Le opere terremotate hanno trovato una Reggia

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Le opere terremotate hanno trovato una Reggia
Le opere terremotate
hanno trovato una Reggia
I danni all’arte? Per due miliardi di euro. Siamo entrati nel Palazzo Ducale
di Sassuolo che ospita le 800 opere recuperate. Qui verranno allestiti
tra poco i laboratori di restauro. Ma ancora non si parla di ricostruzione
di Francesca Pini foto di Andrea Samaritani
A
rrivano con il codice rosso, verde
o bianco, proprio come al pronto
soccorso. Sono le opere terremotate, salvate da chiese e palazzi,
con il coraggio e l’abnegazione dei Vigili del
fuoco, coadiuvati dalla task force dell’unità di crisi del ministero per i Beni culturali
(una cinquantina di persone), declinata su
scala regionale. Sono ormai oltre 800 i dipinti, le sculture, gli arredi di pregio (o anche solo di devozione popolare) arrivati nel
ricovero predisposto nello splendido palazzo ducale di Sassuolo (nei pressi di Modena)
dove agli inizi di settembre verranno allesti32
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ti i laboratori di restauro a cura dell’ISCR di
Roma (con un gruppo di allievi tirocinanti)
e dell’Opificio delle Pietre dure di Firenze.
Ma non si può capire questa emergenza di
salvataggio del patrimonio artistico e architettonico, se non si visita prima un luogo
simbolo come Mirandola, con il suo castello
appartenuto ai Pico. Una delle cittadine più
colpite di una regione, l’Emilia, che vanta una ricchezza di 138 miliardi di euro di
Prodotto interno lordo (pari all’8,8% del Pil
nazionale), e che forse proprio per questo si
aiuterà e verrà aiutata.
Con i Vigili del fuoco entriamo nella zona
inaccessibile. Un silenzio assordante. La
Chiesa di San Francesco è tutta un puntello,
in facciata. Guardi la chiesa esplosa e le sue
macerie, a due passi dalle case che la circondano, e potresti sentire l’eco del boato, da
“fine del mondo”. Aggrappate a loro stesse,
sospese alla parete della navata di sinistra,
le quattro sepolture, in marmo scolpito,
dei membri della casata dei Pico, un piccolo pantheon locale, del quale la gente va
ancora fiera. Ma questi apparati decorativi
fissi (come i paliotti degli altari, le lapidi, le
tombe pavimentali) sono un problema nel
macroproblema dei danni del terremoto. E
La storia deLLa residenza
La grandeur emiliana del duca d’este
Luogo di delizia e di villeggiatura. La Reggia,
così come ora noi la vediamo, è frutto della
passione per il bello e per l’arte di Francesco
I d’Este, che fu Duca di Modena dal 1629
al 1658, che fece di quella cittadina una
città-Stato, ottenendo un riconoscimento
anche dalle altre corti europee, diffondendo
l’immagine di un Duca illuminato (così
testimoniò anche Filippo IV di Spagna). Il
palazzo originario (il nucleo castellano subì
un primo ampliamento tra il 1450 e il 1471
con Borso d’Este, a cui si deve anche la
commissione di una celebre Bibbia) venne poi
trasformato da Francesco I in una meraviglia
dell’architettura barocca, con gli ambienti
interamente affrescati (qui fu ospite Cristina
di Svezia). Scene mitologiche ma anche
celebrative della sua dinastia. Dal 1796 in
poi (con i francesi) cominciarono i passaggi
di mano, nel 1917 diventò caserma, poi sede
sussidiaria dell’Accademia militare di Modena,
e infine anche salumificio. Nel 1980 è
diventata proprietà dello Stato, che dal 1982
al 2004 ha investito 14 miliardi di lire per il
suo restauro ed è ora un museo. Al quale il
conte Panza di Biumo, grande collezionista,
ha fatto dono di una serie di opere di autori
contemporanei tra cui Spalletti, Sims e Carroll.
nio identitario. Ricorrendo anche a gesti
antichi, come le processioni. Così a Pieve di
Cento, alle 17 del 25 giugno, nella rovente canicola, una folla ha portato nelle vie il “suo”
prodigioso Crocefisso del ’300, estratto dalla
Collegiata. Dalla quale usciva ogni vent’anni,
per speciali feste agricole.
delle macerie da rimuovere: occorre scegliere tra pietra e pietra, tra mattone e mattone per le ricostruzioni ipotizzabili. Per non
parlare degli antichi organi delle chiese,
smontarli è un lavoro certosino e costoso.
Lì, in San Francesco, c’è anche un crocefisso
trecentesco da salvare, e il caposquadra dei
Vigili del fuoco speleo-alpino-fluviale, Silvio Benedetti, e la funzionaria Silvia Gaiba
(architetto della Soprintendenza di Bologna
che coordina tutti i recuperi), valutano la
difficoltà operativa del prelevamento. La
gente di Mirandola ha dimenticato lo “struscio” tra le vie del centro, che ora lambisce.
Un deposito trasformato in museo
Nelle foto di apertura, il recupero nella chiesa
di Palata Pepoli della pala d’altare Battesimo
di Cristo di Bartolomeo Passerotti. Qui sopra,
le opere della chiesa e della canonica di San
Paolo a Mirabella (Ferrara), entrambe crollate.
Gira a piedi o in bici attorno alla zona rossa.
In tondo, e a vuoto. L’immagine della chiesa
ridotta a una quinta teatrale, e di altri monumenti pericolanti, non coincide più con
quella intatta che ancora hanno dentro. C’è
un lutto anche per questo tipo di perdite. Si
parla di beni culturali per dire “comunità”.
Le popolazioni reclamano il loro patrimo-
La Pinacoteca sfollata. Nella zona terremotata dell’ Emilia, il 93% dei beni tutelati
dallo Stato direttamente o indirettamente,
ha subito danni di varia entità (oltre 2 mila
le segnalazioni), e alcuni luoghi sembrano
una scenografia da film western dopo un
assalto. Non bisogna certo incentivare il turismo da disastro (però l’occhio vede quello che le telecamere solo riportano), ma il
Fai, in ottobre, organizzerà delle visite nei
luoghi colpiti per solidarietà alle persone e
alla “cultura dei luoghi”. Ma anche gli artisti
soccorrono l’arte, e a Mirandola (20-30 agosto), Pietro Ruffo e il duo Perino e Vele allestiranno laboratori creativi per un centinaio
di bambini dai 6 ai 12 anni, dove si eserciteranno con la cartapesta (per iniziativa di On
fair young collectors, associazione di giovani collezionisti con sede a Parigi e Londra).
Dalle zone disastrate alla Reggia di Sassuolo
arrivano i Tir scortati dai Carabinieri, con
i preziosi carichi. I cartelli che raggruppano le opere recuperate indicano le zone di
provenienza: Buonacompra, Casumaro,
Alberone di Cento, Finale Emilia, Palata Pepoli, Crevalcore, Santa Bianca di Bondeno,
Poggio Renatico, Renazzo. Luoghi fuori dalle rotte vip, nelle campagne, di cui ora qui,
nelle sale al piano terra del palazzo ducale,
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Corpi feriti. Il Gesù in Croce proviene dalla
Chiesa di Santa Maria dei Boschi di Poggio
Renatico. A fianco, un crocefisso dalla Chiesa
di Alberone. Sotto, i dipinti del Museo Civico
Castello dei Pico, a Mirandola.
vediamo la consistenza del loro patrimonio
artistico (da scoprire prima, con più curiosità culturale, mentre ora lo conosciamo
su un’onda distruttiva-emotiva). Non tutte
le opere sono eccelse. Svetta ovviamente il
Seicento emiliano. Come quell’Assunta del
Guercino, tolta dalla volta della Chiesa del
Rosario di Cento. «La sua rimozione fu decisa subito dopo la prima scossa, il 20 maggio, e meno male. Con quella del 29, la volta
è rimasta lesionata», dice l’architetto Laura
Bedini, responsabile del Palazzo Ducale di
Sassuolo. E ora anche delle opere terremotate, lì custodite. «Finora abbiamo effettuato
oltre 45 carichi, cerchiamo di raggruppare
più opere possibili, per contenere le spese,
ogni trasporto costa 1.500 euro», dice la Gaiba, che viaggia come una scheggia tra i paesini del sisma. Ha dato la sua disponibilità
per seguire l’emergenza, h 24. Usando la sua
auto e mettendoci la benzina per spostarsi
nella zona del terremoto, usando a manetta
il suo cellulare in attesa di quello di servizio.
(E come lei molti altri).
Quando la Gaiba apre sul pc il file degli interventi, in rosso scarlatto appaiono le situazioni ancora molto critiche da affrontare,
Duomo di Carpi in testa. Per la Pinacoteca
civica di Cento, il cui edificio settecentesco è
stato dichiarato inagibile, si è deciso per un
trasloco in blocco delle opere (tra cui 160 del
Guercino e della sua scuola). Due settimane
fa, con tutti gli specialisti e una quindicina
di Vigili del fuoco (la storia di questo corpo
andrebbe riscritta alla luce degli ultimi terremoti), le collezioni al completo sono state
trasferite, in quattro giorni, in un caveau di
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Bologna, e lì ospitate gratuitamente fino a
fine anno (268 tele, 22 sculture, 328 incisioni di Guercino e della sua bottega, 46 disegni). Salvati i beni, è impossibile prevedere
per ora il risanamento e la ricostruzione
degli edifici su tutto il territorio interessato
(a Cento sono state chiuse la Galleria di arte
moderna, la Biblioteca civica e anche il Teatro comunale). La Direzione Regionale per
i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia
Romagna, con le Soprintendenze, procede
quindi alla messa in sicurezza delle strutture e al salvataggio delle opere, sulla base di
una catalogazione territoriale effettuata negli Anni 80 e che verrà supportata ora da un
sistema informativo georeferenziato in via
di formazione. Ma nessuno osa affrontare il
punto cruciale: l’avvio dei cantieri, e i soldi
da stanziare. Tutto poi diventa scelta politica. Sgarbi e Italia Nostra, da veri attivisti, gridano alle facili demolizioni di edifici, chiese, campanili. E delle cascine, che formano
il paesaggio irripetibile di queste pianure. Si
potrebbe profilare un’Aquila bis (devastata
nel 2009). In quella città abbandonata, il 7
ottobre, si terrà una marcia silenziosa, preceduta da un appello alla partecipazione
lanciato a tutti gli storici dell’arte italiani (tra
loro anche Salvatore Settis). Ma in Emilia
l’emergenza non è stata gestita da un com-
nella chiesa di s. francesco
le tombe dei Pico
della Mirandola
Una mappa delle zone più colpite.
Mirandola, vicina all’epicentro del sisma, ha
subito gravissimi danni. Specie il Castello
dei Pico e la Chiesa di San Francesco,
collassata. Rimangono in piedi, puntellate,
la facciata e la navata sinistra, con le tombe
monumentali della casata dei Pico (di cui
non ci sono più né resti né oggetti essendo
state più volte depredate anche in epoca
napoleonica). La Chiesa, eretta grazie
alle donazioni di questa nobile famiglia,
risalirebbe addirittura al 1236, poco dopo la
canonizzazione del santo. Nel 1812 venne
anche distrutta gran parte del convento.
I francescani lasciarono la chiesa nel 1994
e dal 2001 era affidata alla Congregazione
dei “Missionari Servi dei Poveri”.
missario straordinario come all’Aquila (lì ci
fu Bertolaso). «Come unità di crisi stiamo
operando in gestione ordinaria, con quanto
avevamo in dotazione. Col decreto convertito in legge avremo 5 milioni per il ministero, includendo i fondi per gli straordinari
del personale, che s’è speso generosamente.
Per aiutarci sono arrivati funzionari di rinforzo da altre Soprintendenze», dice Carla
Di Francesco, a capo della Direzione regionale per i Beni culturali. «Per la messa in
sicurezza di chiese e palazzi abbiamo utilizzato 400 mila euro dai fondi per le emergenze del ministero, spesi per 43 interventi dei
Vigili del fuoco. Mai come in questo sisma
Task force dell’Unità di crisi regionale
In alto, un paliotto d’altare in pezzi, dietro, la
Deposizione di Cristo di Aureliano Milani. Qui
sopra la task force con Carla Di Francesco,
a capo della Direzione regionale dei Beni
culturali e Paesaggistici dell’Emilia Romagna.
s’è capito che i beni artistici appartengono
al territorio. E che la popolazione li vuole
per sé. La gente di Pieve di Cento temeva di
essere “spoliata”, mentre abbiamo trovato
un’intesa col museo Magi 900, privato, per
custodire le opere in paese».
L’archivio del terremoto. Una stima dei
danni? «Intorno ai 2 miliardi di euro, consi-
derando gli immobili, i beni mobili, e quelli
archivistici e librari. Nell’ex convento del
Gesù a Mirandola c’erano 90 mila volumi, di
cui 30 mila appartenenti al fondo storico».
Dal terremoto di Assisi (’97) si è iniziato a
formare al ministero una banca dati del patrimonio danneggiato. La metodologia consiste nella compilazione di una complessa
scheda cartacea di 14 pagine (elaborata da
Mibac e Protezione civile, coadiuvati da
un gruppo di università) per l’anamnesi in
dettaglio del bene ammalorato, l’individuazione del danno e la sua quantificazione.
Per arrivare così a moltiplicare dei coefficienti di pregio e danno (con dei parametri
quantitativi), ottenendo il valore “assoluto” della ricostruzione di quel palazzo o di
quella chiesa. L’1 è la distruzione totale. Per
il castello dei Pico l’indice è 0,77, pari a 8,3
milioni di euro. Dal 20 giugno, ogni giorno,
escono sul territorio squadre di rilevazione
post-sismica (un architetto del Mibac, un vigile, un ingegnere strutturista e uno storico
dell’arte...) per svolgere questo compito. E
già oltre 310 beni sono stati verificati. Fossero dotati di tablet, i funzionari consegnerebbero le schede già in digitale. E il ministero
eviterebbe di spendere migliaia di euro nella
trascrizione. Reinvestendo sui suoi tecnici,
che ci stanno davvero mettendo l’anima. Irrinunciabile, nel dopo-terremoto, il ricorso
alla più avanzata tecnologia. Con uno scanner (messo a disposizione dall’Università di
Ferrara) puntato su un’architettura, si acquisiscono, da remoto, tutti i rilievi descrittivi,
monitorando anche danni millimetrici.
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