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Saperi e pratiche educative
DOSSIER
La tazza vuota
Viaggio ad oriente
Gianluca Salvati*
Un famoso racconto della tradizione Zen, narra:
“Il Maestro zen Nan-in ricevette la visita di un
professore universitario che era andato da lui per
interrogarlo sullo Zen.
Nan-in servì il tè, colmò la tazza del suo ospite e,
poi continuò a versare tè.
Il professore guardò meravigliato traboccare il tè,
poi disse: ‘E’ ricolma. Non ce ne entra più!’.
“Come questa tazza”, disse Nan-in, “tu sei ricolmo
dei tuoi pensieri, congetture e opinioni. Come posso
spiegarti lo Zen se prima non vuoti la tua tazza?”1
Affidandoci a questa storia, per guardare alla distinzione ed al rapporto tra esperienza e sapere, la
peggio parrebbe averla quest’ultimo. Forse, però, la
questione è più complessa di come appare e un rapido, interculturale, “viaggio ad oriente” potrebbe
offrirci validi spunti di riflessione.
In sostanza più che sullo iato sapere-esperienza vorremmo provare a spostare il focus dell’attenzione sul rapporto sapere–praticare. Fino a
che punto ciò che so coincide con ciò che pratico? E fino a che punto posso praticare senza
sapere? Solo osservandoci giorno dopo giorno
nelle nostre condotte quotidiane possiamo cercare (ognuno per se stesso) le risposte a queste
domande, sapendone il valore nella prassi educativa e la ricaduta sulla riflessione teorica.
In effetti nella tradizione Zen e in molte discipline orientali il ruolo ricoperto dalla mente
tende a sfuggire alla nostra “occidentale” comprensione. In molte pratiche di meditazione,
ad esempio, la mente e i suoi processi cognitivi
rappresentano una “tazza” troppo piena da svuotare o una “mente scimmia” da addomesticare2,
tuttavia, i koan (i famosi “antimente”) passano
proprio attraverso il linguaggio verbale e l’utilizzo del pensiero che li ha creati. In questo modo
la mente pensante verrebbe a giocare un ruolo
quasi paradossale nel raggiungimento dello stato di benessere: essa diviene, se opportunamente
educata, mezzo di liberazione da alcuni schemi,
preconcetti e modelli che essa stessa ha contribuito a creare.
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Non possiamo prescindere dall’intrinseca paradossalità che ci assale nel momento in cui cerchiamo di affrontare il tema del rapporto prassiteoria. Ma ovviamente la parola è, per la nostra
specie, un mezzo di comunicazione e, può rappresentare, talvolta, un primo passo verso mutamenti significativi.
Siamo così al nodo focale che non risiede (è
ovvio!) nella ricerca del primato della teoria o della prassi, e che si concretizza invece nell’unione
degli (apparentemente) estremi. Fondamentale è
però la “qualità” e il significato che attribuiamo
a questa unione. Differente è, infatti, riferirci ad
un rapporto di stretta circolarità, che presuppone
una separatezza iniziale e la conseguente ricerca
di un legame, piuttosto che ad un’idea di impre37
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SEZIONE
scindibile unità. Da questi differenti paradigmi te distanti dalle immediate capacità umane.
epistemologici derivano approcci diversi al rapLe ricadute pragmatiche di questo processo
porto tra esperienza e sapere, tra agire e pensare sono sotto gli occhi di tutti noi mentre e l’appae, di seguito, modi differenti di intendere il pro- rente benessere dovrebbe mostrarci l’efficacia di
un simile modello basato su una stretta circolarità
prio quotidiano stare-nel-mondo.
La filosofia orientale ci mostra una certa, di- teoria-prassi, dove la teoria viene ad occupare una
sarmante, semplicità: secondo il maestro Suzuki posizione leggermente asimmetrica nel suo essere
“l’illuminazione non arriva finché la mente e il “ciò che guida la mano”. In realtà numerosi secorpo non sono in perfetto accordo. [...] In altre pa- gnali invitano a prestare maggiore attenzione alle
role, quando mente e corpo sono una sola cosa, ecco conseguenze sul lungo periodo di un simile apl’illuminazione: qualunque cosa si senta, qualun- proccio. Da tempo tra chi si occupa della “qualità
que cosa si pensi, quella è illuminazione. Dunque della vita” ferve il dibattito sul benessere: davvero
il nostro stile di vita migliora,
a far illuminare le persone non è
o ha migliorato, la nostra vita
il rumore di un sasso che colpisce
quotidiana? Le applicazioni prauna canna di bambù né il colore
Nell’incontro
con la materialità
dei fiori di pruno, è la loro pratiche derivanti dal paradigma
tica”3. Come è facile capire, oc- educativa, è spesso facile sopra descritto, hanno miglioracorre riflettere su quel processo
cadere preda
to il nostro stare nel mondo o lo
dualistico che ha caratterizzato
hanno solo reso solo più superfidella tentazione
lo sviluppo del pensiero in ocdi gettare via la teoria
ciale? La prassi educativa, che si
come una sorta
concretizza fondamentalmente
cidente. Siamo così di fronte
di inutile zavorra
attraverso la dimensione relazioalla dibattuta contrapposizione
tra le cartesiane res, cogitans ed
nale, ne ha tratto beneficio?
Le opinioni certo divergono
extensa, e una filosofia orientae, pur trovando stucchevole e
le dove mente, corpo e spirito
rappresentano un tutt’uno.
fuori luogo l’abusato “si stava meglio quando si
Quale utilità può avere questa disquisizione stava peggio”, ci pare evidente che il disagio indifilosofica a chi, come chi scrive, si trova quoti- viduale e sociale sia ben lungi da una soluzione.
Proviamo allora a rivolgere lo sguardo al sedianamente immerso nella relazione con la cosiddetta “utenza” dei servizi socio-educativi?
condo paradigma, che abbiamo definito “oliNell’incontro con la materialità educativa, alla stico”, osservando lo spostamento del “punto
quale l’università non sempre riesce a preparare di vista”: quello che conta non è più, in questo
adeguatamente, è spesso facile cadere preda della caso, stabilire i rapporti tra teoria e pratica, bensì
tentazione di gettare via la teoria come una sorta di pensare, e pensarci, in modo non dualistico.
Certo rimane la sensazione, soprattutto leginutile zavorra che “non serve ad affrontare le situazioni reali”. In realtà, per chi lavora nel sociale, il gendo alcuni testi della tradizione Zen, che via
bisogno di trovare un supporto di carattere teorico sia qui uno spostamento dell’asimmetria teosi avverte prepotentemente di fronte al dilagare di ria-pratica a favore di quest’ultima. In realtà, la
nuovi e vecchi disagi nonché davanti alla difficoltà “lezione” che possiamo far nostra, fondamentaconnaturata a questo particolare “mestiere”.
le per chi si occupa di educazione-formazione,
Proviamo quindi a ripartire dal confronto tra rimanda, prima di ogni parola, alla ricerca del
le due visioni del mondo sopra citate e che, in sin- benessere e allo stile di vita del “maestro”.
Si pensi, a titolo di esempio, all’autobiografia
tesi, potremmo definire “dualistica” e “olistica”.
Seguendo il primo paradigma, il pensiero guide- di Claude Anshin Thomas, raccontata con grande
rebbe, in modo unidirezionale, la mano che “taglia semplicità ed emozione in un libro pubblicato da
l’albero”. Nella storia occidentale questo processo si Mondadori4, dove il narratore ricorda la sua “avè tradotto in una serie di scoperte scientifiche che ventura” in Vietnam e i successivi traumi come
hanno aperto la strada alle incredibili conquiste reduce di guerra. La guerra è il frutto, per l’autore,
tecnologiche che caratterizzano il nostro tempo. Le di una società intimamente aggressiva e, in conaccresciute capacità tecniche hanno, a loro volta, trapposizione, Anshin racconta del suo incontro
permesso di esplorare la realtà a livelli estremamen- con il Buddhismo Zen e con uno dei principi di
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fondo che lo animano: la non separatezza di tutti
gli esseri, viventi e non. Se mente, corpo e mondo
sono un tutt’uno il rispetto non rappresenta più
un obiettivo ma una naturale caratteristica del nostro atteggiamento nei confronti del mondo.
Qualcosa di simile è alla base anche di alcune
discipline e/o arti marziali “interne”: l’obiettivo non
sarebbe lo sviluppo della forza fisica, bensì dell’equilibrio del Chi (termine che potrebbe essere tradotto,
seppur in modo riduttivo, con “energia”) ottenuto dal
lavoro costante su corpo e mente, così che, attraverso
una sorta di meditazione in movimento, dovrebbe
essere possibile “svuotare” la mente rendendola più
simile ad uno specchio. Si può osservare, seppur di
sfuggita, un punto di contatto con le occidentali
pratiche di ascolto attivo e a-giudicante nel tentativo
di porsi con una mente libera da preconcetti e pregiudizi nell’incontro con l’altro.
Potremmo, comunque, domandarci, pensando
in particolare al mondo dell’educazione, se trova
ancora spazio, o ne troverà in futuro, nella nostra
società un “teorico” puro, lontano da ogni occasione relazionale e/o comunicativa. Altrettanto, possiamo pensare ad uno spazio lavorativo per un’educatore animato solo dal suo buon cuore? Possibile
pensarlo tutta bontà e neanche una base teorica?
Guardando al mondo della formazione universitaria, che dovrebbe rappresentare un “ponte” tra studio e pratica, pare che migliorino le
condizioni occupazionali dei laureati (anche
se, su questo punto, è facile trovare divergenze
d’opinione)5 ma questo non è, forse, di per sé
sufficiente a sollevare l’Università dalle critiche
che le sono state mosse. Giudizi negativi che riguardano, in sostanza, l’inadeguatezza nella preparazione dei giovani al mondo del lavoro dove
è oggi richiesta una continua capacità di riadeguamento ai vorticanti ritmi del mercato e che
va ben oltre i saperi appresi negli anni di studio.
Nonostante la validità di queste critiche crediamo che il titolo di studio rappresenti, ad oggi,
uno strumento necessario per la valorizzazione
di una professionalità, quella di educatore, non
sempre adeguatamente riconosciuta.
Ancora una volta siamo di fronte alla paradossale situazione per cui le ormai elaboratissime capacità di astrazione della nostra specie hanno creato un
impianto teorico e una conseguente capacità tecnica che, come sognava il Marcuse di Eros e Civiltà,
avrebbero dovuto liberarci dall’oppressione, ma,
che, nella realizzazione pratica, mostrano spesso un
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“effetto boomerang” inaspettato.
Pensando alle “intelligenze multiple” e alla
valorizzazione dei punti di forza individuali, ci
sentiremmo spinti ad affermare che ognuno dovrebbe potersi avvicinare liberamente alla dimensione che sente più vicina a sé, teorica o pragmatica, per partire da lì nella ricerca dell’equilibrio
e dell’unità degli (apparentemente) opposti.
Ricordandoci però che conta più l’esempio della
parola, proviamo a “leggere” quanto in questo istante sta accadendo. In questo momento ci sentiamo
in qualche modo “vittima” del processo di razionalizzazione che si è innescato: chi scrive, prova a seguire sia lo studio sia la pratica educativa, eppure,
dovendo scrivere del rapporto tra questi due aspetti
ha, d’impeto, avvertito il peso di un simile processo metacognitivo. Lavorando nei servizi educativi le
cose quasi si semplificano e quelli che sono i nostri
sistemi di valore e le nostre conoscenze emergono
in un modo che definirei “naturale”. Ma possono
anche non emergere. Anche questo è un processo
naturale. Dipende da molti fattori: dalle singole persone (e ogni stereotipizzazione fallisce), dai singoli
contesti educativi (qui crollano le generalizzazioni)
dai contesti comunicativo-relazionali nei quali si è
coinvolti e da infinite altre contingenze. La “mente scimmia”, in conclusione, trova il suo limite e il
suo difetto e, solo addomesticandola con la pratica,
possiamo evitare di cadere nel rischio di leggere tutto e solo attraverso un interpretazione teorica (che
rimane del resto fondamentale). In particolare in un
settore come quello inerente la formazione e l’educazione degli esseri umani ci pare più che mai utile
vivere “sulla nostra pelle” queste due dimensioni attraverso una condotta che permetta di percepire la
loro indissolubile unità.
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SEZIONE
* Pedagogista
Note
1
Tetsugen Serra, Zen – Religione, filosofia, stile di vita, Fabbri Editore, Milano 2005, pag. 65.
2
Si tratta di un altro noto racconto Zen, dove la mente viene
paragonata ad un a scimmia che continuamente si aggira
curiosa e che è possibile, con pazienza e perseveranza, addomesticare e riconoscere come un nostro tratto distintivo.
3
Shunryu Suzuki, Lettere dalla vacuità – Lo Zen l’arte di vivere,
Mondadori, Milano 2005, pag. 15
4
Claude Anshin Thomas, Una volta ero un soldato – Dall’orrore del
Vietnam all’incontro con il Buddhismo,Mondadori, Milano 2005
5
È possibile attuare una ricerca on-line, dove abbondano materiali e informazioni, anche contraddittori. Una ricerca certamente ampia è quella presente sul sito: www.almalaurea.it
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