Il disegno di legge Orsi promuove una disciplina della tutela della

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Il disegno di legge Orsi promuove una disciplina della tutela della
AUDIZIONE SENATO DELLA REPUBBLICA
XIII Commissione Territorio, Ambiente e Beni ambientali
Osservazioni al testo unificato proposto dal relatore per i disegni di legge
Nn° 276, 330, 397, 398, 480, 510, 1029, 1104, 1122, 1224
“Legge quadro per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il
prelievo venatorio”
8 luglio 2009
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I disegni di legge unificati, nel testo in esame, dal Sen. Orsi, presentano
una disciplina della tutela della fauna selvatica e del prelievo venatorio che
risponde all’esigenza, da un lato, di rimuovere alcuni vincoli all’attività venatoria
e, dall’altro lato, di rafforzare una serie di misure destinate a ridurre il problema
dei danni da fauna selvatica, quale emergenza, soprattutto, per quanto concerne
l’incidenza degli ungulati.
Circa le modifiche alla legge quadro al fine di consentirne un adeguamento
ai nuovi obiettivi che, oggi, pone la disciplina di una caccia sostenibile, non si
formulano osservazioni precise in ragione della estraneità alla nostra competenza;
mentre per quanto riguarda il rapporto con l’agricoltura, si apprezza il fatto di
aver riconosciuto e valorizzato il ruolo multifunzionale che svolgono le imprese
agricole, prevedendo obiettivi di recupero e ricostituzione degli habitat naturali
che consentono il ripopolamento e la presenza della fauna sul territorio.
Nell’ambito della pianificazione acquisisce, infatti, uno speciale rilievo il
concetto di gestione delle risorse faunistiche ed il prelievo venatorio diventa una
modalità di fruizione di tali risorse, compatibile con le finalità di salvaguardia
della fauna selvatica e di tutela degli habitat, naturali o artificiali.
L’articolazione degli ambiti territoriali di caccia deve riflettere, del resto, gli
obiettivi conservativi e di razionale fruizione: ne deriva che dimensionamento e
organizzazione ottimali di tali ambiti sono condizioni di una sana autogestione
alla quale concorrono le rappresentanze dei cacciatori, agricoltori, ambientalisti
ed enti locali. La conferma della centralità di tale istituto rappresenta, perciò una
scelta coerente con l’impostazione della legge e mantiene intatta la sua attualità,
sebbene in qualche caso non si sia realizzata una collaborazione operativa tra le
varie componenti.
Un chiaro esempio è costituito dalla disciplina diretta a contenere i danni
da fauna selvatica - che ha fallito nella concreta attivazione - sia, a monte, sul
piano della prevenzione che, a valle, su quello del controllo numerico e del
risarcimento dei danni, tanto che le imprese agricole sono esasperate dalla
mancanza di strumenti adeguati ad arginare la presenza degli ungulati ed anche
di alcune specie alloctone, quali, ad es., le nutrie.
Pertanto, rispetto al dibattito sulla riforma della l. n. 157 del 1992,
Coldiretti considera di prioritaria importanza la disciplina di tale aspetto, che
incide negativamente sulla redditività delle imprese agricole e che appare,
tuttavia, ampiamente sottovalutato.
Sotto questo profilo, il DDL Orsi ha il merito di inserire delle misure di
controllo straordinarie della fauna selvatica, l’applicazione delle quali subentra nel
momento in cui si rileva l’inefficacia delle misure ordinarie previste dall’art. 19
della l. n. 157 cit., che prevede il ricorso all’abbattimento selettivo. Tuttavia, il
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DDL dovrebbe integrare tali misure disciplinando, in modo puntuale, anche
l’aspetto della prevenzione data la necessità che il fenomeno sia contenuto alle
origini.
In sostanza, il DDL dovrebbe prevedere che Regioni e Province autonome,
nell’ambito dei piani faunistico venatori di cui all’art. 10, stabiliscano in modo
progressivo:
a) misure di prevenzione;
b) misure ordinarie di controllo;
c) misure straordinarie di controllo, qualora gli interventi di prevenzione dei
danni e le misure ordinarie di controllo della fauna selvatica si rilevino
inefficaci a limitare i danni.
Il DDL dovrebbe, quindi, prevedere quali sono le misure di prevenzione che
le imprese agricole devono adottare (ad es. recinzioni elettrificate, trappole e così
via), impegnando le amministrazioni regionali ad adottare dei regimi di sostegno
finanziario, posto che il singolo operatore non è tenuto a sopportare le
conseguenze economiche derivanti da una cattiva gestione della fauna selvatica
sul territorio. Inoltre, qualora l’impresa agricola eserciti la propria attività o abbia
sede all’interno di un’area protetta, il contributo alla realizzazione delle misure di
prevenzione deve essere concesso dall’ente gestore dell’area protetta. Il contributo
finanziario dovrebbe coprire l’intera spesa sostenuta dall’impresa agricola per
l’acquisto dei materiali e la realizzazione delle misure di prevenzione.
D’altra parte, va sottolineato come il DDL Orsi all’art. 9, comma 1, si ponga,
giustamente, il problema dell’individuazione della densità ottimale delle singole
specie, ma nella formulazione della norma sarebbe più corretto stabilire che
Regioni e Province autonome, di concerto con gli enti gestori delle aree protette,
attraverso gli strumenti di programmazione e pianificazione, per ciascuna unità
territoriale di gestione, individuino per le specie potenzialmente in grado di
arrecare maggiori danni all’agricoltura - e, quindi, prioritariamente per gli
ungulati - delle densità obiettivo, in modo tale che si regolamenti la presenza sul
territorio della fauna selvatica, contemperando le esigenze di natura ecologicoambientale con quelle economiche. L’art. 10, infatti, facendo riferimento
esclusivamente ai piani faunistico-venatori rischia di lasciar fuori, rispetto al
problema delle densità, le aree protette che, non essendo territori in cui è
consentita l’attività venatoria, sfuggirebbero ad una pianificazione della presenza
delle specie di fauna selvatica. In tal modo si alleggerirebbe anche la pressione
che spesso subiscono le aree contigue alle aree protette, che sono, di fatto, delle
zone in cui i danni da fauna selvatica non solo non sono normalmente risarciti
perché fuori dalla competenza dell’ente gestore dell’area protetta, ma soprattutto
perché risultano anche prive di indirizzi di gestione.
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Si evidenzia come gran parte dei danni da fauna selvatica arrecati
all’agricoltura siano dovuti alla presenza di ungulati, tra i quali, la maggiore
incidenza è imputabile al cinghiale.
Come opportunamente sottolineato in uno studio condotto sul cinghiale
(Distribuzione, gestione, prelievo venatorio e potenzialità delle popolazioni di
ungulati , di Luca Pedrotti, Eugenio Duprè, Damiano Preatoni, Silvano Toso),
l’attuale mancanza di criteri di gestione venatoria razionali ed omogenei rende
difficoltosa l’organizzazione di un controllo programmato della specie. Nei territori
maggiormente interessati dalle produzioni agricole il cinghiale crea un forte
impatto sulle coltivazioni, per asporto diretto a fini alimentari di numerose
essenze e per il danneggiamento dovuto all’attività di scavo. Tale fenomeno
raggiunge spesso dimensioni considerevoli: sino all’80% dei fondi a disposizione
delle amministrazioni provinciali per far fronte all’impatto causato dalla fauna
selvatica sulle attività antropiche di interesse economico vengono annualmente
destinati al risarcimento dei danni causati da tale specie.
Pertanto, sarebbe utile introdurre dei criteri di zonizzazione per cui le
Regioni siano tenute ad individuare: aree a prevalente destinazione agricola, in
cui non è ammessa la presenza di cinghiali; aree a rilevante compresenza di
agricoltura ed ambienti naturali, in cui é tollerata una bassa densità di cinghiali
ed, infine, aree a prevalente destinazione naturalistica, caratterizzate dalla
presenza di zone boscate, in cui è ammessa una densità elevata di cinghiali. Si
tratta in sostanza - come più volte sostenuto anche dall’INFS, oggi, ISPRA nelle
Linee guida per la gestione del cinghiale pubblicate di concerto con il Ministero
delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali - di stabilire densità obiettivo in
modo da pianificarne la presenza sul territorio.
Inoltre, è importante introdurre il divieto di immissione di nuovi capi, fatta
eccezione per le imprese agricole che esercitino attività da allevamento in recinti.
In merito alle misure di controllo faunistico introdotte dal DDL con l’art. 21
del Testo Unificato, si condivide, pertanto, la norma con cui si attribuisce al
Prefetto o al Presidente della Regione il potere di emanare, con un’ordinanza
contingibile e urgente, le misure straordinarie di controllo numerico. E’
necessario, però, aggiungere una disposizione ai sensi della quale le specie
oggetto degli interventi includano anche le forme domestiche di specie selvatiche
nonché le forme inselvatichite di specie domestiche, che per la loro presenza in
densità eccessive provocano danni all’equilibrato sviluppo delle specie vegetali ed
animali, all’agricoltura, alla rinnovazione delle risorse forestali ed agli assetti
idrogeologici ed idrogeologici del territorio. Si ricevono, infatti, sempre più
segnalazioni in merito, ad es., alla presenza invasiva di piccioni e cani
inselvatichiti, provocando gli uni gravi danni alle colture poiché si cibano di
sementi e del raccolto stoccato nei silos, gli altri al bestiame senza che gli
imprenditori agricoli siano adeguatamente risarciti.
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In ogni caso, il disegno di legge dovrebbe prevedere dei criteri di stima e
valutazione dei danni introducendo l’obbligo che tale computo sia effettuato sulla
base delle quotazioni dei prodotti agricoli vegetali e degli animali, registrate nei
Mercuriali delle Camere di Commercio o, in alternativa, delle quotazioni riportate
dall’ISMEA. Attualmente, infatti, i danni sono spesso sottostimati e si traducono
in un indennizzo piuttosto che in un vero e proprio risarcimento a favore
dell’imprenditore agricolo.
Qualsiasi danno da fauna selvatica dovrebbe essere comunicato alla
Provincia subito dopo essere stato constatato. Alla Provincia compete, quindi, la
nomina di un numero sufficiente di esperti incaricati di procedere alla stima,
scelti tra agronomi iscritti all’albo professionale.
Infine, si evidenzia come sia indispensabile che il complesso degli interventi
a favore dell’agricoltura debba essere accompagnato da un’adeguata copertura
finanziaria proveniente dai fondi costituiti dalle tasse di concessione venatoria
senza la quale non sarebbe possibile affrontare in modo efficiente il problema.
In riferimento, poi, al ruolo multifunzionale dell’impresa agricola, si osserva
come sarebbe opportuno che il piano faunistico-venatorio regionale determinasse
i criteri per gli incentivi da concedere, in via prioritaria, agli imprenditori agricoli
professionali di cui al d.lgs n. 99 del 29.03.2004, singoli o associati, che si
impegnino alla tutela e al ripristino degli habitat naturali e all’incremento della
fauna selvatica nelle zone di cui alle lettere a) e b) e nei siti della rete Natura
2000, avvalendosi prioritariamente delle convenzioni tra imprese agricole e
forestali di cui agli artt. 14 e 15 del DLgs 228/2001 nonché dell’art. 7 del d.lgs.
227/01.
Un ulteriore aspetto, riguarda l’art. 9, comma 1, ai sensi del quale nelle
aree di particolare interesse faunistico venatorio, individuate dai piani faunistici,
sono stati esclusi dalla valutazione d’incidenza gli interventi edilizi di natura
pubblica. In merito, si ritiene necessario che tale esclusione sia estesa anche a
quelli relativi all’edilizia rurale in considerazione del fatto che l’agricoltura ha un
ruolo determinante nella conservazione degli habitat e, generalmente, i fabbricati
rurali si inseriscono armoniosamente nel contesto paesaggistico diventandone
parte integrante e caratterizzante del contesto territoriale.
Per quanto riguarda l’inquadramento giuridico delle aziende faunistico
venatorie e agri-turistico-venatorie si condivide il fatto che nel disegno di legge
queste siano state assimilate alle imprese agricole ai sensi dell’art. 2135 c.c. Tale
assimilazione è importante sul piano della semplificazione fiscale, contabile ed
amministrativa, in quanto attualmente l’azienda agri-turistico-venatoria deve
sottostare ad un doppio regime poiché risponde sia alla legislazione agricola che a
quella del commercio.
In proposito, si ritiene opportuno aggiungere che il prelievo di fauna
selvatica nelle aziende faunistico-venatorie sia esercitato sull’incremento utile
annuo di popolazioni naturali e prescindendo di norma dal ripopolamento
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artificiale. Ove se ne presentasse la necessità, la ricostituzione di un adeguato
patrimonio di riproduttori potrà essere attuata attraverso immissioni entro il 31
luglio di ogni anno, sulla base di protocolli concordati con l’amministrazione che
rilascia la concessione. Si ritiene auspicabile, infatti, che l’attività faunistico
venatoria sia disciplinata con modalità rigorose al fine di evitare che costituiscano
delle aree sottratte a regole di razionale gestione per quanto concerne il
ripopolamento della fauna. Qualche considerazione merita anche la diversità di
trattamento delle aziende faunistico venatorie nelle quali si pratica la caccia alla
migratoria quando questa, invece, non è consentita nelle aziende agri-turisticovenatorie, che possono far praticare l’attività venatoria solo rispetto alla
selvaggina allevata.
Infine, un ultimo aspetto che merita di essere evidenziato, riguarda il
collegamento, nel contesto della pianificazione territoriale, dei due strumenti
consistenti nel piano faunistico venatorio e nel piano di sviluppo rurale. Infatti, le
misure relative alla gestione faunistico venatoria dovrebbero essere collegate con
quelle previste nell’asse II dei PSR, riguardante il miglioramento dell'ambiente e
dello spazio rurale in quanto le azioni a tutela della biodiversità contribuiscono a
promuovere sistemi produttivi virtuosi in cui le buone pratiche agricole
favoriscono la tutela dell’avifauna mantenendo o ricostituendo gli habitat più
idonei alla sopravvivenza delle specie.
In conclusione, il DDL Orsi appare sicuramente condivisibile rispetto alle
norme di interesse agricolo e merita senz’altro apprezzamento per il fatto di aver
percepito l’importanza del problema della gestione della fauna selvatica in
relazione all’esercizio dell’attività agricola, promuovendo tramite le misure
straordinarie di contenimento dei danni, una soluzione innovativa che,
opportunamente integrata con le proposte sopra richiamate, potrebbe tradursi in
una replica corretta ed efficace alle richieste delle imprese agricole.
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