Scheda di sala
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I C O N C E R T I 2 0 1 6 - 2 0 1 7 GIANANDREA NOSEDA DIRETTORE ORCHESTRA DEL TEATRO REGIO SABATO 22 OTTOBRE 2016 ORE 20.30 TEATRO REGIO Gianandrea Noseda (foto Ramella&Giannese) Gianandrea Noseda direttore Jan Lisiecki pianoforte Sandro Lombardi voce recitante Orchestra del Teatro Regio Fabio Vacchi (1949) La giusta armonia, per voce recitante e orchestra (2006) prima esecuzione italiana Ludwig van Beethoven (1770-1827) Concerto n. 4 in sol maggiore per pianoforte e orchestra op. 58 (1805) I. Allegro moderato II. Andante con moto III. Rondò. Vivace - Presto Alfredo Casella (1883-1947) Sinfonia n. 2 in do minore per grande orchestra op. 12 (1910) I. Lento, grave, solenne - Allegro energico - Animato - Assai più lento (quasi Andante calmo) - Allegro moderato assai - Lento (tempo dell’Introduzione) Allegro assai vivace - Tempo I (Allegro energico) - Animato - Assai più lento A tempo più mosso (Tempo del II tema) - Lento (Tempo dell’Introduzione) Allegro mosso - Presto risoluto II. Allegro molto vivace - Maggiore. Più allegro - Allegro molto vivace III. Adagio, quasi andante IV. Finale: Tempo di marcia ben risoluto, con fuoco - Feroce. Con energia selvaggia, brutale - Un poco allargato - Allegro vivo - Il doppio più lento. Come una marcia funebre - Tempo I (Allegro risoluto) - Largamente - Tempo I, un poco largamente Feroce - Alla breve - Disperato - Allegro molto vivace - Il doppio più lento. Di nuovo a tempo di marcia funebre V. Epilogo: Adagio mistico. Con tutta l’intensità di espressione possibile Appassionatissimo - Maestoso. Trionfale. Con tutta l’energia sino alla fine Restate in contatto con il Teatro Regio: Fabio Vacchi in un ritratto fotografico di Andrea Sacchi Fabio Vacchi La giusta armonia Era il luglio 1791 quando Mozart, che si sarebbe spento pochi mesi dopo, il 5 dicembre, terminò la Cantata Die ihr des unermeßlichen Weltalls Schöpfer ehrt kv 619 per voce e pianoforte (Voi che adorate il creatore dell’immensurabile universo), indicata nel suo catalogo personale come Eine kleine teutsche Kantate, quindi contemporanea alle sue grandi opere d’addio: Flauto magico, Clemenza di Tito e Requiem. Il testo è di Franz Heinrich Ziegenhagen, che i Mozart conoscevano probabilmente fin dal 1777 come testimonia l’epistolario. La Cantata apparve pubblicata per la prima volta proprio sull’edizione del 1792 del trattato di Ziegenhagen La dottrina della giusta armonia con le opere del creato (Lehre vom richtigen Verhältnisse zu den Schöpfungswerken), dalla quale era tratto lo stralcio sulla tolleranza religiosa musicato nella kv 619. Considerato tra i pionieri del socialismo europeo di fine Settecento, Ziegenhagen affronta nel suo saggio i temi dell’uguaglianza sociale e di genere, dell’animalismo, del pacifismo, con molta radicalità ma escludendo, in netta contrapposizione con i rivoluzionari francesi, ogni forma di violenza. Non era ovviamente un caso che Mozart si accostasse a questo testo. Rientrava a pieno titolo nell’orientamento di un compositore consapevole, legato ai circoli illuminati austrotedeschi anche per la sua appartenenza massonica. Così Ziegenhagen trova posto accanto ad altri amici, Fratelli, collaboratori, con i quali Mozart sognò di cambiare il mondo: il giurista seguace di Beccaria Josef Sonnenfels, gli scrittori anticlericali Aloys Blumauer e Johann Pezzl, amici tra loro e di Wolfgang, il medico giacobino Anton Mesmer, fondatore secondo lo studioso Ellenberger della psicologia moderna, l’irriverente scrittore illuminista stimato da Goethe Christoph Martin Wieland, la drammaturga anglicana antischiavista Hanna More, il teosofo protestante Friedrich Christoph Oetinger, il mineralogista “fustigatore di preti” (come si firmò) Ignaz Born, e molti, molti altri. Uomini talvolta atei, non di rado religiosi, ma sempre estremamente critici nei confronti dell’immoralità e dell’ipocrisia delle varie chiese monoteiste, fiduciosi nell’illuminismo di Giuseppe II e nella sua politica sociale volta al radicamento d’istruzione e sanità popolari. Tutto questo ci porta distante mille miglia dal ritratto distorto di Mozart che la biografia di Hildesheimer offrì a Shaffer e Forman per il loro pur bellissimo, ma storicamente snaturato, film Amadeus (1984). Quando nel 2006 il Festival di Salisburgo mi commissionò un brano per le celebrazioni dei duecentocinquant’anni della morte di Mozart, piuttosto che ispirarmi a un suo frammento musicale (avevo già terminato e orchestrato l’incompleta aria Die neugeborne Ros’entzückt kv 365a su richiesta del Festival Mozartiano di Rovereto nel 1998), ho preferito estrapolare alcuni passi dalla voluminosa dissertazione protosocialista che aveva ispirato Wolfgang. Al punto da spingerlo a musicare frasi di un testo che confluirà in uno dei rari esempi di musica picta, con incisioni di Daniel Chodowiecki cariche di denuncia contro l’intolleranza, la superstizione religiosa, il terrore pedagogico e di buona volontà per un mondo possibile, dove uomini e animali vivano in coesistenza libera e pacifica. Un altro motivo per cui decisi di scrivere un melologo fu che si trattava di una forma amatissima da Mozart, il quale scrisse in una lettera di considerare «magnifico» l’effetto prodotto dalla recitazione delle parole sulla partitura orchestrale. Penso che la musica faccia parte a pieno titolo della più ampia sfera dell’umano, e non possa essere altrimenti. Se ho rifiutato negli anni della mia giovinezza lo strumentale impegno politico perché poteva facilmente nascondere scarsa qualità specifica, sento da tempo l’esigenza di rendere esplicito quel mondo ideale che da sempre alimenta la struttura, pur autonoma, di qualsiasi partitura, anche la più astratta. E Mozart resta un esempio fra i più alti dell’intrinseca vocazione umanistica dell’arte. Le poche, penetranti parole su questioni scottanti e attualissime hanno sollecitato in me una scrittura inquieta, sofferente, conscia del distacco tra intenti e disattese, ma che fin dall’inizio viene emotivamente e strutturalmente calamitata verso la mediterranea, catartica tarantella conclusiva. Non priva di gioia e di speranza nell’evocare il rito della sapienza collettiva, che cresce nel tempo insieme al pubblico, e senza la quale non esiste linguaggio. Fabio Vacchi Anche se si è ricreduto sulle illusioni ideologiche ed estetiche degli anni Cinquanta e Sessanta, Fabio Vacchi resta un compositore attento ai destini del mondo, ai suoi orrori e ai valori che dovremmo fare nostri, nell’ambito di un progetto politico e umanista molto diverso da quello dei neo-marxisti del dopoguerra. La giusta armonia si inserisce nel filone di opere che testimoniano la forma tutta personale del suo impegno. Dai calanchi di Sabbiuno è stato composto nel 1995 per celebrare alla Scala i cinquant’anni della Resistenza italiana e poi trascritto su invito di Claudio Abbado, che ha programmato la versione per grande orchestra in prima assoluta al Festspielhaus di Salisburgo; eseguito innumerevoli volte in tutto il mondo, ha ottenuto una vera ovazione anche al Festival di Aix-en-Provence nel 2015, in occasione di una serata in omaggio a Patrice Chéreau. Nel 2001, qualche mese dopo l’11 settembre, Fabio Vacchi ha composto un’imponente opera sinfonica, Diario dello sdegno (Teatro alla Scala, 2002, ripresa lo stesso anno a Bruxelles, Parigi e Atene, sempre sotto la direzione di Riccardo Muti), nella quale esprime musicalmente la sua indignazione non solo di fronte all’assurdità dell’atto terroristico, certo, ma anche di fronte alla decisione, non meno assurda, di bombardare per rappresaglia l’Afghanistan. (In seguito Riccardo Chailly ha commissionato a Vacchi Tagebuch der Empörung, modellata sulla versione originaria poi modificata del Diario, che ha diretto al Gewandhaus di Lipsia nel 2011). Le stesse profonde motivazioni etiche ed estetiche animano Terra comune (2002), che su richiesta di Luciano Berio ha inaugurato il nuovo Auditorium di Roma di Renzo Piano sotto la direzione di Myung Wuhn Chung. Il titolo è significativo: Vacchi delinea musicalmente la prospettiva di un’umanità più armoniosa, integrando stili musicali diversi in un linguaggio comune; mescola così melodie popolari siciliane con ritmi e suoni d’ispirazione africana. Un coro rende esplicito il contenuto del suo impegno universalista. La giusta armonia – di cui si ascolta stasera la prima italiana, dopo il debutto nel 2006 al Festspielhaus di Salisburgo diretto da Riccardo Muti (l’unica opera nuova in prima esecuzione assoluta in quella speciale edizione del festival, consacrato a Mozart) – ha radici analoghe, ma utilizza questa volta i mezzi del melologo, genere musicale in cui una voce recitante dialoga con l’orchestra. Vacchi aveva già composto melologhi, e altri ne seguiranno, tra i quali Prospero, o dell’armonia (da Shakespeare,Teatro alla Scala, Riccardo Chailly, 2009) e Soudain dans la forêt profonde su testo di Amos Oz (Comédie Française e Salle Pleyel di Parigi, 2012) nei quali pure affronta il tema di una possibile pacificazione degli uomini tra loro e con la natura. Perché ha una predilezione particolare per il melologo, nobilitato a suo tempo da Hector Berlioz con il suo Lélio, ou le Retour à la vie del 1831 e già amato da Mozart? La risposta è che il melologo permette al compositore di far intendere chiaramente un concetto cui tiene molto. In più, il ricorso a una voce recitante consente di leggere il testo nella lingua del paese in cui il melologo è rappresentato – come nel caso di stasera – e persino di adeguarlo alle circostanze dettate dall’attualità, senza doversi scontrare con le difficoltà di adattamento della traduzione alla partitura musicale. Per La giusta armonia Vacchi ha selezionato alcuni frammenti, riprodotti in questo programma di sala, tratti dalla monumentale opera del proto-socialista Franz Heinrich Ziegenhagen (1753-1806), Dottrina della giusta armonia con le opere del creato, e di come solo con la sua applicazione pubblica si possa attuare l’universale felicità, pubblicata in tedesco nel 1792. Il contenuto filosofico di questo trattato testimonia la diffidenza dell’autore nei confronti delle religioni istituzionalizzate, l’appello al rispetto delle credenze diverse dalle proprie, ma al contempo le sue posizioni deiste, sostenute presso la loggia massonica di Regensburg, di cui era divenuto maestro nel 1786. Del testo di Ziegenhagen furono vendute non meno di 5.000 copie, e l’amico Mozart s’ispirò al capitolo sulla tolleranza religiosa per la Cantata kv 619 che fu pubblicata in calce alla prima edizione del trattato. L’opera di Vacchi prolunga questa filiazione, al contempo artistica e filosofica, del Secolo dei Lumi. È da rilevare in modo particolare la professione di fede egualitaristica che Vacchi ha fatto sua per La giusta armonia: Ziegenhagen si erge contro l’egoismo, l’avidità e la ricerca sfrenata del profitto; denuncia l’eccessiva frattura che separa poveri e ricchi; auspica l’armonia degli uomini con la natura, l’equilibrio tra il tempo del lavoro e quello del riposo, nonché la promozione dell’educazione come bene pubblico; condanna l’intolleranza religiosa; reclama l’abolizione delle religioni settarie e raccomanda caldamente la coesistenza con gli ebrei; auspica l’estensione della «giusta armonia» non solo agli abitanti dei nostri paesi, ma anche alle «capanne» dei Mongoli e alle moschee dei Turchi. Parla anche dei diritti degli animali, dell’ambiente, dell’educazione, della salute pubblica. Tutto ciò non è straordinariamente attuale? Considerata la posta in gioco, La giusta armonia è organizzata musicalmente in modo tale che sia facile sentire e capire ciò che dice la voce recitante. All’attacco dell’opera si sente la recitazione del primo frammento sullo sfondo di note tenute dagli archi, cui si uniscono i fiati. I tempi moderati o «più lento», generalmente preceduti da un «ritenuto», accompagnano la maggior parte dei frammenti testuali (2, 3, 5, 6.1, 6.3 e 7.1) e ciò consente di distillarne il contenuto senza fretta. I frammenti 3, 6.2, 7.2 e 7.3 s’innestano su una pausa coronata degli archi. Intanto il discorso orchestrale, nel quale i corni hanno spesso un ruolo preminente, traduce il sentimento d’urgenza insito nella reazione alle disuguaglianze con le accelerazioni dei tempi, l’introduzione di ritmi spezzati e di «crescendo» che portano a dei «fortissimo» tenuti. La curva melodica generale si sviluppa sovente verso l’acuto, accompagnata da iterazioni motiviche e da scansioni dei timpani. Poi il tempo rallenta, fino al successivo intervento della voce recitante. Sussiste perciò uno stretto legame tra il senso dei testi e il carattere dell’orchestra. L’atmosfera di conseguenza s’incupisce quando Ziegenhagen tratta la povertà, ma può evolvere anche verso momenti di grande veemenza, prima che la voce recitante faccia appello all’inclusione delle razze nella «giusta armonia». L’ultimo intervento recitato si conclude con la parola «gioia» e, in uno spirito al contempo sensuale e mediterraneo, Vacchi inserisce una tarantella napoletana che apre uno squarcio di ottimismo, come se ci fosse la possibilità, carnale e artistica al contempo, di migliorare il mondo. Lasciato da solo, nel finale, il tessuto orchestrale propone una lunga perorazione sinfonica: dapprima interiore e pacata, poi animata da un’energia ritmica costante, come per convincerci che bisogna agire e comportarsi secondo la lezione filosofica e sociale proposta dall’autore del trattato. Per sancire il senso etico, l’opera termina con dei violenti «sforzando», a meno che questi non significhino, da parte del compositore, la paura che l’umanità non sarà mai abbastanza saggia da essere salvata: la «giusta armonia», forse, è un’utopia. Tutto ciò, ben inteso, lo si può cogliere o interpretare solo se si segue e si comprende il testo, ma se ciò non accadesse, per paradosso, il discorso sinfonico di per sé merita comunque d’essere ascoltato, poiché ha una sua autonomia strutturale e traduce a meraviglia lo stato d’animo, al contempo indignato, fiducioso e probabilmente inquieto, che il testo di Ziegenhagen ha suscitato in Fabio Vacchi. Jean-Jacques Nattiez (traduzione di Antonella Palumbo) Ludwig van Beethoven Concerto n. 4 in sol maggiore per pianoforte e orchestra op. 58 Beethoven iniziò il lavoro preparatorio al Quarto concerto per pianoforte durante la composizione dell’Eroica (1802-1803), ma il clima è agli antipodi della monumentale drammaticità della celebre Terza sinfonia. Il compositore lo presentò al pubblico nel corso di una “colossale” e spettacolare accademia (concerto per sottoscrizione), la sera del 22 dicembre 1808 al Theater an der Wien; un avvenimento che sarebbe stato il suo addio a Vienna, città dove si sentiva osteggiato da critici e intriganti, avendo forse ceduto all’invito di Girolamo Bonaparte a diventare maestro di cappella del neonato stato satellite del Regno di Vestfalia a Kassel. «Tutti i pezzi sono di sua composizione», recitava la locandina, «completamente nuovi e non ancora pubblicati». La Sinfonia Pastorale e il Quarto concerto, insieme a un’aria e a un brano della Messa in do maggiore costituivano la prima parte; la Quinta, il Sanctus della Messa, la Fantasia op. 77 e la Fantasia per piano, orchestra e coro op. 80, costituivano l’altrettanto poderosa seconda parte. Le prove furono tempestose per lo stato di tensione che si instaurò fra il compositore e l’orchestra. Durante il concerto, dopo un errore del clarinetto durante l’esecuzione dell’opera 80, Beethoven si fermò, e col pubblico interdetto, gridò forte: «Da capo». Risultato finale: gran successo generale e orchestrali che giurarono di non suonare più in presenza di Beethoven. Il Concerto in sol maggiore fu completato nel 1805 e terminato l’anno successivo (le cadenze furono improvvisate e poi pubblicate nel 1809 con una famosa battuta di accompagnamento: «cadenza – ma senza cadere»). La sua tinta unica nasce dalla sua estraneità al turgore e al clima del Beethoven eroico, prediligendosi atmosfere raccolte, intime e terse: «Di una originalità inaudita si può parlare anche a proposito dell’Andante con moto, per l’essenzialità paradigmatica con cui la poetica del conflitto è rappresentata nel contrasto fra il solista e l’orchestra: questa resa aggressiva dal terreo colore della frase ritmica degli archi, quello raccolto in una pura frase di corale, attutita dalla sonorità “una corda” in una luce di ansiosa ma intima preghiera; anche la soluzione del conflitto è originale rispetto ad altri luoghi beethoveniani, perché questa volta è il “principio supplichevole” che vince, quando il sinistro monito dell’orchestra poco per volta si affievolisce: come il coro delle furie, placate dal canto di un nuovo Orfeo, che si chinano per lasciare il passo. L’uscita è nel Rondò finale, pagina che corre su piedi leggeri, nella quale la visione interiore è confermata dall’uso intenso di strumenti solisti (i legni sopra tutti) che specie negli ultimi episodi conversano con il pianoforte secondo un rapporto che, ancora una volta, era più tipico della musica da camera che delle vaste forme concertanti» (G. Pestelli). Giovanni Gavazzeni Alfredo Casella nel suo studio di Parigi nel 1915 Alfredo Casella Sinfonia n. 2 in do minore op. 12 L’accostamento di un caposaldo del repertorio pianistico come il Quarto concerto di Beethoven alla semisconosciuta Seconda sinfonia di Alfredo Casella ci offre il destro per ricordare la presenza viva di Beethoven nella vita di Alfredo Casella: come solista al pianoforte e come membro del celebre Trio Italiano, formato con Alberto Poltronieri e Arturo Bonucci; come docente a Santa Cecilia e come revisore delle Sonate pianistiche per Ricordi; infine come esegeta nella silloge epistolare Beethoven intimo, curata per Sansoni. Il culto e la conoscenza beethoveniane del musicista torinese ci riportano all’idolo musicale del giovane Casella, Gustav Mahler, il musicista il cui influsso è all’origine della Sinfonia di Casella. Questi dichiarò che fra i musicisti del suo tempo il solo che avesse colto la vera portata dell’Ode alla gioia di Beethoven era Mahler, la cui arte «potente, espressiva e varia […] era la risultante intellettuale di Beethoven e Wagner». Dunque la presenza del Quarto concerto, lavoro da sempre prediletto dai pianisti-musicisti per la sua “unicità”, si amalgama anche alle predilezioni del compositore-pianista torinese. Alfredo Casella, definito da Fedele d’Amico «nunzio apostolico della musica contemporanea italiana» e da Bruno Barilli «franco cacciatore dell’idea futura», fu spesso frainteso come compositore da ammiratori e censori per le sue “virate” stilistiche. Mutazioni nate dalla grande e informata curiosità per quanto lo circondava che i detrattori insinuavano frutto di snobismo esterofilo anziché di solida necessità etica (ancor prima che espressiva). Lo stesso Casella alimentava la svalutazione delle sue prime “maniere” – quella giovanile e quella da lui definita del dubbio tonale – giurando «d’aver raggiunto la propria identità soltanto negli anni Venti, e a forza di ripeterlo provocò di fatto l’archiviazione di quasi tutte le opere precedenti» (d’Amico). Oggi che le “opere precedenti” la cosiddetta terza maniera, ossia il ritorno all’ordine neoclassico, hanno trovato qualificata attenzione, a partire dalle sortite concertistiche e discografiche dirette da Gianandrea Noseda, la sua personalità ci appare più completa, e il suo intuito realmente profetico (anche i rapporti fra Mahler e Casella sono stati approfonditi e arricchiti, grazie ai contributi di Virgilio Bernardoni, Emilia Zanetti e Quirino Principe). La Seconda sinfonia in do minore op. 12, per mole architettonica e posizione biografica è opera emblematica e riassuntiva delle influenze filtrate dal giovane Casella con personalità propria. Nell’asciutto passo dedicato a questa sinfonia nell’autobiografia I segreti della Giara (1938), Casella sottolinea non soltanto i chiari debiti con il sinfonismo coevo tedesco e russo, ma anche la sua autonomia davanti alle maggiori correnti artistiche del paese dove aveva studiato e viveva, la Francia classicista di Saint-Saëns e della severa école franckista, dove la soave e raffinata guida del suo maestro Fauré fioriva accanto al flou misterioso e inimita- bile di Debussy, e dove il suo compagno di studi Maurice Ravel iniziava a produrre la sequenza di capolavori che conosciamo: «Verso l’estate [1908], cominciai la composizione di una Seconda Sinfonia in do minore alla quale lavorai con molto impegno. Questa partitura è rimasta inedita. È un lavoro di circa 3⁄4 d’ora, dietro il quale si scorgono imperiose le ombre di Mahler e di Strauss e – meno visibili – quelle di Rimskij e di Balakirev. È curioso rilevare come – vivendo già in Francia da undici anni ed avendovi completato la mia educazione artistica – io subissi così poco l’influenza dell’ambiente circostante. Questo deriva senza dubbio dalla mia natura italiana che era già allora fondamentalmente antiimpressionistica e che cercava istintivamente altre vie che non quelle seguite allora dalla maggiore arte francese». L’ammirazione che Casella nutrì per Debussy lo convinse che la sua arte fosse inimitabile e che le vie da battere erano altrove. Mentre Djagilev inondava l’Occidente aprendo lo scrigno russo, Casella mescolava profumi orientali all’aria della Vienna Jugendstil, riconoscendo con rara precocità il genio di Gustav Mahler. «Da anni mi ero acceso di un vivo entusiasmo per la personalità di Gustav Mahler, il quale era totalmente sconosciuto in Francia. Ne avevo studiato tutte le sinfonie e le possedevo praticamente a memoria. Un giorno di quell’aprile (1909), una amica viennese mi ebbe un appuntamento con Mahler, il quale era di passaggio da Parigi tornando da New York. Era un uomo assai piccolo, di un tipo viennese-boemo alquanto «schubertizzante». Era nervosissimo e non stava un secondo tranquillo. Fu subito assai affettuoso con me, e quando vide che sapevo a memoria tanta musica sua, ne rimase sinceramente commosso. Ho conservato di lui una delle più nobili impressioni che mi abbia mai prodotto un musicista». Lo studio a memoria delle partiture di Mahler si rivelò un contrappeso efficace dopo l’engouement per i poemi sinfonici di Richard Strauss, essendo per Casella lo strumentale di Mahler in una posizione così diversa e tanto più vicina a noi. La Sinfonia in do minore di Casella condivide con la Seconda del venerato maestro viennese-boemo non solo il numero due e la tonalità d’impianto, ma flagranti tratti stilistici, come la comparsa nel Finale di una tetra e lugubre marcia funebre, o le improvvise accensioni sarcastiche e fiammeggianti. L’organico richiesto – legni a quattro e cinque, quadriglia di corni, trombe e tromboni a tre, tuba, organo, arpe, percussioni importanti (fra le quali le campane) e un quintetto d’archi di adeguato contrappeso fonico – riporta verso le dimensioni della Sesta di Mahler, battezzata solo quattro anni prima, nel 1906. L’oscillazione fra gravità funebre e violenti ostinati ritmici, fra grandi slanci lirici, aneliti mistici (come nell’Epilogo sul metafisico sostegno dell’organo, in cui si riconosce la matrice di Saint-Saëns) e sarcastiche crudezze, rimarranno caratteristiche distintive anche nelle successive maschere che l’arte di Casella assumerà nel corso del suo intenso cammino artistico. Perché quello che lo incanta in Mahler (e che farà suo), oltre alla libertà assoluta e nuova della forma, è il timbro. «La varietà incessante e l’invenzione prodigiosa» lo guidano, perché «una mano di ferro riunisce e amalgama in un tutto armonioso elementi melodici, ritmici e armonici i più apparentemente inconciliabili». Da musicista Casella si incamminerà seguendo la stella della “qualità sonora” mahleriana, seguendo «l’inventore di timbri e nuove sonorità», il «ricercatore instancabile di rapporti sonori sconosciuti». Il destino della Seconda sinfonia di Casella era legato a quello della “Resurrezione” di Mahler. Il 17 aprile 1910 «Mahler diresse a Parigi ai Concerts-Colonne la prima esecuzione della sua Seconda sinfonia con cori. […] Questa esecuzione, la prima che avvenisse di quel compositore in una società sinfonica francese», confessa con orgoglio Casella nel 1938, in piena follia antisemita, «era opera mia». Casella aveva smosso mari e monti, «fatto innumerevoli passi e mosso infinite persone influenti onde riuscire a mettere in piedi questa esecuzione, la quale fu resa possibile solamente da cospicui interventi finanziari della Société des Grandes Auditions Musicales e dalla Société des Amis de la Musique, società che si guardavano in cagnesco, ma che la mia fede e la mia tenacia riuscirono miracolosamente a mettere d’accordo in favore di Mahler». Sei giorni dopo, «il 23 aprile, diedi alla Sala Gaveau un altro concerto (sempre col generoso aiuto di qualche amico) nel quale diressi le prime esecuzioni della Sinfonia n. 2, della Suite in do maggiore e di Italia. Il concerto ebbe lietissimo successo di pubblico e di critica. Nell’autunno del medesimo anno [Willem] Mengelberg mi invitò ad Amsterdam a ripetere lo stesso programma». Giovanni Gavazzeni Musicologo francese naturalizzato canadese, Jean-Jacques Nattiez (Amiens, 1945) insegna Semiologia della musica all’Università di Montréal dal 1970. Tra i suoi scritti si ricordano: Tétralogies: Wagner, Boulez, Chéreau (1983), Proust musicien (1984; trad. it. 1992), Wagner androgyne: essai sur l’interprétation (1990; trad. it. 1997), Le combat de Chronos et d’Orphée (1993; trad. it. 2004), La musique, la recherche et la vie (1999), LéviStrauss musicien: essai sur la tentation homologique (2008). Le voci da lui scritte per l’Enciclopedia Einaudi sono state raccolte nel volume Il discorso musicale (1987); per la stessa casa editrice dirige l’Enciclopedia della musica. Ha ricevuto tra gli altri il premio Québec-Paris (1997) e il Louis-Hémon dall’Académie de Languedoc (1999). Nel 1990 è stato nominato membro dell’Ordine del Canada e nel 2001 cavaliere del National Order of Quebec. Giovanni Gavazzeni (Milano, 1965) è critico musicale de «Il Giornale» e collabora con «Amadeus», «il Venerdì di Repubblica» e con il canale Sky Classica. Ha pubblicato Gianandrea Gavazzeni. Musica come vita (1999), con Luciano Alberti, e tre volumi dedicati alla cronaca musicale dal titolo Feuilleton (2008-2011). La giusta armonia Dedicato a Riccardo Muti - Commissione Salzburger Festspiele Prima esecuzione assoluta: Salisburgo, Grosses Festspielhaus, 12 agosto 2006 Selezione dei testi aggiornata per questa esecuzione 1. […] Wenn er also wahres, dauerhaftes Glück genießen will, so muss er seine Handlungen […] in das richtige Verhältnis mit den beglückenden Kräften anderer Menschen und mit der übrigen ihn umgebenden Schöpfung selbsttätig setzen […] […] Se l’uomo vuole godere di una vera e duratura felicità, deve porre tutte le sue armoniche forze in un giusto rapporto […] con le forze degli altri uomini e con le leggi della natura che lo circonda […] 2. […] Ist es nicht die größte Unordnung der Begierden, Tyrannei und Verbrechen der beraubten Menschheitsrechte, bei schon überflüssigen Gütervermögen, […] immer, wie in einer Fieberhizze, nach mehreren zu dürften, oder auch gesättige noch, gleich einem unersättlichen Raubtier’, alles umher an sich zu reissen, und dem aus seinem Lasttierstande sich emporarbeitenden Nebenmenschen jeden Fortschritt zu erschweren, oder ihn törigtblind gar wieder zurückzustossen? […] […] Non è forse il più malsano dei desideri, non è tirannia e rapina dei diritti umani volere sempre di più, in un delirio febbricitante, anche quando già si navighi nell’abbondanza? […] E pur sazi continuare come rapaci incontenibili ad accaparrare tutto, arrivando a ricacciare indietro con stupida cecità chi tenta con fatica di emanciparsi dalla sua condizione di bestia da soma, o rendendo comunque più gravoso ogni suo progresso? […] 3. […] Hier leben Einige frei, und haben mehr zu gebieten als sie übersehen können; dort sind andere, abhängig und sklavisch […] […] Qui vivono liberi i pochi, che nemmeno sanno dar conto di quante cose siano al loro comando; là invece gli altri sottomessi e schiavi […] 4. […] die Pflicht einer vernunftmäßigen Ausbildung der Kinder, von welcher das Wohl des Ganzen abhängt, wird nicht mehr vernachlässigt […] […] il dovere di una razionale educazione dei fanciulli, dalla quale dipende il bene pubblico, non verrà più trascurato […] 5. […] nicht nur unter den Menschen, deren Einige als Lasttiere, Andere als Masttiere leben, das gehörige Verhältnis der Arbeit und Ruhe herstellen, […] sondern auch die uns dienenden Tiere werden ein froheres, schöpfungsmässigeres Leben genießen […] […] non solo sarà ristabilito il giusto equilibrio di lavoro e riposo tra gli uomini, oggi divisi tra animali da lavoro e da ingrasso, […] ma anche agli stessi servizievoli animali sarà concessa una vita più serena e in armonia con la natura […] 6.1 […] Jeder unterdrükkte und blos geduldete Zeitgenosse, vorzüglich […] der Jude, auch zum ganz gemeinnüzzigen Gliede der Gesellschaft angenommen. […] Ogni uomo oggi oppresso o a malapena tollerato, e in particolare […] l’ebreo, sarà accolto come membro vero dalla società. 6.2 Dadurch wird sich die woltätige Sonne des richtigen Verhältnisses der Menschen nicht nur über unsere mutterländischen Gegenden […] E così il benefico sole della giusta armonia potrà irradiarsi non solo tra gli uomini della madrepatria […] 6.3 sondern auch almälich über entfernte Erdteile, über die Hütte des rohen Mongolen und geplagten Negers, so wie über die Moscheen des zärimoniösen Türken verbreiten. […] ma diffondersi gradualmente fino a raggiungere i più lontani angoli della terra, dalla capanna del primitivo mongolo e del negro sfruttato, fino alle moschee del raffinato turco. […] 7.1 Knecht und Magd, und Herr und Gebieterin, Gehülfe und Erbbesizzer, Arme und Reiche finden sich nicht mehr […] und dadurch wird die Kunst, Krankheiten zu verhindern, nicht mehr schwierig […] Non ci saranno servi e serve, padroni e padrone, operai e possidenti, poveri e ricchi […] e non sarà impossibile l’arte di impedire le malattie […] 7.2 Dadurch werden die vielen tausend Kinder, Jünglinge und Mädchen erhalten, die bei der jetzigen religiösen Verfassung ihr Leben verlieren; […] Ihr könnt die Abschaffung jener schöpfungswidrigen […] und niedriger Sklaverei der Unwissenheit und des Aberglaubens bewirken […] La vita di molte migliaia di ragazzi e ragazze che oggi la perdono per l’intolleranza religiosa sarà salvata; […] verranno abolite le religioni settarie […] che tengono nella più profonda schiavitù dell’ignoranza e della superstizione […] 7.3 keine unersätliche Habsucht, kein scheelsehender Neid keine stolze Herrschsucht ihre Freudewütenden Blikke jemals wieder verbreiten […] né avidità incontenibile, né subdola invidia, o arrogante sete di dominio diffonderanno i loro strali, a inquinare la gioia […] Testi tratti da: Franz Heinrich Ziegenhagen, Lehre vom richtigen Verhältnisse zu den Schöpfungswerken und die durch öffentliche Einführung derselben allein zu bewürkende allgemeine Menschenbeglückkung, Amburgo 1792 (Dottrina della giusta armonia con le opere del creato, e di come solo con la sua applicazione pubblica si possa attuare l’universale felicità) Gianandrea Noseda è riconosciuto come uno dei più importanti direttori d’orchestra della sua generazione. È stato premiato come “Direttore dell’anno” per il 2015 da «Musical America» e “Best Conductor of the Year” 2016 agli International Opera Awards. Recentemente nominato Direttore ospite principale della London Symphony Orchestra, a partire dalla stagione 2017/18 sarà anche il Direttore musicale della National Symphony Orchestra di Washington. Ha iniziato la stagione 2016/17 con una lunga tournée di 14 concerti alla guida della London Symphony che ha toccato sette paesi in Europa compresa l’Italia, dove ha inaugurato il Festival Mito. Al Teatro Regio ha appena presentato una nuova produzione della Bohème che celebra i 120 anni dalla creazione. Come Direttore musicale del Teatro Regio dal 2007, ha segnato l’inizio di una nuova era, caratterizzata da un crescente interesse internazionale: sotto la sua guida sono state realizzate importanti tournée in Austria, Germania, Francia, Regno Unito, Russia, Cina, Giappone e Stati Uniti, fino alla più recente apparizione al Festival di Hong Kong. Gianandrea Noseda è anche Direttore ospite principale della Israel Philharmonic Orchestra, Direttore principale dell’Orquestra de Cadaqués e Direttore artistico del Festival di Stresa. È stato alla guida della Bbc Philharmonic dal 2002 al 2011 e “Victor De Sabata” Guest Chair della Pittsburgh Symphony Orchestra tra il 2011 e il 2014. Dal 2000 è Direttore artistico dello Stresa Festival. Collabora con alcune tra le maggiori orchestre del mondo, tra cui la Nhk Symphony di Tokyo, la Philadelphia Orchestra, la Cleveland Orchestra, la Toronto Symphony Orchestra, la Filarmonica della Scala e l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, oltre ai Wiener Symphoniker e all’Orchestre de Paris. Nel maggio 2015 ha debuttato con i Berliner Philharmoniker e nel giugno 2016 con i Münchner Philharmoniker. Dal 2002 è ospite regolare del Metropolitan di New York dove ha diretto diverse nuove produzioni, ultima in ordine di tempo quella dei Pecheurs de perles, a breve disponibile in dvd per Warner. Nell’estate 2015 ha debuttato al Festival di Salisburgo con i Wiener Philharmoniker nel Trovatore, e con una nuova produzione della stessa opera ha debuttato lo scorso luglio alla Royal Opera House Covent Garden di Londra. L’intensa attività discografica di Gianandrea Noseda è iniziata nel 2002 con l’etichetta discografica Chandos, per la quale ha realizzato una quarantina di registrazioni discografiche, molte delle quali hanno ricevuto premi e riconoscimenti dalla critica internazionale; in particolare, da oltre un decennio è impegnato nel progetto Musica Italiana, che ha permesso di riportare alla luce capolavori sinfonici dimenticati, tra cui l’opera sinfonica di Alfredo Casella. Con la Filarmonica di Vienna e con l’Orchestra del Teatro Regio ha registrato i più recenti album di arie di Ildebrando d’Arcangelo, Rolando Villazon, Anna Netrebko (per Deutsche Grammophon) e Diana Damrau (per Warner Classics). Le sue incisioni con la Israel Philharmonic sono disponibili per l’etichetta Helicon Classics, mentre una apprezzatissima edizione del War Requiem di Britten con la London Symphony è apparsa per Lso Live. Nato a Milano, per il suo contributo alla diffusione della cultura musicale italiana nel mondo Gianandrea Noseda è Cavaliere Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana. All’età di appena 21 anni, il pianista canadese Jan Lisiecki ha ottenuto ampio riconoscimento per la sua straordinaria maturità interpretativa, il suono distintivo e la sensibilità poetica. Le sue interpretazioni penetranti, la tecnica raffinata e la naturale affinità per l’arte gli consentono di avere uno spessore musicale che va oltre la sua giovane età. Nato da genitori polacchi in Canada nel 1995, ha iniziato le prime lezioni di pianoforte all’età di cinque anni e ha debuttato in concerto quattro anni dopo, ma sempre rifiutando l’etichetta di ‘’bambino prodigio’’. Ha suscitato l’attenzione internazionale nel 2010 dopo che il Fryderyk Chopin Institute ha pubblicato una registrazione con i Concerti per pianoforte di Chopin, da lui eseguiti a 13 e 14 anni, che ha ricevuto il prestigioso premio Diapason Découverte, individuando in lui uno dei pianisti più poetici ed immaginifici della sua generazione. Nel 2011, a soli 15 anni, Jan Lisiecki ha firmato un contratto in esclusiva con Deutsche Grammophon, che l’anno seguente ha pubblicato i Concerti per pianoforte kv 466 e kv 467 di Mozart. Nel 2013 sono usciti gli Studi op. 10 e op. 25 di Chopin, seguiti quest’anno dalle opere con orchestra di Schumann: «ClassicFM» ha scritto di lui che «potrà anche essere giovane ma suona Schumann come una leggenda». Nel 2013 ha sostituito all’ultimo momento Martha Argerich nell’esecuzione del Concerto per pianoforte n. 4 di Beethoven a Bologna, con l’Orchestra Mozart diretta da Claudio Abbado. Ha coronato quella stagione con un sensazionale Concerto per pia- noforte di Schumann ai Bbc Proms. L’anno successivo ha eseguito tre Concerti di Mozart in una settimana con la Philadelphia Orchestra e ha debuttato con l’Orchestra Filarmonica della Scala di Milano, l’Orchestra della Tonhalle di Zurigo, la Nhk Symphony di Tokyo e la Deutsches Symphonie di Berlino. Nella stessa stagione ha debuttato in recital alla Wigmore Hall, all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma, a San Francisco, e con alcune delle orchestre più importanti del mondo, tra cui l’Orchestre de Paris, la New York Philharmonic e la Bbc Symphony. Ha coltivato intense collaborazioni con direttori del calibro di sir Antonio Pappano, Yannick NézetSéguin, Daniel Harding e Pinchas Zukerman. Diverse radio e network televisivi di Europa e Nord America hanno trasmesso le esibizioni di Jan Lisiecki, che è stato anche protagonista del documentario della Cbc National News The Reluctant Prodigy. Nel 2013 ha ricevuto un “Leonard Bernstein” Award al Festival dello Schleswig-Holstein ed è stato nominato Young Artist of the Year dalla rivista «Gramophone». Molto impegnato anche in opere caritatevoli, Jan Lisiecki dedica tempo ed esibizioni a organizzazioni quali la David Foster Foundation, la Polish Humanitarian Organization e la Wish Upon a Star Foundation. Nel 2012 è stato nominato Ambasciatore del Canada per l’Unicef, di cui è stato National Youth Representative dal 2008. Attore, drammaturgo e scrittore, Sandro Lombardi inizia la sua formazione teatrale insieme a Federico Tiezzi a Parigi nell’estate del 1970, quando segue il lavoro della compagnia di Peter Schumann «Bread and Puppet Theatre». Nel 1974 prepara a Roma l’allestimento di uno spettacolo di Robert Wilson, cui prende parte anche come attore, e frequenta poi un seminario tenuto da Eugenio Barba. L’anno successivo partecipa ai laboratori condotti da Jerzy Grotowski a Venezia, per la Biennale Teatro diretta da Luca Ronconi. La sua vicenda teatrale coincide con quella della compagnia da lui fondata, insieme a Federico Tiezzi e Marion D’Amburgo, nei primi anni Settanta a Firenze. Riuniti sotto il nome «Il Carrozzone», in poco tempo si affermano come una delle esperienze di punta dell’allora nascente «Teatro Immagine». Ancor oggi la compagnia è presente nei maggiori teatri italiani e ha partecipato a festival in Germania, Inghilterra, Svizzera, Francia, Belgio, Olanda, Spagna, Portogallo, Grecia, Jugoslavia, Russia, Giappone, Stati Uniti. Sempre diretto da Tiezzi, Sandro Lombardi ha interpretato testi di Aristofane, Beckett, Brecht, Čechov, D’Annunzio, Forster, Luzi, Manzoni, Parise, Pasolini, Pirandello, Proust, Schnitzler. Per quattro volte, tra 1988 e 2002, ha ricevuto il Premio Ubu per la migliore interpretazione maschile dell’anno. Molto impegnato anche in radio e al cinema, in campo musicale ha partecipato a esecuzioni di Berio, Dall’Ongaro, Guarnieri, Ghedini, Henze e Nono, lavorando tra gli altri con Giorgio Battistelli, Uri Caine, Azio Corghi, Alexander Lonquich, Giacomo Manzoni, Francesco Pennisi, Salvatore Sciarrino, Jeffrey Tate e Fabio Vacchi. Membro dell’Associazione Giovanni Testori di Milano e della Società Dantesca di Firenze, è autore del saggio autobiografico Gli anni felici (Garzanti 2004; Premio Bagutta Opera Prima), del romanzo Le mani sull’amore (Feltrinelli 2009) e del racconto Queste assolate tenebre (Lindau 2015). La sua ultima pubblicazione è Puro teatro, Cue Press 2016. L’Orchestra del Teatro Regio è l’erede del complesso fondato alla fine dell’Ottocento da Arturo Toscanini, sotto la cui direzione vennero eseguiti numerosissimi concerti e molte storiche produzioni operistiche, quali la prima italiana del Crepuscolo degli dèi di Wagner e le prime assolute di Manon Lescaut e La bohème di Puccini. Nel corso della sua lunga storia ha dimostrato una spiccata duttilità nell’affrontare il grande repertorio così come molti titoli del Novecento, anche in prima assoluta, come Gargantua di Corghi e Leggenda di Solbiati. L’Orchestra si è esibita con i solisti più celebri e alla guida del complesso si sono alternati direttori di fama internazionale come Roberto Abbado, Ahronovič, Bartoletti, Bychkov, Campanella, Gelmetti, Gergiev, Hogwood, Luisi, Luisotti, Oren, Pidò, Sado, Steinberg, Tate e infine Gianandrea Noseda, che dal 2007 ricopre il ruolo di Direttore musicale del Teatro Regio. Ha inoltre accompagnato grandi compagnie di balletto come quelle del Bol’šoj di Mosca e del Mariinskij di San Pietroburgo. Numerosi gli inviti in festival e teatri stranieri; negli ultimi anni è stata ospite, sempre con la direzione del maestro Noseda, in Germania, Spagna, Austria, Francia e Svizzera. Nell’estate del 2010 ha tenuto una trionfale tournée in Giappone e in Cina con La traviata e La bohème, un successo ampiamente bissato nel 2013 con il “Regio Japan Tour”. Nel 2014, dopo le tournée a San Pietroburgo ed Edimburgo, si è tenuto a dicembre il primo tour negli Stati Uniti e Canada con l’esecuzione del Guglielmo Tell di Ros- sini. Tre gli importanti appuntamenti internazionali nel 2016: i complessi artistici del Teatro sono stati ospiti d’onore al 44° Hong Kong Festival con Simon Boccanegra, due concerti e la Messa da Requiem di Verdi; a Parigi e a Essen con Lucia di Lammermoor in forma di concerto, protagonista Diana Damrau; allo storico Savonlinna Opera Festival con La bohème e Norma. L’Orchestra e il Coro del Teatro hanno una intensa attività discografica, nell’ambito della quale si segnalano diverse produzioni video di particolare interesse: Medea, Edgar, Thaïs, Adriana Lecouvreur, Boris Godunov, Un ballo in maschera, I Vespri siciliani, Don Carlo e Faust. Tra le incisioni discografiche più recenti, tutte dirette da Gianandrea Noseda, figurano il cd Fiamma del Belcanto con Diana Damrau (WarnerClassics/Erato), recensito dal «New York Times» come uno dei 25 migliori dischi di musica classica del 2015, due cd verdiani con Rolando Villazón e Anna Netrebko e uno mozartiano con Ildebrando D’Arcangelo (Deutsche Grammophon); Chandos ha pubblicato Quattro pezzi sacri di Verdi e, nell’ambito della collana «Musica Italiana», due album dedicati a composizioni sinfonico-corali di Goffredo Petrassi. Il Regio è inoltre l’unico teatro italiano presente su The Opera Platform, la piattaforma digitale europea dedicata all’opera. Teatro Regio Walter Vergnano, Sovrintendente Gastón Fournier-Facio, Direttore artistico Gianandrea Noseda, Direttore musicale Orchestra Violini primi Sergey Galaktionov * Monica Tasinato Claudia Zanzotto Claudia Curri Corinne Curtaz Elio Lercara Carmen Lupoli Miriam Maltagliati Paolo Manzionna Alessio Murgia Ivana Nicoletta Luigi Presta Laura Quaglia Daniele Soncin Giuseppe Tripodi Roberto Zoppi Violini secondi Cecilia Bacci * Bartolomeo Angelillo Paola Bettella Maurizio Dore Elena Gallafrio Silvio Gasparella Francesco Gilardi Fation Hoxholli Marcello Iaconetti Roberto Lirelli Anselma Martellono Paola Pradotto Seo Hee Seo Marta Tortia Trombe Ivano Buat * Enrico De Milito Enrico Negro Viole Enrico Carraro * Alessandro Cipolletta Gustavo Fioravanti Andrea Arcelli Claudio Cavalletti Ivan Cavallo Angelo Conversa Alma Mandolesi Franco Mori Roberto Musso Alessandro Sacco Giuseppe Zoppi Ottavino Roberto Baiocco Violoncelli Relja Lukic * Davide Eusebietti Giulio Arpinati Fabio Fausone Amedeo Fenoglio Andrea Helen Lysack Giuseppe Massaria Armando Matacena Luisa Miroglio Paola Perardi Percussioni Paolo Bertoldo Clarinetto basso Lavinio Carminati Edmondo Tedesco Enrico Femia Fagotti Mattia Pia Andrea Azzi * Stanislas Pili Corrado Barbieri Nicolò Vaiente Miguel Ángel Pérez Diego Andrea Vigliocco Controfagotto Arpa Orazio Lodin Elena Corni * Maria Elena Bovio Corni Ugo Favaro * Organo Pierluigi Filagna Jeong Un Kim Evandro Merisio Eros Tondella Contrabbassi Davide Ghio * Atos Canestrelli Alessandra Avico Fulvio Caccialupi Andrea Cocco Kaveh Daneshmand Michele Lipani Stefano Schiavolin Flauti Flavio Alziati * Maria Siracusa Oboi Luigi Finetto * Stefano Simondi Corno inglese Marco Del Cittadino Clarinetti Alessandro Dorella * Luciano Meola Tromboni Vincent Lepape * Enrico Avico Domenico Toteda Tuba Rudy Colusso Timpani Raúl Camarasa * * prime parti Si ringrazia la Fondazione Pro Canale di Milano per aver messo i propri strumenti a disposizione dei professori Sergey Galaktionov (violino Giovanni Battista Guadagnini, Torino 1772), Cecilia Bacci (violino Santo Serafino, Venezia 1725), Enrico Carraro (viola Giovanni Paolo Maggini, Brescia 1600 ca.), Relja Lukic (violoncello Giovanni Francesco Celoniato, Torino 1732) e Bartolomeo Angelillo (violino Bernardo Calcanius, Genova 1756). Si ringrazia la Fondazione Zegna per il contributo dato al vincitore del Concorso per Prima viola. © Fondazione Teatro Regio di Torino Prezzo: € 1