II motore della 600

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II motore della 600
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II motore della 600
Verso la metà del 1952 la Divisione Tecnica Progettativa, diretta dall'ing. Giacosa, venne riordinata e l'Ufficio Tecnico
Autoveicoli fu suddiviso in tre dipartimenti:
- il Dipartimento Progettazione che, diretto ad interim dall'ing. Giacosa, avrebbe dovuto occuparsi, grazie ad una
articolata ripartizione di compiti, di autovetture, di motori pesanti, di trattrici agricole, di carrozzerie speciali, di veicoli
industriali e via dicendo;
- il Dipartimento Sviluppi e Ricerche alle dipendenze dell'ing. Montabone, che si sarebbe occupato degli studi più
avanzati nel settore automobilistico (propulsore a turbina compreso);
- Il Dipartimento Esperienze che, ripartito in tre branchie (Prova Motori, Prova su strada e Prove Dinamiche), venne
affidato all'ing. Ruffolo.
La riorganizzazione fu attuata perché, rinnovati gli impianti di produzione, l'azienda si avviava con molta fiducia dopo il
difficile periodo post bellico, ad occupare una posizione di tutto rilievo. E' significativo che i tre settori rimanessero affidati
all'ing. Giacosa e questo non solo per la riconosciuta validità del tecnico, ma per essere questi l'uomo cui (è lui stesso a
confessarlo nelle sue memorie) i progetti di piccole vetture utilitarie erano sempre stati particolarmente congeniali. Infatti
l'azienda in quel periodo si era finalmente orientata a produrre una vettura da immettere sul mercato a costi contenuti per
"motorizzare l'Italia": per affrontare questo problema nessuno poteva essere più indicato dell'ing. Giacosa. Si consideri
che si trattava di un programma ambiziosissimo: solo un quinquennio addietro l'attività produttiva in campo automobilistico
era limitata in Italia a poche case (Alfa Romeo, Fiat e Lancia) che riuscivano ad immettere sul mercato cinque o seicento
vetture al mese complessivamente; ma capitava che esse venissero vendute sgommate o che se ne dovesse attendere
lungo tempo la consegna per mancanza di qualche indispensabile accessorio. Di fatto, una vettura circolante anche se
vecchia di qualche anno, poteva venir pagata quanto, se non di più, di una nuova. E' noto che il progetto di una vettura
di massa fosse già stato intrapreso dalla Fiat nel 1934 e affidato proprio all'allora esordiente ing. Giacosa. Ne era scaturita
la 500 Topolino che, se non fosse stato per la guerra di Spagna e la conquista dell'Impero, le sanzioni e il secondo
conflitto mondiale, avrebbe forse consentito alla Fiat di emulare (con le dovute proporzioni) i fasti della Ford. Nel 1952
sembrava giunto il momento di riproporre la partita. Del resto la Fiat ha sempre guardato al sistema industriale
statunitense con vivo interesse: nel 1937 mentre si costruiva il nuovissimo stabilimento di Mirafiori venivano iniziate
trattative con la Ford e con la Standard Oil Co. poiché, modernizzando le strutture e accelerando i procedimenti
tecnologici, data la limitatissima possibilità di assorbimento del mercato interno, occorreva creare prospettive di
espansione su quelli esterni. Benché, come si sa, le cose siano andate in modo assai diverso, il progetto di una vettura
piccola ed economica era sempre stato accarezzato: con il rientro del prof. Val letta fu decisamente ripreso. Inizialmente
si propendeva per un tipo di vetturetta strettamente imparentata con la 500C e, in un certo senso, la 500 Belvedere era
una espressione di questa tendenza. Si doveva puntare prevalentemente sul contenimento del peso in quanto, non
avendo il costo della mano d'opera raggiunto alti livelli, l'economia costruttiva era perseguibile prevalentemente
risparmiando sui materiali. L'abitacolo in legno e masonite della versione Belvedere (con questa realizzazione la 500
veniva a disporre di 4 posti reali) deve essere valutato anche sotto questo punto di vista. Negli anni '50 erano disponibili
alcuni progetti che prevedevano motori raffreddati ad aria (2 cilindri contrapposti) o ad acqua (4 cilindri) sia per la
versione tutto dietro che per la versione tradizionale; essi avevano sigle diverse, utilizzate poi anche per altre
motorizzazioni e, quanto alla cilindrata, si andava da 450 a 700 cc. Ciò che rendeva più laboriosa la progettazione della
vettura era il limite di peso tassativamente fissato dalla Presidenza (450 Kg di cui 200 per la parte meccanica); inoltre il
prof. Va Netta e alcuni tra i suoi più diretti collaboratori erano orientati su una soluzione di tipo convenzionale e cioè
motore anteriore e trazione posteriore. Solo nel 1951 la Progettazione ebbe libertà di scelta per quanto riguarda la
posizione del motore essendo risultato evidente che il conseguimento dell'obiettivo peso era indissolubilmente legato ad
una soluzione tutto avanti o tutto dietro. Si dice siano state considerazioni di ordine economico a far scegliere la
disposizione posteriore e sempre in quest'ottica in un primo tempo venne scelto un propulsore a due cilindri disposti a V
di 160°, raffreddato ad aria (vedi figura a pag. 17): la cilindrata era di 600 cc avendo alesaggio di 75 e corsa di 68 mm.
Questo propulsore, realizzato in due o tre esemplari come 100E2, merita qualche cenno. Il comando delle valvole
avveniva con un unico albero posto al centro del motore superiormente all'albero a gomiti; queste avevano posizione
inclinata rispetto all'asse del cilindro ed erano azionate da grossi bilancieri, alleggeriti da fori, che, per la loro forma,
vennero chiamati "le oche". Il difetto principale dì questo motore fu rilevato nella particolare camera di combustione che
assumeva una forma assai strana a motivo della disposizione laterale delle valvole. Ne conseguiva uno stantuffo con un
cupolotto prismatico che consentiva una camera apparentemente molto raccolta, ma in realtà di rendimento inferiore al
previsto. Questo, insieme a deformazioni indotte da difficoltà di raffreddamento, fecero ben presto abbandonare il
progetto. Ciononostante questo motore, equipaggiato con giunto idraulico e cambio a tre velocità fu provato su vettura: la
prova permise di appurare come la strada imboccata fosse irta di difficoltà che avrebbero richiesto troppo tempo per
essere superate. Solo nel 1953 la versione della vettura che sarebbe stata prodotta assumerà caratteristiche definitive;
è il caso di sottolineare che il peso previsto era di 515 Kg a vuoto, quindi superiore del 15% circa a quanto fissato in
precedenza. Ma per giungere a tanto, avviato il programma, si dovette intraprendere una forsennata lotta contro il tempo.
Il gruppo di disegnatori prescelto verso la fine del '52 per sviluppare i disegni di progetto (una decina in tutto) fu riunito
in un locale indipendente nel quale, lavorando indisturbato al tecnigrafo e sotto chiave, riuscì a svolgere il proprio compito
in soli quattro, cinque mesi. E' ipo-tizzabile che questa specie di clausura sia stata voluta anche per comprensibili motivi
di riservatezza; tra le "indicazioni" di Val letta c'era anche quella che la vettura dovesse piacere agli americani cosa che
aiuta a comprendere quanto fosse alta la posta in gioco. Nonostante questa riservatezza vi fu una fuga di notizie che
ebbe risalto sui giornali. Il motore della 600 può essere considerato un modello di semplicità, ma questa semplicità fu
raggiunta a prezzo di ingegnose soluzioni che richiesero profondi studi, reiterati tentativi e buona dose di fantasia. Si
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veda, ad esempio, il complesso della pompa acqua e ventilatore che per motivi di ingombro dovette essere collocato
lateralmente al motore. Il braccio di sostegno del gruppo fu realizzato cavo in modo da utilizzarlo come condotto per
l'acqua. Ciò consentì, insieme alla economia, di evitare tubi e manicotti di collegamento che a lungo andare possono
risultare meno affidabili di una soluzione per così dire integrale; in altre parole era realizzato il concetto che la semplicità è
sinonimo di affidabilità (vedi figura a pag. 18). Il mercato consentiva soluzioni che oggi, per la loro austera semplicità, non
sarebbero neppure immaginabili. Valga il caso, sempre sulla 600, dell'abolizione del riscaldatore vettura essendosi
sfruttata la corrente d'aria prodotta dalla ventola di raffreddamento del motore. Questa corrente d'aria aveva direzione
opposta a quella di avanzamento del veicolo; da ciò perplessità e incredulità che facilmente sconfinavano in resistenze. Le
prove pratiche fornirono però risultati accettabili anche se il tunnel centrale che portava l'aria calda alle bocchette di
sbrinamento del vetro anteriore disperdeva nell'abitacolo buona parte di quel calore che avrebbe dovuto disappannare il
cristallo. Per disporre rapidamente di una sufficiente quantità di calore, un convogliatore a paratie azionate da un
termostato sensibile alla temperatura dell'acqua di refrigerazione regolava la quantità di aria che attraversava il radiatore.
Proprio questo marchingegno creò qualche problema; prima si ebbero avarie al termostato che perdeva la cera
dell'elemento sensibile; poi ci si accorse che avviando il motore con macchina ferma su strada sterrata la corrente d'aria
diretta verso il suolo sollevava fitte nuvole di polvere. Considerato che lo stato delle strade era ben diverso dalle
condizioni attuali poiche molte non erano asfaltate, si può valutare l'effetto comico dell'inconveniente, ma ancor più
l'effetto negativo per l'aspirazione di aria molto polverosa. Ad esso si pose in parte rimedio con un diverso orientamento
dei deflettori; questi fatti unitamente alla criticità del rifornimento d'acqua che per la presenza di sacche d'aria nel circuito
creava problemi di refrigerazione con effetti talora vistosi di ebollizione, fanno riflettere sul come, a differenza di quanto si
sia tentati talora di dire mitizzando i ricordi, non tutto scorresse facilmente per il verso desiderato. Il "tutto nuovo" ha di
questi prezzi: anche le sospensioni della vettura con l'assenza di barra antirollio e i problemi connessi con la ripartizione
dei pesi, diedero qualche grattacapo. Ma torniamo al motore che tra le novità adottava il correttore di anticipo a
depressione. Esso era realizzato facendo compiere un movimento di rotazione al gruppo distributore che pertanto non
risultava solidale alla presa di moto. Sebbene fosse stato costruito in modo assai compatto, la massa in movimento finiva
per assumere traballamenti che rendevano la correzione della curva di anticipo precaria se non deleteria. Fu infatti
eliminato in versioni successive, ma il fatto che sia stato concepito dimostra la cura posta nella realizzazione dei
particolari non solo da un punto di vista economico costruttivo, ma anche a vantaggio del costo di esercizio. Nell'estate
del '53 la messa a punto del prototipo nella versione che sarebbe stata prodotta era quasi completata; le prove di durata
al banco (ancora nella vecchia sede del Lingotto) avevano fornito risultati più che soddisfacenti per quanto concerne gli
organi fondamentali. Era questo un aspetto di particolare interesse perché, basamento a parte, si faceva per la prima
volta largo impiego di fusioni di alluminio. Eppure vi furono ancora esitazioni: si temeva, ad esempio, che in seguito alla
campagna politica effettuata, qualche industria potesse avere programmi per una vettura di minor cilindrata; per contro ci
si preoccupava di eventuali incrementi di prestazioni relativi ad una vettura di maggior capienza in grado di sostituire la
richiestissima 500 Belvedere.
Si osserverà che non sarebbe stato possibile soddisfare entrambe le esigenze; ma vi
era anche chi si preoccupava della rumorosità, della possibilità di vendere la vettura a 1.000 lire al Kg, e dell'aspetto
estetico. In generale, almeno a voler tener conto delle impressioni raccolte pare che al momento del "via" mancasse un
pizzico di coraggio. Lo stesso avv. Agnelli, stupefacente!, sembra avesse espresso il timore che con i suoi 88 Km/h la
vettura fosse un po' troppo veloce. A fronte di queste titubanze c'era, in concreto, la sola possibilità di futuri incrementi di
prestazioni: ma alla fine la vettura fu approvata e si passò alla fase costruttiva. Mentre si apprestavano le linee di
lavorazione si costruì una dozzina di esemplari di vetture per estendere le prove che, oltre alla Direzione Esperienze,
furono affidate anche al Servizio Assistenza Tecnica. Ci si preoccupava infatti moltissimo dei costi di manutenzione e la
collaborazione di questo Servizio risultò preziosa. L'accessibilità ai vari gruppi della vettura era altamente perseguita: come
anche in seguito i motoristi dovevano effettuare sui nuovi tipi i più disparati interventi (dall'ordinaria manutenzione alla
sostituzione di gruppi e particolari) segnalando eventuali interferenze con gli organi; l'impiego di chiavi speciali per le
operazioni correnti era tassativamente escluso e a malapena tollerato per quelle di maggior impegno. La Sala Prove
aveva un compito anche più ingrato: quello di effettuare prove fuori dallo stabilimento eludendo la caccia della stampa,
specializzata e non, che tentava di realizzare lo scoop giornalistico. A quel tempo era ancora assai utilizzata, per le prove
di velocità, l'autostrada Torino Milano, che aveva carreggiata unica; facile quindi seguire, localizzare, fotografare le nuove
vetture che, per questo motivo, erano costrette ad uscire per queste prove debitamente camuffate e solo di notte. Si
giunse persino ad impiegare auto civetta e questo dice quanto si ritenesse importante il segreto industriale. Intanto i
tempi di lavoro erano divenuti frenetici: le prove di durata furono rese più severe e attraverso i risultati ottenuti fu
possibile apportare tutta una serie di piccole ma necessarie modifiche per affrontare una produzione giornaliera che
avrebbe costituito un record aziendale. Nel Dipartimento Esperienze fu raggiunto il record delle ore lavorate per addetto:
è di quel periodo il motto "ci vorrebbe una giornata di 25 ore per poter riposare almeno una". Non è difficile rintracciare i
motivi di una così massiccia adesione dei dipendenti al programma aziendale. Sopravvissuta alla valanga bellica grazie
alle forniture militari e all'immediato dopoguerra per via dei consistenti aiuti previsti dal Piano Marshall (qui pare ci stesse
proprio per intero lo zampino del prof. Va Netta, ma anche le amicizie che la famiglia Agnelli si era guadagnata in
America) l'azienda è promotrice di una rinascita che non può non coinvolgere una città e l'insieme dei lavoratori che di
questa azienda è l'espressione. Ai tempi del panico per la guerra tra le due Coree un posto in Fiat era ambito come il più
sicuro dei toccasana; del resto si sapeva che il declino della Fiat (si era visto con la crisi degli anni trenta prima e col
periodo bellico poi) era il segno precursore della crisi della città. Senza rifare la storia dei legami, delle connessioni, delle
interdipendenze tra l'azienda e la città che con essa è cresciuta, è intuitivo che ci si aspettasse da un rilancio della Fiat un
miglioramento delle condizioni di vita. Nel bene, e nel meno bene, questa era la realtà. La 600 ebbe il suo battesimo al
Salone di Ginevra del 1955: fu subito un grande successo anche perché, pur avendo quattro posti e maggiori
prestazioni, costava meno della 500C. Peraltro, poiché le cifre da sole possono essere poco significative, vediamo cosa
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significhi il prezzo di 590.000 lire con il quale la nuova vetturetta popolare fu posta in vendita. Nel 1956 un impiegato di
terza categoria del settore metalmeccanico percepiva una mensilità, al netto degli straordinari o di altre voci, inferiore alle
60.000 lire. Un biglietto ferroviario di terza classe tra Torino e Roma costava 3.750 lire; un pranzo in trattoria poteva
oscillare tra le 800 e le 1.000 lire; un abbonamento annuale a Quattroruote richiedeva 3.300 lire e con 400 si andava al
cinema in centro. Torino, città con meno di 800 mila abitanti, non era particolarmente cara, anzi risulterebbe che fosse tra
quelle ove era possibile spendere meno; ad ogni modo un vestito pesante di discreta fattura poteva costare 1/4 dello
stipendio mensile medio. In queste condizioni l'acquisto della 600 significava impiegarvi 8-10 mensilità; si noti che, non
essendosi ancora manifestato il boom edilizio, si era propensi a comprare l'auto più che a risparmiare per
l'appartamento. Ecco perché possiamo dire "la Fiat come la Ford" anche se è doveroso aggiungere "fatte le dovute
proporzioni". Il disegno del Sen. Agnelli si era avverato e, si noti, quando le ferree protezioni doganali erano oramai solo
più un ricordo (prima della guerra il prodotto Fiat era venduto ad un prezzo triplo di quello offerto dalle case
automobilistiche USA dove un operaio guadagnava 11 lire l'ora contro le 3 - 3,5 di uno nostro). Comunque occorre
puntualizzare che al basso prezzo d'acquisto della 600 corrispondeva un comparabilmente modesto costo di esercizio e
manutenzione: e questo induce a tanto di cappello. L'uso della 600 era veramente a livello delle possibilità
dell'acquirente; la sua manutenzione era poco più che elementare e quindi tutt'altro che onerosa. Quanto al costo dei
ricambi, almeno inizialmente, non era troppo elevato ed è da rammentare che la vettura aveva notevoli doti di durata e
affidabilità. La sistemazione del propulsore e del cambio interamente arretrata non consentì la realizzazione di una
giardinetta di cui sarebbe stata molto apprezzata la possibilità di carico attraverso il portello posteriore. Tuttavia a prezzo
di qualche sacrificio nell'accessibilità ai due posti anteriori, fu possibile costruire una vettura a più posti sulla quale,
ribaltando i sedili posteriori, erano sistemabili colli di un certo volume grazie alle porte laterali di discrete dimensioni. A
motivo di questo impiego promiscuo la vettura fu chiamata "Multipla": ne fu realizzata anche una vettura taxi. Non
risultava un gran che comoda, ma si consideri che in quel periodo nell'Italia meridionale e nelle isole era in circolazione
un tipo di taxi economico che utilizzava il motore della "Vespa". Comunque la Multipla, sebbene avesse un più idoneo
rapporto di trasmissione, mise impietosamente a nudo la modestia delle prestazioni e non tanto per la potenza massima
espressa quanto per il basso valore di coppia e la scarsa elasticità. A onor del vero ciò non era del tutto imprevisto tanto
che erano già state intraprese operazioni di potenziamento, ma si riteneva che, per quel tempo, le prestazioni della 600
fossero sufficienti. Ciò perché, se le strade erano modeste, il traffico lo era ancora di più: si abbia presente come in quegli
anni era possibile inviare da Mirafiori al Lingotto le scocche che qui venivano montate, mediante convogli costituiti da
tre/quattro rimorchi, sui quali era portata la scocca nuda, al traino di un camioncino 615. Perciò le 600 dovevano
inizialmente destreggiarsi tra pochi veicoli con la necessità di sorpassare le biciclette, tram o motorini; nella stessa città il
servizio con autobus non era ancora stato introdotto. Proprio la rapida espansione della 600 e della consorella minore, la
Nuova 500, ribaltò il rapporto strada utenza creando la necessità di disporre di vetture dotate di maggiore accelerazione e
ripresa. Perciò, a poco più di un anno dall'esordio, era disponibile la versione del motore 100A.000: ad un incremento di
potenza e di coppia del 20 -25% corrispondeva una riduzione del regime di quest'ultima da 2.800 a 2.600 giri/min.
Questa versione conobbe anche una applicazione per gruppi marini, ovviamente per piccole imbarcazioni. Le versioni
successive (100B.000 e 100C.000) videro un aumento della cilindrata da 633 a 724 cc sia per la sostituzione dell'albero
a gomiti (corsa 60 mm) che per l'incremento dell'alesaggio (62 mm). Anche questi più recenti motori disponevano di
filtro olio centrifugo derivato da quello della Nuova 500: si trattava comunque di versioni sperimentali, l'ultima delle quali
aveva addirittura rapporto di compressione 8,75. Per poter funzionare a pieno carico, mancando sul mercato il
carburante con adeguato numero di ottani, lo si preparava presso i Laboratori; per le prove di richiesta ottanica erano
invece impiegate miscele di eptano isottano approntate sul momento nella stessa Sala Prova. Le prove con elevato
rapporto di compressione dimostrarono che, per conseguire un accettabile valore di coppia motrice, era necessario
ricorrere ad un incremento di cilindrata: sul motore 100D.000 (vedi figura a pag. 20), poi industrializzato, ciò fu ottenuto
adottando una corsa lunga più favorevole al rendimento volumetrico ai bassi e medi regimi; limitando il regime di potenza
massima a 4.800 giri/min fu possibile disporre di 5,5 Kgm a 2.800 giri/min: il motore 100D.O0O fu più tardi anche munito
di sistema di ricircolazione dei gas di sfiato. In questo quinquennio (1955 - 1960) l'architettura originaria del motore
100.000 rimase invariata; successivamente il medesimo motore subì ulteriori elaborazioni e conobbe altri periodi di
successo giungendo ad avere una cilindrata di ben 1.050 cc ed una potenza di 70 CV.
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