Così parlò mio nonno

Transcript

Così parlò mio nonno
Così parlò mio nonno
Umberto mi chiede perché ce l’abbia tanto con i critici.
Credo tutto dipenda dall’assonanza che questa parola ha col nome d’uno strano
personaggio di cui mi parlava con autentico odio mio nonno Domenico (Dio
l’abbia in gloria) quando mi narrava le sue favole.
Io adesso le chiamo favole, ma lui ne parlava come di fatti realmente accaduti, a
lui tramandati da suo nonno, ed a quest’ultimo da suo nonno: l’inizio della storia
si perdeva nella notte dei tempi.
E tutti avevano un autentico odio verso questo personaggio.
Dirò perché.
Dunque, questo personaggio si chiamava Kriticus; ma questo era solo un
diminutivo del nome, che quando era pronunciato dal personaggio in questione
aveva un suono molto più lungo.
Il fatto risale a circa un milione d’anni fa, millennio più, millennio meno.
Alcuni Uomini (non avevano ancora scoperto la ricchezza del Palazzi e si
chiamavano fra loro con l’identica parola che più o meno suonava: "Uooom". Da
cui il successivo "Uomo" scritto così, con la maiuscola), alcuni Uomini, dicevo,
avevano scoperto - oltre al fatto che il fuoco scotta - che se si mettevano in
quattro o cinque di loro armati di lance riuscivano a spaventare le bestie più
grosse, e le bestie spaventate, questo si sa, tendevano a cadere più facilmente
in trappola.
Dunque, scavavano grandi buche, mettevano dei bastoni appuntiti in fondo a
queste buche (avevano scoperto che bisognava metterli con le punte verso
l’alto perché funzionassero da spiedi) e andavano poi alla ricerca della preda.
Il problema, una volta scovatala, era mettersi a gridare tutti assieme, agitare
lance e bastoni, scagliare sassi finché la preda si spaventava, si metteva a
correre nella direzione lasciata libera dagli Uomini e cadeva così nella buca.
Ora, mentre tutto questo era facile, in teoria, (esisteva anche allora) il problema
nasceva quando si trattava di trovare chi partecipasse alla caccia, perché chi
per un motivo, chi per un altro, tutti dicevano d’avere altro da fare.
Il personaggio che aveva sempre altro da fare era questo Kriticus. Comunque,
bene o male, si trovavano sempre quattro o cinque nel villaggio che
partecipassero alla caccia.
I pareri su costoro erano discordanti. Benché il Palazzi del linguaggio non fosse
a quei tempi molto esteso, per definirli s’erano inventati tanti termini: chi li
chiamava "geniorum", chi "pazzorum" e chi "artistorum". Kriticus li chiamava
brevemente: "fessis".
Dunque, un tempo accadde che nel villaggio vi fosse magra: scarseggiavano
patate e banane, scarseggiavano perfino i fichi d’india che a quei tempi
venivano mangiati con bucce e spine per non buttare via nulla. Non solo, ma le
bestie avevano imparato che quando vedevano quegli strani consimili,
dovevano fuggire a gambe levate (la parola zampe non era ancora stata
inventata), cosicché, da molto tempo, come risultato delle battute di caccia
portavano a casa solo lucertole. Kriticus diceva che facevano schifo, ma era
quello che ne mangiava di più. Diceva che doveva nutrirsi bene perché stava
lavorando ad una grande invenzione: lo specchius.
Allora, ad un certo punto, uno - di nome più o meno Diogenes -, propose di fare
una battuta di caccia notturna: col buio della notte gli animali non li avrebbero
visti e non sarebbero subito scappati come, viceversa, accadeva di giorno.
Diogenes era molto anziano (Kriticus diceva vecchio), ma siccome erano molto
pochi i giovani che s’offersero di sperimentare le delizie della caccia notturna,
prese la sua lanterna e s’unì al minuscolo gruppo.
Mio nonno non sapeva dirmi, poveretto, quanti fossero quelli del gruppo:
quando glielo chiedevo gli prendeva un attacco di quel difetto fisico iperproduzione di cloruro sodico ed acqua – che, purtroppo, m’ha tramandato.
Dunque, dopo aver scavato bellamente la fossa durante il giorno, e averla
equipaggiata a "regola d’arte" con i pali appuntiti sul fondo, uscirono col buio
pesto nella foresta.
La lampada di Diogenes a mala pena serviva loro a vedersi i pollicioni dei piedi.
A un certo punto si sentì un ringhiare enorme, spaventoso.
Gli uomini ammutolirono ed il ringhiato cessò.
Uno degli uomini fece, parlando sottovoce, ancora rattrappito dalla paura:
- E’ il ringhiato più forte che io abbia mai udito, deve essere una bestia enorme.
- Sì - fece un altro, - deve trattarsi della terribile Fedes di cui mi parlava mio
nonno.
- No, ti sbagli - fece un altro, - è la Giustizias.
- No - fece il quarto, - è sicuramente la Veritas.
L’udire questa terribile parola provocò negli Uomini ancora più terrore di quanto
non avesse fatto l’urlo della Bestia, e tutti si misero a correre nella foresta.
Inutilmente Diogenes gridava:
- Non correte, non correte, se restiamo uniti vinceremo!
Gli uomini corsero, Diogenes rimase solo, la sua lampada si spense e cadde
nella stessa trappola che aveva preparato il giorno prima, restando infilzato nei
pali.
Il giorno dopo, con la luce del sole, gli altri uomini andarono a cercare
Diogenes, l’unico che non fosse tornato dalla sventurata spedizione.
Lo videro al fondo della fossa, morente ma sorridente: accanto a sé aveva,
infilzata in un palo come lui, la Bestia.
- Ecco, vedete, muoio ma sono felice perché ho catturato la più tremenda delle
bestie: Veritas - disse con un ultimo filo di voce.
Scoppiò a questo punto la risata sconcia, sonora, di Kriticus:
- Ah! Ah! Ah! la chiama Veritas. Ma non vedete che non è Veritas, non ne ha la
forma, la struttura, non si regge in piede. E’ solo un Gattus.
Nessuno ebbe il coraggio di contraddire Kriticus: qualcuno del villaggio aveva
sparso la voce che fosse una specie di mago, in grado di materializzarsi in più
posti nello stesso istante, ed anche chi non aveva visto la cosa coi suoi occhi
cominciò a temerlo perché non si sa mai.
Solo un bambinetto sporco e scalzo - come tutti del resto - si fece avanti e
disse: Gattus? Ma Gattus ha il pelo lungo e nero, e quel coso è senza peli ed è
bianco. Inoltre guardate LUCCIC..!
Non fece in tempo a finire la frase che si prese uno scappellotto sulla nuca: Zitto, marmocchio - gli fece Kriticus, - non sarà Gattus, ma di sicuro non è
Veritas, perché Veritas NON ESISTE.
Quando chiesi a mio nonno se fosse vero che quello strano personaggio fosse
capace di magie, mio nonno rispose:
- Quello d’apparire in più posti nello stesso istante era solo un banale trucco:
Kriticus aveva scoperto che poteva servirsi del suo specchius per duplicare la
sua immagine e prendere per i fondelli quei poveri primitivi. Tuttavia qualche
magia doveva conoscerla, perché quel personaggio, periodicamente, quando
nessuno se l’aspettava, ricompariva. A volte a distanza di secoli o millenni, a
volte cambiando nome - facendosi chiamare Scetticus o Sofisticus, - ma
ricompariva.
- Scetticus, Sofisticus… - facemmo noi bambini. - E come si faceva a capire
che era sempre Kriticus?
- Non è facile - disse il nonno. - La presenza di Kriticus non si può cogliere coi
sensi, col ragionamento, ma solo col cuore, con l’intuizione.
- L’intuizio.. cosa? - fece mia sorella più piccola.
- L’intuizione, piccola - fece il nonno sorridendo. - Quella cosa che per sapere
cos’è ci vuole intuizione...
Vedendo il nonno ridere, ridemmo anche noi.
- L’intuizione potremmo dire che è come la verga di castagno per il
rabdomante: quando s’avvicina all’acqua trema.
Poi qualcuno chiese: - E quando ricomparve?
- Oh, tante volte - rispose il nonno. - Un’altra volta ricomparve quando morì un
ebreo di Palestina, un certo Joshuà. Un brav’uomo che, senza volerlo, aveva
compiuto opere prodigiose, ridato la vista ai ciechi, guarito lebbrosi, storpi e
indemoniati. Quando i sacerdoti l’accusarono di sacrilegio, per aver fatto delle
cose che solo a Dio è dato fare - per giunta di Sabato, - si difese dicendo:
- Non sono stato io a compiere i fatti di cui m’accusate. E’ stata solo la fede
nel Padre mio che ha compiuto i prodigi di cui dite.
Si beccò ovviamente la condanna a morte per crocifissione solenne con
ludibrio, dato che aveva avuto l’ardire di proclamarsi Figlio del Padre! Dunque,
questo Joshuà fu portato sul Monte Cranio e fu colà crocifisso assieme a due
briganti. Uno dei due si chiamava Daimon (la bocca del nonno si contrasse in
una smorfia, e la sua mano s'allungò a carezzare il viso della piccola Palmina:
nonostante la dolcezza del nome non facemmo fatica a riconoscere la vera
identità del personaggio) ed era quello che chiese a Joshuà: - Perché ti hanno
condannato?
- Perché ho detto la Verità.
- La Verità? E chi credi d’essere, Dio?
- Tu l’hai detto, fratello, ed io ti dico che stasera sarai con me nella mensa del
Padre mio.
- Ah! Ah! Ah! - rise osceno Daimon. - Se sei veramente il Figlio del Padre
perché non lo chiami in tuo soccorso? Non sei tu quello che ha detto: Quale
padre vedendo che il proprio figlio ha bisogno di pane gli darebbe una serpe?
Fu così che il povero Joshuà, il quale tutta la vita era stato un giusto e non
aveva mai dubitato, per la prima volta dubitò.
- Nonno - chiese la piccola Palmina, - questo tale, questo Kriticus è ancora fra
noi?
Il nonno continuò a sorridere con i suoi grandi occhi azzurri, ma tutti potemmo
vedere chiaramente una piccola nube che li attraversava.
Purtroppo, venne il giorno in cui i nostri genitori ci condussero dal nonno e che
questi non era accanto al fuoco, al braciere dove buttava le bucce d’arance che
spandevano profumo intenso e grato nell’aria. Ma era nel letto, in quel suo
lettone alto dalla testata in ferro battuto, e tutti erano silenziosi e gravi. Solo noi
bambini, incoscienti per nostra fortuna come sanno essere i bambini,
continuavamo ad entrare ed uscire dalla stanza rumorosi e lievi. Inutilmente i
grandi ci facevano: - Sss! Bambini che disturbate il nonno!
Il tempo passava e noi bambini cominciavamo ad annoiarci.
Finché la piccola Palmina disse: - Andiamo dal nonno e facciamoci raccontare
un’altra favola!
- Sììì! - dicemmo in coro.
Nostra madre sentendo queste parole s’arrabbiò:
- Bambini, vi ho detto di fare silenzio. Andate fuori! Il nonno oggi non può
raccontarvi nessuna favola.
Ma il nonno le fece (con una voce stranamente bassa):
- Antonietta, lascia stare i bambini, ti prego, sono felice di vederli, di sentirli
ridere, giocare. Lasciami solo con loro, ti prego.
Ci mettemmo attorno al letto - la piccola Palmina, sul letto con lui, lo copriva di
baci - e nostro nonno ci parlò ancora:
- Bambini, ho poco tempo per raccontarvi una storia, oggi sono un po' stanco,
perdonatemi. Voglio dirvi solo due parole che mi disse mio nonno.
- E che a tuo nonno ha detto suo nonno?
- Sì.
- E che al nonno di tuo nonno ha detto suo nonno?
- Si, bambini, ma lasciatemi dire.
- E come si chiamava il nonno del nonno del nonno del nonno che per primo ha detto
le parole che stai per dirci? (Palmina era sempre troppo curiosa)
- Aveva un nome che comincia con zeta, ma non so altro – le rispose il nonno
(forse sorrideva) -. Dunque, questo nostro lontano nonno un giorno disse ai suoi
nipoti: - Guardatevi dai profeti, ma ancor più dai falsi profeti. Ed i nipoti gli
chiesero: - Come faremo a distinguere i profeti dai falsi profeti. E nostro nonno
rispose: - I primi vi diranno di conoscere la Verità, i secondi vi diranno che
NESSUNO conosce la verità.
Poi nostro nonno chiuse i grandi occhi azzurri e s’addormentò.
Nell’altra stanza era venuto un signore, con grandi occhiali neri che gli
coprivano gli occhi. Disse d’essere un nostro lontano parente:
- Sono il Professore Federico Agnostico. Sono il cugino della zia Margherita.
Sono venuto a salutare il nonno.
Nessuno seppe dirmi mai chi fosse questa zia Margherita.