione per non far passare
questa legge. Ma in questo sono stati coerenti.
Daniela
Agli elettori del Pd che criticano la scelta di pubblicare i
nomi dei parlamentari non
presenti in aula, dico solo che
se ci fossero stati tutti e lo scudo fosse passato, per lo meno
avrebbero la coscienza di
aver fatto il loro dovere (rappresentare i loro elettori) e
non di essersi pilatescamente
lavati le mani. Gaber diceva:
"Libertà è partecipazione”. E
io aggiungo che i numeri contano. Smettiamola di fare come gli elettori del Pdl che as-
“La mia tessera del
Pd è sempre più
vicina al bidone”
solvono Berlusconi in ogni
circostanza. Cerchiamo di
avere più dignità e senso critico.
Paulreds
Io non ho veramente parole
per esprimere lo sconcerto e
l'avvilimento. Due volte su
due votazioni l'opposizione
(sic!) non partecipa compatta al voto ed evita così di far
cadere uno schifo di decreto
che viene additato e deriso in
tutto il mondo. L'elenco degli
assenteisti (Camera e Senato)
DEVE essere pubblicato perché ogni elettore sappia chi
c'era e chi no. Lo sconforto
però raddoppia pensando
che con questa Legge elettorale (SIC!) non possiamo
neanche consolarci dicendoci "la prossima volta non ti voto!"...Che schifo!
Andrea
Gente pagata 15.000 euro al
mese per lavorare 2 o 3 gg a
settimana per fare opposizione e non si presenta su un
provvedimento importantissimo! Che dire? Non giustificabili neanche gli ammalati, a
meno di problemi enormi dovevano essere lì. La Levi Montalcini presenziava a quasi
100 anni e non faceva mai
mancare il suo voto. Sono delusissimo, alle primarie non
mi vedranno più e il mio voto
lo riavranno solo dopo un
cambio di rotta totale!!!
dario
Ma come può questo PD così
"sgarrupato" impensierire il
"re".
Mauro Del Nero
Con che coraggio i vari Franceschini, Bersani & Co. vanno poi nelle varie trasmissioni a criticare lo scudo? A casa
Giuseppe Fioroni (FOTO MASSIMO DI VITA)
Nella foto in alto, una
manifestazione dei militanti del
Partito democratico (FOTO ANSA)
mia questa si chiama connivenza. Altro che sanzioni: dovreste dimettervi tutti, immediatamente. Senza ma e senza
se. Non vi abbiamo mandato
in Parlamento per fare questi
sfracelli. Dimissioni, subito. E
vergogna ancora!
Giuseppe
Ho votato Pd nella speranza
di essere artefice e invece mi
ritrovo ad essere complice.
Questa cosa non l'accetto.
Non c'è nessuna giustificazione che può esimerli dal vergognarsi.
mf63
Anche al primo vero autogol
del Governo (paragonabile al
nostro sull'indulto), riusciamo a far passare nel paese l'idea che lo scudo fiscale ci sarà per colpa dell'opposizione.Complimenti! Bella operazione d'immagine.
Manuel
Sono veramente nauseato.
Questo paese non cambierà
mai! Malati? Quando ero piccolo i miei genitori mi mandavano a scuola anche con la
febbre quando c'erano i compiti in classe! Ma non scherziamo!
fabio
Gli evasori fiscali hanno un
nuovo inno: “Meno male che
il Pd c’è!”
1alpam
Quello che è successo oggi in
Parlamento è di una gravità
inaudita. Il minimo che un
elettore del Pd o dell'Udc dovrebbe chiedere agli assenti è
di dare le dimissioni e di non
farsi più vedere dalle parti di
una sezione del proprio partito. Queste sono occasioni
storiche in quanto il valore
morale del "no" alla legge sullo scudo fiscale è tale che sarebbe rimasto indelebile nella memoria della cronaca parlamentare, così come resteranno nella memoria i nomi
degli assenti che lo hanno impedito.
DanCo
Adesso darei ai parlamentari
assenti il 5% del loro stipendio. Ringraziamo anche Napolitano per la sua firma. Pertini e Berlinguer si stanno rivoltando nella tomba.
max
La mia tessera del Pd è sempre più drasticamente vicina
al bidone della plastica da riciclare, non c'è veramente
molto altro da dire, specie dopo le lunari giustificazioni di
Bersani.
Giovanni Cairone
Resto basito... È sì vero che il
governo avrebbe richiamato
la sua maggioranza, ma almeno l'opposizione, mostrandosi presente, avrebbe dimostrato di esserci in un momento importante. Il messaggio che passa è che le chiacchiere restano tali, nel momento in cui servono i fatti
spariscono tutti... Poi sento
l'intervento di Bersani in radio... "..tanto il governo
avrebbe ripresentato la legge
sottoponendola alla fiducia..". E meno male che dovrebbe essere la persona più
accreditata a guidare l'opposizione nel prossimo futuro...
GIUSTIFICAZIONI PD/ FIORONI
MALATO, MA IN CONFERENZA STAMPA
di Caterina Perniconi
22 parlamentari del Pd assenti ieri in occaIdividono
sione del voto finale sullo scudo fiscale si
in due liste: i malati e gli ingiustificati. Beppe Fioroni compare nella prima lista,
dichiara alla stampa che “combatte da tre mesi con una peritonite” , che aveva un impegno
a Torino, ma “come capita ai medici la mia
situazione di salute si è complicata da febbraio
ad oggi e mi hanno appena detto che devo fare
un terzo intervento di addomino-plastica”.
Nessuno vuole mettere in discussione la situazione fisica di Fioroni, ma ci permettiamo di
porre una domanda: come mai l’onorevole,
giustificato perché malato, non può recarsi in
aula ma invece a Torino ci va davvero e presenzia ad una conferenza stampa?
Il giornalista dell’Ansa di Torino, Renato Botto, che ha firmato i lanci di agenzia usciti venerdì, conferma a Il Fatto di aver incontrato
Fioroni tra le dodici e le tredici, proprio nel
momento in cui si svolgeva il voto finale in
aula, per mezz’ora. “Era lui – scherza – a meno
che non abbia un gemello…”. In effetti venerdì a Torino era previsto un incontro tra l’ex
ministro e gli operatori della scuola, che Fioroni non menzionerà mai tra le sue giustificazioni. Anzi, si farà inserire nella lista dei
“meno cattivi” per malattia. “Da quando è stato formato il governo Berlusconi – dichiara
Fioroni da Torino - stiamo assistendo a una
campagna denigratoria della scuola senza
eguali, nell'indifferenza generale del Paese”.
Ma perché, anche lui, è stato indifferente al
suo compito di parlamentare, se la malattia gli
permetteva un viaggio in Piemonte?
La lista dei malati del Pd comprende Ileana
Argentin (visita medica), Enzo Carra (intervento ai reni), Angelo Capodicasa (ricoverato
da Agrigento), Lucia Codurelli (anche lei in
ospedale), Sergio D’Antoni (ricoverato d’ur-
genza), Antonio La Forgia (malattia) e Marianna Madia (importanti accertamenti medici).
Indirettamente malato anche Massimo Pompili, assisteva il fratello ricoverato.
Considerati ingiustificati, anche se affermano
di aver avuto il via libera dal partito, Giovanna
Melandri, Linda Lanzillotta e Lapo Pistelli che
erano “in missione per il Pd” a Madrid, alla
“Global Progress Conference” promossa dalla
Fondazione Ideas.
Arrabbiatissima Paola Binetti, sospettata di essere assente per una scelta interna ai rutelliani, che non accetta le accuse: “Non pensavo si
approfittassero di questa situazione per fare
campagna elettorale per il congresso – dichiara la Binetti – sono molto delusa e non so cosa
succederà al quadro politico e al Pd”. E sfoga il
suo malumore in un post sul suo blog dove
dichiara di aver preso un impegno con la Croce Rossa di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, venerdì mattina perché so-
litamente è un giorno non impegnato da voti,
e di avere l’83,19% di presenze in aula. Ci lascia anche intendere che il suo compagno di
banco, invece, è un assenteista seriale “che
potrebbe anche dimettersi, perché nella vita
bisogna fare delle scelte”. Non ci vuol dire il
suo nome, ma non è difficile rintracciarlo in
Antonio Gaglione, già sottosegretario alla Salute nel governo Prodi, cardiologo interventista di Brindisi, praticamente sconosciuto ai
frequentatori di Montecitorio. Martedì alle
12.30 si riunirà alla Camera il Comitato direttivo del gruppo, allargato ai capigruppo di
commissione, che dovrà “processare” gli assenti e decidere se infliggere sanzioni. Gli imputati non potranno nemmeno appellarsi alla
scusa che suggeriva Bersani in conferenza
stampa: “Se fossimo stati in numero maggiore
noi, sarebbero stati di più anche loro”, perché
venerdì il Pdl era in seria difficoltà e aveva già
richiamato urgentemente in aula i Ministri.
Domenica 4 ottobre 2009
pagina 5
15 leggi di iniziativa
parlamentare
in questa legislatura
O
CRISI DELLE ISTITUZIONI
norevoli fannulloni. Lavorano
poco sia alla Camera che al
Senato, un po’ per il
congelamento del Parlamento, un po’ per
visite mediche e missioni all’estero.
A Montecitorio i deputati lavorano tre giorni
alla settimana per una media di 16 ore. A
Palazzo Madama i senatori sfiorano i quattro
giorni (3,7 per l’esattezza), ma sono più veloci
e sbrigativi, sugli scranni ci restano scarse
dieci ore. Se questa è la quantità, anche la
qualità lascia a desiderare. È vero che
dall’inizio della legislatura i 945 parlamentari
hanno presentato ben 4.200 proposte di
legge, ma ne sono state approvate soltanto
15. Che sono poche anche rispetto alle leggi
di iniziativa governativa già promulgate (87, di
cui 25 passate con la fiducia).
Ma se in Parlamento c’è poco da fare o quel
che si fa risulta vano, in compenso sono tutti
rinchiusi nelle commissioni permanenti: da
inizio legislatura ci sono state oltre 5.000
sedute per 4.300 ore alla Camera, 1877
sedute per un totale di 1.791 ore al Senato.
La fine del Parlamento
Il Governo accentra tutto
il potere, le due Camere sono svuotate
di Furio
Colombo
hi vive dentro o vicino
alle istituzioni vede
per forza quello che
sta accadendo. È finita
la repubblica parlamentare.
Camera e Senato sono luoghi di confronto e di scontro, due strani club in cui
nessuno è titolare di niente,
due tifoserie in cui tieni per
l'opposizione o per il governo, ma ti è proibita ogni invasione di campo.
L'opposizione, quando riusciamo a farla, avviene, se
avviene, nelle manifestazioni dei partiti e, di più, dovunque i cittadini si automobilitano, come nelle due
grande manifestazioni di ieri a Roma, per la libertà di
stampa e per salvare la scuola. La maggioranza di governo si autocelebra in grandi
eventi costosi nei palasport,
su e giù lungo la penisola.
Ma in quelle celebrazioni
nessuno discute, nessuna
vota, nessuno propone, uno
solo dispone e tutti lo acclamano. Il personaggio acclamato è un punto di potere
itinerante. Stiamo parlando
del capo del Governo, che
passa dal pubblico al privato, dal dentro al fuori delle
istituzioni, toccando e piegando tanti vertici diversi
secondo le sue decisioni, i
suoi umori, le sue esigenze,
le sue voglie. Se avesse incorporato un chip che consentisse di seguire i movimenti, quel capo del Governo traccerebbero sullo
schermo un groviglio di linee, come un quadro di Cy
Twombly, il celebre pittore
americano autore di bellissimi scarabocchi.
tito di Berlusconi tranne la
mafia e Guzzanti. E il partito
di Berlusconi ha ingoiato,
con un "anschluss" rapidissimo, il partito amico di Fini.
L'altra è la bolla mediatica,
una camera stagna con le pareti imbottite che tende a
impedire ogni filtraggio di
informazione.
C
ui il problema non è se
Qscerebbe
siano belli i segni che lail chip incorporato in Berlusconi. Il problema è che quei segni mostrerebbero il connettersi di
ogni punto di potere con
l'altro. Restano fuori un po'
di giornalisti e un po' di giudici. Non restano fuori di
questo frenetico andare e
venire del capo del governo
e del potere italiano né la
Camera, né il Senato. Anzi,
se ci fosse quel chip rivelatore, si vedrebbero un fitto
incrocio di cellule fotoelettriche che impediscono
ogni altro movimento, come nel caveau di una banca.
Infatti la tenace resistenza
del presidente Fini non basta a ridare dignità e funzione parlamentare alla Camera. Il controllo è altrove.
Una cosa va detta per onestà. Questo spostamento del
potere dal Parlamento al Governo, in un sistema costituzionale che non è presidenziale e che dovrebbe essere fondato sulle Camere,
utto ciò, come un immenTrantito
so tendone da circo, gadai cavi d'acciaio del-
(ILLUSTRAZIONE MANOLO FUCECCHI)
Berlusconi è riuscito
nel suo intento, ma
la responsabilità
è anche dei partiti
non è cominciato con Berlusconi, come dice e ricorda
tante volte l'instancabile
Marco Pannella. Prima vengono le segreterie dei partiti, poi viene l'illusione del
bipartitismo con leader contrapposti e un sistema elettorale che ci siamo illusi fosse maggioritario. Poi si scrivono i nomi non dei partiti
ma dei candidati premier
sulle schede, deviando non
tanto il sistema politico
quanto la percezione del sistema. Ed è a questo punto
che esplode lo squilibrio incurabile e il furto continuato (già iniziato o tentato ma
adesso inarrestabile) di potere del Parlamento, che diventa istituzione sempre
più onoraria. Tanto che deputati e senatori non sono
più scelti dai cittadini ma
dall'autocrazia dei partiti.
conflitto di interessi,
Qbrareuicheilsoltanto
a molti poteva semuna anomalia, una deformazione ai
margini, esplode al centro
del sistema politico. Sotto le
macerie si scopre la struttura solida di un potere forte
destinato a durare. Ecco come è successo nell'alternan-
za Berlusconi- Prodi-Berlusconi -Prodi -Berlusconi.
Uno dei due (Prodi), privo
di altri strumenti, ha cercato
la forza e il sostegno in politica, cioè nel Parlamento.
l Parlamento gli si è franIpeso
tumato due volte sotto il
di interessi divergenti,
tutto ciò perché non c'era
alcuna forza economica o
ideologica per trattenere insieme gli alleati indispensabili. L'aria avvelenata del
conflitto di interessi ha cominciato a diventare irrespirabile. Infatti il capo dell'altro schieramento, (Berlusconi), aveva iniziato la circolazione extra corporea
del sistema del potere italiano. Il partito è una finzione,
il Parlamento un non luogo,
la disciplina garantita dal
doppio involucro di una
doppia bolla economica.
Una garantisce attraverso
cooptazione e affiliazione
una compattezza granitica
alla messa in scena politica
di un partito che non è un
partito e di una maggioranza che è resa stabile dai legami intessuti con rigore al
suo interno. Infatti mai nessuno si è allontanato dal par-
le connessioni bancarie, finanziarie, editoriali, assicurative, immobiliari, italiane
e straniere (governo del fare
vuol dire governo d'affari)
con crescenti legami in Russia e in Libia, e crescente distacco, per naturale mancanza di affinità, verso America ed Europa occidentale.
D'accordo, il Parlamento
era in crisi da tempo, tormentato da divisioni senza
fine sul sistema elettorale
che, riguarda, appunto, il sistema del Parlamento. Berlusconi lo ha sterilizzato. La
sua maggioranza ubbidiente
aspetta e approva le sue leggi. Quando un deputato della maggioranza interviene,
ripete alla lettera le parole
del capo. Il sistema della "fiducia" accorcia i tempi ed
elimina discussioni. Niente
può accadere, tranne dimostrazioni, alla Camera e al Senato. Strano che i colleghi
Paolo Foschi e Roberto Zuccolini, in una pagina intera
sul Corriere della Sera (2 ottobre) si siano accorti del
problema (il Parlamento lavora a far passare tutte e solo
le leggi del governo) ma non
si siano chiesti perché, associandosi al dubbio popolare che il Parlamento sia tutta una massa di mascalzoni o
incapaci. Certo non era ciò
che volevano gli attenti colleghi. Ma è esattamente la
mossa finale e "popolare" di
Berlusconi. Eliminare, anche senza chiuderlo, il Parlamento.
MINICULPOP
VITTORIO IL LICENZIATORE
opo avere attenzionato Dino
Boffo provocandone la cacciata
dalla direzione dell'”Avvenire” con
apposita informativa anonima, Vittorio
Feltri intima l’espulsione di Santoro
dalla Rai con titolo del Giornale:
“Chiudete ‘Annozero’ e che sia finita".
Ecco il suo sobrio giudizio: "In un Paese
semiserio un programma così non
andrebbe in onda, o soltanto dopo le
23 come le altre trasmissioni spinte.
Coraggio. Eliminatelo". Poi, l’atto di
accusa: “Il conduttore rosso è stato
capace di inaugurare un nuovo genere,
D
lo sfruttamento televisivo della
prostituzione. Fa ridere, ma è la
verità”.
Continuando così Feltri si troverà ben
presto a dover scegliere tra l'incarico di
ministro di Polizia e quello di ministro
della Cultura popolare. Noi
propenderemmo per questa seconda
ipotesi per cui ci sembra più tagliato
nella sua smania di chiudere questo e di
cacciare quello Un Alessandro Pavolini
dei giorni nostri, giornalista e camicia
nera fino a Salò, augurandogli
naturalmente un destino meno infausto.
Dialogo nel Pd
D’Alema:
Franceschini
è distruttivo
l nostro segretario ha
“I
caratterizzato la campagna congressuale puntando sulla recriminazione. Toni allusivi e discredito. Il suo progetto sembra
“contro” e non “per”. Allora io dico: basta bugie,
basta recriminazioni. Si discuta in modo aperto e
chiaro. Sulle cose vere”.
Sceglie un’intervista a Repubblica, Massimo D’Alema
per dare il suo stop a Franceschini e ribadire che
“Bersani è il candidato più
credibile”.
Negli scorsi giorni il segretario del Pd si era spinto a
dire: “Alle primarie bisognerà lottare contro nostalgie e istinti di conservazione, bisognerà sconfiggere quelli che hanno
frenato prima Romano
Prodi poi Walter Veltroni".
Toni accesi, pesanti, che
danno il segno di quanto
sia lacerante a questo punto il confronto nel partito.
Anche su questo, D’Alema
è netto: “Il segretario ha
scelto di alzare il tono della
polemica interna dopo lo
shock dei risultati congressuali. Una cosa inaccettabile”. E a proposito delle
presunte intenzioni di
Francesco Rutelli di lasciare il partito, D’Alema afferma: "Non credo che sia
possibile né ragionevole
una scissione" ma, aggiunge, "mi rendo conto che
c'è un malessere e una critica che vengono da Rutelli. Voglio parlare con lui". E
ancora una volta Arturo Parisi, ulivista della prima
ora, critico nei confronti
del dibattito interno al Pd,
chiede chiarezza: "Il rischio è che a 30 giorni di
conta seguano 25 giorni di
rissa. Ma l’unico modo per
evitarlo è aiutare gli elettori a capire quale siano le diverse soluzioni dei problemi del Paese connesse con
le diverse candidature in
campo". E dunque, “meglio sarebbe stato se D’Alema invece di limitarsi a
contestare e contrastare
Franceschini, come legittimamente ha fatto, ci avesse detto se la posizione che
a lui viene da sempre attribuita è quella che propone
oggi al Pd, la stessa per la
quale vota e invita a votare
Bersani. E Bersani meglio
farebbe se ci dicesse se la
sua linea è quella che viene
attribuita a D’Alema. Nessuno aveva dubbi sul fatto
che D’Alema sostenesse
Bersani. Quello che oggi
interessa capire è se Bersani sostiene la linea politica
di D’Alema”.
In questo clima l’invito del
capogruppo del Pd in Senato, Anna Finocchiaro,
non sembra esattamente
facile da seguire: “Tenere
presente che il Pd deve servire l’Italia, e che anche il
congresso non serve a noi,
può essere un’indicazione
utile".
pagina 6
Domenica 4 ottobre 2009
L’APPELLO DEL “FATTO”
LO SCUDO FISCALE E’ LEGGE
Ieri la firma di Napolitano
DI PIETRO ATTACCA: “UN ATTO VILE”
di Stefano
Feltri
o scudo fiscale è legge.
Come annunciato venerdì pomeriggio in
una nota del Quirinale,
appena rientrato a Roma il
capo dello Stato ha firmato la
conversione del decreto numero 103 che introduce il
provvedimento per il rimpatrio dei capitali nascosti
all’estero. Non sono servite
le oltre 80mila firme raccolte dal “Fatto Quotidiano”
nell’ultima settimana che,
venerdì pomeriggio, sono
state spedite via mail al presidente per invitarlo a non
firmare lo scudo.
In visita in Basilicata, ieri
mattina Napolitano è stato
accolto da alcuni cori “non
firmare”. Un passante gli ha
detto: “Presidente, non firmi, lo faccia per le persone
oneste”. Il capo dello Stato
ha replicato che “se mi dite
di non firmare non significa
niente”. Queste le sue argomentazioni: “Nella Costituzione c'e' scritto che il presidente della Repubblica
promulga le leggi. Se io oggi
non firmo, il parlamento
può votare un’altra volta
quella legge, e nella Costituzione c'è scritto che io sono
obbligato a firmare. Chi chiede di non firmare non lo
sa”.
In questa settimana di discussioni parlamentari, la
questione della costituzionalità del decreto è stata discussa. Il nodo principale
era se l’approvazione di uno
scudo che ha alcuni tratti del
condono (perché rende non
perseguibili una serie di reati compiuti per evadere il fisco) violasse l’obbligo costituzionale di maggioranze
qualificate per le amnistie. Il
Colle, però, era più preoccupato per altri due punti,
come dimostra il comunicato diffuso venerdì: l’estensione dello scudo ai procedimenti penali in corso (che
è state evitata, anche se il governo ha provato a introdurla) e il rischio che il provvedimento coprisse anche
da reati come il riciclaggio.
Napolitano ha detto di essere stato rassicurato, prendendo “atto dei chiarimenti
forniti dal governo in sede
parlamentare e dalla Agenzia
delle entrate”.
Il presidente poteva comportarsi in tre modi: firmare
(come ha deciso di fare) facendo comunque capire
quali erano i punti che lo
preoccupavano;
firmare
mandando un messaggio alle camere, come è sua facoltà, chiedendo un dibattito
sul tema; non firmare, rimandando la legge in parlamento. In quel caso il decreto
legge - di cui fa parte lo scudo - sarebbe decaduto, perchè la sua scadenza era proprio ieri, annullando i suoi
effetti anche in modo retroattivo (e le banche stanno
già raccogliendo i capitali
rimpatriati dagli evasori). Se
poi il parlamento avesse ripresentato la legge uguale al
presidente della Repubblica,
L
Il capo dello Stato
Giorgio Napolitano (FOTO ANSA)
Napolitano sarebbe stato obbligato - ma solo in quel caso
e al secondo passaggio - a firmarla, poi solo la Corte costituzionale avrebbe potuto
pronunciarsi.
Antonio Di Pietro, che con
l’Italia dei valori ha tenuto la
linea più dura con il colle
dentro l’opposizione, ha
commentato:
“Riteniamo
che la firma affrettata del
presidente della Repubblica
allo scudo fiscale, giustificata dal fatto che se dovesse
tornare indietro le Camere
lo approverebbero tale e
quale, sia un gesto oggettivamente vile, perché così rinuncia alle sue prerogative
costituzionali”. Il Partito democratico prima, per bocca
del suo capogruppo alla Camera Antonello Soro, esprime “vergogna e disapprovazione” per lo scudo (e per
aver disertato le votazioni in
cui avrebbero potuto bloccarlo) ma poi, con il segretario Dario Franceschini, si
schiera a difesa di Napolitano che “svolge un ruolo di
garanzia importante, in modo ineccepibile”. Seguono
commenti di tutti gli altri leader, mentre Di Pietro replica
di essere “l’unica opposizione”, a differenza dell’altra,
“cialtronesca”. Tutta la maggioranza, compatta, lo attacca.
Alcuni parlamentari cominciano ad aderire all’appello
di Salvatore Bragantini. L’ex
presidente della Consob,
dalle colonne del “Corriere
della Sera” aveva chiesto che
per limitare i danni di immagine per lo Stato, almeno i
politici si impegnassero a
non fare ricorso allo scudo.
L’invito è stato rilanciato dal
sito del senatore del Pd Francesco Sanna, e hanno già
aderito anche Enrico Letta e
Pierluigi Bersani.
Domani a Roma
LA
MANIFESTAZIONE
CONTRO IL LODO
li amici di Beppe Grillo
Gmanifestazione
hanno convocato una
contro il
lodo Alfano alla vigilia
dell’esame della norma da
parte della Corte costituzionale che comincia il 6
ottobre. Domani, lunedì 5,
hanno dato appuntamento a tutti gli oppositori in
piazza Barberini a Roma,
alle ore 18, per leggere gli
articoli della Costituzione:
“Sono invitati i cittadini, le
associaizoni e se ne hanno
il coraggio anche quei politici che si definiscono
onesti, chiunque abbia la
forza dell’indignazione di
reagire a una legge dittatoriale e incostituzionale”.
LA SETTIMANA DEL LODO
LA LUNGA ESTATE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
di Antonella Mascali
er responsabilità di due giudici, un
vero scandalo ha toccato la Corte
Costuzionale che martedì prossimo si riunirà per decidere se salvare o bocciare il cosiddetto Lodo Alfano.
Era una sera di maggio quando, a Roma,
in una bella casa si è consumato un banchetto decisamente sconveniente. Ospite il giudice costituzionale Luigi Mazzella
che ha invitato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il ministro della
Giustizia Angelino Alfano, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, il presidente della commissione
affari costituzionali del Senato Carlo Vizzini e il collega, Paolo Maria Napolitano.
Cioè: due giudici della Consulta cenano
con il premier-imputato ibernato Silvio
Berlusconi e il Guardasigilli pochi mesi
prima della decisione che dovranno
prendere con gli altri colleghi sul lodo Alfano. Una legge in teoria approvata per
fermare i processi delle quattro più alte
cariche dello Stato, nei fatti per congelare quelli a carico di Berlusconi. A cominciare dai processi milanesi per la corruzione dell’avvocato Mills e per i pre-
P
stato avvocato generale dello Stato dal dicembre 2001 al 14 novembre 2002 quando, per poco più di un anno, diventa il ministro della funzione pubblica del governo
Berlusconi bis. E’ giudice della corte Costituzionale dal giugno 2005 su indicazione della maggioranza parlamentare di centro-destra. Una lettera, pubblicata dal “Corriere della Sera”, la scrive anche l’altro giudice della Consulta presente alla cena, Paolo Maria Napolitano, ex capo dell’ufficio
legislativo dell’allora ministro degli esteri
Fini. “C’è una sperequazione tra il fatto
contestato e la brutale campagna di aggressione che ne è seguita” e di fronte alla richiesta di dimissioni da parte di Idv e di
astensione da parte del Pd, il giudice scrive
di “tentativo per condizionare la corte costituzionale nella sua futura attività, intimidendo alcuni dei suoi componenti”. Il presidente della Consulta, Francesco Amirante, ai primi di luglio, a quanto pare spinto
dagli altri giudici, emette un comunicato
nel giorno in cui il capo dello Stato invita “a
non alzare i toni del dibattito pubblico”.
Scrive Amirante: “La Corte costituzionale
nella sua collegialità deciderà, come ha
sempre fatto, in serenità e obiettività, le
questioni sottoposte al suo esame”. E l’unico beneficiario del lodo Alfano?
L’estate scorsa Berlusconi ostentava sicurezza e lanciava segnali:
di A.M.
“Sono assolutamente convinto
che passerà il vaglio della Consulta, altrimenti ci sarebbe da fare una profonda riflessione su
tutto il sistema giudiziario». Vefatto due giorni fa il presidente della
ramente le ultime indiscrezioni,
Camera Fini. Il Presidente della
che possono essere smentite in
Repubblica con un comunicato ha
ogni momento, dicono che la
Corte boccerà il lodo Alfano, sia
motivato la sua firma dicendo che “a un
pure a maggioranza risicata. Il
primo esame, quale compete al Capo
centro-destra, però, in caso di
dello Stato in questa fase, il disegno di
bocciatura sarebbe pronto con
legge approvato dal Consiglio dei
un’altra legge. Maurizio Gasparministri è risultato corrispondere ai rilievi
ri l’ha detto chiaramente: “Ci saformulati” nella sentenza che ha
rà un Ghedini o un Ghedoni che
bocciato il lodo Schifani. Cento
troverà un cavillo”. Anche Vittocostituzionalisti hanno firmato un
rio Feltri, nell’editoriale sul
“Giornale” in cui ha minacciato
appello in cui dicono che il lodo Alfano è
di colpire Fini con un dossier a
la fotocopia del lodo Schifani e viola
luci rosse se non cambiava regil’articolo 3 della Costituzione
stro, gli ricordava anche che se il
sull’uguaglianza di tutti i cittadini.
lodo Alfano non passerà c’è già
pronta un’altra legge.
sunti costi gonfiati degli acquisiti dei diritti tv e cinematografici.
La cena, rivelata dal giornalista Peter Gomez, è stata rivendicata dal padrone di casa
Mazzella. Il giudice ha addirittura scritto
una lettera aperta “all’amico Silvio” per dire che non si è parlato di lodo Alfano e di
riforma della Costituzione. Mazzella dice
“di essere un uomo libero in un Paese ancora libero e di avere il diritto umano di
invitare a casa mia un amico di vecchia data
quale tu sei”. Poi insinua: “Molti miei attuali ed emeriti colleghi della Corte Costituzionale hanno sempre ricevuto nelle loro case, come è giusto che sia, alte personalità dello Stato e potrei fartene un elenco
chilometrico”. Neppure per un momento
ha pensato di dover almeno astenersi sul
lodo Alfano anche se non c’è alcun regolamento che lo preveda: “Ma stiamo scherzando? Allora dovrei astenermi da tutti i lavori della Corte. A cena invito chi voglio: a
casa mia vengono tutti, dall'estrema sinistra alla destra; sono amico personale di
Fausto Bertinotti e di tanti altri che vivono
nel mondo della politica. Io rispondo soprattutto della mia onestà intellettuale e
morale, autonomia e indipendenza. Nulla
da nascondere”. Mazzella, napoletano, è
IMMUNITA’
COME FUNZIONA LA LEGGE SALVA-PREMIER
I
l lodo Alfano è stato il primo pensiero
tramutato in legge da questo governo
Berlusconi, il 22 luglio del 2008. Prevede
la sospensione dei processi penali nei
confronti del presidente della
Repubblica, dei presidenti di Camera e
Senato, del presidente del Consiglio, per
la durata della loro carica. Una stessa
persona inoltre non può godere di questa
legge se, cessata una carica, ne assume
un’altra tra le quattro indicate. Nel
momento in cui un processo si blocca,
vengono sospesi i tempi di prescrizione.
Si può rinunciare alla sospensione del
processo “in ogni momento”, come ha
Domenica 4 ottobre 2009
pagina 7
POTERE
Ciucci, l’uomo
del ponte che
piace ai premier
Da Berlusconi a Prodi, tutti promuovono a pieno stipendio
l’amministratore delegato della società Stretto di Messina
Sopra Pietro Ciucci
(FOTO MARCO LANNI, GUARDARCHIVIO)
di Sandra
Amurri
o già parlato con
Ciucci, amministratore delegato
di Stretto di Messina spa, e mi ha detto che
tutto è a posto. La società e
Impregilo hanno già trovato
gli accordi. Il Ponte si farà”.
Così ha parlato il Ministro Altero Matteoli di fronte all’ennesima tragedia annunciata
che ha cancellato decine di
vite a Messina. Mentre il governatore, Raffaele Lombardo, fautore del Ponte, piange
lacrime di coccodrillo: “bisogna smetterla di intaccare la
natura”.
L’uomo nominato dal precedente Governo Berlusconi,
ad della società Sdm, nata
per realizzare l’opera più discussa mai messa in cantiere
con un preventivo di investimento in project financing
di 6 miliardi di euro, si chiama Pietro Ciucci. Manager
con stipendio da superenalotto: 900.000 euro l’anno.
Riconfermato dal Governo
Prodi e nominato presidente
della più grande azienda dello Stato, l’Anas, azionista di
maggioranza della Sdm. Senza contare che l’Anas ha anche funzioni di controllo sulle pubbliche concessionarie. Privatizzate proprio da
lui, quando era direttore finanziario dell'Iri con Prodi.
La staffetta prosegue, il testimone è sempre lo stesso:
Ciucci. L’attuale Governo lo
riconferma all’Anas e lo nomina anche commissario
straordinario della Sdm per
superare le difficoltà finanziarie e procedurali e rilanciare il Ponte. Ciucci, come
“H
commissario straordinario,
verifica quello che lui stesso
fa: un personaggio, dunque,
capace di incarnare il mistero della santissima trinità riuscendo a sedere, contemporaneamente, in due, tre consigli di amministrazione dando vita ad un conflitto di interessi sovrumano. C’è da
chiedersi: con quali soldi
verrà realizzato il Ponte visto
che di nuovi finanziamenti
non c’è neppure l’ombra e il
miliardo e mezzo di euro che
avrebbe dovuto mettere la
Fintecna è stato, dapprima,
assegnato ad altro dal Governo Prodi, poi utilizzato dal
Governo Berlusconi per
compensare
l’abolizione
dell’Ici? Semmai si farà, verrà
adottato il cosiddetto ‘modello Tav’: prestiti erogati
dalle banche, garantiti dallo
Stato. Uguale: debiti che
condizioneranno il futuro
delle giovani generazioni,
mentre i profitti saranno privati. Intanto Eurolink (associazione di imprese che oltre
alla capofila Impregilo comprende la giapponese Ishikawajima, la spagnola Sacyr e
altre imprese italiane) vincitrice della gara per la realizzazione del Ponte, per il non
rispetto dei termini contrattuali ha già collezionato con
la Sdm un contenzioso, che,
a colpi di 3milioni di euro al
mese, è schizzato a 100 milioni. Le organizzazioni criminali intanto festeggiano. Il
Ponte, come rivelano diverse inchieste in corso, fra cui
quella sul riciclaggio di capitali di presunta provenienza mafiosa del cosiddetto
“tesoro” di Vito Cincimino,
per dirla con Niki Vendola:
“più che unire due coste unirà due cosche”.
a quanti soldi ha mangiaM
to finora la Sdm? La sede,
3600 metri quadrati su quattro piani, attico, seminterrato e giardino nella centralissima via Po della capitale, è
costata, in questi anni, 75 mila euro al mese di affitto incassato dalla srl Fosso del
Ciuccio, immobiliare della
Cisl. Ma nulla è cambiato per
Ciucci nonostante molti parlamentari del centro sinistra
lo ritenessero responsabile
di aver presentato un piano
di project financing ‘taroccato’ per far credere che il Ponte si sarebbe realizzato con i
soldi di Fintecna, delle Ferrovie e dell’Anas e un piccolo contributo dei privati.
Mentre, secondo questi parlamentari, si trattasse di un
piano che giustificava l’ope-
ra sulla base di dati gonfiati, e
i costi (e i prezzi) della società lievitassero a causa delle spese di propaganda e
pubblicità, passate in due anni da 110.000 euro a
1.480.000 euro. E a causa degli aumenti degli emolumenti e dei gettoni di presenza
agli amministratori, stabiliti
in 526.000 euro nel 2002 e
arrivati a 1.616.000 euro nel
2006. Neppure il Governo
Prodi è riuscito a eliminare
questa ‘scatola vuota’ macina soldi e ha premiato Ciucci
con la presidenza dell’Anas.
Viene da domandarsi: lo scioglimento della società Stretto
di Messina spa non era nel
programma dell’Ulivo? La risposta è sì. Anche se il Ministro Di Pietro assieme al
ministro Mastella e al centro
destra votò contro l’emendamento proposto dalla sua
maggioranza facendo andare
dei Ministeri competenti e
delle Regioni, un nuovo carrozzone per coltivare clientele e spreco di soldi” si difese allora Di Pietro proponendo di far confluire Stretto
di Messina spa nell’Anas. Ovvero di mettere Stretto di
Messina e il contrato di Impregilo in una cassaforte, vi-
Presidente dell’Anas e
supervisore di se stesso
in conflitto di interessi
Per avere informazioni occorre telefonare agli enti locali, ma è impossibile prendere la linea
Gervasi
iove sul bagnato, sia fisicamente, con
Pbattuto
l’acquazzone che ieri mattina si è absulle zone alluvionate, che metaforicamente, visto che all’indomani
della tragedia (abbondantemente annunciata) che ha cancellato dalla carta geografica una parte della provincia di Messina nessuno ha le idee molto chiare.
Non Bertolaso, che alla domanda se c’è
un numero (verde o meno) cui la popolazione può rivolgersi per avere notizie, risposte, l’aiuto che in questi casi
tutti chiedono a gran voce, risponde, seraficamente, che i numeri ci sono e sono
quelli di Regione, Provincia e Prefettura.
Peccato che cercare di prendere la linea
sia un’impresa peggio che chiamare Telecom o Enel in caso di un guasto e che
una volta riusciti nell’impresa gli squilli si
contano, inutilmente, a centinaia.
Continuano intanto a essere moltissimi
ad aggirarsi come fantasmi fra le rovine,
alla ricerca di qualcosa o qualcuno. E disperatamente chiedono notizie o conforto a chiunque incroci la loro strada, siano
essi giornalisti, cameraman, vigili del fuoco. Tutte queste persone avranno buona
sorte nell’alzare la cornetta e chiamare la
Regione Sicilia (e poi chi, quale assessorato?) o gli altri enti. I primi drammatici conti del giorno dopo sono: 21 morti
accertati, 35 feriti, 40 dispersi e oltre 400
sfollati. Chi non è nella conta dei morti, si
cerca. Una donna in ospedale piange, urla, vuole notizie di Alessandro, il figlio di
22 anni che non trova, e il cui fratello è
stato travolto da una frana nella frazione
di Molino, davvero inarrivabile, a poca
distanza da Giampilieri Superiore. Dove,
finalmente, una breccia aperta dalla Protezione civile consente quantomeno ai
mezzi di soccorso di arrivare.
C’è un’atmosfera davvero da ‘day after’.
Il rumore degli elicotteri si alterna col
sinistro grattare delle pale quando fra il
fango toccano qualcosa di solido. E ogni
in minoranza il Governo al
Senato, durante la discussione dei 47 articoli del decreto
fiscale collegato alla manovra finanziaria. La motivazione fu: chiudere la società
comporterebbe una penale
di centinaia di milioni di euro
da pagare a Eurolink, perchè
Ciucci nel 2006, poco prima
della vittoria di Prodi, aveva
firmato il contratto di 3,9 miliardi di euro con il general
contractor Eurolink (impresa capofila Impregilo). Ma in
caso di fallimento della società, la penale non l’avrebbe
dovuta pagare la Stretto di
Messina spa attingendo dal
suo capitale sociale? In quel
caso però il capitale non sarebbe bastato e Impregilo ne
sarebbe uscita con le ossa
rotte.
istituiva
L’peremendamento
una fantomatica società
svolgere attività “proprie
Il giorno dopo, nelle città devastate dall’alluvione
di Alessio
Sotto la simulazione del progetto (FOTO ANSA)
sto che l’Anas vanta un capitale di oltre 400 milioni di
euro. Alla vigilia delle elezioni del 2008 che sarebbero
state vinte da Berlusconi, per
cui il Ponte era la priorità,
Ciucci esegue l’ordine di Di
Pietro e avvia lo smantellamento della società: sito online del Ponte scomparso, sedi
di Villa San Giovanni e Messina chiuse, computer mobili
venduti, personale dimezzato e nei 3600 metri quadri
della sede romana viene trasferito l’ispettorato di vigilanza sulle concessionarie
autostradali dell’Anas. E
Stretto di Messina spostata a
Piazza Cinquecento, proprio
sopra alla galleria centrale
della stazione Termini. Zona
meno prestigiosa, sede più
piccola ma più costosa al metro quadro, di proprietà della
società Grandi Stazioni di cui
è azionista Sintonia del gruppo Benetton che controlla
Atlantia, cioè autostrade per
l’Italia, che attraverso Igli detiene un terzo di Impregilo,
impresa capofila dell’Eurolink che ha vinto la gara per il
Ponte. Come dire: in attesa
che la storia senza fine della
società Sdm veda la luce, una
quota dell’affitto va a finire a
casa Benetton.
Oggi si ha una sola certezza:
Ciucci, uno dei tanti manager pubblici della società post moderna, frutto del sistema partitocratico trasversale
basato sulla cooptazione politica (requisito necessario:
eseguire la volontà dei premier che si succedono) continua a guadagnare 900.000
euro l’anno, cioè 75.000 euro al mese. Un emolumento
che va misurato con le parole
affidate il 14 agosto scorso da
Prodi a Il Messaggero: “la mia
affermazione che vent’anni
fa la differenza di remunerazione tra il direttore e gli operai di una stessa azienda era
da 1 a 40, creò scandalo. Oggi, dopo un iniziale sdegno,
nel momento più acuto della
crisi, nessuno si stupisce del
fatto che questa differenza
sia in molti casi da 1 a 400.
Tutto è stato dimenticato”.
Forse anche da lui. Che da
Premier ha nominato Moretti
amministratore delegato di
Ferrovie dello Stato spa a 1
milione di euro l’anno e
Ciucci Presidente dell’Anas a
900.000 euro, conflitto di interessi compreso.
volta un brivido corre lungo la schiena di
chi scava.
Giampilieri - fino a ieri dimenticata da
Dio e dagli uomini, ma soprattutto dalle
Istituzioni - il cui territorio è considerato
a elevato rischio idrogeologico (recentemente ‘promossa’ dalla Regione a rischio quattro, mentre prima si attestava
su un più tranquillo rischio 3), è stata
inserita nell’elenco dei siti da tenere sotto osservazione solo un mese fa.
Scaletta Zanclea è vicina, molto vicina a
Giampilieri, ma è irraggiungibile. Con
grandi fatiche la jeep si fa strada, poi si
deve proseguire a piedi, nel fango, nel
dubbio. Via Roma è la via principale di
questo piccolo centro. E fa paura, seppellita com’è da 4 metri di fango. Un posto ormai senza tempo. Servono solo
braccia e gambe qui. Le automobili, anche quelle nuove, fiammanti status symbol di un’epoca cancellata, sono per
sempre impastate con quel che resta delle case. Sopra chissà quanti cadaveri.
LA DOMANDA
DOVE SI TROVA
IL PIANO DI EVACUAZIONE?
I
n alcune zone di Messina gli abitanti vivono
ancora nelle baracche costruite dopo il terremoto
del 1908. E se è passato più di un secolo da allora e
oggi c’è la Protezione civile che prima non c’era, così
come i vulcanologi, i geologi, i sismografi, Bertolaso
e Berlusconi, manca sempre un piano di
evacuazione.
Dunque la città sullo Stretto, quella che dovrà avere
il Ponte più bello del mondo manca di uno strumento
d’evacuazione generale. Come sta accadendo in
questi giorni, la gente si deve arrangiare. L’unico
piano di emergenza di cui siamo venuti a conoscenza
l’abbiamo trovato sul sito
www.comune.messina.it/protezionecivile e dà
indicazioni su come evacuare una scuola.
Raccomandando agli alunni di seguire ciò che fa
l’insegnante. Alla voce “Avvisi alla popolazione”
invece c’è scritto: “nessuna informazione trovata,
sezione in allestimento”. (al. ge.)
pagina 8
Domenica 4 ottobre 2009
DAL MONDO
CACCIA ALL’ORO DEI TALIBAN: ECCO PERCHÉ
I
GUERRIERI
DI
ALLAH
SONO
INVINCIBILI
Droga, estorsioni, racket: i finanziamenti sono molteplici. Al punto che
è quasi impossibile bloccarli e frenare l’offensiva degli fedeli del mullah Omar
di Craig Whitlock
’insurrezione guidata dai
taliban ha costruito una gigantesca rete di raccolta
fondi che garantisce un
continuo afflusso di denaro
proveniente da tutta una serie
di racket criminali, donazioni,
tasse, estorsioni e altri sistemi.
Al punto che sia i funzionari
americani che quelli afgani ritengono praticamente impossibile bloccare le fonti di finanziamento del movimento.
I funzionari dell’amministrazione Obama sostengono che la
maggior parte del denaro liquido di cui dispongono i taliban,
che un tempo si riteneva facessero prevalentemente affidamento sulla produzione di oppio in Afghanistan per finanziare le loro operazioni, provenga
non dalla droga ma dalle donazioni straniere. Secondo una recente stima della Cia i leader taliban e i loro alleati avrebbero
ricevuto l’anno passato 106 milioni di dollari da donatori residenti in Paesi diversi dall’Afghanistan.
Negli ultimi dieci anni il ministero del Tesoro degli Stati Uniti
e il Consiglio di sicurezza Onu
hanno compilato liste nere finanziarie di sospetti donatori di
Al Qaeda e dei taliban. La lista
dell’Onu, che aveva all’inizio lo
scopo di indurre i taliban a consegnare il capo di Al Qaeda,
Osama bin Laden, impone a tutti i membri delle Nazioni Unite
di congelare i patrimoni dei taliban e dei loro sostenitori.
Le liste nere dell’Onu e del ministero Usa del Tesoro si sono
notevolmente arricchite dopo
gli attentati terroristici dell’11
settembre 2001. Tuttavia dal
2005 solo pochissimi presunti
benefattori dei taliban sono stati aggiunti alle liste.
Secondo alcuni funzionari americani e taliban il governo degli
Stati Uniti, che era stato in prima fila nel fornire all’Onu i no-
L
minativi da inserire nella lista
nera, avrebbe fatto meno attenzione ai donatori taliban dopo
l’invasione dell’Iraq nel 2003.
Fino a poco tempo fa Washington si preoccupava anche di
approntare sanzioni contro
persone fisiche e società che facevano affari con il governo iraniano.
Richard Barrett, coordinatore
dell’equipe dell’Onu per il monitoraggio di Al Qaeda e dei talebani, ha detto che i simpatizzanti dei taliban sono molto più
abili nel mascherare le donazioni e nell’impedire che seguendo la pista del denaro si possa
arrivare fino a loro (...).
A luglio Richard C.
Holbrooke, rappresentante speciale
per l’Afghanistan e
il Pakistan dell’amministrazione Obama, ha dichiarato
che i taliban ricevono la maggior parte
dei finanziamenti
da donazioni provenienti dall’estero, in
particolare dall’area
del Golfo Persico.
Altri
funzionari
americani hanno osservato che
i taliban ricevevano grossi aiuti
finanziari dai Paesi del Golfo già
negli anni ’90 quando l’Arabia
Saudita e gli Emirati Arabi – unitamente al Pakistan – erano le
sole nazioni ad aver riconosciuto sul piano diplomatico il governo taliban.
Secondo i funzionari americani
non vi sarebbero prove che Arabia Saudita, Emirati Arabi o altri
Paesi del Golfo Persico stiano
fornendo aiuti ufficiali ai taliban. Gli Stati Uniti sospettano
invece che membri dei servizi e
delle forze armate del Pakistan
stiano continuando a finanziare
l’insurrezione afgana, sebbene
il governo di Islamabad smentisca.
Con il consolidarsi dell’insurrezione, i taliban e i loro alleati
hanno adottato una strategia
cara alle multinazionali: la diversificazione (...).
In un rapporto sulla situazione
del conflitto, il generale Stanley
A. McChrystal, comandante
delle forze Usa e Nato in Afghanistan, scriveva un mese fa che
le capacità dei taliban di reperire risorse finanziarie rendeva
difficile il compito di indebolire il movimento. (...)
Secondo quanto affermano
funzionari americani, è difficile
una stima affidabile del flusso di
denaro che arriva ai taliban proprio in quanto l’insurrezione è
un movimento decentrato con
molte fazioni e numerosi co-
Gli Usa hanno
creato una
speciale unità
investigativa
mandanti. Si ritiene però che
ogni anno affluiscano nelle casse dei taliban centinaia di milioni di dollari.
denaro proveniente dal narIprimo
cotraffico – l’Afghanistan è il
produttore di oppio al
mondo – garantisce tuttora un
sostegno cruciale alle operazioni dei taliban, in particolare nelle province del sud dove i papaveri da oppio crescono in abbondanza, dicono i funzionari
americani.
Le forze armate americane hanno calcolato che i taliban raccolgono 70 milioni di dollari
l’anno dai contadini che coltivano papavero e dai narcotrafficanti. L’ufficio delle Nazioni
Unite contro la droga e la criminalità, che monitorizza la pro-
Alcuni Taliban afgani ( FOTO ANSA)
duzione di oppio, aveva calcolato in un primo tempo che i taliban e i loro seguaci ricavavano
qualcosa come 400 milioni di
dollari l’anno dal narcotraffico.
L’Ufficio in seguito ha rivisto al
ribasso la cifra portandola a circa 100 milioni di dollari.
“La comunità internazionale e
gli americani si sono fatti delle
illusioni negli ultimi sette anni
sostenendo che tutte le risorse
dei taliban provenivano dalla
droga”, sostiene Waheed Mojda, già figura di spicco del ministero degli Esteri taliban prima dell’invasione dell’Afghanistan guidata dagli Stati Uniti verso la fine del 2001.
I comandanti taliban finanziano le loro operazioni sempre
più attraverso una varietà di
forme di estorsione, afferma-
Lisbona: dopo il sì irlandese, ora tocca a Praga
Con oltre il 65% al referendum riparatore, pace fatta tra Dublino e Bruxelles
di Gianni Marsili
Parigi
adesso tocca a Varsavia, Praga e soprattutto LonEcondra.
La via crucis del Trattato di Lisbona non è finita
il sospirato sì degli irlandesi. Il risultato del referendum riparatore di venerdì scorso (nel giugno
2008 aveva vinto il no) è senza appello: un sì convinto,
oltre il 65%. L’Europa ritrova così la cara figliola chiamata Irlanda, alla quale tante attenzioni (e stanziamenti) aveva dedicato, per ritrovarsela poi ribelle
egoista e pure ingrata. Pace fatta, dunque, tra Dublino
e Bruxelles. Tanto più che il sì degli irlandesi dovrebbe
togliere di mezzo, in teoria, anche l’ostacolo polacco.
Il presidente Lech Kaczynski, euroscettico della più
bell’acqua, aveva infatti preso un impegno, quantomeno verbale: di firmare il Trattato qualora l’avesse
firmato l’Irlanda. Altrimenti avrebbe giocato la sua
partita più atlantista che europeista, più nazionalista
che comunitaria. Staremo a vedere, perché l’uomo è
imprevedibile e si muove innanzitutto sul filo dei giochi interni.
Ma ancor più imprevedibile è il suo omologo céco,
Vaclav Klaus. Considera l’Unione europea alla stregua
dell’Unione sovietica che invase il suo paese nel ’68,
tanto da definirsi “dissidente europeo”. La sua fibra
nazionalista e la sua fede liberista sono leggendarie.
Ha avuto modo di esprimerle nel primo semestre di
quest’anno, quando alla Repubblica céca è toccata in
sorte la presidenza dell’Ue: esordì rifiutando di issare
la bandiera stellata sui pennoni del castello di Praga, e
continuò sulla stessa linea. Considera il Trattato di
Lisbona come una iattura, e non sa che farsene di un
presidente dell’Unione stabile e non più a rotazione,
né di un suo vice che sia l’agognato ministro degli
Esteri comunitario. Insomma, per quel che lo concerne il famoso “numero di telefono” europeo, uno al
posto dei 27 attuali, non ha ragion d’essere.
Ecco allora, dopo il sì irlandese, che per Klaus diventa
essenziale prender tempo. Come fare? Per esempio
favorendo un nuovo ricorso costituzionale, come
quello presentato recentemente da un gruppo di senatori amici suoi: non solo contro Lisbona, ma anche
contro il Trattato di Roma, atto fondativo, e quello di
Maastricht. Vorrebbe tirare in lungo la questione almeno fino alle elezioni britanniche del 2010. Se vincessero i tory, com’è più che probabile, ecco che per
Klaus diventa possibile un estenuante gioco di sponda. David Cameron si è già espresso formalmente: “Se
nel prossimo maggio il Trattato dovesse essere ancora
in discussione, noi fisseremo una data per un referendum nel corso della campagna elettorale, e l’organizzeremo subito dopo il voto. E io sarò paladino
del no”. Un no che in Gran Bretagna, per usare un
eufemismo, partirebbe favorito. A quel punto il povero Trattato di Lisbona sarebbe di nuovo in alto mare,
e l’Unione con lui, pronta ad affondare.
Accade quindi che le sorti del Trattato siano nelle
mani del professor Pavel Rytchetsky, presidente della
Corte costituzionale céca. Di sentimenti europeisti,
Rytchetsky ha già detto di voler esaminare “entro un
mese” il ponderoso ricorso presentato dagli amici di
Vaclav Klaus, privandolo quindi dell’arma del rinvio
fino alle elezioni britanniche. E allora forza Pavel, prima che ci ritroviamo ad andare ognuno per conto
nostro.
no i funzionari americani e afgani. Molti leader dell’insurrezione impongono una “tassa”
agli afgani del luogo oppure
pretendono una percentuale
dai contrabbandieri di pietre
preziose, legname o antichità.
In Afghanistan si sono rivelati
remunerativi anche i sequestri
di persona.
n’altra notevole fonte di deUdanno
naro sono le estorsioni a
dei subappaltatori afgani o occidentali costretti a pagare la “protezione” per portare a termine i progetti di ricostruzione e sviluppo, sempre
stando a quanto affermano i
funzionari americani e afgani.
“I taliban sanno di non poter dipendere da una sola fonte”, dice Hekmat Karzai, direttore del
Centro per i conflitti e gli studi
sulla pace di Kabul. “Qualunque fonte potrebbe teoricamente venire meno da un momento all’altro”.
Quest’anno il governo degli Stati Uniti ha creato una speciale
unità investigativa chiamata
“Afghan Threat Finance Cell” che,
sulla falsariga di una analoga
unita’ in Iraq, raccoglie informazioni sui talebani a scopo di
polizia e di intelligence.
L’unità ha in forza circa 24 agenti distaccati dalla Drug Enforcement Administration (Dea), dal
Comando centrale Usa, dal ministero del Tesoro e dalla Cia.
Presto anche agenti dell’Fbi dovrebbero entrare a far parte della speciale unità.
Kirk E. Meyer, un funzionario
della Dea che dirige le operazioni dell’unità in Afghanistan,
chiarisce che la missione consiste nel capire in che modo l’insurrezione guidata dai taliban
finanzia le sue attività e nel tentare di ostacolare il flusso di finanziamenti. (...).
L’Afghanistan, dove ci sono pochissime banche, non ha un sistema finanziario moderno. Gli
strumenti cui comunemente si
ricorre per combattere il riciclaggio, quali il congelamento
dei conti correnti o il monitoraggio dei trasferimenti di denaro per via elettronica, sono praticamente inutili, sostengono i
funzionari americani.
La maggior parte dei trasferimenti di denaro in Afghanistan
viene realizzata con il sistema
hawala, una rete di dealer finanziari che in genere non conservano documentazione sui loro
clienti. Con l’aiuto dei funzionari americani, il governo afgano ha cominciato a disciplinare
per la prima volta l’attività dei
dealer che trasferiscono denaro con il sistema hawala (...)
Alcuni dealer che operano con il
sistema hawala sono divenuti informatori e, di conseguenza,
comunicano alle autorità i trasferimenti sospetti o insolitamente ingenti. Abituati al tradizionale anonimato garantito
dal sistema hawala, quanti appoggiano i taliban talvolta indicano negli ordini inviati ai dealer
che il trasferimento di denaro è
in pagamento di “eroina” o di
“cinque veicoli per il comandante taliban tal dei tali”, spiega
un alto funzionario di polizia
americano (...)
I taliban e i loro seguaci spostano anche notevoli quantità di
denaro contante a mezzo corrieri, sia in Afghanistan che
all’estero, affermano i funzionari afgani e americani. Alle reclute straniere che arrivano in
Pakistan per frequentare i corsi
di addestramento nei campi gestiti dai taliban viene chiesto
sempre di portare 10.000 dollari in contanti, afferma il funzionario di polizia americano.
A Washington il governo americano ha recentemente istituito un gruppo con il compito di
mettere a punto una strategia
per ridurre l’afflusso di denaro
ai taliban. La Illicit Finance Task
Force è diretta dal ministero del
Tesoro Usa, ma è composta da
personale proveniente da diverse istituzioni pubbliche.
“Ci stiamo occupando della
questione con grande urgenza
e stiamo compiendo uno sforzo
notevole per smantellare in maniera piu’ efficiente led reti che
finanziano i taliban”, dice David S. Cohen, sottosegretario
del ministero del Tesoro con
delega al finanziamento del terrorismo.
Copyright Wasihington Post Traduzione di
Carlo Antonio Biscotto
Domenica 4 ottobre 2009
pagina 9
Dalla corruzione
dei giudici
alla guerra di Segrate
N
LODO MONDADORI
el 1989 Carlo De Benedetti sigla un
accordo con gli eredi MondadoriFormenton che si impegnano a vendergli
la loro quota della casa editrice Mondadori. Silvio
Berlusconi si intromette nella trattiva e stipula un
nuovo accordo con i Formenton. La questione viene
rimessa a un collegio arbitrale, che nel 1990 decide a
favore dell’ingegnere. L’arbitrato però viene ribaltato
da un collegio di giudici nel quale, in qualità di relatore,
c’era Vittorio Metta. Nell’aprile del 1991, per limitare i
danni dopo questa decisione avversa, la Cir di De
Benedetti accetta un compromesso elaborato dal
finanziere andreottiano Giuseppe Ciarrapico. Cir paga
a Fininvest un conguaglio di 365 miliardi di lire. La
“guerra di Segrate” si chiude con la Mondadori che va a
Berlusconi, mentre a De Benedetti resta il quotidiano
“Repubblica”, il settimanale “L’espresso” e i quotidiani
locali. Nel 2007 la Cassazione certifica definitivamente
che il giudice Metta, quello che aveva deciso a favore di
Berlusconi, era stato corrotto da Previti e sodali
nell’interesse della Fininvest e di Berlusconi (che nel
2001 verrà prescritto). Condannati invece gli avvocati
Cesare Previti, Giovanni Accampora e Attilio Pacifico.
La Mondadori, però, resta a Berlusconi.
Berlusconi
deve pagare
750 milioni
Il tribunale stabilisce i risarcimenti che Fininvest
deve versare a Cir per il lodo Mondadori
De Benedetti (FOTO EMBLEMA)
di Peter Gomez
ltro che libera concorrenza. Altro che libero mercato. Negli anni Ottanta
le aziende del premier Silvio Berlusconi facevano fuori
gli imprenditori avversari pagando mazzette. Dietro l’impetuoso sviluppo del più grande
gruppo multimediale italiano
c’è infatti un’impressionante
storia di corruzione giudiziaria
che ha permesso al presidente
del Consiglio di mettere le mani sulla Mondadori.
E’ questo il senso politico della
sentenza con cui, ieri mattina,
il giudice Raimondo Mesiano
della decima sezione civile del
tribunale d Milano, ha stabilito
che Fininvest risarcisca la Cir di
Carlo De Benedetti con quasi
750 milioni di euro. Una decisione meditata, che arriva ad
oltre due mesi e mezzo dalla
chiusura dell’istruttoria e a
quasi tre anni dal verdetto con
cui, in sede penale, la Corte di
Cassazione aveva reso definitive le condanne contro gli avvocati del Cavaliere, Cesare Previti, Giovanni Acampora e Attilio Pacifico, colpevoli di aver
corrotto, il giudice di Roma Vittorio Metta. Cioè uno dei magistrati che nel 1991, con una
storica decisione, avevano tolto la casa editrice di Segrate dalle mani di De Benedetti per
metterla in quelle di Berlusconi. Metta infatti era relatore della causa con cui gli avvocati del
Cavaliere avevano chiesto lo
scioglimento di un precedente
A
lodo che assegnava la casa editrice di “Panorama” all’Ingenere. Dietro la decisione di Metta,
che allora tutti gli osservatori
avevano considerato del tutto
imprevista, però, c’erano le
tangenti. “Almeno 400 milioni
di lire” incassati dal magistrato
per scrivere delle motivazioni
ricopiate di sana pianta da una
“minuta” poi ritrovata durante
una perquisizione nello studio
dell’avvocato Pacifico.
Già in sede penale era stato stabilito che il mandante dell’in-
tera operazione, destinata a
mutare profondamente gli
equilibri nel mondo dell’informazione, era Silvio Berlusconi.
Il Cavaliere non era infatti finito sotto processo solo perchè
salvato dalla prescrizione. A
pagare erano stati così solo gli
avvocati, gli esecutori materiali del delitto. Nel luglio del
2007 la Corte di Cassazione,
rendendo definitive le condanne di Previti &C., aveva aveva
riconosciuto alla Cir il diritto a
ottenere un risarcimento per i
Giancarlo Foscale, si è così giocata non solo sulla ricostruzione dell’accaduto ma anche e
soprattutto sulla quantificazione del danno. Dopo la sentenza
Metta del ‘91, tra Berlusconi e
De Benedetti, era stato raggiunto un nuovo accordo propiziato dall’intervento dell’attuale deputato del Pdl (ma allora uomo di Giulio Andreotti),
Giuseppe Ciarrapico. La Dc,
preoccupata che Berlusconi,
legato al segretario del Psi Bettino Craxi, si ritrovasse in ma-
IL BISCIONE
L’IMPATTO SUI CONTI FININVEST
di Marco
Lillo
rutte notizie per la famiglia Berlusconi. Tutto l’utile
Bfamiglia
accumulato negli ultimi tre anni dalla cassaforte di
grazie alle società controllate dovrà infatti essere
girato all’ingegnere Carlo de Benedetti. La Fininvest
nell’ultimo bilancio depositato, quello del 2008, dichiara
infatti un utile di 748 milioni di euro, quasi esattamente la
somma che il Tribunale civile di Milano ha ordinato di
risarcire alla Cir di De Benedetti, ma si tratta del margine
lordo. Al netto delle imposte, l’utile reale, quello che
entra nelle tasche degli azionisti, è stato pari a 135 milioni
di euro nel 2008, contro i 365 milioni del 2007 e i 316
milioni del 2006. La crisi si è fatta sentire anche sui conti
floridi delle società del Cavaliere che hanno faticato un
po’ di più del solito a racimolare pubblicità e vendere
libri, polizze e biglietti.
La Fininvest è infatti la holding che controlla le società
quotate in borsa, Mondadori, Mediolanum e Mediaset
(oltre al Milan) e che riceve ogni anno gli utili distribuiti al
livello inferiore dalle affiliate. La causa persa non avrà
quindi alcun effetto diretto sui conti delle società ope-
QUESTIONI DI BORSA
IL NODO DELL’EREDITA’
attuale struttura dell’impero della
famiglia Berlusconi si giustifica
con ragioni diverse da quella della
massimizzazione dell’efficienza e dei
profitti. Secondo molti analisti,
Berlusconi dovrebbe fondere
Mondadori e Mediaset in Fininvest, che
poi andrebbe quotata. La liquidità che
oggi viene immobilizzata a monte della
catena di comando, cioè nella holding,
verrebbe così messa a disposizione
delle due società industriali che
potrebbero usarla per espandersi (visto
che una maggiore dote finanziaria
consentirebbe anche di trovare
L’
danni morali e patrimoniali patiti. Le parole della Cassazione
aprivano la strada alla causa civile, sottolineando «tanto il
danno emergente quanto il lucro cessante, sotto una molteplicità di profili relativi non solo ai costi di cessione della
Mondadori, ma anche ai riflessi della vicenda sul mercato dei
titoli azionari». Per mesi la causa, che ha visto sfilare sul banco dei testimoni big della Fininvest, come Fedele Confalonieri e il cugino di Berlusconi,
maggiori finanziamenti).
Ma c’è un problema: l’attuale assetto è
funzionale a congelare tutto in attesa
di una definitiva spartizione tra gli
eredi berlusconiani. O meglio, tra i due
rami della famiglia (Piersilvio e Marina
da una parte, Barbara, Eleonora e
Luigi dall’altra). Nel 2005 Berlusconi ha
ripartito le quote delle holding
proprietarie di Fininvest tra i figli, ma
ha mantenuto per sé quella di
controllo. Ogni evento che colpisce
Fininvest, quindi, intacca la stanza di
compensazione che è garanzia della
pace familiare. Almeno per ora.
rative ma sarà un colpo durissimo sulla capogruppo e i
suoi azionisti che dovranno mettere mano al portafoglio.
I soci di Fininvest (dopo una riorganizzazione che ha
sfoltito la catena di controllo eliminando le famose - e
misteriose - “holding prima”, “holding seconda”, e via
così fino alla ventiduesima e oltre) sono Silvio Berlusconi
in persona, con il 61 per cento circa e poi i cinque figli.
Piersilvio e Marina con una quota del 7,8 per cento circa
e i figli avuti con Veronica Lario (Luigi, Eleonora e Barbara) con il 7,1 per cento circa.
La condanna al pagamento dei danni per una vicenda
vecchia di 18 anni giunge come un fulmine su un cielo in
verità tutt’altro che sereno. La separazione tra Veronica
Lario e Silvio Berlusconi avrà certamente una ricaduta
patrimoniale sull’assetto della Fininvest. Gli avvocati stanno discutendo su come attribuire le quote agli eredi e ora
ci si mettono i giudici di Milano a complicare le cose. La
sentenza del Tribunale in realtà è esecutiva ma la Fininvest
ricorrerà in appello chiedendo la sospensione dell’esecuzione. Di fronte a una somma così grande e a una questione così delicata, è plausibile che la Corte la conceda.
Resta il fatto che all’improvviso nel bilancio della società
di Silvio Berlusconi e dei figli comparirà un debito, che se
pure non immediatamente esigibile, avrà un impatto
drammatico sui conti. Il 6 aprile del 2004, quando ha
ricevuto la notifica dell’azione di risarcimento da parte
della Cir di De Benedetti, per 468 milioni di euro, proprio
per la questione della corruzione sulla sentenza che influenzò in modo determinante la contesa sul gruppo
Espresso-Mondadori, Fininvest fece spallucce.
Con un comunicato stizzito, il Biscione, il 15 luglio del
2004 rese noto alla comunità finanziaria che nel suo bilancio non aveva effettuato alcun accantonamento poiché riteneva “l'azione, in linea di fatto, basata su una
ricostruzione non corrispondente al reale svolgimento
della vicenda e, in linea di diritto, totalmente infondata”.
Alla luce della sentenza appena depositata, quella scelta si
è rivelata infelice. Dopo il 2004, in realtà non erano mancati i campanelli di allarme per gli amministratori. In particolare la sentenza del 2007 che condannava Previti e
sodali per la corruzione giudiziaria nell’interesse del
gruppo Berlusconi.
“Il Fatto Quotidiano” ha chiesto a Fininvest se, dopo la
sentenza penale, la holding avesse effettuato l’ accantonamento prudenziale. Il portavoce del gruppo, contattato in serata, ha replicato di non essere in grado di
rispondere in poche ore a questa domanda.
no di fatto tutta l’editoria italiana, dalle tv private fino ai giornali, aveva fatto sentire il suo
peso. E alla fine Berlusconi aveva restituito a De Benedetti
“L’espresso”, “La Repubblica”
e un gruppo di quotidiani locali.
Oggi in casa Cir, ovviamente,
c’è euforia. La società che è ancora impegnata per ottenere
pure il risarcimento dei danni
non patrimoniali, con un comunicato, “esprime soddisfazione” per la decisione del giudice civile, che dopo quello penale, “porta luce su una vicenda che ha inflitto un enorme
danno a carico di Cir, ferendo
al contempo fondamentali valori di corretto funzionamento
del mercato e delle istituzioni”.
De Benedetti invece rimpiange la grande occasione perduta
più di 18 anni fa. “La sentenza”,
dice, "non mi compensa per
non aver potuto realizzare il
progetto industriale che avrebbe creato il primo gruppo editoriale italiano, ma stabilisce in
modo inequivocabile i comportamenti illeciti che l'hanno
impedito”.
Come dire: se Berlusconi e i
suoi avvocati non avessero tenuto in pugno molti giudici di
Roma versando tangenti estero su estero, o foraggiandoli
con bustarelle cash, la storia sarebbe stata diversa. I 750 milioni in contanti che Cir incasserà
presto, a meno che il prevedibile appello della Fininvest con
richiesta di sospensiva immediata, abbia successo, sono comunque in grado di dare una
bella spinta al business dell’Ingegnere, proprio in un momento in cui i conti del Gruppo
Espresso sono in grande difficoltà per il crollo dei mercati
pubblicitari. Silvio Berlusconi,
invece, almeno fino alle otto di
sera tace.
La causa civile è stata una battaglia di memorie, scandita da
pochissime testimonianze: oltre ai big berlusconiani in aula
si sono visti Ciarrapico, Corrado Passera (all’epoca collaboratore di De Benedetti) e l’avvocato Sergio Erede. Inizialmente gli avvocati di De Benedetti, Elisabetta Rubini e il professor Vincenzo Roppo, avevano quantificato il danno in 468
milioni di euro che, una volta
rivalutati con gli interessi, sarebbero diventati circa un miliardo. Poi le pretese sono scese. Ma di poco.
Domenica 4 ottobre 2009
pagina 12
INTOLLERANZA
Bambino
immigrato, tu sia
discriminato
Dalle cure odontoiatriche alle case negate ai sinti:
le azioni dei comuni leghisti contro i figli degli stranieri
di Elisabetta Reguitti
asfar Khadija oggi ha 25
anni. Vive in Italia da
quando ne aveva 11. È di
origine marocchina, lavora come cassiera in un supermercato. È mamma di
Amal, che significa ‘speranza’, nata l’11 novembre del
2008. Noor Tajallilhan di anni
ne ha 32, è arrivato in Italia dal
Pakistan nel 2001. Prima è stato a Reggio Calabria, poi si è
trasferito a Brescia dove lavora come operaio a cottimo per
un'impresa edile. Ha due bambini: Zulfaqar nato il 17 luglio
2008 e una neonata di sole
due settimane. Lasfar si sente
perfettamente integrata e dice, parlando della sua bambina, che il suo Paese è quello in
cui ha aperto gli occhi per la
prima volta. Noor invece confessa di sentirsi “come se stesse nuotando in mare aperto
senza vedere terra”. Lasfar ha
capelli corvini raccolti in una
piccola crocchia. Una sottile
linea di Kajal valorizza gli occhi neri. Noor tiene stretta
una borsa nera all'interno della quale custodisce carte, fotocopie, buste di raccomandate. Il suo viso è magro, gli
occhi sono scuri e profondi.
Sorride poco. Lasfar è loquace, dice di stare bene in Italia e
che vuole che sua figlia abbia
la possibilità di vivere qua.
Noor parla meno. È arrabbiato. Ma lo dice sottovoce. Sta
lavorando poco a causa della
crisi nell'edilizia e il suo datore di lavoro gli deve oltre 8 mila euro di stipendi arretrati.
Lasfar parla di pannolini e latte in polvere. Noor di un pallone e dei giochi che vorrebbe
comprare a Zulfagar.
L
Cosa accomuna Lasfar e
Noor? Entrambi, insieme ad
altre due famiglie di nazionalità straniera, hanno vinto la
causa intentata contro il Comune di Brescia contestando
l'assegnazione del ‘bonus bebè’ da mille euro per i neonati
del 2008. Un bonu solo per
italiani. Nella loro battaglia legale, patrocinata dall'avvocato Alberto Guariso dello studio Polizzi-Guariso di Milano,
sono stati affiancati dalla Cgil
di Brescia e dall’Asgi (associazione studi giuridici sull'immigrazione). La scelta politica
del bonus "nazionalista" era
stata, a suo tempo, già definita
dal Tribunale del lavoro come
discriminatoria. Nonostante
la sonora sconfitta politica inferta all'Amministrazione comunale, le cose per i quattro
cittadini stranieri non sono
ancora cambiate.
moci di 50 chilometri. Siamo
a Brignano Gera d'Adda. Nella
località bergamasca scopriamo invece come il sindaco Valerio Moro, oltre a istituire un
fondo anticrisi a sostegno dei
cittadini brigagnesi (ovvero
per i soli cittadini italiani) abbia ben pensato anche di deliberare contributi per spese
dentistiche e oculistiche per
ragazzi tra gli zero e i 19 anni
anni. Un contributo del 50%
della spesa sostenuta, con un
limite di mille euro. Il primo
cittadino leghista però si è
premurato di inserire un piccolo dettaglio: cittadinanza
italiana dei ragazzi richiedenti il contributo. Ergo: gli stra-
Sopra, una mamma accompagna
il suo bambino a scuola.
Sotto, un raduno di leghisti (FOTO ANSA)
nieri, se non hanno i soldi per
pagare il dentista, si tengano
le carie. Quello che emerge è
insomma una chiara volontà
di attuare scelte di fatto discriminatorie. Azioni di governo
locale adottate secondo logiche che vanno nella direzione
"di sostenere qualcuno" ma
che in realtà penalizzano altri.
La fantasia di talune amministrazioni comunali in questo
senso si rivela addirittura fervida. Soprattutto quando si
parla di bambini stranieri. Ovvero, secondo dati del 2007,
circa 700.000. Minori nati in
stanno ancora aspettando i
mille euro che il Comune dopo ben cinque sentenze "contro" ha deciso di sospendere a
tutti. Nonostante l'invito a
"cessare immediatamente il
comportamento discriminatorio e ritorsivo posto in essere dal Comune", come aveva stabilito il giudice del lavoro, Lasfar e Noor aspettano ancora. Il prossimo 3 dicembre
al Tribunale spetterà il giudizio sul ‘reclamo di merito’ rispetto alla delibera di revoca
del bonus. In altre parole, un
giudizio sull’opinabile scelta
adottata dall'amministrazione
comunale.
Lasciamo per un attimo la storia di Lasfar e Noor e spostia-
Gli sprechi di Firenze e i progetti rimasti al palo
Renzi rivede le scelte dell’ex sindaco Domenici, ma il conto per la città è molto salato
Un gigante domina la periferia nord della città. Costa (molFturairenze.
to), ma è ancora vuoto. Nonostante la parte principale della strutsia pronta da più di un anno e mezzo. È il nuovo Palagiustizia di
Firenze, un castello da 130 mila metri quadri “orribile - come lo ha
definito l’attuale assessore alla Cultura, Giuliano Da Empoli - che soltanto per manutenzione e climatizzazione dei locali vuoti si è già mangiato oltre 750.000 euro. Soldi pubblici che vanno aggiunti ai 4 milioni
annui di affitti pagati per le quindici sedi sparse ancora nel centro storico. Tra tribunale, uffici giudiziari, aule delle udienze e l’archivio di
Prato.
La prima pietra fu posata nel 2001. Nove anni e due sindaci dopo
rimane da ultimare il secondo lotto, che ospiterà la Procura della
Repubblica. Il resto c’è già. Ma i rinvii per i trasferimenti ormai non
si contano più. Mancano gli arredi e il sistema di sicurezza, per cui
sono serviti circa 12 milioni di euro. Dal Ministero della giustizia
sono arrivati 7 milioni per i mobili. Anche se Alfano, lo scorso aprile
in visita a Firenze, aveva detto di recuperare mobili e sedie dalle
vecchie sedi: “è importante salvare il riutilizzabile”. A luglio sono
arrivati da Roma anche l’ok al “progetto sicurezza” e gli ultimi 5
milioni di euro necessari. Se tutto adesso filerà liscio, nel giugno del
prossimo anno “potrebbe esser chiuso il discorso degli arredi, ma
non posso darlo per certo”, dice l’architetto Alberto Migliori, re-
Italia da genitori stranieri che
però, in base al principio del
cosiddetto ‘ius soli’ non acquisiscono la cittadinanza italiana per nascita sul territorio
nazionale.
distinguo dunque tra bamInelbini
italiani e stranieri è befarlo subito. Fin dai primi
anni di vita. Un altro esempio?
La residenza negata, nel comune di Chiari (provincia di
Brescia) a 5 bambini (rom sinti) nati in Italia. Si tratta di una
lunga vicenda diventata un caso politico dopo che l'onorevole Furio Colombo, dai banchi della Camera, l'aveva denunciata. Ma non è cambiato
nulla. Ci sono 5 bambini che
hanno una colpa. Quella di essere nomadi sinti nati in Italia.
A Cristina (14 anni), Michele
(11), Luca (8), Anastasia (4 anni) e Mattia nato il 12 dicembre 2007 viene negata la residenza. Questi 5 fratelli insieme ai genitori sono, di fatto,
dei fantasmi. Non esistono. O
meglio, esistono per il dirigente scolastico e gli insegnanti delle scuole che li hanno accolti garantendo loro la
possibilità di istruirsi, ma non
esistono per l'Amministrazione comunale di Chiari guidata
dal sindaco leghista, il senatore Sandro Mazzatorta. Che
nell'agosto del 2006 ha consegnato l'ingiunzione di
assieme ad altri 417
Inenfatti,
stranieri e 630 italiani (che
hanno fatto richiesta poi)
di Giampiero Calapà
Gli aiuti economici:
un diritto per ‘noi’
e un optional per ‘loro’
sponsabile dei lavori per il Comune di Firenze. E la spesa continua a
correre a vuoto.
E dire che per l’ex sindaco, Leonardo Domenici (ora europarlamentare), questa è stata una delle partite più importanti. Partita giocata
con l’assessore Paolo Coggiola, dei Comunisti italiani, poi invitato
dai vertici del suo partito a lasciare la Giunta, in seguito al ciclone
dell’inchiesta Castello-Fondiaria Sai, che ha sconvolto la politica fiorentina. Fuori dal governo di Firenze, Coggiola rientrò alla corte del
Leonardo con lo specifico compito di occuparsi del Palagiustizia.
Una consulenza da 20.000 euro per 4 mesi. Nel frattempo in città
molte cose sono cambiate, il nuovo sindaco Matteo Renzi ha rimescolato tutte le carte, ritornando indietro su diverse decisioni prese
dal predecessore, anche a costo di pagare prezzi alti: ad esempio i 62
milioni di euro per la realizzazione di un cavalcavia destinato all’Alta
velocità, già in costruzione, ma che forse si rivelerà inutile. Renzi
non è convinto che per la stazione dei supertreni il luogo più idoneo
sia l’estrema periferia a nord, ritenendo più adeguato il quartiere di
Campo di Marte. Ripensamenti che stanno squarciando il Pd fiorentino, con il segretario Giacomo Billi che lascia l’incarico dopo
aver “vissuto con imbarazzo” queste inversioni di rotta tanto da arrivare ad ammettere che “con la vittoria di Renzi si è esaurito il mio
ciclo alla guida del partito”. Mentre tra i consiglieri comunali c’è chi
dice di non poterne già più. Perchè per il nuovo Sindaco, il gruppo
consiliare e il Pd non esistono.
UNIVERSITÀ
sgombero di questa e altre 4
famiglie dal campo nomadi
costruito nel 1990 dalla precedente amministrazione. È
bene precisare quindi che la
vicenda di vita di questi bambini non è ambientata nei
campi nomadi abusivi che il
ministro degli interni Roberto
Maroni intende smantellare e
per i quali l'attuale Governo
applica la linea della ‘tolleranza zero’. Non è così. Questa
famiglia, fino al 2004, era residente in un'area sulla quale
la precedente Amministrazione comunale (nel 2001) mediante un finanziamento regionale aveva collocato in 5
casette.
E tornando ancora ai bonus
bebè di Brescia è da segnalare
che, tra le motivazioni della
delibera, era previsto che ciascuno potesse godere dei servizi per ‘gruppi sociali’ e a seconda delle proprie esigenze:
agli stranieri vengono forniti i
corsi di lingua italiana per imparare l'italiano e agli italiani il
bonus bebè perché hanno l'esigenza di fare più figli. A questo, va annotato l'originale
passaggio in cui si dice che solo gli italiani “considerano l'agio sociale quale presupposto
della maternità o paternità”.
Come a dire che gli stranieri
fanno bambini anche se sono
poveri. Perciò è inutile dar loro soldi.
di Silvia D’Onghia
QUEI CERVELLI CHE
NON DEVONO RIENTRARE
N
on tutti i cervelli dovrebbero rientrare in
Italia, uno in particolare avrebbe fatto
meglio a rimanere a Ulanbaator, in Mongolia. È il
caso del professor Aldo Colleoni, rinviato a
giudizio con le accuse di falso, truffa e abuso
d’ufficio, insieme al rettore dell’Università di
Macerata, Roberto Sani, e al preside della Facoltà
di Scienze della formazione, Michele Corsi. Nel
2006 Colleoni era stato richiamato dalla
Mongolia ed era stato assunto dall’Ateneo
maceratese, con “idoneità accademica di pari
livello”. L’Università, inoltre, proprio in relazione
alla sua assunzione, aveva stipulato una
convenzione da 800.000 euro con una società
bolognese. Peccato che il Tar del Lazio abbia poi
scoperto che la Zokhiomj University sia
un’istituzione per nulla equiparabile alle
università italiane. Ben tornato, professore.
pagina 13
Domenica 4 ottobre 2009
RICERCA
RIDARE LA VISTA AI CIECHI
Con la proteina scoperta dalla Montalcini,
un’equipe di italiani cerca di curare il glaucoma
di Massimo
Fini
er resuscitare un morto
a Cristo fu sufficiente
dire: "Lazzaro, alzati e
cammina". Per ridare la
vista a un cieco dovette farne
di tutti i colori: sputò per terra, impastò la sua santa saliva
col fango, spalmò questo impasto sugli occhi del cieco e
gli disse di andare a lavarsi in
una particolare piscina, quella di Siloe (Giovanni, 9).
Restituire la vista ai ciechi è
sempre stato un sogno impossibile dell'umanità. Adesso un gruppo di scienziati e
ricercatori romani è vicino a
questo miracolo che mise in
qualche difficoltà anche Cristo. Anzi l'hanno realizzato,
almeno parzialmente, su due
pazienti malati di glaucoma,
una necrosi del nervo ottico
che è la causa principale di
cecità. Hanno sperimentato
su tre pazienti in fase terminale della malattia, cioè praticamente ciechi, l'Ngf (Nerve Grow Factor), la proteina
scoperta dalla Montalcini per
la quale la Senatrice a vita prese il Nobel nel 1986. In due di
questi casi il campo visivo è
migliorato in maniera rilevante.
Per realizzare questo “miracolo” si sono messe insieme
competenze e Istituti diversi.
Sotto la supervisione della
Montalcini hanno lavorato il
dottor Luigi Aloe dell'Istituto
di neurobiologia del Cnr, Stefano Bonini e Alessandro
Lambiase del Campus Biomedico (una struttura modello
alle porte di Roma) e il professor Bucci dell'Università di
Tor Vergata, forse il massimo
esperto italiano di glaucoma.
Rispetto a quanto pubblicato
dalla prestigiosa rivista americana Pnas l'esperimento degli scienziati italiani non ha
avuto (forse per motivi prudenziali), a mio parere l'eco
che merita. E di fatto, al momento, questi studi sono in
fase di stallo. Per capire qualcosa di più sono andato a intervistare uno dei protagonisti, il professor Stefano Bonini.
Una decina di anni fa venni
a intervistare lei e il pro-
P
fessor Bucci, quando eravate appena agli inizi di
questa avventura...
Allora avevamo trattato con
l'Ngf in collirio dei pazienti
con delle ulcere corneali neurotrofiche, ulcere che si determinano per mancanza di
innervazione. I risultati sono
stati a dir poco miracolosi:
una riparazione totale della
cornea. Da qui nacque l'ipotesi di lavorare anche sul nervo ottico, anche se indubbiamente le fibre nervose della
cornea sono meno complesse e quindi il lavoro si presentava molto più difficile.
Oltretutto la cornea è all'esterno dell'occhio, il nervo all'interno. Come si fa a
raggiungerlo, e con un collirio poi?
ché l'occhio è comunque una
derivazione del sistema nervoso centrale. Quindi abbiamo indotto artificialmente
nei ratti il glaucoma, che è
provocato principalmente da
una ipertensione dell'occhio
che grava sul nervo e lo necrotizza. In quelli trattati con
Ngf una parte notevole delle
fibre nervose, più del 25%,
era risparmiata dalla necrosi e
il danno non si produceva.
Qui però siamo ancora nel
campo della prevenzione.
Mentre nella maggioranza
dei casi di glaucoma il danno c’è già stato. Ed è irreversibile: nella migliore
delle ipotesi, con i farmaci
attuali, si può fermarlo. Ma
non si può recuperare la
parte di vista che si è per-
La sperimentazione è
ferma: il mercato del
farmaco vuole certezze,
lo Stato non interviene
Infatti, allora il problema era
proprio questo. Si poteva
pensare a delle iniezioni intraoculari per raggiungere direttamente il nervo ma c’erano rischi di complicanze. Oggi non è più così, iniezioni intraoculari si fanno quasi di
routine. Ma nel 2000 la situazione era diversa. Allora abbiamo pensato di bypassare il
problema iniezioni e di agire,
come per la cornea, col collirio. E di vedere se era in grado di passare all'interno dell'occhio. Ovviamente lo abbiamo fatto sull'animale da
esperimento, sul ratto.
E com'è andata?
Benissimo. Abbiamo visto
che la sostanza non solo passa, attraverso la sclera, cioè la
parte bianca dell'occhio, nella porzione posteriore. Ma arriva addirittura a livello cerebrale, cioè ai nuclei di base e
alle cellule retiniche che sono
quelle che danno inizio al
processo visivo. Questo per-
duta.
Attualmente la terapia del
glaucoma ha un solo obbiettivo perseguibile: abbassare
la pressione dell’occhio. Però
ci sono casi in cui, nonostante con i farmaci attuali si ottenga una buona pressione
oculare, il danno progredisce
lo stesso.
Sono i cosiddetti glaucomi
“a bassa tensione”.
Sì, per i quali la terapia con
l'Ngf potrebbe essere particolarmente utile perché non
agisce sulla pressione ma protegge il nervo. Noi abbiamo
quindi preso tre pazienti con
glaucoma a lunga durata, in
terapia massimale con i colliri
attuali, ma la cui vista continuava a peggiorare e li abbiamo trattati con l'Ngf. In uno il
glaucoma si è stabilizzato, negli altri due c'è stato un campo visivo che, da quasi completamente nero, ha cominciato ad avere ampie zone di
vista.
Quindi è ricresciuto il nervo ottico.
Diciamo che c'è stata un'azione apparentemente rigeneratrice sul nervo ottico. E se
questo dato venisse confermato sarebbe certamente una
novità clamorosa. Tra l’altro il
tutto è avvenuto dopo un trattamento di soli tre mesi. E
quando il trattamento è stato
sospeso per altri tre mesi il
beneficio si è mantenuto. Del
resto, non solo i nostri studi
precedenti ma anche tanti
studi della Montalcini dimostrano che le cellule nervose
in vitro a contatto con l'Ngf
ricrescono.
Perché, finora, avete sperimentato solo su tre pazienti?
Abbiamo usato, sotto la nostra responsabilità, la formula
dell’uso compassionevole. Erano pazienti il cui campo visivo era quasi completamente andato.
E quindi non avevano nulla
da perdere.
Diciamo così. Ma è un trattamento eccezionale e necessariamente limitato. E tre pazienti non sono uno studio
clinico con tutti i crismi, con
tutte le verifiche del caso. Per
esempio tossicità ed effetti
collaterali. Immagino che la
domanda successiva sia: prché non si può iniziare a farlo?
Non si può per ora. Perché
l'Ngf che abbiamo usato noi è
di estrazione animale e non
andrà mai sul mercato così
com’è. Inoltre ha costi elevatissimi, impensabili per una
terapia. La soluzione è di avere un Ngf sintetico, prodotto
in laboratorio. Bisognerebbe
che una Biotech provvedesse
a una produzione su larga scala per iniziare uno studio clinico su larga scala. È il passaggio dal prodotto di deriva-
Stefano Bonini (FOTO ANSA)
zione animale al sintetico che
sta rallentando il programma
e allungando i tempi.
Perché una grande industria farmaceutica non si
fionda? Il mercato, per applicare questo orribile concetto a dei malati, c'è: sono più di 500 mila in Italia.
E sono destinati ad aumentare a causa dell’allungamento
della vita media. Il glaucoma
è una malattia che si manifesta dopo i 35, 40 anni.
E allora?
L'industria è prudente. Non
sarebbe la prima volta che un
farmaco promettente si rivela
poi, alla prova dei fatti, deludente. Anche se in questo caso ci sono, come diciamo nel
nostro gergo, dei razionali forti
alle spalle. Forse manca un
link con l'industria e mancano i finanziamenti. Siamo in
una sorta di limbo fra il prodotto di derivazione animale
e quello sintetico che ci è necessario per poter andare
avanti.
Fin qui il professor Bonini. La
mia impressione è che siamo
di fronte a un circolo vizioso. I
costi per la produzione di un
farmaco, in tutte le sue fasi fino al lancio sul mercato, sono
indubbiamente elevatissimi e
l'industria vuole avere la certezza che al mercato ci arrivi.
Ma per avere questa certezza
dovrebbe investire in studi.
che altrimenti non si possono
portare avanti. O dovrebbe intervenire lo Stato. Questo credo che intenda Bonini quando
dice che “mancano i finanziamenti”. In Italia si tromboneggia tanto di ricerca, ma poi
quando c'è un gruppo di scienziati tutti italiani, con alle spalle un premio Nobel, che ha forse trovato la chiave per salvare, o addirittura ridare la vista a
milioni di persone (si stima
che nel mondo i glaucomatosi
siano 67 milioni), lo Stato si dà
alla latitanza senza neanche valutare, cinicamente, il vantaggio d'immagine (un made in Italy scientifico) che gliene deriverebbe. I tempi, temo, saranno lunghissimi e il mezzo milione di ammalati italiani di oggi farà in tempo a morire e
quelli che, grazie all'Ngf, potrebbero da domani prevenire
la malattia faranno in tempo a
precipitare nell'incubo del
glaucoma.
A Fondi, Sindaco e Giunta si dimettono: vogliono
evitare lo scioglimento del Comune per mafia
di Enrico Fierro
dimessi per evitare lo scioglimento del Comune
Sseraipersono
infiltrazioni mafiose. Accade a Fondi, dove nella tarda
di venerdì Sindaco e Giunta hanno gettato la spugna.
“Basta, il clima è avvelenato. Non potevamo andare avanti
così, abbiamo pensato di farcela ma io personalmente non
reggo più questo peso, queste pressioni politiche e mediatiche, era ora di finirla". Così Luigi Parisella, Pdl, primo
cittadino della città del Basso Pontino, che due inchieste
(procure antimafia di Roma e Reggio Calabria) e due relazioni del Prefetto di Latina Bruno Frattasi indicano come
la capitale laziale della 'ndrangheta calabrese.
Venerdì il consiglio dei ministri avrebbe dovuto sciogliere il
Comune, commisariarlo, riupilirlo delle troppe collusioni e
indire nuove elezioni. Così non è stato. Perché Fondi è il
serbatoio elettorale di Claudio Fazzone, ex poliziotto e senatore supervotato del Pdl. Un uomo che conta nel partito
di Berlusconi e che nel governo vanta buone protezioni.
Giorgia Meloni, Altero Matteoli, Renato Brunetta. Ministri
che a vario titolo hanno legami politici con il sud Pontino.
La decisione di sciogliere il Comune sarebbe arrivata la
prossima settimana. Le dimissioni - nella speranza del Pdl e
del senatore Fazzone - evitano la vergogna di un ‘tutti a casa’
per collusioni con la mafia. Di parere opposto Elvio Di Cesare, animatore di una delle associazioni antimafia (fa riferimento alla memoria del giudice Antonino Caponnetto)
che più di tutti si sono battute contro la criminalità di Fondi
e i suoi rapporti con i vertici della politica. “La procedura è
ormai avviata. Decine di comuni prima di Fondi hanno ten-
tato di evitare l’onta dell’esito finale rassegnando le dimissioni, ma l'istruttoria è in corso da un anno e per legge deve
considerarsi conclusa con lo scioglimento per mafia”. Il
gesto di Luigi Parisella, il sindaco che - come documentano
le inchieste delle procure antimafia di Roma e di Reggio
Calabria - avrebbe favorito gli affari dei fratelli Tripodo, era
nell'aria già dai giorni che hanno preceduto il Consiglio dei
ministri. “Dimettetevi e facciamola finita”, questo il consiglio arrivato dai vertici del Pdl e da settori del governo.
Ormai la questione di Fondi era al centro di polemiche e
manifestazioni. Non solo dell’opposizione (Pd e Idv) e delle
associazioni antimafia, ma delle organizzazioni che rappresentano i prefetti che non hanno gradito gli attacchi al quello di Latina, Bruno Frattasi. E con il ministro dell'Interno
Maroni, incapace di imporre la sua volontà ai suoi colleghi
di governo. “La verità - dice Laura Garavini, capogruppo del
Pd in Commissione antimafia - è che Maroni ha perso la
faccia. Altro che passare alla storia per aver sconfitto la
criminalità organizzata. Passerà alla storia come il primo
Ministro dell'Interno che si è fatto prendere in giro da un
gruppo di politici locali collusi con le mafie. Per di più con
la complicità di molti suoi colleghi del Consiglio dei ministri. Per recuperare credibilità può solo dimettersi”. Ora
la questione ritorna sul tavolo del Governo. Che dovrà decidere se indire normali elezioni a Fondi, oppure sciogliere
per mafia un Comune dove la 'ndrangheta comandava. Perché forti erano i legami dei fratelli Tripodo, i figli di don
Micu, uno dei boss storici della mafia calabrese, con il sindaco, col senatore Fazzone e con gli uomini del potere
locale.
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Domenica 4 ottobre 2009
SECONDOTEMPO
SPETTACOLI,SPORT,IDEE
in & out
L’ANTEPRIMA
L’angelo di Ozon:
favola laica
per tempi difficili
Violenza
Polanski, nel
‘93, aveva
accettato di
pagare un
risarcimento
Annecy
Ivano De
Matteo con
“La bella
gente” vince
in Francia
Gino Paoli
Nel “cielo”
di Roma, il
cantautore
racconterà
se stesso
Olimpiadi
La gioia di Rio
ha visto
un’appendice
danese: festa
a Copenaghen
“Ricky”, il decimo film del regista
francese, è un apologo dissacrante,
originale e fantasioso sulla libertà. Lui riflette: “L’importante è l’ironia”
di Malcom
Pagani
L
a famiglia è una gabbia, un perimetro spinato dal filo di un
impossibile contiguità, la periferia dell’anima che scopre
al proprio interno l’opposizione congenita e annaspa in
cerca di soluzioni. François
Ozon, 41 anni, figlio di un biologo e di un’insegnante. Disincanto, analisi, introspezione che alle risposte, preferisce le domande. Il reale è indefinibile e il sentimento,
un’astrazione. “Non esiste
l’amore ma solo la possibilità
che si sviluppi una passione”
sostiene il regista. Momentanea, il sottinteso. Nelle sue virate sulle dinamiche dell’esistente, l’ex modello e allievo
del Femis, scandaglia la normalità. Uno specchio d’acqua
in cui è facile cadano gocce
roventi, l’increspatura che
sfugge al primo sguardo, l’imprevisto che ribalta la consuetudine e sfregia la normalità.
A Ozon non piace dare le spalle. Affrontare è già resistere,
inventare, respirare.
Una storia d’amore
Rtra ickye libertà, è il più originale
i suoi voli. Un’opera diseguale, rischiosa, ellittica che
parte dal realismo per sconfinare nella magia. Descrive
presente e futuro, barriere da
superare e pregiudizi, sogni e
visioni che non sempre, conoscono la grazia dei colori.
Inizia in uno scenario anodino. Nella vita di Katie (Alexandre Lamy), operaia in una fabbrica di prodotti chimici, Il
bianco è una patina dominante. Dalla banlieue di Parigi al
quotidiano timbro del cartellino, si estingue la clessidra
delle responsabilità. Katie è
un’eroina senza voce nè sostegno. Il padre di sua figlia
Lisa è scappato troppo presto
e il tramite unico tra lei e la
bambina di sette anni, è la
meccanica mezz’ora ancorata
al sellino di un motorino. La
accompagna a scuola, corre a
riprenderla. A lato della strada, scorrono anonimi palazzoni di una suburbanità che
rende afasici. Tra i rumori delle macchine e l’indifferenza,
l’unico linguaggio possibile
tra due boe alla deriva, è nel
silenzio. In mezzo a un abbraccio tradito, alla fretta che
elimina le sfumature e sacrifica il sentimento, si dipana
una corsa verso la sopravvivenza che non conosce soste
perchè non può permettersele. Quando Katie incontra Paco (Sergi Lopez) tra i fumi e le
tute ignifughe, il reciproco
desiderio si sublima nella similarità.
E’ un amore immediato che
brucia nei bagni durante la
pausa pranzo, fluttua nelle sigarette aspirate al riparo
dall’inquisizione del caporeparto e cerca l’illusoria parificazione sociale, in fughe eccezionali e singole in ristoranti borghesi, per ritrovarsi poi,
dopo la sbornia, nel tinello,
alle prime luci dell’alba, in
mutande, con i wrustel nel
piatto e la nebbia fuori dalla
finestra. Fa freddo, nelle immagini di Ozon. Traspare
un’essenzialità che non è
esclusiva relazione su due
biografie in sospeso. Quando
nel pedissequo susseguirsi
senza scosse e nell’aggravio
che non conosce sorpresa, si
tenta di aggirare il destino, immediata giunge la punizione.
Katie e Paco si annusano ma
questo, non è un mondo per
poveri. C’è bisogno di qualcosa di più.
Un segno, un dono che ribalti
le convenzioni e offra una
sponda alle aspirazioni deca-
dute. Un figlio allora, l’eresia
più naturale, un’oasi di felicità. Ricky arriva. Piange, strepita, cresce. Un giorno, apparizione incongrua, sul dorso
dell’infante spuntano due ali.
La meraviglia che trasla il piano della narrazione dall’anonimato al fantastico e lo inclina irreversibilmente. L’angelo
non può spiegare e rispetto al
racconto da cui la favola di
Ozon è liberamente tratta:
“Lèger comme l’air” (leggero
come l’aria) di Rose Tremain,
le piume non compaiono da
un istante all’altro ma crescono come orribili escrescenze
La morte di Paolo Vagheggi
Arte, passione ed eleganza
ADDIO A UN INTELLETTUALE
Il pensiero adesso va a Lorenzo, 3 anni, il figlio voluto in età matura
che adesso crescerà senza di lui. Paolo Vagheggi ha salutato il
mondo ieri, a 58 anni, come una candela che fino a quando è stato
possibile, ha resistito al vento cattivo di una malattia che non ne
aveva fiaccato l’entusiasmo. Tra i fondatori de “La Repubblica”,
Vagheggi custodiva in sè il seme mittleuropeo di un uomo che della
curiosità e della forza aveva fatto cifra esistenziale. Generoso,
colto, instancabile, Vagheggi si occupava di arte e vita, viaggiando
attraverso gli spazi desiderati e immaginati, tra gli angoli nascosti
della cultura e l’universo telematico che Vagheggi, tra i primi,
aveva esplorato da pioniere. Si occupò anche di terrorismo, in
un’epoca non meno buia dell’attuale, scampando per puro caso a
un attentato. Aveva faticato fino all’ultimo, Vagheggi. Sviando il
male, ingannando il tempo. Ora è tardi, anche per il rimpianto.
destinate a definirsi con il trascorrere dei mesi.
Nella navigazione perigliosa
di un fiume che valorizza il
cambio di registro (dal verismo al fenomenale) e nell’impossibile accettazione di un
evento sovrannaturale, anche
il rapporto tra i due amanti,
subisce un mutamento di prospettiva. Gli affluenti divergono, il sospetto si fa strada, i
media piombano sulla notizia
e ancora una volta, come in
tutta la filmografia di Ozon, la
sensibilità femminile (anche
nella ritrovata complicità con
la figlia, prima gelosa, infine
solidale e partecipe) si ritrova
in trincea. A compensare generosamente il monolitismo
maschile, scegliendo senza
egoismo e sacrificando il proprio ego all’opzione più dolorosa.
è uno splendido apoRpo icky
logo sull’aspirazione tropspesso sacrificata al cambiamento. Con afrori di Buñuel e Hitchcock, lampi di
Spielberg, similitudini con le
figure retoriche dei fratelli
Dardenne o di Laurent Cantet, reminiscenza del Polanski
di “Rosemar y’s Baby” o del
Lynch di “The Elephant Man”.
L’ultimo sovversivo ad azzardare l’operazione (all’epoca
Alexandre Lamy e Mèlusine Mayance,
madre e figlia alle prese con un sogno
in Ricky-Una storia d’amore e libertà
in cui le pulsioni visionarie ne
alimentavano il talento) era
stato Wim Wenders ne “Il cielo sopra Berlino” e nel suo
doppio “Così lontano, così vicino”.
Prima di lui Beatty, De Sica e
Frank Capra. Gli angeli, nelle
sale italiane, mancavano da
molti anni. Ozon, senza buchi
o dirupi logici ci riprova e colpisce l’inconscio nello stretto
vicolo dell’inverosimiglianza.
Cesare Petrillo e Vieri Razzini,
coproduttori italiani dell’opera con Teodora film, sono orgogliosi del percorso intrapreso. Da dieci anni, con mezzi economici infinitamente
inferiori alle grandi major della distribuzione, hanno veicolato un cinema fitto di temi,
volti e squarci su universi poco esplorati.
Da Lucrècia Martel, alla Marianne Faithfull di “Irina
Palm”, passando per gli inconcilibili punti di vista in opposizione ancestrale de “Il
giardino dei limoni” di Riklis.
“Ricky e il nostro lavoro hanno numerosi punti in contatto. Per noi ,l’interesse intellettuale è sempre anteposto
alla valenza industriale del
prodotto. E’ un’impresa peri-
colosa e un gesto politico,
che abbraccia la diversità e
combatte la miopia delle molte politiche governative,
dall’era Veltroni all’attuale,
che del settore fanno bandiera strumentale, disinteressandosi completamente di ciò
che a priori, è considerato
complicato da fruire”.
Ozon, che nella terra natìa, avverte il problema in maniera
meno ossessiva, è ora sollevato. Ricky lo spaventava. “Non
avevo idea di come imprimere un timbro personale. Covavo il timore che il lato fantasy, nella narrazione, non trovasse aria per esprimere il
proprio valore catartico. Poi
ho smesso di preoccuparmene e ho capito che ciò che mi
aveva scosso nella lettura del
racconto di Tremain, era il ragionamento sulla famiglia,
sull’avamposto individuale da
difendere al proprio interno,
sulle soluzioni da mettere in
atto quando cessa l’ipnosi e i
problemi guadagnano la scena”.
Convinto come Elias Canetti
che si soffochi “In ogni famiglia che non sia la propria” e
che anche nel nucleo originario accada lo stesso “ma non
lo si noti”, Ozon desacralizza
l’idillio e si insinua nelle pieghe maleodoranti, là dove il
sudore sostituisce il sorriso e
l’urlo, il canto celestiale. “Ero
stanco di rappresentazioni
posticce, di bambini incorporei: puliti, soavi, sereni. Ricky
doveva strillare, avere fame,
sporcarsi. Esprimere i propri
bisogni senza filtri o ipocrisie.
Avevo già indagato sulla maternità in “Regardè la mer”.
Con Ricky, la madre che metto sotto la lente, attraversa
molti stati d’animo. Passa dalla depressione alla lotta, poi
regredisce tornando a una
condizione infantile e infine
si rialza nel rapporto con la
diversità. Alexandre Lamy,
l’attrice, impersona il lato ordinario del personaggio e con
Sergi Lopez, il più femminile
tra gli interpreti di cui avrei
potuto disporre, si compenetra in un’ambiguita di fondo
che crea una contaminazione
quasi sovversiva”.
Nella carezza che piega il grigiore, Ozon lascia a piedi il
pessimismo e ci invita a sperare. Nell’ignoto e nell’avventura, oltre le consuetudini e la
vigliaccheria, brilla la nostra
redenzione.
Domenica 4 ottobre 2009
pagina 15
SECONDO TEMPO
FESTA PER “BARBAR O SSA” DI MARTINELLI
STRACAFONAL PADANO
Orrori in serie alla première leghista
di Francesco Bonazzi
ltro che morti di Messina
e tristezze varie dall’Italia
Inferiore. Venerdì sera,
all’anteprima per soli vip
del “Barbarossa” - quello di
Renzo Martinelli, non il mitico
veliero di Previti - una Milano
godereccia come mai ha finalmente raggiunto e superato
l’odiata Roma nella corsa al
“Power Trash”. E va detto che
non è stato neppure tutto merito della Lega di Bossi, pur inesauribile fucina di personaggi
vari ed eventuali, se la grande
soirèe nel cortile più nobile del
castello Sforzesco si è trasformata in quello che Roberto
D’Agostino chiamerebbe uno
“Stra-Cafonal col botto”.
Il primo contributo allo svacco
l’ha dato un allegrissimo presidente del Consiglio che, con la
scusa di un infinito baciamano
a Lory Del Santo (all’aperto, orrore degli orrori), si ferma a lodare l’ottimo stato di conversazione dell’ex stellina del “Drive In”. Poi tocca al costruttore
siciliano Salvatore Ligresti, capace di passare davanti alla sindacaMoratti senza un saluto,
pur di andarsi subito a piazzare
in prima fila vicino a Tremonti.
Ma quello è valtellinese dentro
e se ne sta seduto da mezz’ora
in mezzo alla famiglia Bossi. Il
ministro dell’Economia congeda Don Salvatore con un’oscura battuta sui ciclisti ed è davvero un peccato che, con quel
cranio di Zio Foster, non l’abbiano fatto accomodare in
mezzo a loro, in modo da completare la versione cisalpina
A
della Famiglia Addams. Poche
file più indietro, in un tripudio
di figuranti della Lega Lombarda vestiti da sagra del taleggio,
assessori e portaborse vari fanno la fila per salutare “la Simo”
Ventura, capace di sfidare i 19
gradi da ottobrata romana con
una stola di visone talmente
sfavillante da confondersi con
la capigliatura di Fabrizio Del
Noce. Saltella e sghignazza di
dama in damazza anche l’immancabile Ignazio La Russa,
ministro della Guerra, che si diverte a raccontare barzellette
in siciliano. “Obelix” Borghezio, conciato come una matrioska padana con un canovaccio
verde menta appoggiato sulle
spalle, si aggira distribuendo
pacche a chiunque gli capiti a
tiro. Il gigantesco banchiere di
Unicredit Fabrizio Palenzona,
con cravattone verde “in
omaggio al Bossi”, si appiccica
come un mitile a Daniela Santanchè, per una volta la più sobria della compagnia. Insomma, ministri e vippume vario
accorsi all’anteprima del “Barbarossa”, in una sfilata di berline tedesche con lampeggiante, non si sono certo fatti intimorire dal tono gotico-marziale del primo kolossal che celebra la Lega di regime.
rima di proiettare il suo
Pna “Bravehear
t” in salsa padadi fronte ai committenti di
Rai Cinema e del governo, il regista Martinelli ha naturalmente sentito il bisogno di ringraziare “Umberto Bossi, compagno di viaggio” in alcuni set del
polpettone costato 30 milioni
L’europarlamentare leghista Mario Borghezio in passerella a Milano (FOTO (ANSA))
Solo a mezzanotte
Berlusconi si ricorda
del disastro di Messina
di dollari. Bossi compare a sorpresa in un fotogramma digitalmente taroccato, come nella
miglior tradizione della pittura
di corte. Il resto del film è un
inno all’orgoglio padano, alla
libertà “contro l’invasore e le
tasse”, e all’italianità migliore e
indomita degli antichi milanesi. Ma la scena della battaglia di
Legnano è stata girata in Roma-
nia e i protagonisti sono tutti
stranieri: l’israeliano Raz Degan (Alberto da Giussano),
l’olandese Rutger Hauer (Federico) e la francese Cécile Cassel (Beatrice di Borgogna).
La pellicola inizia con un Alberto-ragazzino che è un incrocio
tra una specie di Gesù da vangelo apocrifo che parla da predestinato; un Harry Potter alla
brianzola che gioca con lame,
rune e spadini; e un bulletto di
campagna che fa le prove di coraggio lanciandosi nel Ticino
dal ponte più alto per stupire
gli amici. Seguono due ore di
spadate, freccie negli occhi, arti tranciati e sangue che sgorga
copioso dalle gole. C’è perfino
il primo piano di un orecchio
mozzato di sua mano da Rutger
Hauer, che poi rimbalza per
terra come nelle “Iene” di Tarantino (ma il Barbarossa per
fortuna non lo raccoglie da terra per urlarvi dentro). Ma c’è
anche spazio per momenti lirici, come il matrimonio celtico
del protagonista, a dire il vero
più sobrio di quello celebrato
anni fa da Calderoli con frasche
e ampolle. E per la gioia di La
Russa, il regista ha abilmente
inserito nel film particolari inediti, ma capaci di eccitare anche i cuori più neri. Perchè più
che sui carrocci, Martinelli ha
puntato sulla “Compagnia della Morte”, uno squadrone di cavalieri di nero vestiti che dovrebbe rappresentare il manipolo dei padani più audaci. E
gli inni alla morte che compaiono qua e là nel film sono
un’altra bella strizzata d’occhio agli alleati post-fascisti del
Bossi.
Surreale, infine, la battuta pronunciata da un dignitario di Federico dopo l’assedio vittorioso: “Sire, Milano è la porta della
Sicilia!”. Ironia della sorte, in
quell’esatto momento Ligresti
se ne va con aria scura. Proprio
lui, la dimostrazione vivente
che la storia è poi andata in altro senso, con i siciliani a far
fortuna a Milano.
E a proposito di siciliani, soltanto dopo essersi fatto fotografare con chiunque, dal cavallerizzo che da 36 anni impersona Alberto da Giussano a
Pontida, fino alle comparse padane del kolossal, Berlusconi è
tornato con la mente a Messina. Alle cena di mezzanotte per
sole “autorità”, il premier ha
sussurrato a Bossi: “Brutte notizie dalla Sicilia, i morti sarebbero una cinquantina”. E il Senatùr, commosso: “Povera gente...”. Poi avanti con i festeggiamenti per la prima pellicola
che fa entrare anche il Bossi da
Cassano Magnago nella storia.
Del cinema in verde-nero.
NOTIZIE DALLO STATO DI PATONZIA
Pubblichiamo in anteprima uno stralcio del
ne”.
romanzo di Luigi Irdi, “Il capo non è un santo”(Fazi Il Direttore squadrò Damezzo.
editore, 17.50 euro), in libreria da venerdì.
“E ce la porta lui, la soluzione?”.
di Luigi
Irdi
entiamo anche questa”, sospirò il Diret“S
tore dell’Idea regolando al minimo il termostato dell’aria condizionata.
Piero si fece coraggio. Via via che spiegava, il
Direttore socchiudeva gli occhi e quando
Piero terminò il suo racconto, la missione a
Clitoria in sostituzione di Grillini, l’inseguimento in motorino, la canna fumaria, il lucernario, il Capo che trombava come un furetto, sembrava profondamente addormentato.
“In primis, e quand’anche questa storia non
fosse una bufala cosmica, non abbiamo uno
straccio di prova. In secundis”, continuò
sventolando il pollice, “voi non capite la Patonzia e i patonziani. Il Capo è il Capo, e il
Capo tromba per definizione. Certo, si potrebbe eccepire che non è corretto utilizzare
le risorse dello Stato per spazzolarsi una mu-
Secondo il capitolo 4.bis del programma di
risparmio energetico varato dal Governo tutti
gli uffici dei giornali e delle agenzie di stampa,
tranne la redazione del Tg Spaziale, erano stati
trasferiti d’imperio in un vecchio stadio di
calcio dismesso alla periferia di Patonzia City
e le forniture di energia elettrica contingentate. Era stata un’idea di Carlino. In un discorso alla Nazione, il Capo aveva lanciato la
campagna per la limitazione delle emissioni
inquinanti proclamando
la necessità di dolorose rinunce a parte dei consumi più voluttuari, come
Campionato
per esempio i giornali di
carta stampata, a favore di
prodotti di informazione
a maggior contenuto tecome ogni anno, si rinnova la mesta tradizione presinologico
(Televisione
denziale. Qualcuno, tra i tecnici in odore di licenziaSpaziale e Rete Diffusa).
mento, pagherà. Non c’è da dubitarne. La settima giornata
“E ora l’Iva al 60 % sui prodi campionato, oltre alla probabile fuga della Sampdoria
dotti tipografici prevista
opposta al Parma, offre sotto il tappeto ceneri e possibili
dal Nuovo Ordine di Sicugioventù bruciate sull’altare dell’azzardo. Leonardo porta
rezza”, commentò sconil Milan a Bergamo, per novanta minuti che possono già
solato il Direttore sfosuonare definitivi. In conferenza, il tecnico ha scherzato
gliando il numero appena
amaramente sul suo presidente: “Per la formazione ci sendistribuito in edicola.
tiremo domani”, dicendosi fiducioso sulla piega che gli
“Ci vogliono morti”. Sedueventi, inevitabilmente, prenderanno. In caso di flop, esoti davanti alla sua scrivanero quasi certo. Nella domenica del “derby” tra Roma e
nia Peppe Baffi e Piero DaNapoli e di quello toscano tra Siena e Livorno, rischiano
mezzo annuirono vigoroanche Ruotolo, Zenga, Donadoni e Atzori. Batte un colpo
samente.
dialettico Ciro Ferrara: "Mourinho non è un pirla e io non
“Ecco, Direttore, volevo
sono fesso". Domani è un altro giorno, andate in pace.
presentarti Piero Damezzo, dell’Agenzia Parliamone. Forse c’è una soluzio-
I RISCHI DEL MESTIERE
C
latta durante una missione ufficiale, a Clitoria poi, dove si sa che se ti beccano te lo
tagliano seduta stante e rischiare così di far
saltare irrimediabilmente il Tavolo Inter Mediterraneo. Ma non è questo il punto”.
“In tertiis”, sollevò il medio, “non solo i Patonziani si sentirebbero fieri di avere un condottiero al quale, nonostante le molte primavere, tira ancora, ma avremmo contro tutti i Telegiornali Spaziali che ci accuserebbero di far leva su miserabili pettegolezzi pur
di infangare l’immagine del Capo e dunque
dell’intero Paese”. Adesso, si disse Piero, balzando in piedi a sua volta mentre Peppe Baffi
lo guardava annichilito per il suo ardire.
“In primis, è tutto verissimo tanto è vero che
ho filmato ogni secondo col telefonino, in
secundis abbiamo un culo, il culo del Capo,
in tertiis abbiamo la sua faccia mentre si ammira l’uccello, in quartis”, concluse Piero
che aveva fatto il classico, “il Capo non scopava una donna, ma sbatacchiava niente di
più che un pupazzo di silicone, non so se è
chiaro, Direttore, una bambola, un pezzo di
gomma con qualche buco”.
“Cosa vuoi?”.
Lavorare, aveva risposto Piero, in una redazione vera, con un contratto vero, con una
scrivania e un computer.
“Chiama l’ufficio centrale. Riunione. Immediatamente. Acqua minerale e tramezzini,
possibilmente al tonno e senza maionese
che ingrassa”, ringhiò il Direttore nell’interfono. Durante la riunione i caporedattori
centrali e il Direttore avevano a lungo soppesato le conseguenze politiche dello scoop
e Piero si era perfino annoiato.
“Ora”, aveva spiegato il Direttore al tavolo, e
su questo Piero Damezzo si era trovato d’accordo, “la prima mossa tocca a noi. Tutto
questo schema deve cominciare a muoversi.
Qualche idea su come fare?”.
Peppe Baffi aveva suggerito la soluzione.
Aveva proposto, e il direttore aveva accettato, che l’Idea se ne uscisse con tre do-
mande pubbliche rivolte al Capo a proposito
della sua missione a Clitoria, e per far vedere
che non cadeva dal pero, aveva estratto dalla
tasca una scaletta già pronta.
“Primo”, recitò Peppe Baffi alzandosi in piedi come un pubblico ministero in aula accarezzandosi una spalla come per aggiustare
una toga, “è vero o non è vero che, pur
avendo terminato gli incontri ufficiali della
missione a Clitoria alle ore 15,30, la missione
stessa si è protratta privatamente fino alle
ore 20.00 e oltre?”.
“E questa”, osservò Baffi, “nessuno ce la può
contestare”.
Secondo”, riprese: “Può il Capo rassicurare i
patonziani e garantire che, durante la missione in Clitoria, i mezzi dello Stato sono
stati utilizzati esclusivamente nell’interesse
del Paese e non per i suoi personalissimi
svaghi e/o interessi?”.
Il Direttore aveva annuito.
“Questa ci serve ad allungare il brodo”.
“Terzo. Dalle 15,30 alle 20,30, in assenza di
informazioni dalle fonti ufficiali, può il Capo
spiegare ai patonziani chi ha incontrato e
perché?”.
Sul volto del direttore era apparsa una smorfia di delusione.
“Siamo ancora un po’ fiacchi, Peppe”. E poi,
rivolto al responsabile del sito di Rete Diffusa chiese: “E’ ancora in corso la gara tra i
lettori ‘Indovina chi è?’”.
“Sì, Direttore, fino alla fine del mese”.
“Perfetto, la quarta domanda, da piazzare
sotto le altre tre, sarà: a chi appartiene questo culo? Sul sito metti un minuto di filmato
che ti darà il collega Damezzo, solo e soltanto il culo, mi raccomando, e sotto la quarta domanda ci piazzi il link :
www.tv.idea.pz/concorso/dichièquestoculo/.
Questo dovrebbe smuoverli”.
E aveva aggiunto: “A proposito, vi presento
Piero Damezzo, dal prossimo mese il nostro
nuovo cronista di nera”.
Domenica 4 ottobre 2009
pagina 16
SECONDO TEMPO
+
IL PEGGIO DELLA DIRETTA
TELE COMANDO
TG PAPI
Le onde corte
di Giorgino
di Paolo
Ojetti
g1
Til dolore
Più si scava nel fango, più
entra nelle case attraverso le testimonianze
dei sopravvissuti, più un
senso di panico e impotenza
si impossessa del telespettatore che non crede né alla
fatalità né a un perverso disegno divino e nemmeno a
chi sostiene che si è fatto il
possibile. Guardando il Tg1
che vola sul disastro, si sente la mancanza di risposte a
una domanda irrinunciabile: quante altre Altolia,
quanti altri Giampilieri esistono in Italia?
Quanti altri paesi sovrastati
da montagne disboscate,
violentate, aspettano il loro
destino? Chi si occupa di
scrivere i nomi di questa Italia a rischio, dove l’abusivismo, frutto della corruzione, ha superato ogni limite
di decenza?
Ovvio che il Tg1 non mani-
festa la minima volontà di
porre domande e dare risposte.
E fa un pessimo effetto il
porgere caramelloso di
Francesco Giorgino quando
riferisce tutto compunto: “Il
presidente Berlusconi ha rinunciato al sopralluogo per
non intralciare i soccorsi”.
Avrebbe potuto dire: “Berlusconi non va perché ha
paura dei fischi”, ma sarebbe finito ai turni di notte o
alle onde corte.
g2
Tnanosecondo
Nel Tg2 della durata di un
(come sempre di sabato) c’è spazio per
la manifestazione a difesa
della libertà di stampa.
Quanto basta per vedere lo
striscione dei “farabutti” del
Tg3. Non ci sono altri striscioni Rai, si vede che sono
soddisfatti di come vanno le
cose. Ma Studio Aperto ha
fornito un servizio più completo, bilanciato poi (è pur
sempre un tg berlusconiano) da un intervento di Maurizio Belpietro che però si
arrampicava sugli specchi,
accusando i giornalisti di
Repubblica e la Cgil di imprecisate nefandezze. Il Tg4
è quello che è: “Parliamo di
una certa manifestazione,
con certi giornalisti che vorrebbero difendere una certa
libertà di stampa”, ha ironizzato un certo Emilio Fede.
g3
Ttecnico
Qualche inconveniente
iniziale ha rovinato
le cronache della “imponente manifestazione” per la libertà d’informazione.
Che però è stata davvero imponente: 300.000 persone
(ma anche se fossero state la
metà) per una battaglia che
interessa soprattutto i giornalisti e i cittadini più sensibili e avveduti, sono davvero tante.
Ci sono gli esponenti del
centrosinistra, debitamente
intervistati, con Franceschini e Bersani che si fanno riprendere affettuosamente
sottobraccio.
E il controcanto è affidato a
un’intervista a Bossi e a una
dichiarazione lunare di Rotondi, che si sente perseguitato dalla sinistra trionfante.
Il Tg3 ha tenuto “in basso
pagina” lo strazio di Messina: una scelta inconsueta.
di Fulvio
Abbate
Il pensiero
in manette
ier Paolo Pasolini, di fronte ai segnali
Pe penna
d’omologazione, un giorno prese carta
e dalle colonne del “giornale della borghesia” chiese testualmente “l’abolizione della televisione”, cioè l’obiettivo
massimo, la difesa implicita della fantasia,
della poesia, della verità.
Molti di noi, più di trent’anni dopo, si
accontenterebbero della semplice cancellazione di “Uno Mattina” dal palinsesto
Rai.
Una battaglia di libertà che, pensandoci
bene, un consigliere d’opposizione di viale Mazzini, lo scrittore Giorgio Van Straten, potrebbe, perché no?, far propria.
Tentando così d’essere all’altezza del collega assassinato all’Idroscalo di Ostia, no?
Sarebbe uno “special” che s’illumina a favore dell’immaginazione, un colpo assestato al conformismo, alle gazzette ufficiali, alla banalità, al luogo comune, a quel
costume curiale che, ragionando in termini di tesori nazionali, ha reso Don Abbondio una carta benemerita del mercante in fiera clientelare, più di “Pesci e
Michele Cucuzza, ormai uva”. Sarebbe un ripassato dal giornalismo sarcimento, un boall’intrattenimento (F A ) nifico offerto a chi
sogna una televisione davvero cornetto e cappuccino
freschi.
“Uno Mattina”, per
chiara fama, al di là
del titanico Michele Cucuzza, è infatti
il manifesto del livellamento culturale nazionale al moOTO
NSA
mento della prima colazione, una sordina, un silenziatore applicati al pensiero,
alle opinioni, ai sogni, alle potenzialità
creative del servizio pubblico, fosse anche il semplice meteo che invita a non
dimenticare la crema solare o montare le
catene in prossimità dei valichi, dove
l’oroscopo appare la più accettabile delle
menzogne segnate in scaletta dal povero
programmista regista, l’unico sfruttato lì
in studio cui va tutta la nostra solidarietà.
Le ragioni? Antropologiche, endemiche,
appunto, del conformismo post-fascista,
post-democristiano, prim’ancora che politiche.
La recente telefonata in diretta di Berlusconi accolta da Susanna Petruni e Stefano Ziantoni come il radioso arrivo a Saxa Rubra della colomba dello Spirito Santo, è davvero il più veniale, innocente,
banale dei peccati: “Noi ringraziamo il
presidente del Consiglio dei ministri, onorevole Silvio Berlusconi, per questa telefonata, grazie presidente, comunque ogni
mattina siamo qui e questa è anche casa
sua,” pronunciò, lieto, Ziantoni, l’uomo
che altrove interrompe le dirette dicendo
testualmente “mi dispiace fare il Caronte”, ritenendo così di onorare il galateo
dell’ospitalità da garantire ai pezzi forti,
suggerendo l’idea di un reintrodotto “ius
primae noctis”.
Purtroppo, come il socialismo reale,
“Uno Mattina” non è riformabile. Qualcuno però faccia ugualmente in modo
che il buongiorno torni a vedersi dal mattino, anche mettendo al suo posto un
semplice poster svedese con tramonto
tropicale.
pagina 17
Domenica 4 ottobre 2009
a cura di Stefano
Disegni
SATIREu
& SATIRIASI
SECONDO TEMPO
I comandamenti
sono troppi
Intollerabile la pressione religiosa
per un imprenditore che lavora
duramente. Meno centralismo
e più iniziativa privata:
varato lo Scudo Morale,
solo sette comandamenti a scelta
dell’utilizzatore finale.
l Governo interviene con deciIcondotta
sione, dopo le polemiche sulla
morale del Presidente
del Consiglio. Su proposta
dell’avvocato Ghedini, omonimo
dell’onorevole Ghedini, è stato
varato un decreto legge detto dello “Scudo Morale”. Il Presidente,
infatti, non può certo
esercitare le proprie alte
funzioni e, nello stesso
tempo, rispettare tutti i
10 comandamenti, evitare i peccati capitali ed
esercitare le virtù teologali come un qualsiasi
moralista sfaticato privo
della cultura del “fare”.
A finire sotto accusa è
tutta una concezione
della religione profondamente illiberale, gestita da uno Stato Vaticano centralista ed interventista che non lascia libera iniziativa ai privati.
In particolare, il Governo giudica “legittimati a
non rispettare i comandamenti quei cittadini
che, oppressi dal carico
morale, non possono
godere i vantaggi della posizione
economica conquistata facendo
lavorare duramente i dipendenti”. Si propone quindi di abbassare radicalmente le aliquote morali, portando i comandamenti a
sette, a scelta dell’utilizzatore finale. Durissima la reazione dell'opposizione: “Va bene, sette,
ma facciamoli scegliere con vere
primarie aperte alla società civile, primo passo verso una pacata
discussione parlamentare che
porti alla creazione di un' apposita commissione di studio”.
Paolo Aleandri
Il fischio
di Asmodai
Milano, Berlusconi ha dichiarato: “AbAnellabiamo
introdotto un nuovo elemento
politica italiana: la moralità”. Come
Andrea Manfregna
”Il Cribbio Velato“
Olio su tela, ma anche
un po' lì. - Il Cribbio
giace supino, è sereno,
convinto che quelle siano
lì per amore. Accanto a
lui due cortigiane in adorazione: risplende per loro la speranza di
un posto alla destra di Cicchitto, seconda fila, terzo e quarto seggio.
Mirabile la prospettiva con cui il Manfregna ci restituisce intatto il
buffo corpicino e la volumetria del piccolo pacco del
Cribbio, che il Guicciardini, in vena di burle,
definì 'sperduto colibrì'. La luce, di
scuola caravaggesca, si
adagia lieve sul
volto del
Cribbio,
celandone le
crepe meglio di
una calza
elastica.
Leggenda vuole
che il Manfregna,
dopo aver
pubblicato questa
sua opera, non abbia
più potuto dipingere
in tutto il paese pena
il taglio delle mani.
se Rocco Siffredi avesse dichiarato: “Abbiamo introdotto un nuovo elemento nel
cinema porno: la cultura”.
Gli iscritti al PD hanno scelto Bersani, l’usato sicuro. Previsti anche
incentivi per rottamare Veltroni?
Però poi ci saranno le primarie, e i
“non iscritti” potrebbero anche nominare segretario un altro. Sagace
sistema. E' come farsi scegliere
l’amministratore del condominio
dai passanti, chi non lo farebbe? Al
PD piace stupire, ormai è più di un
partito, è arte. PD: Partito Dadaista.
Rivisto Mike Bongiorno nello spot di
una compagnia telefonica. Pasolini, già
nei '70 intuì dove sarebbe finita l’Italia
solo guardando la pubblicità dei jeans
Jesus. Mi domando ora dove stia andando un paese che fa fare le pubblicità anche ai morti. Pasolini
ce lo potrebbe spiegare anche
adesso: Mike gli presta il cellulare, tariffa “you and death”, ci telefona e ce lo spiega
anche da lì…“Non c’è scatto
alla risposta”. Già.
L’organo più alto di garanzia della Costituzione è riunito in queste
ore per decidere se in
Italia la Legge sia
uguale per tutti. Visto l'andazzo a Palazzo Grazioli, mi
chiedo quando si
riuniranno per decidere
che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sui lavoretti.
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Domenica 4 ottobre 2009
SECONDO TEMPO
Fatti di vita
PIAZZA GRANDE
É
La prima donna
A
Lodo, le ragioni per dire no
di Lorenza
Carlassare
vero che «bocciato un
lodo Alfano se ne approva un altro, modificato, e lo si manda
immediatamente in vigore»,
come scrive Vittorio Feltri su
il Giornale del 14 settembre? Se
così fosse, la Costituzione e le
istituzioni di garanzia non sarebbero che un’inutile farsa e
l’ordinamento intero un vuoto castello di carte smontabile
a piacere. A piacere della
maggioranza, s’intende, proprio il contrario di ciò che esige il costituzionalismo, il cui
obiettivo è porre limiti al potere.
Nessuno, credo, potrebbe
pensarlo, anche se è già successo: dichiarata incostituzionale la legge Schifani nel
2004, nel 2008 è stata approvata la legge Alfano sulla quale
ora la Corte costituzionale è
chiamata a decidere. Nell’ipotesi, a mio avviso certa, che
sia dichiarata illegittima, il governo e la sua maggioranza
potrebbero tentare per la terza volta?
Bisogna rispondere con fermezza che la riapprovazione
di una norma dichiarata illegittima non è consentita: e
dunque, se la Corte costituzionale pronunciandosi sulla
legge Alfano menzionasse fra
gli altri anche questo motivo,
il Presidente della Repubblica
potrebbe, senza incertezze,
non promulgare.
Dove sta il problema? Il governo potrebbe sostenere che la
legge è «diversa» dalla precedente, come già ora sostiene
in giudizio e fuori: il ministro
La Russa lo ha ribadito con vigore il 30 settembre a Linea notte affermando che la legge Alfano è stata costruita tenendo
conto di tutti i rilievi mossi al
precedente «lodo» nella sentenza n. 24 del 2004. Anche se
puntuali rilievi sono stati ignorati - in particolare che la posizione di chi presiede il Consiglio dei ministri e le Camere
non può essere differenziata
da quella degli altri membri
del collegio - qualche differenza c’è. Le Alte cariche tutelate
non sono più cinque, ma quattro. Ne è escluso il Presidente
della Corte costituzionale essendo stato dichiarato illegittimo «accomunare in un’unica
disciplina cariche diverse (…)
per la natura delle funzioni».
Inoltre, ora, è possibile rinunciare al «privilegio». Resta però immutato il vizio di fondo.
E’
a sospensione dei processi
Lprecedenti
per i reati comuni, anche
all’assunzione della carica, deroga al «principio
della parità di trattamento rispetto alla giurisdizione» di
fronte al quale non può prevalere l’esigenza di tutelare il
«sereno svolgimento» delle
funzioni pubbliche (con cui lo
si giustifica). Quell’esigenza,
«pur apprezzabile», si scontra
infatti con valori fondamentali
di superiore livello: il principio della parità di trattamento
di fronte alla giurisdizione è
alle «origini della formazione
dello Stato di diritto» (sent. n.
24). La continuità fra le due
leggi è chiara: di «sereno svolgimento» delle funzioni si parla nella relazione del ministro
Alfano alla legge del 2008, così
come se ne parlava nel 2003, e
viene invocata ancora a difesa
della legge. La debolezza
La sospensione
dei processi
per i reati comuni,
deroga al «principio
della parità di
trattamento rispetto
alla giurisdizione»
di fronte al quale
non può prevalere
l’esigenza di tutelare
il «sereno
svolgimento» delle
funzioni pubbliche
dell’argomento, già respinto
dalla Corte, ha indotto a richiamarsi anche al diritto di difesa
(art. 24 Cost.): la sospensione
dei processi disposta per la durata del mandato corrisponde
al «periodo di tempo che il legislatore ha ritenuto sufficiente per consentire alla persona
che riveste l’alta carica di organizzarsi per affrontare, contemporaneamente, gli impegni istituzionali di un eventuale nuovo incarico e il processo
penale», si legge nella memoria dell’Avvocatura dello Stato
a difesa del presidente del
Consiglio. Ma ad evitare che
chi ricopre un’alta carica sia
«distolto dai suoi compiti di
governo dalle necessità di difesa in sede penale» basta concordare il calendario delle
udienze: «il vero è che l’effettiva ed esclusiva finalità perseguita dalla legge Alfano non
è tanto quella di consentire
all’onorevole Berlusconi di or-
ganizzare le proprie difese, ma
di consentirgli di difendersi
sia “dal processo” per frode fiscale sia “dal processo” per
corruzione in atti giudiziari».
Questo si legge nella memoria
della procura di Milano (difesa
dal professor Alessandro Pace) dove si ricorda che, come
la legge precedente, la legge
Alfano fu voluta dallo stesso
Berlusconi per ritardare la celebrazione di processi penali a
suo carico: la legge Schifani
«mirava a ritardare la celebrazione del processo Sme, la legge Alfano altrettanto chiaramente mirava – e mira – a ritardare la celebrazione di almeno due altri processi a carico di Silvio Berlusconi pendenti dinanzi al Tribunale di
Milano». E precisamente: il
processo nel quale, oltre a Berlusconi, sono coinvolti Frank
Agrama ed altri, per il reato di
frode fiscale; e il processo nel
quale, oltre a Berlusconi, è
coinvolto Donald David Mills
per il reato di corruzione in
atti giudiziari. Con riferimento
a quest’ultimo – sottolinea la
stessa memoria – il secondo
«lodo» ha comunque raggiunto l’obiettivo: quello di evitare
che Berlusconi fosse giudicato
contemporaneamente all’imputato Mills.
infine perplessi l’arLcheascia
gomento dell’Avvocatura
«qualunque sia il reato
contestato, attinente o estraneo alle funzioni pubbliche, è
la pendenza del giudizio a far
sorgere il problema». Che un
presidente sia accusato di un
reato grave e infamante, non
fa già «sorgere il problema»? I
mezzi di comunicazione, dai
quali «le notizie sono presentate nelle forme che suscitano
Ahmadinejad
in tre mosse
di Hamir Ziarati
un genio Ahmadinejad. Uno statista formidabile. Forse il migliore degli ultimi 149 anni.
Uno capace di portare l'acqua al proprio mulino anche in piena siccità e facendosi persino aiutare dai suoi nemici per convogliarla dove gli
serve di più. Gli è stato sufficiente pronunciare ancora una volta il suo deleterio discorso ingiallito colmo di retorica antisemita alle Nazioni Unite, svelare
la notizia già conosciuta dalle intelligence occidentali di una nuova centrale per l'arricchimento dell'uranio, e infine eseguire una serie di test missilistici a
corto e a lungo raggio capaci di colpire Israele e l'Europa, per distogliere l'attenzione mondiale dal colpo
di Stato, dalle repressioni, dagli omicidi, torture e violenze che ha compiuto e continua a compiere in Iran.
Tre mosse vincenti in politica estera, utili al suo governo golpista per riproporre alla nazione la necessità di una forte unità
Il solito discorso
interna nei confronti
alle minacce delle poantisemita all’Onu,
tenze straniere, in
particolar modo nei
la notizia (già nota)
confronti dei nemici
gli americani
di una nuova centrale storici,
e gli israeliani, e avere
così le mani libere per
per l'arricchimento
spazzare definitivadell'uranio, i test
mente via tutta l'opposizione interna,
missilistici: ecco
esattamente come fece Khomeini nel
come ha distolto
1980 dopo l'invasione dell'Iran da parte
l'attenzione
dell'esercito irachemondiale dal colpo
no, che gli permise di
trasformare la vittoria
di Stato in Iran
della rivoluzione in
E’
IL FATTO di ENZO
di Silvia Struzzi
l
A 82 anni, ormai, la mia vita
se n’è andata, ma posso
considerarmi fortunato
perché ho fatto un lavoro
che ho sempre amato e per
il quale sono anche stato
pagato. Inoltre questa
professione è un po’ come
un acquedotto che deve
portare nelle case acqua
potabile. C’è chi la porta più
o meno frizzante,
ma sempre
potabile deve
essere.
Ultima puntata de Il
fatto, 31 maggio
2002
maggiormente la curiosità del
pubblico, utilizzando formule
suggestive», sono già messi in
moto dalle accuse anche se il
processo non si celebra. La
«sospensione» non serve al sereno esercizio delle funzioni.
Tanto è vero che nella sentenza n. 24 il lodo Schifani era
giudicato contrario al diritto
di difesa anche perché non
prevedeva la rinuncia dell’accusato alla sospensione «per
ottenere l’accertamento giudiziale che egli può ritenere a
sé favorevole».
Per chi ricopre un’alta carica
sarebbe conveniente affrettare i tempi del processo, dimostrare la propria innocenza ed
esercitare la funzione finalmente «sereno». Sempre, s’intende, che innocente lo sia
davvero.
bbiamo scritto in questo stesso spazio la scorsa settimana
di condizione femminile. Molti lettori ci hanno chiesto di
non lasciar perdere, nella convinzione che ci sia un’emergenza
a proposito delle donne in questo paese. Si è detto: a parte
qualche sommesso grido d’allarme, è stato fatto poco per
denunciare una degenerazione nella rappresentazione delle
donne che ricorda molto la commedia Anni ‘70, le lunghe
docce di Edwige Fenech con Alvaro Vitali che spiava dal buco
della serratura. Ora, questo Paese si dà un mucchio di arie in
fatto di civiltà: una grande democrazia occidentale.
Domanda: si può dire davvero civile un paese che vuole solo
donne senza veli, magari anche nel confronto con altri che il
velo lo impongono? Qualunque sia la risposta, abbiamo un
ministro delle Pari opportunità dal quale è lecito attendersi
una presa di posizione pubblica contro un imbarbarimento
evidente e preoccupante. Non si tratta di parte politica, sia
chiaro: è un fatto, come si diceva una volta, di genere. E
nemmeno si deve temere l’uso di parole desuete: servono ora
come ai tempi delle lotte femministe, perché bisogna
riconquistare una dignità che sta svaporando. Il ministro
Carfagna è ministro di tutti: la sua appartenenza politica è
assolutamente ininfluente. Come la sua storia personale,
calendari compresi. La questione non è né di destra né di
sinistra. Attiene molto semplicemente alle competenze del suo
ufficio. E’ lei, nell’esecuzione del suo mandato, la prima a
dover porre il problema della carneficina. Il ministero delle
Pari opportunità ha firmato campagne contro la violenza
sulle donne: adesso dovrebbe occuparsi di come - sempre di
violenza si tratta - le donne siano costrette a vedersi soltanto
esposte come quarti di bue dal macellaio. E’ un fatto che
tocca la sfera della dignità, ma anche quella della libertà: il
modello velina suggestiona le persone (prima di tutto le
ragazze nelle loro scelte), condiziona i rapporti tra gli uomini e
le donne. Si parla molto, spesso per luoghi comuni, del
rapporto uomo-donna nel mondo islamico e dell’attrito che
questo provoca quando viene a contatto con la nostra società.
E tuttavia non si ha notizia di programmi strutturati per
un’integrazione vera dei nuovi cittadini, anche nel
confrontarsi con una morale sessuale lontana da loro. Ma il
punto non è nemmeno veli, minigonne o altro: ci
mancherebbe. Il punto è che la donna geisha, sessualmente
disponibile, più o meno escort, appetitosa, ammiccante, zitta,
addomesticata, ha travolto tutto. Il resto, però, è ricchezza.
Non avanzi.
ualcosa va fatto. E davvero. E subito. L’unica strada è
dimostrare che il modello culturale è sovvertibile, che
non ci va bene perché passa sul nostro corpo, anche
letteralmente. Ci sono momenti cruciali, nella vita individuale
e in quella collettiva: questo è uno di quelli. Non girarsi
dall’altra parte è un modo per dimostrare serietà e
autorevolezza. I principi non hanno valore quando si
enunciano, ma quando si dà
loro concretezza. Non è tempo
per essere altrove: vale per tutti,
soprattutto per chi ha l’onore e
l’onere e di rappresentare il
popolo. Andiamo con ordine: la
prima donna è il ministro
Carfagna. La first lady ha già
dato.
Q
zioni Unite per i diritti umani ha rinnovato la preoccupazione del suo governo
per il trattamento riservato
agli oppositori in Iran, il 24
settembre il presidente
Obama, con il suo condivisibile discorso d'apertura alAhmadinejad a New York (F A ) le Nazioni Unite sui pericoli
della proliferazione atomica, ha offerto su un piatto d'argento ad Ahmadinejad
una dittatura teocratica.
Per capire chi l'abbia aiutato direttamente o indiret- l'ossigeno necessario per proseguire nei suoi piani
tamente a portare a compimento il suo piano basta per soffocare l'opposizione interna e riportare l'atandare a cercare tra le notizie degli ultimi giorni: gio- tenzione degli iraniani e quella mondiale sull'argovedì 17 settembre Ehud Barak, il ministro della Difesa mento a lui tanto caro, lo stesso usato negli ultimi 4
israeliana, ha annunciato che l'Iran non può mettere anni per distrarre l'Occidente. Infatti, contrariamenin pericolo la sicurezza dello stato d'Israele, e nello te a come sperava, non avendo più scandalizzato con
stesso giorno anche Barak Obama, apparentemente il suo discorso antisemita di fronte ad una sala sesenza chiedere nulla in cambio ai russi, ha archiviato mideserta, Ahmadinejad ha tirato fuori l'asso dalla
il progetto dello scudo missilistico contro la Repub- manica il giorno successivo, ammettendo con diciotblica Islamica voluto dal suo predecessore. Sarà un to mesi d'anticipo rispetto ai sei imposti dalle leggi
caso, ma entrambe le notizie sono giunte 24 ore pri- internazionali dalla messa in funzione di una nuova
ma dalla grande manifestazione per celebrare la gior- centrale per l'arricchimento dell'uranio, dalle dinata per la liberazione di Gerusalemme in Iran, quan- mensioni insufficienti per fornire una centrale per
do l'opposizione iraniana, approfittando di una ma- uso civile ma adeguata per fabbricare 2-3 bombe alnifestazione autorizzata dal governo, avrebbe preso l'anno. I test missilistici e le esercitazioni militari dei
la palla a balzo e si sarebbe riversata nelle strade per Pasdaran iniziati il 27 settembre non sono stati altro
urlare “morte alla Russia, alla Cina e al dittatore”, in- che una rinnovata richiesta di soccorso all'Occidenvece che, come è avvenuto negli ultimi trent’anni, te e a Israele in termini di minacce per recuperare la
all'America e a Israele. Due giorni dopo l'oceanica perduta popolarità e coesione interna, sia per sé che
manifestazione, il 20 settembre, il presidente Med- per la guida suprema AyatolShah Khamenei, il vero
vedev ha rilasciato alla Cnn un'intervista in cui so- burattinaio della Repubblica Islamica che nello stessteneva che il premier israeliano Netanyahu, durante so giorno ha fatto acquisire il 51% delle azione della
una visita segreta a Mosca, lo aveva assicurato che compagnia delle telecomunicazioni iraniane tramite
Israele non ha nessuna intenzione di bombardare l'I- l'esercito dei Pasdaran di cui è comandante in capo,
ran, gettando così benzina sulla politica estera israe- la più grande transazione nella storia della borsa iraliana che ha smentito la notizia ed è tornata nuova- niana, divenendo di fatto il proprietario di tutti i sermente a minacciare l'Iran. Se da una parte, il 22 set- vizi di telefonia e di Internet in Iran e quindi della
tembre, il rappresentante americano a Ginevra du- voce degli iraniani. Ora invece contratta con i 5+1 il
rante una seduta presso l'Alto commissario delle Na- silenzio dell'Occidente.
OTO
NSA
Domenica 4 ottobre 2009
pagina 19
SECONDO TEMPO
MAIL
Sono il non
abbonato del giorno
Chissà se come lettore e pensionato potrò essere considerato almeno...abbonato alle ingiustizie.
Devo descrivermi? Sarebbe troppo lungo. Mi basta aggiungere solo
queste poche parole (non tutte
mie): Alvaro, alias Ciceruacchio;
italiano di nascita ma non di costume, 'ncazzato, ateo e comunista
per scelta. Con il cuore, con la
bocca e con la mente (finché regge).
Alvaro Giusti
Napolitano, lo scudo
e la bolletta della luce
Sottoscrivendo l'appello al capo
dello Stato affinché non firmi la
legge sullo scudo fiscale, mi sono
resa conto che nelle mie motivazioni c'era spazio per una lettera,
ed eccomi qui. Io sono una donna
"sola" e non perchè mi manchi un
uomo, ma perchè gli uomini, cioè
la parte del cielo che comanda,
non sanno andare al di là dello
sguardo estetico. Il punto è questo: a me hanno staccato la luce
perchè non sono riuscita a pagare
la bolletta e per riacquistare quel
privilegio dovrò sborsare soldi
che non ho per la riattivazione (e
chiaramente anche per tutto il
pregresso comprensivo di interessi e more).
Dov'è l'etica in un provvedimento
che permette a chi ha frodato lo
Stato -e quindi anche me- non pagando le tasse ( e contribuendo
con il suo comportamento immorale anche a farmi staccare la luce)
di tornare in Italia come se nulla
fosse?
Paola Boggi
Silvio Berlusconi
e gli interessi di famiglia
Presidente Berlusconi, può assicurare a noi comuni mortali che
nè lei nè altri componenti della sua
rispettabilissima famiglia, nè i suoi
amici, vi avvarrete dei benefici dello scudo fiscale?
Sa, questo atroce ed irriverente
dubbio mi è sorto perchè tutte le
operazioni finanziarie contenute
nel dereto sono protette dall'anonimato. Qualche malalingua ha insinuato che lei, nel passato, ha
esportato dei capitali all'estero.
Sarebbe stata una contraddizione
troppo evidente, vero? Mi dia una
risposta tranquillizzante perchè
non sopporto quelle di Bruno Vespa.
Gianfranco Mosca
Le minacce delle banche,
lo sconcerto dei Cristina
Buongiorno, sono Cristina e con
mio marito abbiamo una piccola
attività nel bresciano.
Da ottobre abbiamo iniziato a subire abusi ad opera di Unicredit
che, per l’insoluto di un cliente
(che ancora oggi ci deve un bel po’
di soldi) ci ha revocato un affidamento. Il problema è che, per non
essere considerati cattivi pagatori, hanno imposto che fossimo noi
a chiedere la revoca del prestito.
Siamo sconcertati. Ci hanno chiamati tutte le settimane "consigliandoci" di revocare gli affidamenti, altrimenti non ci avrebbero
tolti dal rating (con rischi di ulteriori revoche da altri istituti bancari). A dicembre abbiamo iniziato
ad avere grossi problemi poichè
un'altra banca, visto il rating, ha dimezzato gli affidamenti nei nostri
confronti. A quel punto cediamo:
BOX
La vignetta
A DOMANDA RISPONDO
LA GELMINI COLPISCE
LA SCUOLA CHE MUORE
Furio Colombo
7
aro Colombo, siete bravi e
coraggiosi, ma secondo me
esagerate. La contestazione alla scuola
e al ministro di turno della (non più
pubblica) istruzione c’è sempre stata,
dai tempi della senatrice Falcucci. Vi
ricordate “ Lupo Alberto”? Si chiamava
Pantera, adesso si chiama Onda ,
ma è la stessa solitudine, lo stesso
disagio. Parlo da persona giovane che
ha smesso da poco di essere studente.
Voi dite Gelmini, io penso Berlinguer
(Luigi, s’intende). Forse solo De Mauro
è stato una breve eccezione. Vorrei che
mi dicesse in che senso la Gelmini ( a
parte il cursus honorum) è speciale.
Danilo
C
DIFFICILE smentire questa lettera.
Purtroppo, con buone o con cattive intenzioni , la
scuola barcolla da molto tempo sotto un
susseguirsi di riforme che sono come spostare un
po’ a caso i mobili di una stanza. L’immenso
distacco della istituzione scuola dal Paese di cui
dovrebbe essere (lo ripetono tutti) “ la fabbrica
del futuro”, resta intatto. L’immensa solitudine di
studenti e insegnanti diventa più grande come
accade con ogni malattia. Se non la curi peggiora.
Ma c’è un pesante però. Però la Gelmini, agente
di vendita della sua premiata ditta di cosmetici e
trucchi politici, non è solo il ministro senza mondo
e senza idee che deve per forza fare “una cosa di
destra”, che sarebbe la sua riforma. Il trucco,
persino geniale in quanto a bravura e capacità di
scatenare lungo tanti percorsi di legittima e
solitaria protesta insegnanti e studenti, è una
protesi. La sua missione non era cambiare la
scuola, ma rovesciare un cumulo di spunti, in
parte antichi, in parte inventati, in parte
reazionari (nel bel senso antico della parola) in
parte ridicoli, per coprire il grande taglio.
Le risorse per la scuola sono state amputate in
modo selvaggio da un governo che prometteva
inglese, impresa, iniziativa, come mai prima era
accaduto. La riforma è come scaricare camionate
di ghiaia perché non si vedano le rotaie (lo
facevano ai tempi del fascismo), e le strade
sembrino nuove. L’elenco di ciò che manca alla
scuola di oggi non comincia da indirizzi,
orientamenti, materie, nuovi o diversi corsi ,
esami e proposte di cose da togliere e cose da
aggiungere.
No, comincia da decine di migliaia di insegnanti
eliminati quasi all’improvviso e finisce con edifici
scolastici pericolosi in cui mancano sapone e
carta igienica. Tanto di cappello alla Gelmini. Ci
ha tenuto per mesi a discutere di grembiulini e di
studenti che si devono alzare in piedi quando
entra l’insegnante. Molti insegnanti non entrano
più, i servizi igienici sono come nelle vecchie
caserme, e per la scuola non arriva più un soldo.
Invece del tempo pieno la riforma Gelmini ci sta
dando il tempo vuoto. La conseguenza sarà un
danno irreparabile.
Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano
00193 Roma, via Orazio n. 10
[email protected]
IL FATTO di ieri 4 Ottobre 1898
“L’essenza di Parigi. Lasciarsi trasportare dal metrò
senza fine”. Così Kafka sull’underground de “la ville
lumière”, tunnel misterioso che Cocteau definirà “buco
nero asfittico”. Universo sotterraneo intricato, il metrò
parigino prende il via la mattina del 4 ottobre 1898.
Mancano due anni all’expo universel del 1900 e la
capitale prepara il gran debutto della ligne 1, da Porte
Vincennes a Porte Maillot. Affidati all’estro
dell’urbanista Fulgence Bienvenue i lavori della
sotterranea più glamour del mondo, procedono a
tempo di record. Tecnologia avveniristica primo
Novecento, cifra architettonica “art nouveau”, il primo
metro diventa subito mito, con la sua fuga di gallerie
audaci, il comfort dei convogli, i chioschi e le stazioni
stile floreale firmate da Hector Guimard, sacro mostro
dell’arte modernista francese. Per i parigini, quel lungo
treno nel ventre della città è da subito mode de vie e, sul
filo del motto “Metrò, Boulot, Dodo”, nel 1901 i
viaggiatori saranno oltre 50 milioni.”…Il metrò, dove
rosse risplendono le luci che indicano la via dell’Ade…”.
A poco più di un secolo, in fondo, l’atmosfera
“noir”evocata da Walter Benjamin, sembra non essersi
del tutto perduta.
Giovanna Gabrielli
inoltriamo la richiesta di revoca e
scopriamo che è tutto predisposto. La banca pretende che certifichiamo la loro bravura poichè risulta, incredibile ma vero, che siamo stati noi a rifiutare il loro aiuto.
Siamo stati ricattati, violentati
moralmente. Sappiamo di essere
in tanti a subire questi abusi.
semplice: niente uscite didattiche,
visite guidate e viaggi di istruzione.
Vi rendete conto di quanto dirompente potrebbe risultare una manifestazione del genere? Se ci siete
ancora battete un colpo altriment,i specialmente quelli più giovani ( ormai quarantenni ), vi abbandoneranno in frettta.
Cristina Erbifogli
Linus B.
Se i sindacati
non aiutano la scuola
I vecchi ci ricordino
che cos’era il regime
Ma dove sono andati a finire i sindacati della scuola? Tutta l'istruzione pubblica sta subendo l'attacco finale e chi ci dovrebbe tutelare
tace.
Allora non limitatevi a prelevare
direttamente in busta paga la quota di iscrizione perchè tanto è sicura.
Che ne dite invece di proclamare
subito, non qualche altro sciopero
generale per regalare alcuni miliardi di euro al governo, ma un bel
blocco di tutte le attività non dovute per contratto? Un esempio
Vorrei fare una considerazione
sull'analogia che vedo tra il famoso
ventennio ed il periodo attuale.
Ho 54 anni, non c'ero ma ne ho
sentito molto parlare dai miei, che
ne hanno subite le conseguenze.
Quando sorse il fascismo, i vecchi
di allora sapevano benissimo a co-
IL FATTO QUOTIDIANO
via Orazio n. 10 - 00193 Roma
[email protected]
sa andavano incontro.
La maggioranza però erano giovani che, illusi dal regime, lo sostennero.
Ne venne fuori ciò che sappiamo.
Troppi anni sono dovuti passare
perchè questa Italia riuscisse a lasciarsi alle spalle il regime.
Allo stesso modo, oggi abbiamo
buona parte della popolazione anziana che sa che fine faremo se
continua così, i giovani d'oggi (tra i
20 e i 40 anni) vivono nell'illusione
del "salvatore".
Per rovesciare questo regime dovremo aspettare la presa di coscienza di chi è nato da poco, magari istruito dai nonni; i genitori
ormai sono persi ed i vecchi sono
in decisa minoranza.
Fabio Ivaldi
Chi dovrebbe difendermi
aiuta i criminali
Sono molto deluso per cio' che e'
accaduto alla Camera in merito allo scudo fiscale.
La mia delusione nasce dalla quotidianita' che vivo. Sono un dipendente pubblico che da anni viene
additato con le piu' gravi accuse e
che da sempre, come qualsiasi lavoratore dipendente, non puo'
"evadere" il fisco, il canone Rai, la
tassa sui rifiuti urbani, la "tassa"
sulla striscia blu sotto casa, la tassa
di circolazione dell'auto e tantissime altre.
Naturalmente alcune di queste
tasse sono alte proprio in virtu' del
fatto che le pagano soprattutto
"pochi intimi" amici della legalità.
Ora mi domando: perche' io dovrei votare ancora un mio rappresentante che al momento opportuno non difende chi e' "costretto" ad essere onesto, ma aiuta i criminali e tutti quelli che mi costringono a pagare le predette tasse, a
chiudere i servizi sociali, le scuole,
gli ospedali e tutto cio' che e' al
servizio dei dipendenti cche prendono 1200 euro al mese (se ti va
bene)?
Aspetto delle risposte, e con me ci
sono tanti cittadini arrabbiati.
Pasquale Adamo
L’abbonato
del giorno
ROSITA E LUCA
Rosita Niceforo, calabrese,
vive e lavora a Roma come
educatrice (con un
contratto a progetto) per
un'associazione che si
occuoa di ragazzi con la
sindrome di Down. Luca
Mazzaferro, il suo ragazzo,
è neo laureando in Fisica
all'Università La Sapienza:
"Probabilmente sarò
costretto ad emigrare
all'estero come la maggior
parte
dei
ricercatori
italiani,
ma vi
leggerò
anche da lì”.
Raccontati e manda una foto a:
abbonatodelgiorno@
ilfattoquotidiano.it
Il Berlusconismo
e i vizi capitali
Buongiorno, sono una ragazza di
28 anni, laureata in legge, amareggiata e sconfortata dall'idea di continuare a vivere in una società
creatrice di dementi. Da tempo
penso ad un possibile modo di rivoluzionare tutto ciò, ma credo
che purtroppo il berlusconismo
abbia dato agli uomini tutti e sette
i vizi capitali. E chi se ne libera più?
Il presidente del Consiglio è infido,
dice tutto e il contrario di tutto,
facendo credere che sia possibile
raggiungere un benessere che alla
fine è solo il suo! Come fanno i
suoi elettori a dire che sono tutte
calunnie quando è lui stesso ad
ammettere i suoi rapporti con
Mangano e affini? Mi sembra che di
persone stanche ce ne siano tante,
ma trovarsi nel buio non è facile.
Gaia Redanò
Cresce l’insofferenza
per il Pd che non si oppone
Ma dova sta andando il Partito democratico? Va forse verso il non
senso, oppure ha (come al solito)
paura di prendersi le sue responsabilità? Forse l’assenteismo, che
ha provocato la vittoria della maggioranza sullo scudo fiscale, è stata
la cosa più grave e offensiva che l’
“opposizione” ha fatto nel corso.
Avrebbero potuto lottare insieme
all’Udc e all’Idv per far sì che questo decreto non passasse, invece
non solo quelli che non contano,
ma anche i grandi (Bersani , D’Alema , etc.) non c’erano. È così che
vogliono rifondare il Pd? Signor
Bersani, io sono una pensionata di
provincia. Avevo fiducia in lei.
Dov’era? Non avete fatto la legge
sul conflitto d’interessi, non avete
fatto una legge sulla scuola che risolvesse i problemi,(ero una professoressa, ho vissuto nella scuola
per 30 anni), non avete fatto niente! La vocazione prioritaria della
sinistra è la divisione, nei momenti
meno opportuni quello che sapete fare meglio è essere inconcludenti, smembrarvi in tanti rivoli insignificanti. Non sapete tralasciare
i personalismi e le visioni proprie
per una sintesi ragionata, magari
anche urlata, ma interna al partito.Per colpa vostra perdono tutti.
E’ la prima volta che scrivo al vostro giornale ,ma proprio non ne
posso proprio più.
Laura
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