04 appunti x slides SINODALITA` 24/10/2016

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04 appunti x slides SINODALITA` 24/10/2016
LO STILE SINODALE: SPUNTI PRATICI
Coriano 24 ottobre 2016
I contenuti di questo intervento sono ripresi in massima parte dal fascicoletto “Sognate anche voi questa
Chiesa” Sussidio CEI Post Convegno Firenze, pagine 72-79.
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Diciamo subito che nessuno nasce “sinodale”.
Il metodo sinodale (è una via maestra che la chiesa è chiamata a percorrere nel suo impegno missionario),
non può essere improvvisato né dato per scontato.
Ognuno di noi è chiamato a fare proprio questo stile. Non solo nella chiesa potremmo aggiungere (in
famiglia, …). Educandosi ed educando gli altri.
Tutti noi siamo più inclini a impegnarci a educare gli altri piuttosto che noi stessi. Ma non possiamo che
partire da noi. Una conversione personale allo stile sinodale, che diventa testimonianza di stile sinodale (e
la testimonianza è l’arma educativa più forte).
Non è solo il parroco che deve diventare sinodale, siamo noi tutti. Non solo al nostro interno, ma anche
verso l’esterno.
Una conversione che è da vivere non solo personalmente, ma anche come gruppi.
Ricordate Mons. Zuppi che parlava delle tentazioni pastorali citate nell’’Evangelii Gaudium ? Qualcuno
sostiene che manca la principale. La tentazione più diffusa nei nostri gruppi è quella di cercare le tentazioni
degli altri, piuttosto che le proprie.
Ascoltarsi tra gruppi, ringraziare per il dono che lo Spirito suscita negli altri gruppi, movimenti. Senza
pensare che il proprio sia il solo o il percorso migliore.
Due parole chiave della sinodalità: corresponsabilità e comunione.
Corresponsabilità: tutti siamo responsabili, nel senso che siamo chiamati a farci carico della missione. Un
catechista è responsabile di come si fa la caritas in parrocchia ? Ed un operatore del centro di ascolto è
responsabile di come si fa catechismo in parrocchia ? Sì, magari in misura diversa ma sì. Un fedele è
responsabile di come il proprio parroco fa le prediche ? Sì. Perché se non lo sostengo, non gli dono
vicinanza, non lo stimolo, mi assumo la mia parte di colpa su fatto che le sue prediche siano poco incisive.
D’altra parte la corresponsabilità non decolla se non si dà fiducia, se non si impara a delegare.
Comunione: non siamo isole, siamo un unico corpo. Valorizzare l’altro fa bene a tutti. Parlar bene di un
altro, non criticarlo, fa bene a tutti. Lasciarsi infiacchire o ammalare dalla rassegnazione, dalla pigrizia,
dalla critica, fa male a tutti.
Slogan. Siamo tutti ammalati di impazienza. Magari abbiamo già in mente la soluzione, quella giusta. Ma se
non viene maturata da tutti, non funziona. Bisogna avere la pazienza di fare i passi insieme.
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Non è un moda moderna. La sinodalità è una metodologia efficacie e fruttuosa. Ma non l’abbiamo inventata
noi.
Già la prima comunità cristiana era molto sinodale. Lo leggiamo negli Atti. Le decisioni, anche le più
importanti (come non imporre tutta la legge mosaica ai pagani) venivano prese dopo dialogo e confronto
approfondito. Gli Apostoli sanno che lo Spirito parla ad ognuno.
Gli Apostoli si accorsero poi che non potevano pensare a tutto. E per dedicarsi al ministero loro proprio,
preghiera e annuncio, istituirono i diaconi, che si occupavano del servizio alle mense.
Vedete: collegialità (comunione) e corresponsabilità.
E i doni dello Spirito non sono riservati a qualcuno. Ogni battezzato ha un dono dello Spirito, che deve poter
essere espresso e accolto.
E’ lo Spirito fatto proprio e praticato dal Concilio Vaticano Secondo: il più grande evento di ascolto,
confronto. Collegialità, e ministerialità permeano tutti di documenti risultanti.
Papa Francesco ha assunto lo stile sinodale come metodo vitale. Pensiamo ai due sinodi sulla famiglia (e se
non sono sinodali i sinodi…) , preceduti da una consultazione dei fedeli su base mondiale, approfondita: i
due questionari. Ma anche agli incontri veri e propri del Sinodo: una testo base chiaro, interventi con
argomenti ben cadenzati, una relazione finale a punti, scanditi dal grado di consenso esplicito.
L’esortazione apostolica finale.
Ma anche il convegno di Firenze, anch’esso preceduto dalla consultazione delle diocesi italiane e
contraddistinto da lavori di gruppo paritetici, in cui si confrontavano fianco a fianco vescovi, sacerdoti,
suore, laici, sposi, giovani.
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Vediamo ora in pratica cosa intendiamo per metodo sinodale.
Ci sono tre condizioni di fondo.
La preparazione: il tempo è prezioso, ed è sempre poco. Meglio quindi non sprecarlo; occorre non
disperdersi, fissare bene gli argomenti, dare modo di prepararsi e mettersi in ascolto dello Spirito.
L’ascolto: il mondo è pieno di luoghi dove gruppi di persone parlano senza ascoltarsi, dibattono per avere
ragione, si industriano per convincere gli altri. Nella chiesa non sia così. Ogni persona che mi parla è una
opportunità di arricchirmi, non una minaccia alle mie sicurezze. E l’ascolto vada sempre oltre le parole:
capire bene quello che l’altro vuole esprimere.
La progettazione: la chiesa non è un circolo culturale per dotte disquisizioni. Occorre concretezza. Ci si
confronto per arrivare a delle decisioni pratiche.
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Vediamo meglio il primo aspetto: la preparazione
La convocazione dell’incontro deve arrivare con un anticipo decente a tutti.
Deve riportare chiaramente i punti all’ordine del giorno, gli argomenti, i documenti utili per la riflessione,
gli obiettivi a cui si vuole arrivare.
Questo permette la riflessione personale, la ricerca; eventualmente anche la consultazione di altri pareri,
del gruppo rappresentato, ecc..
Ma anche la preghiera personale. Porsi in ascolto di cosa suggerisce lo Spirito. La preghiera poi ci converte:
ci rende più capaci di ascoltare gli altri.
Umiltà. Chi inizia un confronto presupponendo che sicuramente non cambierà idea, che conosce già tutto, è
meglio che non inizi neanche il confronto. La supponenza genera divisione, e la divisione fa solo perdere
tempo ed entusiasmo. Iniziamo gli incontri dicendoci: non vedo l’ora di sapere come la pensano gli altri.
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L’ascolto lo chiamiamo Buon Ascolto.
Le persone in genere amano frequentare i gruppi di persone che hanno le stesse idee, leggere i giornali
scritti da gente che la pensa uguale. E’ comodo restare nelle proprie certezze, non esporsi al rischio di
mettere in dubbio le proprie credenze.
Questo è poco cristiano. Gesù era il primo che non si sottraeva al confronto, anche con i più lontani.
Ascoltare uno che ha un’idea diversa dalla mia è un’ opportunità. Possiamo credere veramente che l’altro è
una ricchezza e che Dio ci parla attraverso gli altri.
Alcune regole, molto semplici, possono facilitare l’ascolto.
Innanzitutto la puntualità. Se si dice di iniziare alle ore 21.00 si inizia alle 21.00. Chi c’è c’è. Chi arriva in
ritardo si rende conto che la prossima volta conviene arrivare in orario.
Definire dei tempi precisi, evitando che i più loquaci prendano il sopravvento. Prima di iniziare il confronto
il moderatore potrebbe dire “bene, abbiamo 20 minuti, siamo in 20, quindi per lasciare spazio a tutti
occorre che un intervento non duri più di 1 minuto”. Evitare i dibattiti a due: dire chiaramente che anche se
non si concorda con l’intervento di qualcuno, si attende il proprio turno prima di dirlo. Divieto assoluto di
interrompere (a meno del moderatore). Se si esce dal tema, il moderatore riporti gentilmente ma
fermamente il discorso sugli argomenti di interesse.
Attenzione. Alcuni suggerimenti per evitare distrazioni. Se qualcuno chiacchiera col vicino, insistentemente,
chi sta parlando si ferma, e attende via libera per continuare. Utilizzare quando possibile la divisione in
piccoli gruppi (non oltre le dieci unità). Il moderatore tenga conto di chi non è intervenuto e gentilmente lo
incoraggi ad esprimersi. Perché il problema è che ci sono persone che parlano sempre anche su argomenti a
loro poco noti, e altri che non parlerebbero mai, neanche su argomenti su cui avrebbero tanto da dire.
Favorire quando possibile orari non troppo notturni. Nel caso di temi molto importanti un consiglio pastorale
può benissimo convocarsi di pomeriggio. Iniziare puntuali, ma anche terminare puntuali.
Attualizzazione: la nostra fede si basa sull’amore e l’amore è la cosa più concreta del mondo. Non servono
le discussioni sui massimi sistemi, sociologia o filosofia, quanto parlare della nostra realtà, del nostro
tempo, della nostra parrocchia. Si parliamo di immigrati, evitiamo discorsi generici su necessità di
accoglienza o paura di invasioni, quanto delle famiglie che abitano nelle nostre strade, dei loro figli, di cosa
vedono loro in noi, dell’opportunità di essere missionari nelle nostra città.
Infine Papa Francesco insiste molto su un altro termine: la parresia. In pratica: il confronto si fa nelle
riunioni, non nei corridoi; parliamo sempre con franchezza, diciamo tutto, con libertà; sapendo che mai si
giudica la persona. I Sinodi sulla famiglia, per chi ne ha seguito i dibattiti, hanno visto molti tratti di
fraterna parresia, assolutamente apprezzabili.
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Siamo alla progettazione.
A chi di noi non è mai capitato di uscire da una riunione pensando: ma alla fine cosa abbiamo concluso ?
Non sempre è possibile arrivare a conclusioni operative, ma molto spesso lo è.
A volte non è possibile perché le idee emerse hanno bisogno di tempo per essere maturate, per trovare
delle sintesi concrete, non c’è niente di male. Però le idee emerse devono essere fermate, consegnate a
qualcuno, come minimo verbalizzate.
Concretezza: le proposte devono essere chiare, attuabili. Si deve avere un’idea precisa di chi, come,
quando, con quali mezzi può portare avanti la proposta. Oltre ovviamente anche il perché !
Condivisione: quando emerso deve esser divulgato agli altri. Agli assenti, ma anche al resto della comunità.
Un verbale, chiaro e sintetico non dovrebbe mancare mai. La condivisione nasce dalla convocazione. Ad
esempio, un consiglio pastorale, tutta la comunità dovrebbe sapere quando è convocato, gli argomenti, ed
essere invitata a pregare. Se abbiamo fede sappiamo che la preghiera della vedova da casa, vale molto di
più del discorso erudito di un partecipante.
Verifica: una decisione è concreta se è verificabile. Non posso dire “sarò più buono”, ma “la prossima
settimana andrò a trovare almeno due volte i miei genitori anziani”. Allo stesso modo un consiglio dovrebbe
definire oltre alla decisione, anche a quando e come ne verificherà l’attuazione. Attenzione: sappiamo bene
che certe scelte non sono misurabili, ma cercare un riscontro concreto aiuta sempre.
Un’ultima considerazione sulle decisioni. Non sempre un confronto deve portare a una decisione. I Consigli
devono consigliare. Ci deve essere poi qualcuno che aiuta il parroco a fare sintesi. Come ci possono essere
dei momenti in cui i pareri vanno raccolti in maniera dettagliata, chiedendo ad esempio una votazione su
un’ipotesi o un’altra. Ma questo sempre con carità e fiducia nello Spirito.
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Ecco un riassunto concreto, per un Consiglio Pastorale.