la fatica nei materiali

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la fatica nei materiali
La Fatica nei Materiali
Corso di Meccanica dei Materiali
Prof. Giuseppe P. Demelio
LA FATICA NEI MATERIALI
Cenni storici
Nei primi decenni dell’Ottocento gli effetti della Rivoluzione Industriale in Gran Bretagna
divennero via via sempre più incisivi. La produzione di ghisa passò dalle 68000 tonnellate
nel 1788 alle 581000 tonnellate nel 1825; nel periodo compreso tra il 1830 e il 1850 vennero
realizzati 11000 chilometri di linee ferroviarie.
Nel 1813 Stephenson progettò e fece costruire la prima locomotiva moderna, che venne
utilizzata dapprima per il trasporto del carbone in miniera, poi per il trasporto di minerale
dalle miniere ai porti e infine per il trasporto di passeggeri e merci. Con qualche ritardo
anche nell’Europa continentale si registrarono analoghi progressi.
La diffusione esponenziale di macchine e linee ferroviarie portò ad una analisi più accurata
degli incidenti derivanti dal cedimento in servizio dei componenti meccanici. In particolare
oltre alle rotture derivanti da sovrasollecitazioni impreviste ed errori progettuali, cominciarono ad essere descritte anche rotture inspiegabili alla luce delle conoscenze dell’epoca.
Nel 1837 l’ingegnere tedesco W.Q.J. Albert descrisse alcune rotture anomale delle catene di
convogliamento dei carrelli utilizzati in miniera e mise a punto una metodologia di prova
per prevenirle. Ma è sulla rottura anomala di assali ferroviari che si concentrò l’attenzione
degli ingegneri. Presso Versailles, nel 1842, la rottura di un asse di locomotiva provocò un
incidente nel quale persero la vita 60 persone. Gli incidenti ferroviari divennero talmente
frequenti che alcuni giornali inglesi pubblicarono una rubrica dedicata al "più grave incidente
ferroviario della settimana".
Si cominciò a comprendere che le sollecitazioni variabili nel tempo, seppure staticamente
in sicurezza, possono produrre rottura dopo un certo periodo di vita in servizio. Venne
introdotto il concetto di "fatica" dei materiali, attribuito al francese Morin, ma in realtà
citato per la prima volta nel 1854 da F.Braitwaite per descrivere le rotture di componenti
meccanici in varie macchine ed impiantiche si manifestavano dopo periodi di servizio più o
meno lunghi.
Caratteristiche della fatica
Le rotture a fatica presentano aspetti peculiari: il coefficiente di sicurezza statico risulta in
genere largamente soddisfatto, la rottura appare di tipo fragile, ma un’analisi frattografica
rivela una eterogeneità nella superficie di rottura nella quale è possibile distinguere una zona
caratterizzata da un rugosità fine e regolare, spesso con presenza di sottili striature che
decorrono parallelamente, e una zona con rugosità accentuata e irregolare.
L’aspetto delle superfici, induce a pensare ad una rottura progressiva in cui le sottili striature
rappresentano una traccia del fronte di avanzamento di una cricca macroscopica. Seguendo
a ritroso il percorso della cricca si evidenzia la zona di origine della rottura che in genere
presenta discontinuità nella geometria o presenza di difetti nel materiale. La superficie con
rugosità accentuata rappresenta l’area resistente residua ultima, su cui le tensioni massime
hanno prodotto una rottura statica quasi sempre con aspetto fragile.
La fatica si caratterizza quindi come fenomeno di progressivo danneggiamento di un componente in cui una cricca, partendo da una zona di innesco, si propaga fino a rendere insufficiente la sezione resistente residua e a produrre infine la rottura finale di schianto.
La fatica rappresenta ancor oggi la causa più importante di rottura in servizio di componenti
meccanici e una stima delle perdite economiche legate ad essa porta a totalizzare, a livello
planetario, cifre enormi. Lo studio della fatica ha prodotto una gran mole di risultati teorici
e sperimentali. Le problematiche relative alla fatica costituiscono da sole una branca della
meccanica dei materiali e ancor oggi molti aspetti non sono stati del tutto chiariti e sono
oggetto di ricerca.
Gli argomenti relativi a una trattazione introduttiva del fenomeno possono essere così sintetizzati:
Meccanismi di innesco e propagazione e regimi di fatica.
Limite di fatica e progettazione a vita infinita
Curve di durata e progettazione a vita finita
Dispersione statistica dei risultati sperimentali
Sollecitazioni ad ampiezza variabile
Progettazione a vita infinita e finita in presenza di difetti
Meccanismi di innesco e propagazione
Le analisi frattografiche di componenti e provini rotti a fatica mostrano che la cricca comincia
a propagarsi a partire da zone di concentrazione di tensione prodotta da variazioni più o meno
repentine della geometria o dalla presenza di difetti ed inclusioni nel materiale. Generalmente
la cricca di fatica insorge in superficie, nelle zone in cui le tensioni assumono valori massimi
in trazione. Anche in provini lisci, dopo una applicazione ripetuta di cicli tensionali, la
superficie comincia ad essere interessata da fenomeni di microdeformazioni permanenti con
scorrimento secondo le direzioni in cui agiscono le massime tensioni tangenziali (45◦ in provini
in stato di tensione monoassiale) con intrusioni ed estruzioni di materiale che portano alla
perdita della regolarità superficiale e alla formazione di microintagli estremamente acuti. Si
parla di innesco della cricca di fatica, che nella zona più sfavorevole, dal punto di vista della
geometria e delle sollecitazioni agenti, comincia a propagarsi sempre secondo la direzione
di massima tensione tangenziale. Si ha la fase I di propagazione. Quando la cricca si è
addentrata di qualche millimetro nel materiale, si manifesta uno stato tensionale in regime
di deformazione piana e la cricca continua la sua propagazione in direzione normale a quella
delle tensioni normali massime. Si ha la fase II di propagazione che continua a parzializzare
la sezione resistente e termina, quando questa diviene insufficiente, con il cedimento statico.
In questa fase si ha la formazione delle striature che caratterizzano il fronte di propagazione e
che vengono chiamate linee di spiaggia (beach marks) per l’analogia dell’aspetto morfologico.
Esse si formano quando si interrompe per qualche tempo la sollecitazione di fatica e possono
essere distinte anche ad occhio nudo. Le striature dovute all’avanzamento della cricca sotto
l’azione di un singolo ciclo sono evidenziabili solo a livello di microscopia elettronica. Le
linee di spiaggia sono più o meno pronunciate in funzione del tipo di materiale interessato.
Ogni zona di innesco da luogo ad una specifica superficie di propagazione delle cricche.
Quando due superfici originate da due differenti zone di innesco si incontrano, lungo la zona
di separazione si presentano accentuate striature macroscopiche, dirette verso i punti di
innesco, chiamate ratchet marks. Il numero di superfici delimitate dai rachet marks è pari
al numero di inneschi.
Limite di fatica e progettazione a vita infinita
Fondamentale nello studio del fenomeno della fatica e nelle applicazioni ingegneristiche è
la scoperta, per alcuni materiali, dell’esistenza del limite di fatica, cioè di un ciclo limite
di sforzi unitari variabili con ampiezza massima costante al di sotto del quale non insorge
il danneggiamento a fatica. Un esempio di materiale dotato di limite di fatica è l’acciaio,
mentre un esempio di materiale che non presenta limite di fatica (cioè subirà sempre la
rottura a fatica) è l’alluminio. Esistono materiali insensibili alla fatica, quali ad esempio il
legno.
In presenza di materiali con limite di fatica è possibile adottare una strategia progettuale
orientata ad evitare che la variazione delle tensioni superi il limite di fatica, in modo da
garantire al componente una vita infinita.
Nomenclatura
Ciclo sinusoidale
∆σ = σ max ¡ σ min
stress range
σ max ¡ σ min
σa =
ampiezza di sollecitazione
2
σ max + σ min
σm =
tensione media
2
σ min
R =
σ max
σ e ampiezza sollecitazione limite di fatica
σ f tensione di rottura
σ y tensione di snervamento
Regimi di fatica
In funzione dell’entità della tensione massima raggiunta nel ciclo è possibile definire vari
tipi di comportamento che determinano una durata in termini di numero di cicli più o
meno grande, e all’interna di questa differente ripartizione tra vita di nucleazione e vita di
propagazione.
Il regime fino ad ora delineato è quello della fatica ad alto numero di cicli (HCF: high cycle
fatigue), che si manifesta a partire da una durata di 10000 cicli in su ed è caratterizzato
da tensioni estreme notevolmente più basse di quella di snervamento del materiale. Nella
vita ad alto numero di cicli prevale la fase di nucleazione, che può coprire l’80% e oltre della
vita complessiva. Nella fatica ad alto numero di cicli è estremamente improbabile riuscire
a scoprire una cricca che si manifesta solo in una limitata fase della vita a fatica ed evolve
molto rapidamente nella fase finale.
All’aumentare delle tensioni massime del ciclo si ha un diverso comportamento meccanico
definito fatica a basso numero di cicli o fatica oligiciclica (LCF: low cycle fatigue). La vita
di nucleazione diviene via via più breve e quindi, nella vita del componente, prevale la fase
di propagazione.
Se viene superato il limite di plasticizzazione del materiale possono verificarsi principalmente
due tipi di comportamento. Se in ogni ciclo la deformazione plastica aumenta, si ha un
progressivo accumulo di deformazione, chiamato ratchetting, che porta alla rottura in un
numero di cicli che va da poche decine a qualche centinaio. Se dopo qualche ciclo si ha un
adattamento plastico, chiamato anche shakedown, si ricade nella LCF.
La flessione rotante
Il tipo di sollecitazione a fatica che storicamente è stato approfondito per primo è la flessione
rotante. Si ha quando un albero rotante è soggetto ad un sistema di forze che agiscono con
direzione e intensità constanti nel tempo e nello spazio. E’ la sollecitazione di fatica tipica
di alberi di trasmissioni meccaniche e assali.
Figure 1:
E’ relativamente semplice realizzare dispositivi di prova come quello mostrato in figura.
Esso è costituito da due collari uguali all’interno di ciascuno è montato, un mandrino con
un sistema di cuscinetti che consente di ammorsare una estremità il provino. I collari sono
montati in contrapposizione, consentendo di montare il provino al centro. I due collari sono
presentano esternamente e internamente delle cerniere. Quelle poste all’esterno costituiscono
un vero e proprio vincolo mentre quelle all’interno un punto di applicazione per una forza
fissa, applicata per mezzo di un peso. Uno dei mandrini è collegato ad un motore elettrico
con un giunto flessibile in modo da porre in rotazione il provino. All’atto della rottura la
rotazione di uno dei mandrini arresta motore e contagiri.
Ciclo sinusoidale
∆σ = σ max ¡ σ min
stress range
σ max ¡ σ min
σa =
ampiezza
2
σ max + σ min
σm =
tensione media
2
σ min
R =
σ max
σ e limite di fatica
Il limite di fatica è l’ampiezza di sollecitazione che un provino liscio e senza intagli può
sostenere senza frattura per 107 cicli con rapporto di sollecitazione R = ¡1.(σ m = 0)
Curve S-N
I fenomeni che possono determinare il danneggiamento progressivo di un componente sotto
l’azione di carichi ciclici sono molteplici e fisicamente differenti (plasticità ciclica, fase di
iniziazione, fase di propagazione, effetti dovuti alla geometria, alla presenza di difetti, alla
storia dei carichi, alle tensioni residue, ecc.). La relazione tra ampiezza di sollecitazione e
numero di cicli a rottura in tutto il range di σa non è esprimibile univocamente. E’ possibile
per i vari casi ottenere sperimentalmente e per interpolazione delle curve che mostrano la
dipendenza tra le due grandezze. Tali curve sono chiamate sinteticamente curve S-N. Se
rappresentate il coordinate logaritmiche si nota la presenza di tratti con andamento lineare
che possono essere rappresentati da leggi di potenza espresse nella forma:
σm
a N = K
In tal caso si parla di linee S-N. Nel campo tra 103 e 106 cicli per un gran numero di acciai
si riscontra tale comportamento con un parametro m compreso tra 8 a 10. Si noti che nel
diagramma doppio logarimico, la pendenza della linea S-N è pari a ¡1/m.
ln σ a =
ln K ln N
¡
m
m
Se σ e ¼ 0.5σut
m
6
σm
a N = σ e 10
3
σm
= (0.5σ ut )m 106
ut 10
ln 1000
¼ 10
m =
ln 2
In presenza di effetto di di intaglio il parametro m tende a diminuire e quindi la pendenza
tende ad aumentare. Ciò è spigabile ricondando che l’effetto di intaglio si evidenzia soprattutto nella riduzione del limite di fatica lasciando inalterato il comportamento statico. Nel
caso di intagli o di giunzioni saldate il parametro tende ad assumere valore m = 3.
Un metodo approssimato per il tracciamento delle linee S-N in presenza di sollecitazioni di
flessione rotante o alterna, consiste nel considerare come estremi i punti (103 , 0.9σut ) , (106 , σ e ).
Fattore di finitura superficiale
La finitura superficiale è un parametro fondamentale nella resistenza a fatica perchè interviente direttamente sui meccanismi di innesco della cricca. Essa si caratterizza come insieme
di micro-intagli, che pregiudicano il limite di fatica in maniera più o meno pronunciata, a seconda della sensibilità del materiale agli stessi intagli. Il relativo fattore di riduzione del limite
di fatica a causa della finitura superficiale viene fornito in diagrammi con curve differenziate
a seconda del tipo di finitura superficiale introdotto dalle lavorazioni meccaniche riportate
in funzione della tensione di rottura del materiale utilizzato, poichè a tensioni di rottura
più elevate corrisponde generalmente una maggiore sensibilità a discontinuità geometriche e
difetti.
Fattore di dimensione
I dati sperimentali relativi al limite di fatica reperibili in letteratura si riferiscono, nella
maggior parte dei casi, ai risultati di prove di fatica a flessione rotante su provini di diametro
pari a 8¥10 mm. La sperimentazione evidenzia come il limite di fatica diminuisca al crescere
della sua dimensione assoluta del provino.
E’ opportuno precisare che esiste un effetto di dimensione assoluta legata alla distribuzione
di difetti, cui normalmente ci si riferisce come effetto scala. Nella fatica, con particolare
riferimento alle sollecitazione di flessione e di torsione, a parità di tensione massima e di
distribuzione di difetti, si evidenzia un effetto gradiente, dovuta alla maggiore o minore
estensione di zone sollecitate ad elevate tensioni.
La formula empirica che meglio rispecchia i risultati sperimentali (con accettabile margine
di sicurezza) nel caso di flessione rotante su provini circolari e lisci è la seguente:
kb =
½
1
d · 8 mm
1.189d−0.097 8 mm < d · 250 mm
Ipotizzando (secondo Kuguel) che la nucleazione si manifesti nell’area con sollecitazione
compresa tra 0.95σ max e σ max , nel caso di provino circolare di diametro d soggetto a flessione
rotante tale area costituisce un anello circolare e risulta pari a:
¤
π£ 2
d ¡ (0.95d)2 = 0.0766d2
4
Nel caso di flessione alterna su un provino circolare di diametro D tale area è pari al doppio
del segmento circolare con corda distante 0.95D/2 dal centro, che viene visto sotto un angolo
al centro θ = 2 arccos (0.95) = 0.635 rad.
A0.95 =
D2
(θ ¡ sin θ) =
4
= 0.0105D2
A0.95 =
Uguagliando le aree nei due casi si ottiene il diametro equivalente a flessione rotante
0.0766d2eq = 0.0105D2
r
0.0105
deq =
D = 0.37D
0.0766
Figure 2:
Nel caso di flessione alterna su un provino rettangolare con base b e altezza h.
A0.95 = 0.05bh
Con lo stesso procedimento si ottiene applicato in precedenza si ottiene
0.0766d2eq = 0.05bh
r
p
0.05
deq =
bh = 0.808 bh
0.0766
Fattore di affidabilità
Il fattore di affidabilità si introduce per tenere conto che il limite di fatica rappresenta una
variabile casuale e il valore numerico reperito è spesso quello medio (in tal caso applicando
una sollecitazione pari al limite di fatica solo il 50% dei provini ha vita a fatica infinita).
Il materiale con cui è realizzato un componente meccanico preso a caso all’interno di un
lotto di produzione potrebbe statisticamente rientrare nel frattile che non supera il limite di
fatica. Gli acciai utilizzati per la produzione di componenti meccanici (con l’esclusione di
componenti saldati) hanno una deviazione standard del limite di fatica che raramente va al
di là dell’8%.
Definendo come affidabilità di un componente la probabilità che un campione estratto da
un lotto di produzione non incorra nella rottura a fatica, il fattore di affidabilità è un coefficiente che penalizza la tensione alterna di lavoro in modo da collocare la probabilità di
sopravvivenza dei componenti prodotti entro il limite progettuale previsto.
Fattore di affidabilità calcolato per una deviazione standard di 0.08 del limite di fatica
kc = 1 ¡ 0.08z
Affidabilità R
0.50
0.90
0.95
0.99
0.999
0.999 9
0.999 99
0.999 999
0.999 999 9
0.999 999 99
0.999 999 999
Variabile standardizzata z
0
1.288
1.645
2.326
3.090
3.719
4.265
4.753
5.199
5.612
5.997
Fattore di affidabilità kc
1.000
0.897
0.868
0.814
0.753
0.702
0.659
0.620
0.584
0.551
0.520
Effetto della tensione media in presenza di intaglio
Si è detto che l’effetto d’intaglio nei materiali duttili interviene solo sulla resistenza statica
e non sulla resistenza a fatica. Estendendo questo concetto potremmo dire che l’effetto di
intaglio agisce solo sulla tensione alterna e non sulla tensione media. Se si adotta questa
procedura si opera con il metodo della tensione media nominale. In realtà la tensione
media, innalzando totalmente il livello di tensione, può consentire alla tensione massima di
raggiungere il limite di plasticizzazione del materiale. Ciò produce dopo pochi cicli di carico
un adattamento plastico all’interno della zona di concentrazione, che è in genere di piccole
dimensioni. Poichè l’ampiezza di sollecitazione rimane invariata, l’adattamento plastico fa
sì che la tensione media si riduca limitando la tensione massima al limite dello snervamento.
In realtà questo non dovrebbe accadere perchè è buona norma introdurre un coefficiente
di sicurezza della tensione massima rispetto allo snervamento. Se si ipotizza di calcolare il
coefficiente di sicurezza ad adattamento plastico avvenuto si adotta il metodo delle tensione
media residua.
E’ da sottolineare che molti progettisti non concordano nel ritenere applicabili le procedure
esposte a componenti complessi sia nella geometria che nella storia dei carichi, ritenendo che
l’unico modo per garantire un comportamento affidabile è la prova diretta sul componente
stesso. Un ulteriore argomento introdotto a supporto di ciò è la necessità di tener conto
delle reali storie di carico nel caso le sollecitazioni di fatica siano di tipo random.
Fatica oligociclica
Risulta difficile modellare le curve S-N in maniera meccanicistica poichè esse rappresentano
l’inviluppo di comportamenti a rottura derivanti da una sequenza di processi fra loro dipendenti: incrudimento o addocimento ciclico, nucleazione di cricche, propagazione di cricche
fino alla rottura finale. Le prime descrizioni empiriche risalgono ai primi anni del XX secolo.
Una buona descrizione per il regime ad "alto numero di cicli" è data dalla relazione
σa = σ 0f (2Nf )b
dove σ 0f è il coefficiente di resistenza a fatica (approssimativamente uguale alla resistenza
a frattura in trazione), Nf è il numero di inversioni di cicli a rottura, b è l’esponente di
Basquin; il suo valore è all’incirca 0.1 per la maggior parte dei metalli. Poichè le prove sono
condotte in campo elastico per la maggior parte dei punti, in questo regime l’ampiezza di
deformazione εa può essere supposta pari a quella elastica pari a εEL
a :
εa ¼ εEL
a =
σ 0f
(2Nf )b
E
dove E rappresenta il modulo di Young.
Sotto l’azione di carichi più elevati il provino si deforma plasticamente sotto ogni ciclo. In
questo caso si ha il regime a "basso numero di cicli" ed è stata trovata una correlazione tra
il numero di cicli a rottura 2Nf e l’ampiezza di deformazione plastica εPa L , descritta dalla
legge di Coffin-Manson
εPa L = ε0f (2Nf )c
dove ε0f è il coefficiente di duttilità a fatica e c è l’esponente di Coffin (intorno a 0.5 per i
metalli). L’ampiezza di deformazione totale è la somma dei contributi elastico e plastico,
che porta alla relazione
σ 0f
εa =
(2Nf )b + ε0f (2Nf )c
E
La transizione tra i due regimi può essere stimata valutando il punto di intersezione dei due
regimi:
σ 0f
(2Nf )b = (2Nf )c−b
E
Ã
! 1
σ 0f c−b
2Nf =
ε0f E
che si colloca tipicamente intorno ai 1000 cicli.