Oleg Mandic, l\\\\\\\`ultimo bambino

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Oleg Mandic, l\\\\\\\`ultimo bambino
Oleg Mandić, la storia dell’ultimo bambino di Auschwitz
L’ex deportato ospite al “Bearzi” per la Giornata della Memoria
Oleg Mandić è stato l’ultimo bambino a uscire vivo dal campo di sterminio di
Auschwitz. Il 27 gennaio 1945, giorno della liberazione da parte dell’Armata
Rossa, aveva appena dodici anni. Per contribuire a mantener viva la memoria
dell’orrore nazista, ha raccolto i suoi ricordi di quei giorni in un libro, dal titolo
“L’ultimo bambino di Auschwitz”. Il prossimo 24 gennaio, a tre giorni dalla Giornata
della Memoria, Oleg sarà ospite nell’auditorium dell’istituto “Bearzi” di Udine per
presentarlo e per dare ad allievi, salesiani e insegnanti una testimonianza diretta
dell’Olocausto.
Dalle 9.15 alle 10.30 incontrerà le classi della scuola media, mentre dalle 11.30
alle 13 parlerà ai ragazzi dell’Istituto tecnico industriale e del Centro formazione
professionale. Entrambi gli incontri sono aperti anche al pubblico esterno.
Quando l’Armata Rossa liberò gli ultimi prigionieri di Auschwitz, Oleg era nel
campo di sterminio assieme alla nonna e alla mamma, anch’esse deportate come
prigioniere politiche. Il padre di Oleg, infatti, fu un partigiano che si battè per una
libera repubblica jugoslava, e la famiglia Mandić venne così posta sotto il diretto
controllo nazista. Nonna, madre e Oleg vennero portati al carcere Coroneo di
Trieste. Il 10 luglio 1944 li aspettava un carro bestiame stipato di donne, uomini,
bambini e anziani che come loro intuivano oramai il loro destino. Arrivati ad
Auschwitz, Oleg ricorda: «Ricevetti il numero 189488, che mi fu
contemporaneamente tatuato sull´avambraccio sinistro. Inoltre, mi porsero il
triangolino rosso quale prigioniero politico a 11 anni».
Il campo di sterminio non mancò di imporre le sue spietate regole. Nel grigiore
della vita annullata non sembrò avere più senso lottare e nemmeno sopravvivere:
«Affamati, stanchi, bagnati ed infreddoliti desideravamo che il cielo calasse su di
noi e ponesse fine alle nostre sofferenze», scrive il protagonista nella sua
biografia. Poi, finalmente, arrivò il giorno in cui fu necessario sgomberare
Auschwitz. «Evitando i punti di controllo ormai esigui – scrive ancora Oleg nel suo
libro – siamo riusciti a immetterci nel gruppo destinato a rimanere. Eravamo in
cinquemila. Tutti scarni, sciatti e sciancati. Fortunatamente i tedeschi avevano
fretta di andarsene e ci lasciarono al nostro destino senza intervenire. Una
settimana dopo il lager fu liberato dall´Armata Rossa. Eravamo appena in tremila e
passa ad accoglierli».
Quella de “L’ultimo bambino di Auschwitz” è senza dubbio una storia di speranza,
ed è Oleg stesso a sottolinearlo proprio in apertura del suo memoriale: «Se vuoi
che la tua sofferenza si trasformi in un messaggio positivo devi raccontarla
[…] Da allora non ho più smesso di scrivere e parlare della mia storia».
Udine, 20/01/2016