diritto penale turco_1
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PAOLO PITTARO Titolare di Diritto penale nell’Università di Trieste IL DIRITTO PENALE TURCO: UNA DIFFICILE IDENTITÀ (*) 1.- Peculiare Paese, la Turchia, distesa fra Oriente ed Occidente, che bussa alla porta dell’Unione Europea, suscitando adesioni, perplessità e ripulse, istituzionalmente laico e sostenuto dall’esercito ma in un contesto musulmano, aderente alla Nato ma con lo sguardo volto alle vicende dei Paesi arabi, ove l’eredità della Sublime Porta ottomana a volte sembra distante o quasi fiabesca e non un’eredità di neanche un secolo. Una ricognizione, per quanto rapida e fugace, sul dipanarsi della legislazione, specie quella penale, non può che partire da questo elemento di fondo: la costante europeizzazione, la ricercata occidentalizzazione di un ordinamento giuridico che aveva le sue radici nella tradizione religiosa islamica1. 2.- Fino all’Ottocento si poteva ritenere che il diritto penale (e non solo quello) derivasse direttamente dal Corano, ed era pertanto amministrato dai Tribunali islamici. Una vera e propria codificazione penale venne introdotta nel 1858 2, nettamente ispirata al codice penale francese (Code Napoléon) del 1810, che ebbe a subire varie modificazioni nei decenni successivi, mentre nel 1879 venne adottato il codice di procedura penale francese. La svolta si ebbe nel 1926, con l’introduzione del nuovo codice penale, che era la traduzione in lingua turca della traduzione francese del codice penale italiano vigente, (*) Relazione presentata al Secondo Congresso Nazionale della Società italiana per la Ricerca in Diritto Comparato (S.I.R.D.) dedicata a “Il modello giuridico - scientifico e legislativo – italiano fuori d’Europa, Università degli Studi di Siena, 20-21-22 settembre 2012. 1 Per un quadro efficace di queste vicende politico-giuridiche cfr. l’autorevole e nitido saggio di M. LOSANO, La Turchia tra Europa ed Asia: un secolo tra laicismo ed Islam, in Memorie della Accademia delle Scienze di Torino, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, Serie V, Vol. 33, Torino, 2009. 2 Ci piace ricordare le pagine del giovane A. DE MARSICO, Il diritto penale turco, in Scuola positiva, 1912, n. 9, p. 492 s. -2ossia il codice penale Zanardelli del 1889, ritenuto, fra gli esistenti, come uno dei più moderni e dei più perfetti3. Lievi gli aggiustamenti: introduzione della pena di morte, assente nel codice nostrano, eliminazione delle molteplici disposizioni sul duello, ispirato ad una concezione dell’onore inconcepibile per quelle popolazioni, ancora un maggior rigore nelle pene. Nello stesso anno venne peraltro emanato il codice di procedura penale, ma ricalcato su quello tedesco, il codice del commercio, pure basato su quello tedesco ed il codice civile, che altro non era se non la traduzione di quello svizzero, che introduce il matrimonio civile, mentre viene proibita la poligamia, il ripudio e l’uso del velo. Tale serrata attività di codicazione si inserisce nel profondo rinnovamento politico, giuridico e sociale messo in moto dalla rivoluzione e dalla nascita della Repubblica nel 1923, ad opera del movimento dei “Giovani Turchi”, di cui era leader indiscusso e poi Presidente della Repubblica Mustafà Kemal Atatürk. Un periodo caratterizzato da un turbinìo di innovazioni e di soppressioni. Nel 1924 viene abolito il califfato ottomano, aboliti i tribunali islamici, le scuole islamiche vengono chiuse e viene emanata una nuova Costituzione basata su elezioni quadriennali e sul suffragio universale maschile. Nel 1925 viene eliminato il calendario islamico ed adottato quello gregoriano, la domenica diviene il giorno ufficiale del riposo (e non più il venerdì islamico), vengono banditi il fez ed il turbante (indicatori delle classi sociali islamiche). Nel 1928 viene eliminato la clausola costituzionale che definiva l’islam come religione dello stato, mentre l’alfabeto arabo viene sostituito con quello latino. Nel 1934 viene introdotto giuridicamente il cognome (ed è allora che Mustafà Kemal assunse il cognome di Atatürk: “Padre dei Turchi”), viene abolito l’uso dei tradizionali appellativi ottomani che indicavano il rango sociale (quali: Pascià, Bey, Effendi) e viene altresì introdotto il suffragio universale femminile (nel 1935 le prime donne entrarono nel Parlamento turco) 4. Infine, nel 1936 vengono elaborati i princìpi ideologici posti alla base dello Stato repubblicano e denominati come le “Sei frecce”: repubblicanesimo, nazionalismo, populismo, laicità, rivoluzionarismo e statalismo. 3.- Negli Anni Trenta, dopo l’introduzione in Italia del codice Rocco, varie norme di quest’ultimo vennero recepite, mentre, a partire dagli anni 50, vennero gradualmente 3 Per un quadro sintetico di tale codice cfr. C. Bianchedi, Note sul codice penale Turco (1° marzo 1926), in Scuola Positiva, 1929, I, 244 4 Si rammenti che negli Anni Novanta la Turchia ebbe una donna come Primo Ministro: Tansu Ciller (dal 25 giugno 1993 al 6 marzo 1996). -3introdotte parziali riforme5, quali l’adozione – sempre sulla falsariga della normativa italiana – della personalità della responsabilità penale e del principio di colpevolezza, nonché l’abolizione della pena di morte, resa definitiva nel 2004. La necessità di una nuova codificazione si avvertiva sin dalla seconda metà del secolo scorso, mentre si affievoliva l’influenza del diritto italiano ed andava crescendo quella del diritto tedesco. Dopo vari progetti e discussioni si giunse, così, all’adozione del nuovo codice penale nel 2004 (entrato in vigore l’anno dopo)6, assieme al codice di procedura penale ed alla legge sulla esecuzione penale. Il codice penale non è più basato sul modello italiano. Anzi, risente di una forte influenza da parte del codice penale tedesco, con vari elementi tratti dai codici penali italiano, francese, polacco, russo (cui è ispirato, ad esempio, l’art. 1 del codice che delinea lo scopo della legge penale) e perfino da quello statunitense, mentre svariate norme sono tratte da accordi internazionali, dallo Statuto di Roma della Corte penale internazionale, dalle Convenzioni delle Nazioni Unite e dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (il riferimento va, ad esempio, alle fattispecie di “genocidio” e di “delitti contro l’umanità”)7. 4.- Questo massiccio ispirarsi ai codici occidentali se, da un lato, evidenzia il costante sforzo di allineamento con i princìpi fondamentali che reggono gli ordinamenti europei, dall’altro lato deve confrontarsi con difficoltà e resistenze di vario tipo. Innanzi tutto, la complessità della traduzione. Spesso non è affatto agevole tradurre nella lingua turca parole e concetti sconosciuti in quella cultura di matrice orientale: ostacolo aggravato se la traduzione (come è avvenuto per il nostro codice Zanardelli) prende le mosse, a sua volta, da un'altra traduzione (in tale caso: quella francese). Non solo: rimane sempre aperta la questione della valenza culturale da dare ad un determinato termine. Emblematica l’interpretazione della parola “tortura”, la cui pratica è 5 Cfr. S. ERMAN, La ricezione del codice penale italiano in Turchia e differenti applicazioni delle stesse norme nei due Paesi, in Rassegna della giustizia militare, 1980, p. 635 s. 6 Si veda, autorevolmente, A. NUHOĞLU, Introduzione al diritto penale turco, in S. RIONDATO-R. ALAGNA (a cura di), Profili del diritto penale della Repubblica di Turchia, Padova, 2012 (in corso di stampa). 7 Per un generale quadro del nuovo codice penale cfr. anche S. TELLENBACH, Il codice penale turco, in Diritto penale XXI Secolo, 2009, n. 2, p. 287 s.; EADEM, Il nuovo codice penale turco (Legge nr. 5237 del 26.09.2004), in Critica del diritto, 2004, p. 378 s. Da ultimo adde V. S. EVIK, Pene e misure di sicurezza nel diritto penale turco, in S. RIONDATO-R. ALAGNA (a cura di), Profili del diritto penale della Repubblica di Turchia, cit. -4punita, recependo l’analogo dettato del codice francese. Ebbene, i trattamenti “forti” usati nell’ambito dell’interrogatorio di un imputato, quali le percosse, la sospensione per le braccia e perfino le scosse elettriche sulla pianta dei piedi, sono spesso state rubricate nella prassi giudiziaria turca come reato di “maltrattamenti”, ma non di “tortura”, come sarebbe stato pacifico in una esegesi “occidentale” della norma8. Dall’altro profilo, deve tenersi conto di due fattori che, insieme, costituiscono una tradizione ardua da modificare o da superare: la religione islamica, certamente influente in uno Stato che ha pur perseguito con determinazione la sua laicità, e il contesto rurale di una vasta parte del territorio. Ci bastino alcuni esempi significativi. Come si è detto, sulla falsariga di quello svizzero, il codice civile turco prevedeva il matrimonio civile, con la proibizione della poligamia. Il matrimonio religioso, pertanto era giuridicamente inesistente, non avendo questo (come avviene, ad esempio, nel nostro Paese nel contesto concordatario) alcun effetto civile. Il che comporta che lo sposarsi solamente dinanzi all’imam permette di avere più mogli, sconosciute all’ordinamento civile, mentre i figli saranno non legittimi ma naturali. Donde il numero relativamente scarso, anche se in costante crescita, delle nozze civili. Nelle zone rurali, inoltre, accedere al matrimonio civile significa non solo recarsi nel capoluogo, ma anche fornirsi di tutti i documenti necessari: documenti spesso inesistenti con dati sconosciuti o difficili da reperire. Peraltro, la repulsa del matrimonio civile ben s’attaglia con questa assenza di documentazione, per cui, ad esempio, la mancata registrazione del figlio, naturale e non legittimo per l’ordinamento, lo rende pressoché sconosciuto allo Stato, con lo sperato vantaggio di sottrarlo al servizio militare. Non può, in ogni caso, tacersi che, negli ultimi tempi, si assiste a vari tentativi di erosione, da parte della comunità, nei confronti del principio di laicità e, soprattutto, di critica verso le forze armate che di essa ne sono storico garante. A tal punto che, di recente, uno stretto collaboratore del premier Erdogan9, si è pubblicamente espresso nei confronti della legalizzazione della poligamia, fino ad un massimo di quattro mogli 10. D’altra parte, anche alcune voci femminili si sono schierate a favore, in quanto, in tal 8 Tale esempi viene riportato da S. TELLENBACH, Il codice penale turco, cit., p. 306. 9 Trattasi di Alì Yuksel, consigliere del Primo Ministro Recep Tayyip Erdogan. 10 Egli stesso, peraltro, ha ammesso di averne già tre. Si noti che, essendo, sconosciuta per l’ordinamento civile, non viene penalmente sanzionata la poligamia da rito religioso. -5modo, verrebbe riconosciuta una situazione di fatto, dove accanto alla moglie legittima, frequentemente sussistono varie amanti per nulla giuridicamente garantite. 5.- Un istituto dello stesso codice penale è stato molto contrastato nella sua elaborazione: trattasi dell’omicidio per causa d’onore, fattispecie culturalmente radicata e praticata in vari strati della popolazione. Presente, peraltro, nel nostro stesso codice Rocco (art. 587) ed abrogato solamente nel 198111. Dopo svariate discussioni, dall’iniziale suggestione di mantenere una ridotta punibilità, si è passati all’attuale formulazione, che – al contrario – prevede un’aggravante che comporta l’ergastolo12. Ebbene, posto che il compito di “lavare l’onore” della famiglia nei confronti della donna (in genere: la figlia) spetta al figlio maschio, non volendo il consorzio familiare perdere (con la condanna all’ergastolo) un prezioso componente, la norma viene elusa, nel senso che alla donna viene posta una drammatica alternativa: o uccidersi di sua mano, ovvero la reclusione a vita, ed in un contesto di totale oppressione fra le mura domestiche. Il figlio maschio così è salvo e, al massimo, il patriarca (o, più frequentemente, la matriarca) rischia di essere punito per il reato di istigazione al suicidio, sanzionato in modo molto più mite. Si badi, tuttavia, che l’onore macchiato consiste non solo dal comportamento fedifrago della donna in caso di adulterio, ma anche da quello di una giovane che non ha rispettato il principio della castità. E tale concezione non è riconducibile tanto al diritto islamico, quanto ad una atavica tradizione, specie rurale. 6.- Acceso il dibattito sulle norme del codice che puniscono il reato di “vilipendio dell’identità turca”: norma alquanto indeterminata, che nella sua massima estensione esclude ogni critica a tutte le istituzioni: dal Parlamento alla Repubblica, dalle forze armate all’ordinamento giudiziario, in una forma di assoluta censura nei confronti di ogni opposizione o critica politica. A seguito del noto caso costituito dall’incriminazione, e dalla successiva assoluzione, del Premio Nobel Orhan Pamuk, nella fattispecie la dizione “identità turca” è stata sostituita con quella di “nazione turca”. Ma il problema rimane 11 12 Con la legge 5 agosto 1981, n. 442. Sul tema, sed amplius, cfr. R. ALAGNA, L’omicidio per l’onore: tradizione e punizione tra Turchia e Germania, in S. RIONDATO-R.ALAGNA (a cura di), Profili del diritto penale della Repubblica di Turchia, cit. -6ancora aperto e particolarmente sentito, in quanto direttamente connesso con il fondamentale diritto di manifestazione del pensiero13. Infine, si pensi alla contesa, tutt’ora in corso, relativa al “velo” islamico14, il c.d. turban, che lascia scoperto il viso15, abolito a suo tempo da Atatürk al pari dei tradizionali copricapo maschili ottomani, e con il conseguente divieto di indossarlo, in seguito limitatamente nei luoghi pubblici, in quanto simbolo religioso. La questione è scottante e dai multiformi aspetti, e si inserisce in un quadro generale in cui i timori per il diffondersi del fondamentalismo islamico si intrecciano con la critica al (ritenuto) eccessivo autoritarismo statale assieme con l’esigenza di una maggiore libertà, vuoi di espressione religiosa, vuoi di abbigliamento. Variegata la stessa posizione dell’universo femminile che rivendica, da un estremo, la libertà da un simbolo (il velo per l’appunto) della loro tradizionale soggezione al maschio e, dall’altro estremo, la possibilità di evidenziare la loro identità religiosa. Altrettanto complesse le vicende giuridiche. Il Parlamento turco approva il 9 febbraio 2008 due emendamenti alla Costituzione, che permettono alle studentesse universitarie di indossare il velo. Salutata come una svolta liberale, in realtà la concessione è limitata solo a quei soggetti ed al solo turban, con l’esclusione di altri simboli religiosi, come quelli, ad esempio, propri del cristianesimo. Tuttavia, pochi mesi dopo, il 5 giugno 2008, la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale di tali disposizioni, in quanto contrastanti con l’art. 2 della Carta Fondamentale che consacra del principio della laicità dello Stato. Incidentalmente osserviamo come la Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo abbia emanato decisioni altrettanto complesse, oscillando fra la violazione dei princìpi fondamentali della Convenzione da parte di un partito che si ispirava alla sharīʿa16 al riconoscimento della specificità del contesto turco, per cui motivi di ordine pubblico e di non discriminazione erano compatibili con i divieti relativi all’abbigliamento17, a seconda 13 Su tale fattispecie ed in un più ampio contesto si veda A. K. YILDIZ, Riflessioni critiche sulla parte speciale del nuovo codice penale turco, in S. RIONDATO-R.ALAGNA (a cura di), Profili del diritto penale della Repubblica di Turchia, cit. 14 E. BRANDOLINO, La Corte europea dei diritti dell’uomo e l’annosa questione del velo islamico, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, 2006, n. 1, p. 97 s. 15 Da distinguersi dal burqua o dal chador che avvolgono completamente la persona. 16 Caso Rafah Partisi contro Turchia, 13 febbraio 2003. 17 Caso Leyla Sahin contro Turchia, 20 novembre 2005; caso Karaduman contro Turchia, 3 maggio 1993. -7delle circostanze18 e sempre che tale ingerenza nella libertà religiosa sia giustificata e proporzionata allo scopo19. 7. In definitiva, la legislazione penale turca20 (ma sembra che tale rilievo possa estendersi anche agli altri rami del diritto) nel tentativo di occidentalizzarsi ha sempre fatto riferimento non solo alla matrice culturale di vari codici di nazioni europee, ma ha perfino immesso in modo a volte quasi pedissequo intere normative e svariate fattispecie, con tutte le difficoltà che tale operazione comporta. Ed il tutto in un contesto giuridico-sociale affatto peculiare, precipitato storico di molteplici vicende, a sua volta scenario di forti contrasti. Come dire: un eclettismo giuridico che può sì presentarsi ed essere una perfetta unità, ma anche ridursi solo ad un insieme di diversi frammenti. Ed è questa l’attuale sfida che si svolge nella sua applicazione pratica nelle varie Corti. Peraltro, a volte sorge pure l’impressione che la Turchia sia alla ricerca di una sua identità giuridica e che le “Sei frecce” di Kemal Mustafà Atatürk di fronte alla complessa realtà politico-sociale come è andata evolvendosi rischiano di non essere in grado di gestirla appieno o, perlomeno, di aver fatto il loro tempo. Ma solo il futuro ci dirà se da tale fase politico-sociale così fluida potrà solidificarsi una cultura giuridica veramente autoctona, e tale da poter essere generalmente condivisa. 18 Caso Kurtulmus contro Turchia, 21 aprile 2001; caso Arret Kavakci contro Turchia, 13 febbraio 2003. 19 20 Caso Ahmet Asrslan contro Turchia, 23 febbraio 2010. Potrebbe essere interessante scorrere la normativa sull’esecuzione penale, posto che la popolazione carceraria nel 2010 constava di 117.000 detenuti in 380 penitenziari e che il piano carceri prevede la costruzione entro il 2015 di 86 nuovi istituti detentivi per una capacità extra di 40.000 posti (come apprendiamo da Le due città – Rivista dell’amministrazione penitenziaria, luglio-agosto 2011, p. 35 s.) e le cui condizioni, a volte al limite del disumano, sono state messe in luce da note opere letterarie e cinematografiche.