Scheda di sala

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Scheda di sala
I
C O N C E R T I
2 0 1 6 - 2 0 1 7
GIANANDREA NOSEDA
DIRETTORE
ORCHESTRA
DEL TEATRO REGIO
SABATO 22 OTTOBRE 2016 ORE 20.30
TEATRO REGIO
Gianandrea Noseda (foto Ramella&Giannese)
Gianandrea Noseda direttore
Jan Lisiecki pianoforte
Sandro Lombardi voce recitante
Orchestra del Teatro Regio
Fabio Vacchi (1949)
La giusta armonia, per voce recitante e orchestra (2006)
prima esecuzione italiana
Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Concerto n. 4 in sol maggiore per pianoforte e orchestra op. 58 (1805)
I.
Allegro moderato
II.
Andante con moto
III.
Rondò. Vivace - Presto
Alfredo Casella (1883-1947)
Sinfonia n. 2 in do minore per grande orchestra op. 12 (1910)
I.
Lento, grave, solenne - Allegro energico - Animato - Assai più lento
(quasi Andante calmo) - Allegro moderato assai - Lento (tempo dell’Introduzione)
Allegro assai vivace - Tempo I (Allegro energico) - Animato - Assai più lento
A tempo più mosso (Tempo del II tema) - Lento (Tempo dell’Introduzione)
Allegro mosso - Presto risoluto
II.
Allegro molto vivace - Maggiore. Più allegro - Allegro molto vivace
III.
Adagio, quasi andante
IV.
Finale: Tempo di marcia ben risoluto, con fuoco - Feroce. Con energia selvaggia,
brutale - Un poco allargato - Allegro vivo - Il doppio più lento. Come una marcia
funebre - Tempo I (Allegro risoluto) - Largamente - Tempo I, un poco largamente
Feroce - Alla breve - Disperato - Allegro molto vivace - Il doppio più lento.
Di nuovo a tempo di marcia funebre
V.
Epilogo: Adagio mistico. Con tutta l’intensità di espressione possibile
Appassionatissimo - Maestoso. Trionfale. Con tutta l’energia sino alla fine
Restate in contatto con il Teatro Regio:
Fabio Vacchi in un ritratto fotografico di Andrea Sacchi
Fabio Vacchi
La giusta armonia
Era il luglio 1791 quando Mozart, che si sarebbe spento pochi mesi dopo, il
5 dicembre, terminò la Cantata Die ihr des unermeßlichen Weltalls Schöpfer ehrt
kv 619 per voce e pianoforte (Voi che adorate il creatore dell’immensurabile universo), indicata nel suo catalogo personale come Eine kleine teutsche Kantate, quindi
contemporanea alle sue grandi opere d’addio: Flauto magico, Clemenza di Tito e
Requiem. Il testo è di Franz Heinrich Ziegenhagen, che i Mozart conoscevano
probabilmente fin dal 1777 come testimonia l’epistolario. La Cantata apparve
pubblicata per la prima volta proprio sull’edizione del 1792 del trattato di Ziegenhagen La dottrina della giusta armonia con le opere del creato (Lehre vom richtigen Verhältnisse zu den Schöpfungswerken), dalla quale era tratto lo stralcio sulla
tolleranza religiosa musicato nella kv 619. Considerato tra i pionieri del socialismo europeo di fine Settecento, Ziegenhagen affronta nel suo saggio i temi dell’uguaglianza sociale e di genere, dell’animalismo, del pacifismo, con molta radicalità
ma escludendo, in netta contrapposizione con i rivoluzionari francesi, ogni forma
di violenza. Non era ovviamente un caso che Mozart si accostasse a questo testo.
Rientrava a pieno titolo nell’orientamento di un compositore consapevole, legato
ai circoli illuminati austrotedeschi anche per la sua appartenenza massonica. Così
Ziegenhagen trova posto accanto ad altri amici, Fratelli, collaboratori, con i quali
Mozart sognò di cambiare il mondo: il giurista seguace di Beccaria Josef Sonnenfels, gli scrittori anticlericali Aloys Blumauer e Johann Pezzl, amici tra loro e
di Wolfgang, il medico giacobino Anton Mesmer, fondatore secondo lo studioso
Ellenberger della psicologia moderna, l’irriverente scrittore illuminista stimato
da Goethe Christoph Martin Wieland, la drammaturga anglicana antischiavista
Hanna More, il teosofo protestante Friedrich Christoph Oetinger, il mineralogista “fustigatore di preti” (come si firmò) Ignaz Born, e molti, molti altri. Uomini
talvolta atei, non di rado religiosi, ma sempre estremamente critici nei confronti
dell’immoralità e dell’ipocrisia delle varie chiese monoteiste, fiduciosi nell’illuminismo di Giuseppe II e nella sua politica sociale volta al radicamento d’istruzione
e sanità popolari. Tutto questo ci porta distante mille miglia dal ritratto distorto
di Mozart che la biografia di Hildesheimer offrì a Shaffer e Forman per il loro pur
bellissimo, ma storicamente snaturato, film Amadeus (1984).
Quando nel 2006 il Festival di Salisburgo mi commissionò un brano per le
celebrazioni dei duecentocinquant’anni della morte di Mozart, piuttosto che ispirarmi a un suo frammento musicale (avevo già terminato e orchestrato l’incompleta aria Die neugeborne Ros’entzückt kv 365a su richiesta del Festival Mozartiano di Rovereto nel 1998), ho preferito estrapolare alcuni passi dalla voluminosa
dissertazione protosocialista che aveva ispirato Wolfgang. Al punto da spingerlo
a musicare frasi di un testo che confluirà in uno dei rari esempi di musica picta,
con incisioni di Daniel Chodowiecki cariche di denuncia contro l’intolleranza, la
superstizione religiosa, il terrore pedagogico e di buona volontà per un mondo
possibile, dove uomini e animali vivano in coesistenza libera e pacifica. Un altro motivo per cui decisi di scrivere un melologo fu che si trattava di una forma
amatissima da Mozart, il quale scrisse in una lettera di considerare «magnifico»
l’effetto prodotto dalla recitazione delle parole sulla partitura orchestrale.
Penso che la musica faccia parte a pieno titolo della più ampia sfera dell’umano,
e non possa essere altrimenti. Se ho rifiutato negli anni della mia giovinezza lo
strumentale impegno politico perché poteva facilmente nascondere scarsa qualità
specifica, sento da tempo l’esigenza di rendere esplicito quel mondo ideale che da
sempre alimenta la struttura, pur autonoma, di qualsiasi partitura, anche la più
astratta. E Mozart resta un esempio fra i più alti dell’intrinseca vocazione umanistica dell’arte. Le poche, penetranti parole su questioni scottanti e attualissime
hanno sollecitato in me una scrittura inquieta, sofferente, conscia del distacco tra
intenti e disattese, ma che fin dall’inizio viene emotivamente e strutturalmente
calamitata verso la mediterranea, catartica tarantella conclusiva. Non priva di gioia e di speranza nell’evocare il rito della sapienza collettiva, che cresce nel tempo
insieme al pubblico, e senza la quale non esiste linguaggio.
Fabio Vacchi
Anche se si è ricreduto sulle illusioni ideologiche ed estetiche degli anni Cinquanta e Sessanta, Fabio Vacchi resta un compositore attento ai destini del mondo, ai suoi orrori e ai valori che dovremmo fare nostri, nell’ambito di un progetto
politico e umanista molto diverso da quello dei neo-marxisti del dopoguerra. La
giusta armonia si inserisce nel filone di opere che testimoniano la forma tutta
personale del suo impegno.
Dai calanchi di Sabbiuno è stato composto nel 1995 per celebrare alla Scala i
cinquant’anni della Resistenza italiana e poi trascritto su invito di Claudio Abbado, che ha programmato la versione per grande orchestra in prima assoluta al
Festspielhaus di Salisburgo; eseguito innumerevoli volte in tutto il mondo, ha
ottenuto una vera ovazione anche al Festival di Aix-en-Provence nel 2015, in
occasione di una serata in omaggio a Patrice Chéreau. Nel 2001, qualche mese
dopo l’11 settembre, Fabio Vacchi ha composto un’imponente opera sinfonica,
Diario dello sdegno (Teatro alla Scala, 2002, ripresa lo stesso anno a Bruxelles,
Parigi e Atene, sempre sotto la direzione di Riccardo Muti), nella quale esprime
musicalmente la sua indignazione non solo di fronte all’assurdità dell’atto terroristico, certo, ma anche di fronte alla decisione, non meno assurda, di bombardare
per rappresaglia l’Afghanistan. (In seguito Riccardo Chailly ha commissionato a
Vacchi Tagebuch der Empörung, modellata sulla versione originaria poi modificata
del Diario, che ha diretto al Gewandhaus di Lipsia nel 2011). Le stesse profonde
motivazioni etiche ed estetiche animano Terra comune (2002), che su richiesta
di Luciano Berio ha inaugurato il nuovo Auditorium di Roma di Renzo Piano
sotto la direzione di Myung Wuhn Chung. Il titolo è significativo: Vacchi delinea
musicalmente la prospettiva di un’umanità più armoniosa, integrando stili musicali diversi in un linguaggio comune; mescola così melodie popolari siciliane con
ritmi e suoni d’ispirazione africana. Un coro rende esplicito il contenuto del suo
impegno universalista.
La giusta armonia – di cui si ascolta stasera la prima italiana, dopo il debutto
nel 2006 al Festspielhaus di Salisburgo diretto da Riccardo Muti (l’unica opera
nuova in prima esecuzione assoluta in quella speciale edizione del festival, consacrato a Mozart) – ha radici analoghe, ma utilizza questa volta i mezzi del melologo, genere musicale in cui una voce recitante dialoga con l’orchestra. Vacchi aveva
già composto melologhi, e altri ne seguiranno, tra i quali Prospero, o dell’armonia
(da Shakespeare,Teatro alla Scala, Riccardo Chailly, 2009) e Soudain dans la forêt
profonde su testo di Amos Oz (Comédie Française e Salle Pleyel di Parigi, 2012)
nei quali pure affronta il tema di una possibile pacificazione degli uomini tra loro
e con la natura.
Perché ha una predilezione particolare per il melologo, nobilitato a suo tempo
da Hector Berlioz con il suo Lélio, ou le Retour à la vie del 1831 e già amato da
Mozart? La risposta è che il melologo permette al compositore di far intendere
chiaramente un concetto cui tiene molto. In più, il ricorso a una voce recitante
consente di leggere il testo nella lingua del paese in cui il melologo è rappresentato
– come nel caso di stasera – e persino di adeguarlo alle circostanze dettate dall’attualità, senza doversi scontrare con le difficoltà di adattamento della traduzione
alla partitura musicale.
Per La giusta armonia Vacchi ha selezionato alcuni frammenti, riprodotti in
questo programma di sala, tratti dalla monumentale opera del proto-socialista
Franz Heinrich Ziegenhagen (1753-1806), Dottrina della giusta armonia con le
opere del creato, e di come solo con la sua applicazione pubblica si possa attuare l’universale felicità, pubblicata in tedesco nel 1792. Il contenuto filosofico di questo
trattato testimonia la diffidenza dell’autore nei confronti delle religioni istituzionalizzate, l’appello al rispetto delle credenze diverse dalle proprie, ma al contempo le sue posizioni deiste, sostenute presso la loggia massonica di Regensburg, di
cui era divenuto maestro nel 1786. Del testo di Ziegenhagen furono vendute non
meno di 5.000 copie, e l’amico Mozart s’ispirò al capitolo sulla tolleranza religiosa
per la Cantata kv 619 che fu pubblicata in calce alla prima edizione del trattato.
L’opera di Vacchi prolunga questa filiazione, al contempo artistica e filosofica, del Secolo dei Lumi. È da rilevare in modo particolare la professione di fede
egualitaristica che Vacchi ha fatto sua per La giusta armonia: Ziegenhagen si erge
contro l’egoismo, l’avidità e la ricerca sfrenata del profitto; denuncia l’eccessiva
frattura che separa poveri e ricchi; auspica l’armonia degli uomini con la natura, l’equilibrio tra il tempo del lavoro e quello del riposo, nonché la promozione
dell’educazione come bene pubblico; condanna l’intolleranza religiosa; reclama
l’abolizione delle religioni settarie e raccomanda caldamente la coesistenza con gli
ebrei; auspica l’estensione della «giusta armonia» non solo agli abitanti dei nostri
paesi, ma anche alle «capanne» dei Mongoli e alle moschee dei Turchi. Parla anche dei diritti degli animali, dell’ambiente, dell’educazione, della salute pubblica.
Tutto ciò non è straordinariamente attuale?
Considerata la posta in gioco, La giusta armonia è organizzata musicalmente
in modo tale che sia facile sentire e capire ciò che dice la voce recitante. All’attacco
dell’opera si sente la recitazione del primo frammento sullo sfondo di note tenute
dagli archi, cui si uniscono i fiati. I tempi moderati o «più lento», generalmente preceduti da un «ritenuto», accompagnano la maggior parte dei frammenti
testuali (2, 3, 5, 6.1, 6.3 e 7.1) e ciò consente di distillarne il contenuto senza
fretta. I frammenti 3, 6.2, 7.2 e 7.3 s’innestano su una pausa coronata degli archi.
Intanto il discorso orchestrale, nel quale i corni hanno spesso un ruolo preminente, traduce il sentimento d’urgenza insito nella reazione alle disuguaglianze con
le accelerazioni dei tempi, l’introduzione di ritmi spezzati e di «crescendo» che
portano a dei «fortissimo» tenuti. La curva melodica generale si sviluppa sovente
verso l’acuto, accompagnata da iterazioni motiviche e da scansioni dei timpani.
Poi il tempo rallenta, fino al successivo intervento della voce recitante.
Sussiste perciò uno stretto legame tra il senso dei testi e il carattere dell’orchestra. L’atmosfera di conseguenza s’incupisce quando Ziegenhagen tratta la povertà, ma può evolvere anche verso momenti di grande veemenza, prima che la voce
recitante faccia appello all’inclusione delle razze nella «giusta armonia». L’ultimo
intervento recitato si conclude con la parola «gioia» e, in uno spirito al contempo
sensuale e mediterraneo, Vacchi inserisce una tarantella napoletana che apre uno
squarcio di ottimismo, come se ci fosse la possibilità, carnale e artistica al contempo, di migliorare il mondo.
Lasciato da solo, nel finale, il tessuto orchestrale propone una lunga perorazione sinfonica: dapprima interiore e pacata, poi animata da un’energia ritmica
costante, come per convincerci che bisogna agire e comportarsi secondo la lezione
filosofica e sociale proposta dall’autore del trattato. Per sancire il senso etico, l’opera termina con dei violenti «sforzando», a meno che questi non significhino, da
parte del compositore, la paura che l’umanità non sarà mai abbastanza saggia da
essere salvata: la «giusta armonia», forse, è un’utopia. Tutto ciò, ben inteso, lo si
può cogliere o interpretare solo se si segue e si comprende il testo, ma se ciò non
accadesse, per paradosso, il discorso sinfonico di per sé merita comunque d’essere
ascoltato, poiché ha una sua autonomia strutturale e traduce a meraviglia lo stato
d’animo, al contempo indignato, fiducioso e probabilmente inquieto, che il testo
di Ziegenhagen ha suscitato in Fabio Vacchi.
Jean-Jacques Nattiez
(traduzione di Antonella Palumbo)
Ludwig van Beethoven
Concerto n. 4 in sol maggiore per pianoforte e orchestra op. 58
Beethoven iniziò il lavoro preparatorio al Quarto concerto per pianoforte durante la composizione dell’Eroica (1802-1803), ma il clima è agli antipodi della
monumentale drammaticità della celebre Terza sinfonia. Il compositore lo presentò al pubblico nel corso di una “colossale” e spettacolare accademia (concerto per
sottoscrizione), la sera del 22 dicembre 1808 al Theater an der Wien; un avvenimento che sarebbe stato il suo addio a Vienna, città dove si sentiva osteggiato da
critici e intriganti, avendo forse ceduto all’invito di Girolamo Bonaparte a diventare maestro di cappella del neonato stato satellite del Regno di Vestfalia a Kassel.
«Tutti i pezzi sono di sua composizione», recitava la locandina, «completamente nuovi e non ancora pubblicati». La Sinfonia Pastorale e il Quarto concerto,
insieme a un’aria e a un brano della Messa in do maggiore costituivano la prima
parte; la Quinta, il Sanctus della Messa, la Fantasia op. 77 e la Fantasia per piano,
orchestra e coro op. 80, costituivano l’altrettanto poderosa seconda parte. Le prove
furono tempestose per lo stato di tensione che si instaurò fra il compositore e
l’orchestra. Durante il concerto, dopo un errore del clarinetto durante l’esecuzione dell’opera 80, Beethoven si fermò, e col pubblico interdetto, gridò forte: «Da
capo». Risultato finale: gran successo generale e orchestrali che giurarono di non
suonare più in presenza di Beethoven.
Il Concerto in sol maggiore fu completato nel 1805 e terminato l’anno successivo (le cadenze furono improvvisate e poi pubblicate nel 1809 con una famosa
battuta di accompagnamento: «cadenza – ma senza cadere»). La sua tinta unica
nasce dalla sua estraneità al turgore e al clima del Beethoven eroico, prediligendosi atmosfere raccolte, intime e terse: «Di una originalità inaudita si può parlare
anche a proposito dell’Andante con moto, per l’essenzialità paradigmatica con cui
la poetica del conflitto è rappresentata nel contrasto fra il solista e l’orchestra:
questa resa aggressiva dal terreo colore della frase ritmica degli archi, quello raccolto in una pura frase di corale, attutita dalla sonorità “una corda” in una luce di
ansiosa ma intima preghiera; anche la soluzione del conflitto è originale rispetto
ad altri luoghi beethoveniani, perché questa volta è il “principio supplichevole”
che vince, quando il sinistro monito dell’orchestra poco per volta si affievolisce:
come il coro delle furie, placate dal canto di un nuovo Orfeo, che si chinano per
lasciare il passo. L’uscita è nel Rondò finale, pagina che corre su piedi leggeri, nella
quale la visione interiore è confermata dall’uso intenso di strumenti solisti (i legni
sopra tutti) che specie negli ultimi episodi conversano con il pianoforte secondo
un rapporto che, ancora una volta, era più tipico della musica da camera che delle
vaste forme concertanti» (G. Pestelli).
Giovanni Gavazzeni
Alfredo Casella nel suo studio di Parigi nel 1915
Alfredo Casella
Sinfonia n. 2 in do minore op. 12
L’accostamento di un caposaldo del repertorio pianistico come il Quarto concerto di Beethoven alla semisconosciuta Seconda sinfonia di Alfredo Casella ci offre
il destro per ricordare la presenza viva di Beethoven nella vita di Alfredo Casella:
come solista al pianoforte e come membro del celebre Trio Italiano, formato con
Alberto Poltronieri e Arturo Bonucci; come docente a Santa Cecilia e come revisore delle Sonate pianistiche per Ricordi; infine come esegeta nella silloge epistolare Beethoven intimo, curata per Sansoni. Il culto e la conoscenza beethoveniane
del musicista torinese ci riportano all’idolo musicale del giovane Casella, Gustav
Mahler, il musicista il cui influsso è all’origine della Sinfonia di Casella. Questi
dichiarò che fra i musicisti del suo tempo il solo che avesse colto la vera portata
dell’Ode alla gioia di Beethoven era Mahler, la cui arte «potente, espressiva e varia
[…] era la risultante intellettuale di Beethoven e Wagner». Dunque la presenza
del Quarto concerto, lavoro da sempre prediletto dai pianisti-musicisti per la sua
“unicità”, si amalgama anche alle predilezioni del compositore-pianista torinese.
Alfredo Casella, definito da Fedele d’Amico «nunzio apostolico della musica
contemporanea italiana» e da Bruno Barilli «franco cacciatore dell’idea futura»,
fu spesso frainteso come compositore da ammiratori e censori per le sue “virate” stilistiche. Mutazioni nate dalla grande e informata curiosità per quanto lo
circondava che i detrattori insinuavano frutto di snobismo esterofilo anziché di
solida necessità etica (ancor prima che espressiva). Lo stesso Casella alimentava
la svalutazione delle sue prime “maniere” – quella giovanile e quella da lui definita
del dubbio tonale – giurando «d’aver raggiunto la propria identità soltanto negli
anni Venti, e a forza di ripeterlo provocò di fatto l’archiviazione di quasi tutte le
opere precedenti» (d’Amico). Oggi che le “opere precedenti” la cosiddetta terza
maniera, ossia il ritorno all’ordine neoclassico, hanno trovato qualificata attenzione, a partire dalle sortite concertistiche e discografiche dirette da Gianandrea
Noseda, la sua personalità ci appare più completa, e il suo intuito realmente profetico (anche i rapporti fra Mahler e Casella sono stati approfonditi e arricchiti,
grazie ai contributi di Virgilio Bernardoni, Emilia Zanetti e Quirino Principe).
La Seconda sinfonia in do minore op. 12, per mole architettonica e posizione
biografica è opera emblematica e riassuntiva delle influenze filtrate dal giovane
Casella con personalità propria. Nell’asciutto passo dedicato a questa sinfonia
nell’autobiografia I segreti della Giara (1938), Casella sottolinea non soltanto i
chiari debiti con il sinfonismo coevo tedesco e russo, ma anche la sua autonomia
davanti alle maggiori correnti artistiche del paese dove aveva studiato e viveva, la
Francia classicista di Saint-Saëns e della severa école franckista, dove la soave e
raffinata guida del suo maestro Fauré fioriva accanto al flou misterioso e inimita-
bile di Debussy, e dove il suo compagno di studi Maurice Ravel iniziava a produrre la sequenza di capolavori che conosciamo:
«Verso l’estate [1908], cominciai la composizione di una Seconda Sinfonia in do
minore alla quale lavorai con molto impegno. Questa partitura è rimasta inedita. È un
lavoro di circa 3⁄4 d’ora, dietro il quale si scorgono imperiose le ombre di Mahler e
di Strauss e – meno visibili – quelle di Rimskij e di Balakirev. È curioso rilevare come
– vivendo già in Francia da undici anni ed avendovi completato la mia educazione
artistica – io subissi così poco l’influenza dell’ambiente circostante. Questo deriva
senza dubbio dalla mia natura italiana che era già allora fondamentalmente antiimpressionistica e che cercava istintivamente altre vie che non quelle seguite allora
dalla maggiore arte francese».
L’ammirazione che Casella nutrì per Debussy lo convinse che la sua arte fosse
inimitabile e che le vie da battere erano altrove. Mentre Djagilev inondava l’Occidente
aprendo lo scrigno russo, Casella mescolava profumi orientali all’aria della Vienna
Jugendstil, riconoscendo con rara precocità il genio di Gustav Mahler.
«Da anni mi ero acceso di un vivo entusiasmo per la personalità di Gustav Mahler,
il quale era totalmente sconosciuto in Francia. Ne avevo studiato tutte le sinfonie e
le possedevo praticamente a memoria. Un giorno di quell’aprile (1909), una amica
viennese mi ebbe un appuntamento con Mahler, il quale era di passaggio da Parigi
tornando da New York. Era un uomo assai piccolo, di un tipo viennese-boemo
alquanto «schubertizzante». Era nervosissimo e non stava un secondo tranquillo. Fu
subito assai affettuoso con me, e quando vide che sapevo a memoria tanta musica
sua, ne rimase sinceramente commosso. Ho conservato di lui una delle più nobili
impressioni che mi abbia mai prodotto un musicista».
Lo studio a memoria delle partiture di Mahler si rivelò un contrappeso efficace
dopo l’engouement per i poemi sinfonici di Richard Strauss, essendo per Casella lo
strumentale di Mahler in una posizione così diversa e tanto più vicina a noi. La
Sinfonia in do minore di Casella condivide con la Seconda del venerato maestro
viennese-boemo non solo il numero due e la tonalità d’impianto, ma flagranti
tratti stilistici, come la comparsa nel Finale di una tetra e lugubre marcia funebre, o
le improvvise accensioni sarcastiche e fiammeggianti. L’organico richiesto – legni
a quattro e cinque, quadriglia di corni, trombe e tromboni a tre, tuba, organo,
arpe, percussioni importanti (fra le quali le campane) e un quintetto d’archi di
adeguato contrappeso fonico – riporta verso le dimensioni della Sesta di Mahler,
battezzata solo quattro anni prima, nel 1906. L’oscillazione fra gravità funebre e
violenti ostinati ritmici, fra grandi slanci lirici, aneliti mistici (come nell’Epilogo
sul metafisico sostegno dell’organo, in cui si riconosce la matrice di Saint-Saëns) e
sarcastiche crudezze, rimarranno caratteristiche distintive anche nelle successive
maschere che l’arte di Casella assumerà nel corso del suo intenso cammino
artistico. Perché quello che lo incanta in Mahler (e che farà suo), oltre alla libertà
assoluta e nuova della forma, è il timbro. «La varietà incessante e l’invenzione
prodigiosa» lo guidano, perché «una mano di ferro riunisce e amalgama in un
tutto armonioso elementi melodici, ritmici e armonici i più apparentemente
inconciliabili». Da musicista Casella si incamminerà seguendo la stella della
“qualità sonora” mahleriana, seguendo «l’inventore di timbri e nuove sonorità», il
«ricercatore instancabile di rapporti sonori sconosciuti».
Il destino della Seconda sinfonia di Casella era legato a quello della “Resurrezione”
di Mahler. Il 17 aprile 1910 «Mahler diresse a Parigi ai Concerts-Colonne la
prima esecuzione della sua Seconda sinfonia con cori. […] Questa esecuzione,
la prima che avvenisse di quel compositore in una società sinfonica francese»,
confessa con orgoglio Casella nel 1938, in piena follia antisemita, «era opera
mia». Casella aveva smosso mari e monti, «fatto innumerevoli passi e mosso
infinite persone influenti onde riuscire a mettere in piedi questa esecuzione, la
quale fu resa possibile solamente da cospicui interventi finanziari della Société
des Grandes Auditions Musicales e dalla Société des Amis de la Musique, società
che si guardavano in cagnesco, ma che la mia fede e la mia tenacia riuscirono
miracolosamente a mettere d’accordo in favore di Mahler». Sei giorni dopo, «il
23 aprile, diedi alla Sala Gaveau un altro concerto (sempre col generoso aiuto
di qualche amico) nel quale diressi le prime esecuzioni della Sinfonia n. 2, della
Suite in do maggiore e di Italia. Il concerto ebbe lietissimo successo di pubblico e
di critica. Nell’autunno del medesimo anno [Willem] Mengelberg mi invitò ad
Amsterdam a ripetere lo stesso programma».
Giovanni Gavazzeni
Musicologo francese naturalizzato canadese, Jean-Jacques Nattiez (Amiens, 1945) insegna Semiologia della
musica all’Università di Montréal dal 1970. Tra i suoi scritti si ricordano: Tétralogies: Wagner, Boulez, Chéreau
(1983), Proust musicien (1984; trad. it. 1992), Wagner androgyne: essai sur l’interprétation (1990; trad. it.
1997), Le combat de Chronos et d’Orphée (1993; trad. it. 2004), La musique, la recherche et la vie (1999), LéviStrauss musicien: essai sur la tentation homologique (2008). Le voci da lui scritte per l’Enciclopedia Einaudi
sono state raccolte nel volume Il discorso musicale (1987); per la stessa casa editrice dirige l’Enciclopedia
della musica. Ha ricevuto tra gli altri il premio Québec-Paris (1997) e il Louis-Hémon dall’Académie de
Languedoc (1999). Nel 1990 è stato nominato membro dell’Ordine del Canada e nel 2001 cavaliere del
National Order of Quebec.
Giovanni Gavazzeni (Milano, 1965) è critico musicale de «Il Giornale» e collabora con «Amadeus», «il
Venerdì di Repubblica» e con il canale Sky Classica. Ha pubblicato Gianandrea Gavazzeni. Musica come vita
(1999), con Luciano Alberti, e tre volumi dedicati alla cronaca musicale dal titolo Feuilleton (2008-2011).
La giusta armonia
Dedicato a Riccardo Muti - Commissione Salzburger Festspiele
Prima esecuzione assoluta: Salisburgo, Grosses Festspielhaus, 12 agosto 2006
Selezione dei testi aggiornata per questa esecuzione
1.
[…] Wenn er also wahres, dauerhaftes Glück
genießen will, so muss er seine Handlungen
[…] in das richtige Verhältnis mit den beglückenden Kräften anderer Menschen und
mit der übrigen ihn umgebenden Schöpfung
selbsttätig setzen […]
[…] Se l’uomo vuole godere di una vera e duratura felicità, deve porre tutte le sue armoniche
forze in un giusto rapporto […] con le forze
degli altri uomini e con le leggi della natura che
lo circonda […]
2.
[…] Ist es nicht die größte Unordnung der
Begierden, Tyrannei und Verbrechen der beraubten Menschheitsrechte, bei schon überflüssigen Gütervermögen, […] immer, wie in
einer Fieberhizze, nach mehreren zu dürften,
oder auch gesättige noch, gleich einem unersättlichen Raubtier’, alles umher an sich zu
reissen, und dem aus seinem Lasttierstande
sich emporarbeitenden Nebenmenschen jeden
Fortschritt zu erschweren, oder ihn törigtblind
gar wieder zurückzustossen? […]
[…] Non è forse il più malsano dei desideri,
non è tirannia e rapina dei diritti umani volere
sempre di più, in un delirio febbricitante, anche
quando già si navighi nell’abbondanza? […] E
pur sazi continuare come rapaci incontenibili
ad accaparrare tutto, arrivando a ricacciare indietro con stupida cecità chi tenta con fatica di
emanciparsi dalla sua condizione di bestia da
soma, o rendendo comunque più gravoso ogni
suo progresso? […]
3.
[…] Hier leben Einige frei, und haben mehr
zu gebieten als sie übersehen können; dort sind
andere, abhängig und sklavisch […]
[…] Qui vivono liberi i pochi, che nemmeno
sanno dar conto di quante cose siano al loro
comando; là invece gli altri sottomessi e schiavi
[…]
4.
[…] die Pflicht einer vernunftmäßigen Ausbildung der Kinder, von welcher das Wohl des
Ganzen abhängt, wird nicht mehr vernachlässigt […]
[…] il dovere di una razionale educazione dei
fanciulli, dalla quale dipende il bene pubblico,
non verrà più trascurato […]
5.
[…] nicht nur unter den Menschen, deren Einige als Lasttiere, Andere als Masttiere leben,
das gehörige Verhältnis der Arbeit und Ruhe
herstellen, […] sondern auch die uns dienenden Tiere werden ein froheres, schöpfungsmässigeres Leben genießen […]
[…] non solo sarà ristabilito il giusto equilibrio
di lavoro e riposo tra gli uomini, oggi divisi tra
animali da lavoro e da ingrasso, […] ma anche
agli stessi servizievoli animali sarà concessa una
vita più serena e in armonia con la natura […]
6.1
[…] Jeder unterdrükkte und blos geduldete
Zeitgenosse, vorzüglich […] der Jude, auch
zum ganz gemeinnüzzigen Gliede der Gesellschaft angenommen.
[…] Ogni uomo oggi oppresso o a malapena
tollerato, e in particolare […] l’ebreo, sarà accolto come membro vero dalla società.
6.2
Dadurch wird sich die woltätige Sonne des
richtigen Verhältnisses der Menschen nicht nur
über unsere mutterländischen Gegenden […]
E così il benefico sole della giusta armonia potrà irradiarsi non solo tra gli uomini della madrepatria […]
6.3
sondern auch almälich über entfernte Erdteile,
über die Hütte des rohen Mongolen und geplagten Negers, so wie über die Moscheen des
zärimoniösen Türken verbreiten. […]
ma diffondersi gradualmente fino a raggiungere i più lontani angoli della terra, dalla capanna
del primitivo mongolo e del negro sfruttato,
fino alle moschee del raffinato turco. […]
7.1
Knecht und Magd, und Herr und Gebieterin,
Gehülfe und Erbbesizzer, Arme und Reiche
finden sich nicht mehr […] und dadurch wird
die Kunst, Krankheiten zu verhindern, nicht
mehr schwierig […]
Non ci saranno servi e serve, padroni e padrone, operai e possidenti, poveri e ricchi […] e
non sarà impossibile l’arte di impedire le malattie […]
7.2
Dadurch werden die vielen tausend Kinder,
Jünglinge und Mädchen erhalten, die bei der
jetzigen religiösen Verfassung ihr Leben verlieren; […] Ihr könnt die Abschaffung jener
schöpfungswidrigen […] und niedriger Sklaverei der Unwissenheit und des Aberglaubens
bewirken […]
La vita di molte migliaia di ragazzi e ragazze
che oggi la perdono per l’intolleranza religiosa
sarà salvata; […] verranno abolite le religioni
settarie […] che tengono nella più profonda
schiavitù dell’ignoranza e della superstizione
[…]
7.3
keine unersätliche Habsucht, kein scheelsehender Neid keine stolze Herrschsucht ihre
Freudewütenden Blikke jemals wieder verbreiten […]
né avidità incontenibile, né subdola invidia, o
arrogante sete di dominio diffonderanno i loro
strali, a inquinare la gioia […]
Testi tratti da:
Franz Heinrich Ziegenhagen, Lehre vom richtigen Verhältnisse zu den Schöpfungswerken und
die durch öffentliche Einführung derselben allein zu bewürkende allgemeine Menschenbeglückkung,
Amburgo 1792
(Dottrina della giusta armonia con le opere del creato, e di come solo con la sua applicazione pubblica
si possa attuare l’universale felicità)
Gianandrea Noseda è riconosciuto come uno dei
più importanti direttori d’orchestra della sua generazione. È stato premiato come “Direttore dell’anno”
per il 2015 da «Musical America» e “Best Conductor of the Year” 2016 agli International Opera
Awards. Recentemente nominato Direttore ospite
principale della London Symphony Orchestra, a
partire dalla stagione 2017/18 sarà anche il Direttore musicale della National Symphony Orchestra
di Washington.
Ha iniziato la stagione 2016/17 con una lunga
tournée di 14 concerti alla guida della London Symphony che ha toccato sette paesi in Europa compresa l’Italia, dove ha inaugurato il Festival Mito.
Al Teatro Regio ha appena presentato una nuova
produzione della Bohème che celebra i 120 anni
dalla creazione. Come Direttore musicale del Teatro Regio dal 2007, ha segnato l’inizio di una nuova
era, caratterizzata da un crescente interesse internazionale: sotto la sua guida sono state realizzate
importanti tournée in Austria, Germania, Francia,
Regno Unito, Russia, Cina, Giappone e Stati Uniti,
fino alla più recente apparizione al Festival di Hong
Kong.
Gianandrea Noseda è anche Direttore ospite
principale della Israel Philharmonic Orchestra,
Direttore principale dell’Orquestra de Cadaqués e
Direttore artistico del Festival di Stresa. È stato alla
guida della Bbc Philharmonic dal 2002 al 2011 e
“Victor De Sabata” Guest Chair della Pittsburgh
Symphony Orchestra tra il 2011 e il 2014. Dal 2000
è Direttore artistico dello Stresa Festival. Collabora con alcune tra le maggiori orchestre del mondo,
tra cui la Nhk Symphony di Tokyo, la Philadelphia
Orchestra, la Cleveland Orchestra, la Toronto
Symphony Orchestra, la Filarmonica della Scala e
l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, oltre ai
Wiener Symphoniker e all’Orchestre de Paris. Nel
maggio 2015 ha debuttato con i Berliner Philharmoniker e nel giugno 2016 con i Münchner Philharmoniker.
Dal 2002 è ospite regolare del Metropolitan di
New York dove ha diretto diverse nuove produzioni, ultima in ordine di tempo quella dei Pecheurs de
perles, a breve disponibile in dvd per Warner. Nell’estate 2015 ha debuttato al Festival di Salisburgo con
i Wiener Philharmoniker nel Trovatore, e con una
nuova produzione della stessa opera ha debuttato lo
scorso luglio alla Royal Opera House Covent Garden di Londra.
L’intensa attività discografica di Gianandrea Noseda è iniziata nel 2002 con l’etichetta discografica
Chandos, per la quale ha realizzato una quarantina di registrazioni discografiche, molte delle quali
hanno ricevuto premi e riconoscimenti dalla critica
internazionale; in particolare, da oltre un decennio è
impegnato nel progetto Musica Italiana, che ha permesso di riportare alla luce capolavori sinfonici dimenticati, tra cui l’opera sinfonica di Alfredo Casella. Con la Filarmonica di Vienna e con l’Orchestra
del Teatro Regio ha registrato i più recenti album
di arie di Ildebrando d’Arcangelo, Rolando Villazon,
Anna Netrebko (per Deutsche Grammophon) e
Diana Damrau (per Warner Classics). Le sue incisioni con la Israel Philharmonic sono disponibili
per l’etichetta Helicon Classics, mentre una apprezzatissima edizione del War Requiem di Britten con
la London Symphony è apparsa per Lso Live.
Nato a Milano, per il suo contributo alla diffusione della cultura musicale italiana nel mondo Gianandrea Noseda è Cavaliere Ufficiale al Merito della
Repubblica Italiana.
All’età di appena 21 anni, il pianista canadese Jan
Lisiecki ha ottenuto ampio riconoscimento per la
sua straordinaria maturità interpretativa, il suono
distintivo e la sensibilità poetica. Le sue interpretazioni penetranti, la tecnica raffinata e la naturale affinità per l’arte gli consentono di avere uno spessore
musicale che va oltre la sua giovane età.
Nato da genitori polacchi in Canada nel 1995,
ha iniziato le prime lezioni di pianoforte all’età di
cinque anni e ha debuttato in concerto quattro anni
dopo, ma sempre rifiutando l’etichetta di ‘’bambino
prodigio’’. Ha suscitato l’attenzione internazionale
nel 2010 dopo che il Fryderyk Chopin Institute ha
pubblicato una registrazione con i Concerti per pianoforte di Chopin, da lui eseguiti a 13 e 14 anni, che
ha ricevuto il prestigioso premio Diapason Découverte, individuando in lui uno dei pianisti più poetici
ed immaginifici della sua generazione.
Nel 2011, a soli 15 anni, Jan Lisiecki ha firmato
un contratto in esclusiva con Deutsche Grammophon, che l’anno seguente ha pubblicato i Concerti
per pianoforte kv 466 e kv 467 di Mozart. Nel 2013
sono usciti gli Studi op. 10 e op. 25 di Chopin, seguiti
quest’anno dalle opere con orchestra di Schumann:
«ClassicFM» ha scritto di lui che «potrà anche essere
giovane ma suona Schumann come una leggenda».
Nel 2013 ha sostituito all’ultimo momento Martha Argerich nell’esecuzione del Concerto per pianoforte n. 4 di Beethoven a Bologna, con l’Orchestra
Mozart diretta da Claudio Abbado. Ha coronato
quella stagione con un sensazionale Concerto per pia-
noforte di Schumann ai Bbc Proms. L’anno successivo ha eseguito tre Concerti di Mozart in una settimana con la Philadelphia Orchestra e ha debuttato con
l’Orchestra Filarmonica della Scala di Milano, l’Orchestra della Tonhalle di Zurigo, la Nhk Symphony
di Tokyo e la Deutsches Symphonie di Berlino. Nella
stessa stagione ha debuttato in recital alla Wigmore Hall, all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di
Roma, a San Francisco, e con alcune delle orchestre
più importanti del mondo, tra cui l’Orchestre de Paris, la New York Philharmonic e la Bbc Symphony.
Ha coltivato intense collaborazioni con direttori
del calibro di sir Antonio Pappano, Yannick NézetSéguin, Daniel Harding e Pinchas Zukerman.
Diverse radio e network televisivi di Europa e
Nord America hanno trasmesso le esibizioni di Jan
Lisiecki, che è stato anche protagonista del documentario della Cbc National News The Reluctant
Prodigy. Nel 2013 ha ricevuto un “Leonard Bernstein” Award al Festival dello Schleswig-Holstein
ed è stato nominato Young Artist of the Year dalla
rivista «Gramophone».
Molto impegnato anche in opere caritatevoli,
Jan Lisiecki dedica tempo ed esibizioni a organizzazioni quali la David Foster Foundation, la Polish
Humanitarian Organization e la Wish Upon a Star
Foundation. Nel 2012 è stato nominato Ambasciatore del Canada per l’Unicef, di cui è stato National
Youth Representative dal 2008.
Attore, drammaturgo e scrittore, Sandro Lombardi inizia la sua formazione teatrale insieme a
Federico Tiezzi a Parigi nell’estate del 1970, quando
segue il lavoro della compagnia di Peter Schumann
«Bread and Puppet Theatre». Nel 1974 prepara a
Roma l’allestimento di uno spettacolo di Robert
Wilson, cui prende parte anche come attore, e frequenta poi un seminario tenuto da Eugenio Barba.
L’anno successivo partecipa ai laboratori condotti da
Jerzy Grotowski a Venezia, per la Biennale Teatro
diretta da Luca Ronconi.
La sua vicenda teatrale coincide con quella della
compagnia da lui fondata, insieme a Federico Tiezzi e Marion D’Amburgo, nei primi anni Settanta a
Firenze. Riuniti sotto il nome «Il Carrozzone», in
poco tempo si affermano come una delle esperienze di punta dell’allora nascente «Teatro Immagine».
Ancor oggi la compagnia è presente nei maggiori teatri italiani e ha partecipato a festival in Germania,
Inghilterra, Svizzera, Francia, Belgio, Olanda, Spagna, Portogallo, Grecia, Jugoslavia, Russia, Giappone, Stati Uniti.
Sempre diretto da Tiezzi, Sandro Lombardi ha
interpretato testi di Aristofane, Beckett, Brecht,
Čechov, D’Annunzio, Forster, Luzi, Manzoni, Parise, Pasolini, Pirandello, Proust, Schnitzler. Per quattro volte, tra 1988 e 2002, ha ricevuto il Premio Ubu
per la migliore interpretazione maschile dell’anno.
Molto impegnato anche in radio e al cinema, in
campo musicale ha partecipato a esecuzioni di Berio,
Dall’Ongaro, Guarnieri, Ghedini, Henze e Nono,
lavorando tra gli altri con Giorgio Battistelli, Uri
Caine, Azio Corghi, Alexander Lonquich, Giacomo
Manzoni, Francesco Pennisi, Salvatore Sciarrino,
Jeffrey Tate e Fabio Vacchi.
Membro dell’Associazione Giovanni Testori di
Milano e della Società Dantesca di Firenze, è autore del saggio autobiografico Gli anni felici (Garzanti
2004; Premio Bagutta Opera Prima), del romanzo
Le mani sull’amore (Feltrinelli 2009) e del racconto
Queste assolate tenebre (Lindau 2015). La sua ultima
pubblicazione è Puro teatro, Cue Press 2016.
L’Orchestra del Teatro Regio è l’erede del complesso fondato alla fine dell’Ottocento da Arturo
Toscanini, sotto la cui direzione vennero eseguiti
numerosissimi concerti e molte storiche produzioni operistiche, quali la prima italiana del Crepuscolo
degli dèi di Wagner e le prime assolute di Manon Lescaut e La bohème di Puccini.
Nel corso della sua lunga storia ha dimostrato
una spiccata duttilità nell’affrontare il grande repertorio così come molti titoli del Novecento, anche in
prima assoluta, come Gargantua di Corghi e Leggenda di Solbiati. L’Orchestra si è esibita con i solisti più
celebri e alla guida del complesso si sono alternati
direttori di fama internazionale come Roberto Abbado, Ahronovič, Bartoletti, Bychkov, Campanella,
Gelmetti, Gergiev, Hogwood, Luisi, Luisotti, Oren,
Pidò, Sado, Steinberg, Tate e infine Gianandrea
Noseda, che dal 2007 ricopre il ruolo di Direttore
musicale del Teatro Regio. Ha inoltre accompagnato
grandi compagnie di balletto come quelle del Bol’šoj
di Mosca e del Mariinskij di San Pietroburgo.
Numerosi gli inviti in festival e teatri stranieri; negli ultimi anni è stata ospite, sempre con la direzione
del maestro Noseda, in Germania, Spagna, Austria,
Francia e Svizzera. Nell’estate del 2010 ha tenuto
una trionfale tournée in Giappone e in Cina con La
traviata e La bohème, un successo ampiamente bissato nel 2013 con il “Regio Japan Tour”. Nel 2014,
dopo le tournée a San Pietroburgo ed Edimburgo,
si è tenuto a dicembre il primo tour negli Stati Uniti
e Canada con l’esecuzione del Guglielmo Tell di Ros-
sini. Tre gli importanti appuntamenti internazionali
nel 2016: i complessi artistici del Teatro sono stati
ospiti d’onore al 44° Hong Kong Festival con Simon
Boccanegra, due concerti e la Messa da Requiem di
Verdi; a Parigi e a Essen con Lucia di Lammermoor
in forma di concerto, protagonista Diana Damrau;
allo storico Savonlinna Opera Festival con La
bohème e Norma.
L’Orchestra e il Coro del Teatro hanno una intensa attività discografica, nell’ambito della quale si
segnalano diverse produzioni video di particolare
interesse: Medea, Edgar, Thaïs, Adriana Lecouvreur,
Boris Godunov, Un ballo in maschera, I Vespri siciliani, Don Carlo e Faust. Tra le incisioni discografiche
più recenti, tutte di­rette da Gianandrea Noseda, figurano il cd Fiamma del Belcanto con Diana Damrau
(WarnerClassics/Erato), recensito dal «New York
Times» come uno dei 25 migliori dischi di musica classica del 2015, due cd verdiani con Rolando
Villazón e Anna Ne­trebko e uno mozartiano con
Ildebrando D’Arcan­gelo (Deutsche Grammophon);
Chandos ha pubbli­cato Quattro pezzi sacri di Verdi
e, nell’ambito della collana «Musica Italiana», due
album dedicati a composizioni sinfonico-corali di
Goffredo Petrassi.
Il Regio è inoltre l’unico teatro italiano presente
su The Opera Platform, la piattaforma digitale europea dedicata all’opera.
Teatro Regio
Walter Vergnano, Sovrintendente
Gastón Fournier-Facio, Direttore artistico
Gianandrea Noseda, Direttore musicale
Orchestra
Violini primi
Sergey Galaktionov *
Monica Tasinato
Claudia Zanzotto
Claudia Curri
Corinne Curtaz
Elio Lercara
Carmen Lupoli
Miriam Maltagliati
Paolo Manzionna
Alessio Murgia
Ivana Nicoletta
Luigi Presta
Laura Quaglia
Daniele Soncin
Giuseppe Tripodi
Roberto Zoppi
Violini secondi
Cecilia Bacci *
Bartolomeo Angelillo
Paola Bettella
Maurizio Dore
Elena Gallafrio
Silvio Gasparella
Francesco Gilardi
Fation Hoxholli
Marcello Iaconetti
Roberto Lirelli
Anselma Martellono
Paola Pradotto
Seo Hee Seo
Marta Tortia
Trombe
Ivano Buat *
Enrico De Milito
Enrico Negro
Viole
Enrico Carraro *
Alessandro Cipolletta
Gustavo Fioravanti
Andrea Arcelli
Claudio Cavalletti
Ivan Cavallo
Angelo Conversa
Alma Mandolesi
Franco Mori
Roberto Musso
Alessandro Sacco
Giuseppe Zoppi
Ottavino
Roberto Baiocco
Violoncelli
Relja Lukic *
Davide Eusebietti
Giulio Arpinati
Fabio Fausone
Amedeo Fenoglio
Andrea Helen Lysack
Giuseppe Massaria
Armando Matacena
Luisa Miroglio
Paola Perardi
Percussioni
Paolo Bertoldo
Clarinetto basso
Lavinio Carminati
Edmondo Tedesco
Enrico Femia
Fagotti
Mattia Pia
Andrea Azzi *
Stanislas Pili
Corrado Barbieri
Nicolò Vaiente
Miguel Ángel Pérez Diego Andrea Vigliocco
Controfagotto
Arpa
Orazio Lodin
Elena Corni *
Maria Elena Bovio
Corni
Ugo Favaro *
Organo
Pierluigi Filagna
Jeong Un Kim
Evandro Merisio
Eros Tondella
Contrabbassi
Davide Ghio *
Atos Canestrelli
Alessandra Avico
Fulvio Caccialupi
Andrea Cocco
Kaveh Daneshmand
Michele Lipani
Stefano Schiavolin
Flauti
Flavio Alziati *
Maria Siracusa
Oboi
Luigi Finetto *
Stefano Simondi
Corno inglese
Marco Del Cittadino
Clarinetti
Alessandro Dorella *
Luciano Meola
Tromboni
Vincent Lepape *
Enrico Avico
Domenico Toteda
Tuba
Rudy Colusso
Timpani
Raúl Camarasa *
* prime parti
Si ringrazia la Fondazione Pro Canale di Milano per aver messo i propri strumenti a disposizione dei professori
Sergey Galaktionov (violino Giovanni Battista Guadagnini, Torino 1772), Cecilia Bacci (violino Santo Serafino,
Venezia 1725), Enrico Carraro (viola Giovanni Paolo Maggini, Brescia 1600 ca.), Relja Lukic (violoncello
Giovanni Francesco Celoniato, Torino 1732) e Bartolomeo Angelillo (violino Bernardo Calcanius, Genova 1756).
Si ringrazia la Fondazione Zegna per il contributo dato al vincitore del Concorso per Prima viola.
© Fondazione Teatro Regio di Torino
Prezzo: € 1