Lectio divina XXII Domenica del Tempo Ordinario

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Lectio divina XXII Domenica del Tempo Ordinario
Lectio divina
XXII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C
Sir 3,19-21.30.31 [gr. 3,17-20.28-29] Dal Salmo 67 (68) Eb 12,18-19.22-24
Lc 14,1.7-14
Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato.
Nelle quattro domeniche di agosto le letture hanno affrontato i grandi temi: del senso della
vita (XVIII) del valore delle ricchezze (XIX) della funzione pedagogica delle prove e della
correzione e il battesimo di fuoco (XX) e infine la visione del raduno escatologico di tutte
le genti in cui i pagani convertiti offrono gli israeliti come offerta. Nel Capitolo 14 di Luca
(siamo sempre in viaggio verso Gerusalemme) il senso predominante del capitolo è quello
del banchetto, che è insieme un insegnamento per il tempo presente e un’immagine del
tempo futuro. Siamo a casa di uno dei capi dei farisei e Gesù dà “lezioni di buona
educazione” sia agli invitati sia a chi ha fatto l’invito. Non sarebbero superflui questo tipo
di avvertimenti neanche oggi per rendere le relazioni più umane e fruibili, ma
l’insegnamento che vi si nasconde va molto oltre una semplice lezione di galateo, sia per
chi è invitato e senza alcun pudore corre ad accaparrarsi i primi posti (il desiderio
smodato di far carriera, o semplicemente il desiderio di stima e approvazione altrui, non é
diverso da questo) sia per chi invita e tenderebbe a invitare persone da cui esser
ricambiato di pari liberalità. Invece si tratta di invitare gli screditati dalla vita, che
sicuramente non hanno da ricambiarti. Possiamo vedere nel Padre colui che invita al
banchetto di nozze del suo figlio, e in Gesù colui che rifiutato dal suo popolo è stato messo
alla stregua dei storpi zoppi, ciechi, diseredati della vita, essendosi lui stesso paragonato a
loro. Tutto quello che avrete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avrete fatto a me. Al
cuore di questo brano c’è la massima: Chi si esalta sarà umiliato che partendo dalla
situazione concreta di un invito a mensa ci parla di un atteggiamento profondo del cuore
che è l’unico che permette di accedere a quella che la seconda lettura chiama “l’adunanza
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festosa e l’assemblea a dei primogeniti” . Nella loro successione, infatti, le tre letture sono
variazioni sul tema della mitezza e umiltà: Come virtù sociali (Siracide) come
caratteristiche di chi è prediletto da Dio (salmo 67) come modalità di partecipazione al
banchetto del regno e della vita (Vangelo).
All’inizio del cap 14 (1-6) invitato a pranzo da un capo dei farisei Gesù compie ciò che poi
spiegherà con la parabola: serve la malattia dell’uomo. Entra per mangiare il pane e
guarisce uno che non assimila l’acqua. L’idropico che non assimila l’acqua e si gonfia
potrebbe ben essere il segno di quel tumor superbiae che gonfia l’uomo facendogli perdere il
senso di ciò che è, la verità di sé. Segue un monologo con due risposte a domande non
espresse da un pubblico silenziosamente ostile: la Legge tace...La Nuova Alleanza è
efficace. Nella parabola del grande banchetto, (7-12) parabola che è insieme di chiamata e
di misericordia, Gesù spiega ciò che ha fatto: ha scelto l’ultimo posto, mettendosi a
servizio dell’umanità malata. Spiega ciò che farà: sarà il piatto principale nel grande
banchetto del regno. Di chi parlano questi versetti? Di Colui che ha scelto di umiliarsi
nell’Incarnazione e nell’ascensione è stato esaltato: il Padre gli ha detto: Amico ascendi più
in alto prosana,bhqi avnw,teron..
12-14: se chi è invitato deve farsi piccolo, chi invita deve non invitare i grandi, ma i piccoli,
quelli che non hanno da ricambiare.
La parola sintetica di questa liturgia, Chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato,
viene ripetuta esattamente al termine della parabola del pubblicano e del fariseo, ma la
troviamo anche in una profezia di Ezechiele: (21,31) Ciò che è alto sarà abbassato; in forma di
profezia nelle parole di Giovanni Battista (Lc 3, 5) Ogni burrone sia riempito, ogni monte e
ogni colle sia abbassato, e in forma di ringraziamento nell’inno di Colei che è più simile a
Gesù mite e umile di cuore, Maria che nel suo Magnifica canta a Colui che ha guardato
l’umiltà della sua serva mettendola regina al banchetto del regno, e che Ha rovesciato i
potenti dai troni, e ha innalzato gli umili.
L’umiltà cristiana allora non è solo una virtù, è il modo di fare di Dio, è la logica del
regno, è un metodo e uno stile di vita. E non è quella virtù verso cui si ha una specie
d’istintiva ripugnanza come qualcosa di degno solo dei rinunciatari ,è piuttosto la virtù
che serve per moderare l’animo nel tendere alle cose alte (ut immoderate tendat in
excelsa)(Tommaso Summa II,II, 161) mentre la magnanimità la rafforza nel desiderio delle
cose grandi. L’umiltà reprime i moti della speranza che tende alle cose alte; in questo
senso è parte della modestia che consiste nell’avere una certa moderazione, modus,
misura…Lo stile umile, modesto non è proprio di chi rinnega la propria umanità, ma di
chi modera le passioni che ne sfigurano la bellezza. Papa Francesco sta qui a ricordarcelo,
l’umiltà è propria del realismo concreto che sa di essere terra (Humus) ma una terra
benedetta perché guardata da Dio. In questo senso non è solo una virtù, ma è anche una
virtù desiderabile, imitabile.
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Commenti
I
San Basilio
Quanti sono stati chiamati a essere fratelli del Signore non disprezzino tale grazia di Dio,
non tradiscano una dignità tanto grande trascurando i voleri del Signore, ma obbediscano
piuttosto all'Apostolo stesso che dice: Vi esorto, io, prigioniero nel Signore, a comportarvi in
maniera degna della vocazione che avete ricevuto (Ef 4,1), (Rd34).
e. Umiltà ed apertura
1. L' apertura della coscienza
Ciascun fratello sottomesso all'obbedienza, se vuole dar prova di progresso apprezzabile,
e trovarsi in quella disposizione d'animo propria di una vita che sia secondo i precetti del
Signore nostro Gesù Cristo, non deve tenere nascosto dentro di sé alcun moto della
propria anima, non deve neppure manifestare con leggerezza i segreti del cuore, ma
svelarli piuttosto a quelli cui è stata affidata la cura di occuparsi con benevolenza e
misericordia dei fratelli deboli. Così quanto in loro merita lode sarà confermato e quanto
merita riprovazione sarà opportunamente corretto. E da quest'opera comune, attraverso
un continuo progresso, ci verrà la perfezione (Rd 26).
Dobbiamo confessare a tutti, senza vergognarcene, le azioni proibite che abbiamo compiuto, oppure
solo ad alcuni? E chi devono essere costoro?
La confessione dei peccati deve seguire gli stessi criteri usati nel manifestare le malattie
fisiche. Come dunque gli uomini non rivelano a tutti le malattie del corpo, e neppure a chi
capita, ma a chi è esperto nel curarle, così anche la confessione dei peccati deve esser fatta
a quanti sono in grado di curarli, come sta scritto: Voi che siete forti, portate le infermità dei
deboli (Rm 15,1), cioè prendetele su di voi mediante la vostra sollecitudine (Rb 229).
Chi vuol confessare i propri peccati, deve confessarli a tutti, a chi capita, oppure a chi?
È necessario, quindi, confessare i propri peccati a coloro ai quali è stata affidata
l'amministrazione dei misteri di Dio. Vediamo che anche quelli che si convertirono nei
tempi antichi fecero così e confessarono i loro peccati ai santi. Nell'evangelo, infatti, sta
scritto che confessavano i loro peccati a Giovanni Battista e negli Atti si dice che li
confessavano agli apostoli, dai quali anche venivano tutti battezzati (Rb 288).
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E se uno dice: «La mia coscienza non mi accusa»?
Questo avviene anche per i mali del corpo.
Vi sono molti mali di cui i malati non si rendono conto; tuttavia essi credono alle
indicazioni dei medici piuttosto che fare attenzione alla propria insensibilità. Così accade
anche per i mali dell'anima, cioè per i peccati: anche se uno non si accusa da se stesso,
perché non ha coscienza del suo peccato, deve credere, tuttavia, a chi può vedere la sua
condizione meglio di lui (Rb 301).
2. Lo spirito di vera umiltà
I fratelli devono certamente accettare anche i servizi resi al corpo da quelli cui è stata
affidata una qualche responsabilità all'interno della comunità. La natura stessa dell'umiltà
suggerisce a chi è maggiore di servire e mostra a chi è minore come debba lasciarsi servire
volentieri. A questo ci guida l'esempio del Signore stesso perché egli non ha disdegnato di
lavare i piedi dei suoi discepoli ed essi non hanno osato opporsi. Ma anche Pietro, che per
la sua grande venerazione in un primo momento non aveva accettato, cambiò subito
parere e obbedì non appena gli venne insegnato quale fosse il pericolo derivante dalla
disobbedienza.
Chi deve obbedire non deve temere dunque di mancare di umiltà se a volte viene servito
da chi è più grande. Il servizio, infatti, gli viene offerto per dargli un insegnamento e un
esempio più efficace o anche spesso per un'assoluta necessità. Dia dunque prova di umiltà
obbedendo e imitandolo. Non compia gesti di orgoglio e superbia opponendo resistenza
con il pretesto dell'umiltà. Controbattere infatti indica che non si vuole dipendere da
nessuno e che non ci si vuole sottomettere; è quindi segno di orgoglio e di disprezzo,
anziché di umiltà e di obbedienza in tutto. Perciò è necessario che ci lasciamo convincere
da colui che ha detto: Sopportatevi a vicenda nell'amore (Ef 4,2), (Rd 31).
Poiché è un precetto del Signore che ci abituiamo ovunque all'umiltà, così che prendiamo
l'ultimo posto anche quando ci mettiamo a tavola, è necessario che chi ha cercato di fare
tutto secondo il comandamento non trascuri neppure questo precetto. Se dunque abbiamo
a tavola con noi gente del mondo, è bene che anche in questo siamo loro di esempio,
perché imparino a non innalzarsi e a non cercare il primo posto. Quando invece si
riuniscono persone che hanno tutte l'identico fine di vita di dar prova di umiltà in ogni
circostanza, spetta a ciascuno prevenire l'altro nell'occupare l'ultimo posto secondo il
comandamento del Signore, ma spingersi a vicenda e litigare per questo è deplorevole,
perché distrugge il buon ordine ed è motivo di confusione. E anche l'insistere l'uno con
l'altro e litigare per questa ragione ci renderà tali e quali a quelli che litigano per i primi
posti.
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Anche qui, dunque, conoscendo ciò che ci conviene e ricercandolo con accortezza, bisogna
consentire a chi riceve gli ospiti di stabilire l'ordine dei posti, come ha suggerito il Signore
dicendo che spetta al padrone di casa decidere queste cose. Così ci sopporteremo a
vicenda nell'amore facendo ogni cosa con decoro e con ordine, e dimostreremo pure di non
praticare l'umiltà per farci vedere, per spirito demagogico, discutendo con ostinazione e
violenza, ma vivremo l'umiltà obbedendo. Si mostra maggior orgoglio nel contestare che
nel prendere il primo posto, quando l'accettiamo in obbedienza a un comando (Rd 21).
Colui al quale è stata affidata la cura delle anime può adempiere le parole: Se non vi convertirete e
non diventerete come i bambini (Mt 18,2), dal momento che ha a che fare con molte persone
diverse?
Il sapientissimo Salomone ha detto che c'è un tempo per ogni cosa (Qo 3,1); bisogna perciò
sapere che c'è un tempo proprio per l'umiltà e uno per l'esercizio dell'autorità, per il
rimprovero e per la consolazione, per la misericordia e per la franchezza, per la bontà e
per la severità, insomma, per ogni cosa. A volte dovremo dar prova di umiltà e imitare in
questo i bambini, soprattutto quando si tratta di rendersi onore a vicenda o di assolvere i
propri doveri o di offrire servizi e cure ai fratelli, così come ci ha insegnato il Signore. Altre
volte dovremo usare l'autorità che il Signore ci ha dato per edificare e non per distruggere,
cioè quando è necessario agire con franchezza. E nel tempo proprio della consolazione si
dovrà mostrare bontà, nel tempo della severità si dovrà mostrare zelo, e così via per ogni
altra cosa (Rb 113).
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II
San Benedetto
Dalla Regola
VII - De humilitate
1. Clamat nobis scriptura divina, fratres, dicens: Omnis qui se exaltat humiliabitur et
qui se humiliat exaltabitur.
2. Cum haec ergo dicit, ostendit nobis omnem exaltationem genus esse superbiae.
3. Quod se cavere propheta indicat dicens: Domine, non est exaltatum cor meum neque
elati sunt oculi mei, neque ambulavi in magnis neque in mirabilibus super me.
4. Sed quid si non humiliter sentiebam, si exaltavi animam meam?-- sicut ablactatum super
matrem suam, ita retribues in animam meam.
5. Unde, fratres, si summae humilitatis volumus culmen attingere et ad exaltationem
illam caelestem ad quam per praesentis vitae humilitatem ascenditur volumus
velociter pervenire,
6. actibus nostris ascendentibus scala illa erigenda est quae in somnio lacob apparuit,
per quam ei descendentes et ascendentes angeli monstrabantur.
7. Non aliud sine dubio descensus ille et ascensus a nobis intellegitur nisi exaltatione
descendere et humilitate ascendere.
8. Scala vero ipsa erecta nostra est vita in saeculo, quae humiliato corde a Domino
erigatur ad caelum.
9. Latera enim eius scalae dicimus nostrum esse corpus et animam, in qua latera
diversos gradus humilitatis vel disciplinae evocatio divina ascendendo inseruit.
VII - L'umiltà
La sacra Scrittura si rivolge a noi, fratelli, proclamando a gran voce: "Chiunque si esalta
sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato".
Così dicendo, ci fa intendere che ogni esaltazione è una forma di superbia, dalla quale il
profeta mostra di volersi guardare quando dice: "Signore, non si è esaltato il mio cuore, né
si è innalzato il mio sguardo, non sono andato dietro a cose troppo grandi o troppo alte
per me".
E allora? "Se non ho nutrito sentimenti di umiltà, se il mio cuore si è insuperbito, tu mi
tratterai come un bimbo svezzato dalla propria madre".
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Quindi, fratelli miei, se vogliamo raggiungere la vetta più eccelsa dell'umiltà e arrivare
rapidamente a quella glorificazione celeste, a cui si ascende attraverso l'umiliazione della
vita presente, bisogna che con il nostro esercizio ascetico innalziamo la scala che apparve
in sogno a Giacobbe e lungo la quale questi vide scendere e salire gli angeli.
Non c'è dubbio che per noi quella discesa e quella salita possono essere interpretate solo
nel senso che con la superbia si scende e con l'umiltà si sale.
La scala così eretta, poi, è la nostra vita terrena che, se il cuore è umile, Dio solleva fino al
cielo; noi riteniamo infatti che i due lati della scala siano il corpo e l'anima nostra, nei quali
la divina chiamata ha inserito i diversi gradi di umiltà o di esercizio ascetico per cui
bisogna salire.
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III
Agostino
Dal discorso 112
Disposizioni interiori per partecipare al banchetto eucaristico.
5. Ma da che cosa nacque - diciamo così - l'occasione che spinse il Signore a parlare di
questa cena? Egli si trovava al banchetto al quale era stato invitato; ora uno dei
commensali aveva esclamato: Beato chi potrà mangiare il pane nel regno di Dio (Lc 14,15).
Costui sospirava bramoso di raggiungere, per così dire, realtà lontane, mentre il pane in
persona era a tavola davanti a lui. Chi è il pane disceso dal regno di Dio se non colui che
dice: Sono io il pane vivo disceso dal cielo (Gv 6, 41)? Non si deve preparare la bocca ma il
cuore. È questo sentimento che ci fa apprezzare l'eccellenza di questa cena: ecco che noi
crediamo in Cristo, quando la riceviamo con fede. Nel riceverla noi sappiamo che cosa è
presente nel nostro spirito. Ne riceviamo un poco, ma ci satolliamo nel cuore. ….
8. Togliamo dunque di mezzo le scuse menzognere e cattive, rechiamoci al banchetto per
impinguarci interiormente. Non c'impedisca l'orgoglio della superbia, non ci distolga o
non ci trattenga l'illecita smania di sapere e ci faccia voltare le spalle a Dio; la voluttà della
carne non ci distolga dalla volontà del cuore. Andiamo e satolliamoci. Ma quali furono le
persone che vi andarono se non i mendicanti, gli storpi, gli zoppi e i ciechi? Non
v'andarono invece i ricchi sani, che si credevano di camminare bene, e d'avere una vista
acuta, cioè quelli che presumevano molto di se stessi, e perciò tanto più disperati quanto
più erano superbi. Vengano i mendicanti, poiché l'invita Colui che da ricco che era si fece
povero per amor nostro, perché noi che siamo poveri diventassimo ricchi mediante la sua
povertà. Vengano gl'infermi, poiché hanno bisogno del medico non i sani ma gli ammalati (MT
9,12). Ci vengano gli zoppi che gli dicono: Guida i miei passi secondo la tua parola (Sl 118,133).
Ci vengano i ciechi che gli dicono: Illumina i miei occhi, perché non mi addormenti mai nella
morte(Sl 12,4) . Persone di tal genere andarono subito dopo che, a causa delle loro scuse,
erano stati rimproverati gl'invitati. Andarono subito: entrarono dalle piazze e dalle vie
della città. Il servo, ch'era stato mandato, riferì al padrone: Signore, è stato eseguito il tuo
ordine, ma a tavola c'è ancora posto. Esci - gli rispose - e va' per i sentieri e lungo le siepi, e spingi
a entrare quanti ne troverai Lc 14,22-23). Non aspettare che si degnino di venire quelli che
troverai, non aspettarli; ma spingili a entrare. Ho preparato un gran banchetto, una grande
casa; non permetterò che ci sia un posto vuoto. Dalle piazze e dalle vie andarono i popoli:
vengano dai sentieri e dalle siepi gli eretici e gli scismatici. Spingili a entrare. Qui
troveranno la pace poiché quelli che costruiscono siepi cercano le divisioni. Vengano
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trascinati via dalle siepi, vengano separati a forza dalle spine. Sono attaccati alle siepi e
non vogliono esserne spinti via. "Entreremo - si dice - di nostra propria volontà". Non è
questo che ha ordinato il Signore: Costringeteli ad entrare, disse. Di fuori ci sta la costrizione,
dentro nascerà la volontà.
[Fine del discorso sugl'invitati alla cena].
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IV
San Bernardo
Dal Commento al Cantico dei Cantici
La superbia frutto dell’ignoranza di sé e radice di ogni peccato.
XXXIV, III. 4. Vuoi vedere un umile che si gloria giustamente, ed è veramente degno di
gloria? Mi vanterò, dice, ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in mela potenza
di Cristo (2 Cor 12,9). Non dice di sopportare con pazienza le sue infermità, ma di
gloriarsene, e gloriarsene volentieri, mostrando di ritenere un bene per sé l’essere umiliato,
e non si contenta di possedere la sua anima per il fatto che sopporta pazientemente
l’umiliazione, ma vuole ricevere là grazia, in quanto spontaneamente umiliato. Ecco
pertanto una regola generale: Chiunque si umilia sarà esaltato (Lc 14,11). Significa
pertanto che non ogni umiltà sarà esaltata, ma solo quella che viene dalla volontà, non
dalla tristezza o dalla necessità. E neppure al contrario, ognuno che è esaltato dovrà essere
umiliato, ma soltanto chi si esalta sarà umiliato, vale a dire, chi si esalta per volontaria
vanità. Così dunque, non chi è umiliato, ma chi spontaneamente si umilia sarà esaltato, per
merito della volontà. Sia pure che la materia dell’umiltà, come per esempio gli oltraggi, i
danni, i supplizi, vengano prodotti da un altro e non da se stesso; non si dirà per questo
giustamente che quel tale che ha cercato di subire tutte quelle cose con tranquilla e lieta
coscienza in vista di Dio, sia stato umiliato da altri che da se stesso.
XXXVII, 6. Come pertanto il timore del Signore è l’inizio della sapienza (Sal 110,10; Eccli
1,16), così principio di ogni peccato è la superbia (Eccli 10,15); e come l’amor di Dio si
attribuisce la perfezione della sapienza, così la disperazione è considerata come il colmo
della malizia. E come dalla conoscenza di te ti viene il timore di Dio, e dalla conoscenza di
Dio l’amore di lui così al contrario, dall’ignoranza di te viene la superbia, e dall’ignoranza
di Dio la disperazione. Così poi l’ignoranza di te stesso genera in te la superbia, in quanto
il tuo pensiero, ingannato e ingannatore, ti persuade falsamente di essere migliore di
quello che in realtà sei. E questa è la superbia, questo l’inizio di ogni peccato, quando tu
sei più grande ai tuoi occhi di quello che sei davanti a Dio, di quello che sei in verità. E per
questo di colui che per primo ha commesso questo grande peccato, parlo del diavolo, è
stato detto che non ha perseverato nella verità, ma è bugiardo dall’inizio (Gv 8,44), perché
non era in verità quello che nella sua mente pensava di essere. Che cosa sarebbe successo
se egli si fosse scostato dalla verità, reputandosi minore o inferiore alla verità? La sua
ignoranza l’avrebbe certamente scusato, e non sarebbe stato considerato superbo, né si
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sarebbe trovata in lui l’iniquità che lo rende odioso, quanto piuttosto l’umiltà che gli
avrebbe forse attirato la grazia. Se infatti noi conoscessimo chiaramente in quale stato Dio
vede ognuno di noi, non dovremmo passare né sopra né sotto, accomodandoci in tutto alla
verità. Ma ora, poiché questo pensiero di Dio ci è nascosto, e come avvolto nelle tenebre, di
modo che nessuno sa se sia degno di amore o di odio, è più giusto e certamente più sicuro,
seconda il consiglio della stessa Verità, che scegliamo per noi l’ultimo posto, dal quale
siamo poi invitati a salire più in su, piuttosto che metterci in alto, e dovere in seguito
cedere il posto con vergogna.
IV. 7. Per quanto dunque tu ti umili, per quanto ti reputi meno di quello che sei, vale a dire
di quanto ti valuti la Verità, non corri rischio. È invece un grande male, e un tremendo
pericolo se tu ti elevi, anche di poco, al di sopra del vero, se, per esempio, nel tuo pensiero
ti preferisci anche a uno solo, che forse la Verità giudica uguale o superiore a te. Per
portare un esempio, a quel modo che dovendo passare per una porta il cui stipite è troppo
basso, non ti nuoce se ti inchini più del necessario, ma ti nuoce se ti alzi anche solo un dito
più di quanto comporti la misura della porta, perché allora vieni a urtare contro lo stipite e
resti con la testa rotta, così nell’anima non è affatto da temere una umiliazione anche
grande, ma è da temere assai come cosa orrenda la presunzione di elevarsi, anche
minimamente. Perciò, o uomo, non paragonarti ai più grandi di te, agli inferiori, ad alcuni,
o anche a uno solo. Chi sa infatti, o uomo, se quell’uno che tu consideri come il più vile, il
più misero di tutti, del quale hai singolarmente in orrore la vita scellerata e turpe, e perciò
lo consideri degno di disprezzo, non solo rispetto a te che forse pensi di vivere con
sobrietà agli altri scellerati tutti come il peggiore di tutti, chissà, dico, che non sia per
diventare, per un cambiamento operato dalla destra dell’Altissimo, è migliore di te e degli
altri, e davanti a Dio già non lo sia? E perciò il Signore ha voluto che scegliessimo non un
posto mediocre, neanche il penultimo o uno tra gli ultimi, ma disse Siediti all’ultimo posto
(Lc 14,10), in modo da sedere solo ultimo di tutti, senza che, non dico ti preferisca, ma
neanche ti paragoni ad alcuno. Ecco quanto male ci viene dall’ignorare noi stessi, la
superbia, cioè peccato del diavolo e radice di ogni peccato
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V
San Bernardo
Dai Ser moni diversi - Ser mone XX1
Sulle parole del Signore: "Chi si umilia sarà esaltato"
1.
Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato (Le 14, 11). Se consideriamo
attentamente, fratelli, troviamo essere quattro le condizioni degli uomini: la somma felicità
in cielo, verso la quale sospiriamo; la felicità media del paradiso (terrestre), dalla quale
siamo decaduti; similmente la media infelicità in questo mondo, per la quale gemiamo; e
l'estrema infelicità dell'inferno che giustamente temiamo. Posso esprimere più brevemente
ciò in quattro frasi: la vita, l'ombra della vita, l'ombra di morte e la morte. Posti pertanto né
alla sommità, né all'estremità inferiore, temiamo di discendere e desideriamo ascendere,
tanto maggiormente ansiosi in quanto più vicini alla situazione infima che alla suprema;
ed ecco che ci viene detto che chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato. Che
cosa significa questo intreccio di esaltazione e di umiliazione? È dunque poco, o Signore,
l'averci umiliato nella tua verità, che ancora esigi che l'uomo vi aggiunga l'umiliazione di
se stesso? E vero che possiamo scendere ancora più in basso; ma chi sarà caduto
nell'inferno non potrà più risorgere; chi si sarà umiliato fin laggiù, invano speri di essere
esaltato: Ci hai infatti umiliati in un luogo di afflizione e ci ha avvolti l'ombra dì morte (Sai 43,
20), talmente la nostra vita si è avvicinata all'inferno; fin dove ci vorrai umiliare ancora?
Quale utilità nel nostro sangue se saremo scesi nel sepolcro? Certamente sotto di noi non
c'è che quella irreparabile corruzione. Dopo l'ombra della morte non resta che la morte;
dopo il luogo di afflizione rimane solo il luogo della morte.
2.
Chi si umilia, dice, sarà esaltato. Se avesse detto: "Chi sarà stato umiliato sarà
esaltato", esulterei certamente come uno che senza dubbio è stato umiliato, e molto
umiliato. Ma dice invece: Chi si umilia sarà esaltato; perciò sono alle strette da ogni parte, e
ignoro non che cosa scegliere, ma che cosa fare. Bramo di essere esaltato, perché è sommamente
necessario; infatti non ho qui dimora stabile, né sarebbe bene restare sempre qui, anche se
fosse possibile. Ora, andare ancora più in basso vuol dire perire. Sto già infatti al posto più
basso, e sotto non vi è più che l'infimo, vale a dire l'inferno. Se mi abbasserò fino là, non c'è
più per me speranza di essere esaltato; se non mi umi- lierò, sarà per me ugualmente finita
la speranza di venire esaltato, perché chi si umilia, e questi solo, sarà esaltato. Se farò questo,
per me è la morte; se non lo farò, senza speranza di esaltazione, non sfuggirò neppure così
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BERNARDO DI CHIARAVALLE, Sermoni Diversi, ed. Vivere In, Roma, pp. 136-139, 1997 .
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le mani della morte. Ma se questo difficilmente si comprende, consideriamo almeno quello
che è stato detto prima.
3.
Chiunque si esalta sarà umiliato. Come mai si esalta colui che la Verità umilia? Non
diciamo dove si esalta, ma come, perché non è il luogo che manca, ma la virtù. Non manca
all'uomo, dico, fin dove possa innalzarsi, ma manca del tutto chi possa esaltarsi. Ci può
essere infatti molta voglia, ma nessuna possibilità. Poiché, lo vogliamo o no, tutti gli
uomini della stirpe di Adamo devono per forza dire: Nella tua verità mi hai
umiliato (Sai 118, 75). Ora, chiunque è umiliato nella verità, è veramente umiliato, e non è
se non falsamente esaltato. E che cosa è essere falsamente esaltato se non veramente non
essere esaltato? Grazie a Gesù che non disse: "Chiunque si esalterà sarà esaltato". Come
infatti faremmo vani sforzi se pensassimo questo, quando ora neanche la disperazione di
progredire fre¬na l'appetito dell'esaltazione? E forse è questo che vuol dire con le parole:
Chi si esalta sarà umiliato, né si riferisce all'effetto, che è nullo, ma all'affetto, che è stolto.
4.
Quanti infatti vediamo umiliati che non sono umili, percossi, ma non addolorati,
curati sì dal Signore, ma neanche dalla cura di lui sanati? Questi tali pensano che sotto i
rovi vi siano delizie, dissimulando i peccati che van facendo, la lubricità in cui scivolano,
le tenebre in cui sono immersi, i lacci tra i quali camminano, il luogo di afflizione in cui
abitano, il corpo di morte che portano, il pesante giogo che sopportano, la coscienza più
pesante ancora che cercano di nascondere, la gravissima sentenza che li attende. Tale era
colui al quale S.Giovanni nell'Apocalisse era ingiunto di scrivere: Tu dici: sono ricco e non
ho bisogno di nessuno, e non sai che tu sei povero, misero e miserabile, e cieco, e nudo (Ap
3, 17). E non fa meraviglia se l'esaltazione dei figli degli uomini è vana e bugiarda; essi
stessi infatti sono vani e menzogneri. La verità li umilia, la vanità li esalta; e amarono
maggiormente le tenebre che la luce, abbracciando l'esaltante vanità e cercando la
menzogna, ricalcitrando in tutti i modi contro la verità che li umilia, dissimulando e
ricorrendo a inutili sforzi.
5.
Abbiamo concluso qualche cosa? Penso che abbiamo trovato anche come l'uomo
umilia se stesso. Dico dunque che fa questo quando aderisce alla verità che lo umilia, né
dissimula (il suo male), ma coopera con sentimenti di devota pietà. Pertanto, mi guarderò
d'ora innanzi con tutta la possibile sollecitudine dalla durezza del cuore; sentirò e
piangerò il mio dolore, affinché, quando non fa più male, sia insanabile la mia ferita. Sarò
l'uomo che ha provato la miseria sotto la sferza della sua ira (Lam 3, 1), affinché la mia
anima non venga associata a coloro dei quali la Verità dice: Li ho percossi e non hanno
sentito dolore (Ger 5, 3), e altrove: Abbiamo curato Babilonia e non è gua¬rita (Ger 51, 9). E
questa una cura dolorosa, ma la superbia è una malattia più grave, e Dio volesse che
guarisse con questa cura. Consentirò pertanto al mio avversario, accetterò la sen¬tenza del
mio giudice, cederò infine al pungente aculeo per non essere punto due volte. Questo
penso sia il senso di quanto il Signore dice: Chi si esalta sarà umiliato, come se dicesse:
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Chiunque ricalcitra contro lo stimolo, subirà doppia puntura; sarà invece perdonato a chi
sente e non si sottrae all'ira.
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VI
Benedetto XVI
Non seguite la via dell’orgoglio, bensì quella dell’umiltà,
andate controcor rente!2
Domenica, 2 settembre 2007
Cari fratelli e sorelle,cari giovani amici!…
Ma che cosa rende davvero "giovani" in senso evangelico? Questo nostro incontro, che si
svolge all’ombra di un Santuario mariano, ci invita a guardare alla Madonna. Ci
chiediamo dunque: Come ha vissuto Maria la sua giovinezza? Perché in lei è diventato
possibile l’impossibile? Ce lo svela lei stessa nel cantico del Magnificat: Dio "ha guardato
l’umiltà della sua serva" (Lc 1,48a). L’umiltà di Maria è ciò che Dio apprezza più di ogni
altra cosa in lei. E proprio dell’umiltà ci parlano le altre due Letture della liturgia odierna.
Non è forse una felice coincidenza che questo messaggio ci venga rivolto proprio qui a
Loreto? Qui, il nostro pensiero va naturalmente alla Santa Casa di Nazaret che è il
santuario dell’umiltà: l’umiltà di Dio che si è fatto carne, si è fatto piccolo, e l’umiltà di
Maria che l’ha accolto nel suo grembo; l’umiltà del Creatore e l’umiltà della creatura. Da
questo incontro di umiltà è nato Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. "Quanto più sei
grande, tanto più umìliati, così troverai grazia davanti al Signore; perché dagli umili egli è
glorificato", ci dice il brano del Siracide (3,18); e Gesù nel Vangelo, dopo la parabola degli
invitati a nozze, conclude: "Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato"
(Lc 14,11). Questa prospettiva indicata dalle Scritture appare oggi quanto mai provocatoria
per la cultura e la sensibilità dell’uomo contemporaneo. L’umile è percepito come un
rinunciatario, uno sconfitto, uno che non ha nulla da dire al mondo. Invece questa è la via
maestra, e non solo perché l’umiltà è una grande virtù umana, ma perché, in primo luogo,
rappresenta il modo di agire di Dio stesso. È la via scelta da Cristo, il Mediatore della
Nuova Alleanza, il quale, "apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente
fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2,8).
Cari giovani, mi sembra di scorgere in questa parola di Dio sull’umiltà un messaggio
importante e quanto mai attuale per voi, che volete seguire Cristo e far parte della sua
Dall’ omelia di Sua Santità Benedetto XVI in occasione della visita pastorale a Loreto in occasione dell’agorà
dei giovani italiani
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Chiesa. Il messaggio è questo: non seguite la via dell’orgoglio, bensì quella dell’umiltà.
Andate controcorrente: non ascoltate le voci interessate e suadenti che oggi da molte parti
propagandano modelli di vita improntati all’arroganza e alla violenza, alla prepotenza e al
successo ad ogni costo, all’apparire e all’avere, a scapito dell’essere. Di quanti messaggi,
che vi giungono soprattutto attraverso i mass media, voi siete destinatari! Siate vigilanti!
Siate critici! Non andate dietro all’onda prodotta da questa potente azione di persuasione.
Non abbiate paura, cari amici, di preferire le vie "alternative" indicate dall’amore vero: uno
stile di vita sobrio e solidale; relazioni affettive sincere e pure; un impegno onesto nello
studio e nel lavoro; l’interesse profondo per il bene comune. Non abbiate paura di
apparire diversi e di venire criticati per ciò che può sembrare perdente o fuori moda: i
vostri coetanei, ma anche gli adulti, e specialmente coloro che sembrano più lontani dalla
mentalità e dai valori del Vangelo, hanno un profondo bisogno di vedere qualcuno che osi
vivere secondo la pienezza di umanità manifestata da Gesù Cristo.
Quella dell’umiltà, cari amici, non è dunque la via della rinuncia ma del coraggio. Non è
l’esito di una sconfitta ma il risultato di una vittoria dell’amore sull’egoismo e della grazia
sul peccato. Seguendo Cristo e imitando Maria, dobbiamo avere il coraggio dell’umiltà;
dobbiamo affidarci umilmente al Signore perché solo così potremo diventare strumenti
docili nelle sue mani, e gli permetteremo di fare in noi grandi cose. Grandi prodigi il
Signore ha operato in Maria e nei Santi! Penso ad esempio a Francesco d’Assisi e Caterina
da Siena, Patroni d’Italia. Penso anche a giovani splendidi come santa Gemma Galgani,
san Gabriele dell’Addolorata, san Luigi Gonzaga, san Domenico Savio, santa Maria
Goretti, nata non lontano da qui, i beati Piergiorgio Frassati e Alberto Marvelli. E penso
ancora ai molti ragazzi e ragazze che appartengono alla schiera dei santi "anonimi", ma
che non sono anonimi per Dio. Per Lui ogni singola persona è unica, con il suo nome e il
suo volto. Tutti, e voi lo sapete, siamo chiamati ad essere santi!
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