C`è del vero in quella gaffe

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C`è del vero in quella gaffe
C'è del vero in quella gaffe - Massimo Fini
L'Italia è proprio un curioso Paese: basta che uno dica la verità ed è subito scandalo. Accadde
a Bruno Vespa quando, direttore del Tg1, dichiarò, negli anni convulsi della cosiddetta
«rivoluzione italiana», che la Democrazia cristiana era il suo «editore di riferimento».Era cosa
notoria, che sapevano tutti, anche i sassi, che nella cosiddetta Prima Repubblica (come, del
resto, nella cosiddetta Seconda) la Tv pubblica era lottizzata e appaltata: la prima Rete alla Dc,
la seconda al Psi, la terza al Pci. Ma apriti cielo, quando disse che «il re è nudo», quando disse
la verità Bruno Vespa fu quasi lapidato mentre era stato lasciato in pace quando, lui, come tutti
gli altri, quella elementare verità l'aveva sottaciuta.Più o meno la stessa cosa mi pare accada
oggi con il caso «Berlusconi - D'Antona». Dell'onorevole Berlusconi sono state lasciate passare
affermazioni assai gravi (tutte quelle, per esempio, che delegittimano i magistrati che lo
inquisiscono sostenendo non che sbagliano, com'è suo sacrosanto diritto di indagato, ma che
«complottano», il che è una dichiarazione eversiva), ma adesso viene messo in croce per aver
detto che il «delitto D'Antona è un regolamento di conti all'interno della sinistra». Che è la pura
verità.D'Antona era un uomo di sinistra che è stato ucciso dalle Brigate Rosse che
appartengono all'album di famiglia. Così come di sinistra erano l'operaio Guido Rossa, il
magistrato Emilio Alessandrini, il giornalista Walter Tobagi assassinati da terroristi rossi. La
differenza, sostanziale, è che D'Antona, Tobagi, Alessandrini appartenevano alla sinistra
riformista, Rossa a quella piccista, ma comunque inserita nel sistema, mentre i loro assassini
erano della sinistra eversiva. Non vedo che male ci sia a sottolineare questo dato di fatto.Anzi la
frase di Berlusconi potrebbe benissimo essere interpretata come un riconoscimento - anche se
probabilmente non era questa l'intenzione del Cavaliere - dei prezzi pagati dalla sinistra per la
propria scelta democratica nei confronti di quelle frange estreme della sua galassia che proprio
questa scelta non tolleravano. In ogni caso se la frase del leader del Polo si poteva prestare ad
equivoci per orecchie parecchio rozze, Berlusconi si è affrettato a chiarirla e a scusarsi
pubblicamente.Che altro si vuole ancora? Insistere, da parte della sinistra, significa dar fiato a
quella strumentalizzazione di cui si accusa l'avversario, facendo così, tra l'altro, il suo gioco. E'
strano l'atteggiamento della sinistra nei confronti dell'onorevole Berlusconi: invece di attaccarlo
sulle cose su cui può e deve essere attaccato, lo fa, in genere, su questioni di lana caprina,
tanto da far sospettare che il furente scontro fra i due Poli cui assistiamo da mesi sia in realtà
un teatrino che maschera un accordo inciucista.Un esempio è il gran can can sul «conflitto di
interessi» che è una questione del tutto marginale rispetto a quella del trust. Il problema posto
dal «conflitto di interessi» sta nel fatto che l'imprenditore diventato presidente del Consiglio
possa fare leggi che favoriscono le sue aziende. Cosa certamente grave perché lede la libera
concorrenza ma che riguarda il politico - imprenditore e i suoi concorrenti, cioè cento, mille,
diecimila persone. Invece il trust, il fatto che un solo soggetto, per sopramercato uomo politico,
abbia la metà del sistema televisivo lede alla radice i princìpi della democrazia e riguarda quindi
cinquanta milioni di italiani.Ma la sinistra non fa che insistere sul conflitto di interessi e lascia
perdere il trust. E non lo fa certo a caso, perché per smantellare l'oligopolio privato di Berlusconi
bisognerebbe fare altrettanto con quello pubblico che la sinistra, per ora, controlla. E così ci si
continua ad accanire sulle pagliuzze nell'occhio dell'onorevole Berlusconi per far finta di non
vedere le travi, sue e proprie, rendendo un cattivissimo servizio alla democrazia italiana che
non ha bisogno di disquisizioni ipocrite sul sesso politico dei terroristi e delle loro vittime, ma di
alcune importanti riforme strutturali, massime nel campo dell'informazione, televisiva e
stampata, pubblica e privata, per potersi dire finalmente tale.
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