Speciale IdR - IRC Vicenza

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Speciale IdR - IRC Vicenza
VICENZA, 24/02/2017
SOMMARIO
CARO AMICO TI SCRIVO...
p. 3
4a INDAGINE NAZIONALE
SULL’IRC IN ITALIA
p. 5
NOTE DI AGGIORNAMENTO
SPIRITUALITA’ IdR
p. 11
UNITA’ DI APPRENDIMENTO
ESEMPLARI
p. 18
DESIDERIO DI SPIRITUALITA’
LECTIO BIBLICA
p. 22
APPUTAMENTI
FORMATIVI
p. 24
CIAK
p. 27
MEMORANDUM
VITA DI CASA NOSTRA
p. 30
IL BEN-ESSERE SPIRITUALE
DEL DOCENTE DI RELIGIONE
1
La Bacheca
Cari Colleghi,
un numero molto denso, fru o del lavoro di aggiornamento di ques mesi… e di qualche proge o futuro.
La Redazione si è arricchita, ma c’è ancora posto per donne e uomini di buona volontà!
Ci rivedremo presto in preparazione alla Pasqua.
Vi auguriamo buona le ura!
La Redazione
PER IL CAMMINO QUARESIMALE CON LA NOSTRA CHIESA:
Alza , va’ e non temere. Sussidio per la preghiera. (Diocesi di Vicenza)
Lo si può trovare e scaricare dal sito dell’Ufficio
diocesano per l’evangelizzazione e la catechesi
(www.diocesi.vicenza.it)
[Dal]La Parola all’adulto. (Diocesi di Vicenza)
Riflessioni bibliche sull’Anno A - Quaresima.
Sussidio per la Quaresima della CEI
“Ques è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo” (Mt 17,7)
Lo si può trovare e scaricare dal sito dell’Ufficio Liturgico nazionale
(www.chiesaca olica.it)
COLLEGAMENTO PASTORALE - Speciale IR
DIRETTORE DELL’UFFICIO: don Antonio Bollin
REDAZIONE: Giorgia Caleari, Paola Pietrobelli, Carlo Meneghetti,
Ylenia D’Autilia, Giovanni Lonardi, Ferruccio Mercante, Alessandra Vanto, Marco Franceschini, sr. Anna Cipro
E-MAIL REDAZIONE: [email protected] (Ufficio IRC)
In copertina: Scultore di area veneto-prealpina, Crocefisso in legno di pioppo dell’ultimo quarto del XIII secolo (Cristo); primi
decenni del XIV secolo (croce), restaurato nel 2016 e presente nella Chiesa di Araceli in Cristo Re a Vicenza.
UFFICIO DIOCESANO PER L’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE CATTOLICA
Contrà Vescovado, 1 - 36100 VICENZA (VI)
Tf. 0444/226456 - fax 0444/540235 - e-mail: [email protected]
2
Caro amico ti scrivo...
… PER FARE LA STORIA!
UNA RIFORMA A META’
L’anno scolas co 2016/17 ha già superato metà del suo corso e, subito prima di Natale, ci siamo trova con una nuova Ministro all’istruzione-ricerca-università, la sen. Valeria Fedeli, donna inesperta di scuola (per sua stessa ammissione), incorsa
non appena insediata in alcuni infortuni. Il governo Renzi – occorre darne a o – aveva rimesso al centro della vita poli ca e
sociale la ques one scolas ca, sostenendola con finanziamen cospicui e con la legge sulla Buona Scuola. Tale legge, però,
aveva provocato vari problemi (oltre ad alcun riferimento all’IRC e agli IdR): l’immissione di un buon numero di insegnan
(mol del Sud, ma i bisogni erano al Nord) è in sé un fa o posi vo, ma i trasferimen e una straordinaria mobilità (1 su 3)
sono sta un colpo alla con nuità didaFca a danno degli studen ; la posi va idea del potenziamento dell’organico è stata
condizionata dall’esubero di docen di alcune discipline a scapito di altre di cui c’era invece bisogno; il voler bruciare i tempi – condivido il pensiero del prof. G. Chiosso – ha favorito il ritorno al neocentralismo dirigista con una sopravalutazione
delle capacità del MIUR (affidato più a manager che a uomini di scuola) di ges re il cambiamento. Ora la Ministro ha presentato 8 decre (tra cui quello del sistema integrato del ciclo nido-infanzia 0-6) per completare la Buona Scuola… speriamo
bene!
LA SCUOLA NEL VICENTINO E GLI IdR
Nel Vicen no – secondo il Giornale di Vicenza del 12 febbraio u.s. – si sono persi in tre anni circa 4.000 studen (sopra u o
nella primaria). Diversi sono i mo vi concomitan : il calo demografico, le difficoltà economiche per cui famiglie e giovani si
spostano altrove dove c’è lavoro (Nord Europa e Australia), fuga di ci adini stranieri. È un campanello d’allarme, per cui
con nuerà il trend di riduzioni di classi anche per l’IRC! Madre Teresa direbbe: “Non preoccupar dei numeri. Aiuta una
persona alla volta e inizia sempre con la persona più vicina a te”. È quello – penso e spero – che ogni IdR fa a scuola con il
suo originale servizio per i suoi alunni. È una “missione” unica quella dell’IdR nelle scuole, quella di far amare e gustare la
vita, come annotava lo scienziato e filosofo gesuita Pierre Teillhard de Chardin (1881-1955): “… il pericolo più grave non è la
bomba atomica, ma la possibilità che l’uomo perda il gusto della vita”. A sostegno di questa missione educa va e culturale,
il nostro Ufficio sta proponendo una serie di corsi, che trovano una buona accoglienza e risposta, come quello sul benessere (meno l’incontro sull’ebraismo).
Quanto poi ai lavori sulle competenze e la traduzione delle Indicazioni IRC in percorsi dida(ci zonali e per livelli di scuola, domando a tu e/i con nuità e crea vità. Mi scrive una Collega, che ringrazio di cuore per questo s molo: “… si vede in
modo chiaro che (…) hanno visto questo lavoro sulle competenze non come un’opportunità per crescere e sfogare la propria crea vità, per scoprire cose nuove e sperimentare percorsi e soluzioni didaFche innova ve, ma come una registrazione passiva e a volte noiosa di alcuni argomen che tra i tan si fanno comunque, ma che con fa ca devono per forza far
parte del nostro percorso…”. Procediamo con maggior entusiasmo con le necessarie verifiche e gli opportuni aggiustamen
di percorso!
I MATERIALI PER CAMMINARE
Vengono riporta materiali diversi, ma tuF riconducibili a quanto ho espresso sopra: la presentazione – con alcuni da rassicuran – del volume “Una disciplina alla prova”; la relazione di mons. Gianluigi Pigato sulla spiritualità dell’IdR; alcune
schede-modello di UA; una mia sintesi sul dibaFto dell’IR in Germania; qualche riflessione sul tempo quaresima che ci
a ende e la segnalazione dei prossimi appuntamen forma vi.
Tra gli impegni forma vi in calendario domando di dare la priorità, con larga se non totale partecipazione, al pomeriggio
con il Dirigente scolas co provinciale, il do . G. Corà (10 marzo) e il ri ro quaresimale a Villa S. Carlo (sabato 25 marzo p.v.).
È poi in a o la rilevazione nazionale sull’IRC solo on-line, che ci coinvolge tu e/i, personalmente e ogni Is tuto scolas co:
l’operazione si deve chiudere con l’accreditamento per il 31 marzo 2017. Raccomando di espletare rapidamente e con precisione questa incombenza!
Pensando al tempo quaresimale e all’insegnamento che Gesù stesso ci ha dato con la parola, ma sopra u o con la sua vita, mi
sono ricordato di un’espressione forte di papa Francesco, che diventa un incoraggiamento e uno sprone per il nostro cammino
umano e credente: “… chi vive per sé non fa la storia” (Omelia del 25.09.2016).
Un caro saluto di bene a tu e/i.
Don Antonio Bollin
Dire ore
Vicenza, 22/02/2017
Ca edra di S. Pietro
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La risposta agli auguri natalizi 2016 invia a papa Francesco!
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4a Indagine Nazionale sull’IRC in Italia
UNA DISCIPLINA ALLA PROVA1
(Roma - Vicariato di Roma, 17 Gennaio 2017- Presentazione del volume)
Premessa
La ricerca che oggi viene presentata, come ricorda il so o tolo, fa esplicito riferimento all’accordo di revisione del
Concordato che fu firmato il 18 febbraio 1984, a Villa Madama. In esso si disegnava una fisionomia dell’insegnamento della
religione ben diversa da quella presente nel Concordato dell’11 febbraio 1929. La diversa fisionomia tendeva a precisare, in
primo luogo, che si tra ava della religione ca olica (perché non c’era più una religione di Stato); in secondo luogo la disciplina
diventava facolta va; infine – e sopra u o – cambiava l’iden tà dell’insegnamento, che andava a collocarsi “nel quadro delle
finalità della scuola”, me endosi cioè al servizio di tu a la scuola e dei suoi alunni.
E qui io mi perme o di fare una prima osservazione. Probabilmente non da tuF è stata colta questa evoluzione e non
tuF hanno fa o e fanno tu o quello che è necessario per far percepire questo cambio di fisionomia della disciplina. La conseguenza è che spesso si tende a parlare e a presentare nei faF il nuovo Irc ancora con le categorie del vecchio insegnamento.
Come dice il so o tolo del volume, siamo a trent’anni esaF dall’entrata in vigore dell’Intesa che, in a uazione della
revisione del Concordato, ha regolamentato l’Irc. Il primo anno di a uazione del nuovo regime fu infaF il 1986-87. È dunque
tempo di bilanci ed è bene poter disporre di una rilevazione ampia e documentata come quella offerta dai Proff. Cicatelli e
Malizia. Essa registra in maniera inequivocabile che, in ques trent’anni, il quadro è decisamente cambiato e che siamo tuF
obbliga a prenderne a o traendo le dovute conseguenze dalle trasformazioni in a o. Non farlo vuol dire tradire le a ese della firma del 1984 e collocarsi ai margini di un preciso proge o.
Irc: “Disciplina alla prova” o “Disciplina so5o processo”?
Il tolo, a proposito dell’Irc, parla di Una disciplina alla prova e non, come avrebbe preferito qualche altro, di una
“disciplina so o processo”. Chi ha scelto di parlare dell’Irc come di “disciplina alla prova” ovviamente ene presen le numerose sfide che l’Irc ha dovuto affrontare in ques trent’anni. Tra queste, ricordo la facolta vità e il confronto con una società
mul -religiosa.
Ma la domanda principale alla quale oggi tuF siamo chiama a rispondere – alla luce della firma dell’‘84, alla luce
delle sfide evocate e a par re dalla ricerca che presen amo - è questa: “di quale «religione» hanno bisogno i ragazzi/giovani
per vivere in maniera consapevole nella società a uale e in quella nella quale sin da subito, speriamo, vengono chiama ad
essere protagonis e costru ori?”. Una domanda che è una sfida alla quale nessuno deve so rarsi e che potrà trovare una
risposta solo in un Irc capace di inserirsi e di stare nella scuola italiana ado andone lealmente regole e finalità.
Se con il primo Concordato lo scopo dell’insegnamento religioso era la formazione cris ana degli alunni, oggi l’Irc mira
alla formazione umana degli studen , una formazione che non può dirsi completa senza essersi interrogata sulla dimensione
religiosa della persona. Il Concordato dell’‘84 dice espressamente che la cultura religiosa è un “valore” e dunque non può essere trascurata dalla scuola, che ha il fine precipuo di trasme ere e alimentare la cultura in tu e le sue dimensioni.
Certo, nell’‘84 la società non aveva ancora tu e le cara eris che che presenta oggi la “società mul culturale”. Lo
stesso dicasi per il fenomeno dell’immigrazione che, per cer versi, contribuisce a renderla tale e, per altri, ci interpella spesso
in maniera dramma ca. Nell’‘84 e in quelle circostanze venne trovata una mo vazione solida per a ribuire alla religione ca olica il compito di rappresentare la cultura religiosa nella scuola. Solida perché affidata all’oggeFvità della storia e della cultura
italiane. Si legge infaF nel testo firmato: «i principi del ca olicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano».
In altri termini, si è voluto affermare che non è possibile comprendere la cultura e la società italiane senza riconoscere nella
Chiesa un sogge o che ha segnato in maniera decisiva l’iden tà colleFva dell’intero Paese. Mo vazione che non mi sembra
possa essere messa da parte con superficialità e so o i colpi di un ideologismo tanto cieco quanto arrogante.
Facolta vità e livello di soddisfazione: quando i numeri non dicono tu5o!
La Ricerca che qui viene presentata ci dice che, in ques ul mi trent’anni, l’Irc ha re o bene alla prova della facolta vità, conservando un tasso di scelta ancora elevato, che solo in alcune realtà – alcune aree del Centro-Nord, le grandi ci à, le
scuole superiori – presenta situazioni di cri cità. Ma un discorso sull’Irc non può essere condo o solo in termini quan ta vi,
quasi fosse solo una ques one di audience; deve essere affrontato anche sul piano qualita vo. Ed è ciò che la Ricerca consente
di fare. Per quel che mi riguarda, mi limito a richiamare qualche aspe o su cui si è fermata la mia a enzione.
Un primo dato su cui rifle ere è la soddisfazione che, al di qua e al di là della ca edra, si registra a proposito dell’Irc.
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La Ricerca ci dice che gli insegnan sono conten di insegnare religione e non pensano di abbandonare questo lavoro; gli studen che si avvalgono dell’Irc, a loro volta, sono conten della loro scelta, assegnando a questo insegnamento vo quasi sempre superiori all’8, che nella scuola primaria diventano addiri ura un 10 in più della metà dei casi.
In un contesto come quello italiano, in cui si raccolgono gravi segnali di malessere, di disagio e di demo vazione tra
insegnan e studen , ques da sono sicuramente consolan e non possono essere taciu . Il merito di ques risulta va in
buona parte a ribuito agli insegnan di religione, che in ques trent’anni si sono forma seriamente nelle Facoltà teologiche e
negli Is tu superiori di scienze religiose. Si tra a di percorsi di studio che hanno rinnovato il loro ordinamento richiedendo
anche una specifica revisione dell’Intesa nel 2012 e le cui disposizioni andranno a regime proprio fra qualche mese, il 1°
se embre 2017.
A latere, vorrei ricordare che gli insegnan sono ormai quasi tuF laici (la ricerca parla di un 96% di laici nella scuola
statale), il che deve far pensare a persone impegnate a tempo pieno nella scuola. Si tra a di docen sulla cui competente collaborazione sempre di più la scuola italiana si è appoggiata e che le recen disposizioni sulla scuola hanno “dimen cato”. Confidiamo in opportuni rimedi.
Non si deve dimen care - per la ges one di tuF ques docen - l’impegno costante che in ogni diocesi svolgono gli
uffici che seguono il se ore, curando i rappor con le autorità scolas che e promuovendo sistema ci percorsi di aggiornamento e formazione in servizio per gli insegnan .
Irc e livello di conoscenze religiose
La Ricerca è andata a rilevare anche le conoscenze religiose dei nostri studen , offrendoci un panorama certo non
rassicurante ma, affermano i curatori, migliore di quanto ci si potrebbe a endere.
È oggi un luogo comune parlare dell’ignoranza religiosa degli italiani che, in realtà, non è diversa dall’ignoranza che in
tan altri se ori ci troviamo purtroppo a dover rilevare. So o accusa è la scuola nel suo insieme e ripeto, secondo i curatori
del volume, almeno per l’Irc il quadro non è così nega vo come i media – sempre alla ricerca di no zie ad effe o – tendono
spesso a dipingerlo.
I test somministra a tan studen in varie diocesi italiane, tra cui anche Roma, mostrerebbero che c’è una discreta
conoscenza dei principali contenu religiosi, anche se alcune “falle” devono essere considerate preoccupan . Non entro più di
tanto nel merito, ma mi pare di aver capito che l’informazione biblica essenziale è discreta e che la riflessione sui contenu
e ci cresce con l’età degli studen . Il ricorso invece al linguaggio religioso sembra essere piu osto approssima vo e le conoscenze storiche risultano pressoché caren .
È inu le dire quanto ci interpellino ques da e quanto essi risul no cruciali per gius ficare un impiego di risorse a
tuF i livelli. Se è vero che, per quel che riguarda l’Irc, non ci si può accontentare della semplice sufficienza, bisogna anche tener conto che, laddove ci sono, i risulta possono essere considera tanto più posi vi quanto più prodoF da una disciplina
che non può contare su una condizione valuta va pari alle altre materie scolas che: tu o ciò che gli studen imparano, cioè,
non può essere a ribuito alla mo vazione estrinseca del “voto” ma solo all’interesse auten co che essi hanno e che gli insegnan riescono a risvegliare.
Ma vorrei fermarmi ancora un po’ sul tema delle conoscenze religiose o, come altri dicono, dell’analfabe smo religioso nel suo
rapporto con l’Irc. É un tema che ha incontrato e incontra ancora tanta a enzione. Io stesso me ne sono occupato in occasione
della presentazione del volume curato da A. Melloni2. Anche lì si parla del rapporto tra Irc e conoscenze religiose. Anche lì si
incontrano valutazioni non proprio benevole sull’impa o tra Irc e quanto di fa o transita in termini di conoscenza nella vita
dei suoi fruitori.
Partecipando alla presentazione del volume curato da Melloni, definivo "sterile” l'a eggiamento di chi si ferma ai
numeri e alle analisi - condo e semmai con buon rigore scien fico e capaci di ricondurre a cause certe le situazioni analizzate
– incapaci però di andare un poco più in là. E andare più in là significa affacciarsi sul piano degli impegni richies per avviare
risposte credibili agli interroga vi legiFmi provoca da quei numeri e da quelle percentuali. Una risposta credibile passa certamente a raverso una più chiara assunzione di responsabilità sia da parte di chi ha responsabilità di governo sia da parte di chi,
a diversi livelli, ha la responsabilità della formazione degli Idr.
Ritengo però anche "sterile", anzi oltremodo dannoso, l'a eggiamento di chi, di fronte a da e percentuali che mostrano il limite di certe prassi di insegnamento, di evangelizzazione e di tes monianza, si arroccano su posizioni piche di chi è
sopraffa o dalla "sindrome da accerchiamento"; una sindrome che porta ad aFvare soltanto difese ad oltranza e diversivi di
ogni genere. Che porta, in altri termini, a scaricare solo e sempre sugli altri i risulta di alcune prassi poco efficaci.
Certo, la Ricerca che qui viene presentata interpella la Chiesa, per la parte che le compete, e tu o il mondo della scuola a guardare con un occhio più a ento all’Irc, possibilmente andando oltre endiadi ingessate quali alunni creden e non creden , talora impropriamente iden fica con gli avvalen si e non avvalen si. Sono d’accordo con quan affermano che «se non compete
alla scuola una dire a intenzionale educazione al credere, le compete certamente una alfabe zzazione e una iniziazione antropologica al fa o religioso, pensata per la totalità degli alunni, e finalizzata a maturare una visione informata, cri ca, compara 6
va dell’universale esperienza religiosa3».
Penso che l’apprezzamento che circonda l’Irc sia legato e sarà sempre più legato alla capacità di tener fede al de ato
concordatario e all’esigenza di rispe are le finalità proprie della scuola.
X Nunzio Galan no
Segretario generale della CEI
Vescovo emerito di Cassano all'Jonio
NOTE
1
Una disciplina alla prova. Quarta indagine nazionale sull’insegnamento della religione ca olica in Italia a trent’anni dalla revisione del Concordato, a cura di S. Cicatelli e G. Malizia Elledici, Torino 2016.
2
Rapporto sull'analfabe smo religioso in Italia, il Mulino, Bologna 2014 .
3
F. PAYER, “Ora di religione. Alla ricerca di una terza via”, in Rocca, 1 Gennaio 2017, 36.
QUARTA INDAGINE NAZIONALE SULL’IRC IN ITALIA
A cura di Antonio Bollin
L’Is tuto di Sociologia dell’Università Salesiana in collaborazione con il Servizio Nazionale per l’IRC, l’Ufficio Nazionale per l’Educazione, la Scuola e l’Università e il Centro Studi per la Scuola Ca olica hanno realizzato la quarta indagine nazionale sull’IRC in
Italia coinvolgendo 3000 insegnan di religione e oltre 20.000 studen di ogni ordine e grado di scuola, presentata a Roma lo
scorso 17 gennaio.
L’indagine rivela che lo stato di salute dell’IRC è migliore del previsto e registra un calo contenuto (in 30 anni del 5%), con situazioni molto differenziate sul territorio nazionale: al Sud si rimane stabili al 98% di adesioni mentre al Nord gli avvalen si sono
l’82%. Il dato a uale raggiunge più dell’88% di studen che frequentano l’IRC.
La ricerca si divide in due par .
Nella prima parte si è cercato di descrivere le condizioni dell’IRC a raverso le risposte degli insegnan : il 96% nella scuola statale sono laici, mentre nelle scuole ca oliche sono il 65,7%. Meno della metà sono di ruolo, ma più della metà valuta la propria
esperienza professionale pienamente soddisfacente. Tra i pun di forza di questo insegnamento ci sono la capacità di rispondere alle domande di senso degli studen (67,4%) e i rappor che si creano tra insegnante e studen (62%); un punto di debolezza rimane però la persistente confusione con la catechesi (46,3%).
Tra i mo vi che spingono alla scelta dell’IRC prevale l’appartenenza religiosa, anche se buona parte degli insegnan dichiara di
avere in classe anche alunni non ca olici. L’IRC non è però l’ora dei ca olici!
Nell’insieme gli insegnan appaiono ben integra nel mondo scolas co: sono in possesso dei toli di studio, ricoprono incarichi
all’interno della scuola (il 15,9% sono collaboratori del dirigente e il 14,1% sono coordinatori di classe) e in generale sono soddisfaF della formazione iniziale ricevuta, ma avvertono l’esigenza di approfondirla. Più della metà valuta la propria esperienza
professionale pienamente soddisfacente e non intende abbandonare questo insegnamento.
La prassi didaFca è piu osto varia e orientata verso forme aFve e partecipate: lezioni dialogate (89,9%), audiovisivi (61,6%),
lavori di gruppo (55,4%), lezioni frontali (55%), collegamen interdisciplinari (51,7%) e sussidi digitali (48,7%).
L’IRC è una materia che piace. Gli studen hanno valutato il gradimento su una scala da 1 a 10, registrando risulta esaltan
rimanendo quasi dappertu o sopra all’8 o poco meno.
Nella seconda parte si sono verificate le conoscenze religiose acquisite dagli studen di se e diocesi italiane, in cinque diversi
momen della loro carriera scolas ca, somministrando un ques onario anonimo di 50 domande a risposta chiusa. È emerso che
gli studen più prepara sono quelli di quarta primaria. È interessante anche notare che le risposte corre e si correlano in
genere con l’appartenenza religiosa: si conferma quindi che per i risulta scolas ci conta sopra u o la mo vazione personale.
Il sapere biblico è quello che ha dato i migliori risulta . Per esempio nell’anno della maturità il 70% ricorda il contenuto della
parabola del buon Samaritano. Buone prove anche con il sapere e co-antropologico, mentre più deluden i risulta in campo
teologico-do rinale. Risulta carente la competenza linguis ca degli studen (il fa o che la chiesa si dichiari ca olica è interpretato spesso come sinonimo di cris ana). Deluden anche le competenze storiche e sul versante della mul religiosità le conoscenze appaiono piu osto disuguali.
In conclusione, il sapere religioso degli studen che frequentano l’IRC è ancora modesto, ma i risulta possono essere leF
come eccezionali, se si pensa che la disciplina non ha una valutazione ordinaria, e indurre complessivamente ad un cauto oFmismo.
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ORA DI RELIGIONE E PLURALISMO
L’ITALIA FA SCUOLA IN EUROPA
di Carlo Cardia
Il risultato dell’indagine condo a da diversi is tu ricerca, e per il quale l’88% dei ragazzi, o delle loro famiglie, sceglie liberamente di seguire l’ora di religione nella scuola statale, è una no zia buona, sorprendente solo per alcuni, e suggerisce più d’una
riflessione. Siamo di fronte a un dato che unisce la società civile aldilà delle differenze ideali a culturali, e che ha una radice
importante nella storia unitaria d’Italia, non da tuF conosciuta. I nostri Padri risorgimentali, pur nell’ambito di un separa smo
nel quale s’intrecciavano modernità, asprezze e lungimiranza, posero alcuni principi a base del rapporto tra scuola e religione:
con la Legge Casa nel 1859, che is tuisce la scuola pubblica e prevedeva, tra i simboli da valorizzare, il Crocifisso, e la Legge
Coppino del 1877 che completa il quadro scolas co e disciplina la scuola elementare.
lI primo risultato fu che, pur non prevedendo l’insegnamento religioso dalle scuole superiori, esso rimase nelle scuole elementari lasciando ai Comuni e alle famiglie la facoltà di is tuirlo: pressoché tu e le famiglie scelsero di avvalersene. Di grande interesse le mo vazioni espresse da poli ci e cos tuzionalis dell’epoca, per i quali una scuola senza Dio incontrava l’os lità popolare, mentre la religione giovava a educare buoni ci adini. Una lezione di saggezza, rispe osa di sen men profondi, che ha
garan to un esito decisivo: dall’Unità d’Italia, tuF i nostri bambini hanno avuto a scuola un’educazione e una formazione religiosa basilare per la loro crescita. Più volte, in Parlamento alcuni proposero di abolire questa scelta scolas ca fondamentale,
ma ogni volta la proposta venne respinta.
Il grande dibaFto alla Cos tuente del 1946-47 ha sfiorato più volte il tema dell’insegnamento religioso, e s’è concluso con la
definizione del pluralismo previsto negli ar coli 7 e 8, che hanno coniugato la ricezione dei PaF Lateranensi del 1929 con la
piena libertà di ogni confessione religiosa: prospeFva che s’è realizzata più tardi con la revisione del Concordato e le prime
Intese con altri cul . Nel dibaFto sulle grandi riforme dell’ordinamento si formò, tra il 1976 e il 1984, un’ampia maggioranza
favorevole alla conferma dell’insegnamento religioso, e si rinnovò la sua disciplina in rapporto alla libertà di scelta dei ragazzi e
delle famiglie: un obieFvo molto sen to da Paolo VI che promosse e seguì da vicino le prima parte delle tra a ve per il nuovo
testo paFzio. Esponen poli ci e culturali d’ogni schieramento, da Giovanni Spadolini a Gaetano Arfè, da Paolo Bufalini a Pietro Scoppola, vollero con convinzione questo risultato, e ricordo personalmente che nel 1984 Enrico Berlinguer, all’a o di assicurare il consenso parlamentare del proprio par to al nuovo Concordato, mo vò la condivisione piena dell’insegnamento religioso con l’esigenza che la scuola garan sse ai ragazzi un discorso sui valori e i princìpi e ci fondamentali. Ancora oggi c’è chi
alimenta una specie di leggenda metropolitana, per la quale il nostro sarebbe l’unico Paese ad avere un Concordato, e a prevedere la cosidde a 'ora di religione' nelle scuole. Niente di più inesa o, dal momento che i Concorda con la Chiesa ca olica e
le Intese con altri cul sono in Europa alcune decine, e l’insegnamento religioso, per via concordataria o con leggi unilaterali, è
oggi impar to nell’80% dei Paesi europei, nel Nord, nel Centro, a Ovest e a Est, ed è stato reintrodo o in quasi tuF i Paesi ex
comunis , a cominciare dalla Russia: Polonia, Romania, Croazia, Paesi Bal ci. Le scelte italiane del Novecento, alla Cos tuente
e poi nel 1984, hanno avuto un valore anche oltre i nostri confini, ispirando una svolta posi va nei rappor tra Stato e Chiesa in
diverse Paesi europei: prima con la revisione dei Concorda in Spagna, Portogallo, Austria, poi dopo la fine della glaciazione
comunista che in Russia e nell’Est europeo aveva azzerato ogni rapporto tra scuola e religione, il modello italiano s’è affermato
un po’ dovunque, ispirando le nuove legislazioni ecclesias che e civili, con il diri o dei genitori di istruire e educare i figli secondo i propri valori e orientamen religiosi e ideali. Si conferma, inoltre, un elemento specificamente italiano: l’aver impostato con il nuovo Concordato l’insegnamento religioso in un orizzonte di apertura e conoscenza culturale ha incontrato il favore
delle famiglie e dei giovani, perché risponde a domande ed esigenze proprie di una società aperta al pluralismo e alla interculturalità. La scelta così ampia della popolazione scolas ca, infine, tes monia la capacità professionale di tan insegnan di religione, che s’impegnano con intelligenza e abnegazione nell’assolvere la propria missione in condizioni non sempre facili. Queste valutazioni dovrebbero scoraggiare chi ogni tanto cerca di sminuire l’Irc, proponendo un più vago insegnamento delle religioni, che ricondurrebbe tu o in una nebulosa rela vis ca.
E possono spingere tuF noi a valutare il bene prezioso che l’insegnamento religioso cos tuisce per la scuola di oggi. Esso rappresenta un insos tuibile legame con la nostra tradizione e iden tà culturale, e risponde oggi alle esigenze di una società globalizzata e insieme interculturale, nella quale si sente il bisogno di costruire dal profondo un tessuto di solidarietà che aggreghi
persone, famiglie, gruppi etnici, e lo faccia iniziando dalla formazione dei più giovani. La presenza religiosa nelle scuole non
garan sce soltanto la religione ca olica, è assicurata dalle Intese anche ad altre Confessioni, a cominciare da quella ebraica,
che prevedono lo studio del fa o religioso, o specificamente lo studio dell’ebraismo.
E a nessuno sfugge che il pluralismo religioso nella scuola risponde anche alle esigenze poste dall’immigrazione, che fa avvicinare sempre più i nostri ragazzi ai giovani che vengono da tu o il mondo: esso perme e, tra l’altro, di promuovere principi
essenziali come quelli della gius zia, per l’abbaFmento dei privilegi e la cura dei più poveri, e della solidarietà che deve plasmare i rappor sociali e internazionali. L’ispirazione religiosa può cos tuire il fondamento più solido di una cultura solidale che
innes nel processo forma vo delle nuove generazioni valori insos tuibili per l’evoluzione che sta vivendo la nostra società e
per il conseguimento del bene comune.
In “Avvenire”, venerdì 27 gennaio 2017, p. 3
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L’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE A SCUOLA
IN GERMANIA IN TEMPO DI TRASFORMAZIONI
A cura di Antonio Bollin
L’insegnamento scolas co della religione (IR) in Germania è garan to dall’art. 7 della Cos tuzione (1949): è previsto come materia ordinaria e obbligatoria, di due ore seFmanali con esami e voto, svolta da docen forma si nelle Università statali con
Facoltà Teologica muni di autorizzazione ecclesias ca (missio canonica).
Gli studen possono scegliere fra l’insegnamento della religione ca olica, quello protestante o il corso di e ca. Poiché la Cos tuzione tedesca a ribuisce ogni competenza, in materia di istruzione e scuola, ai 16 Länder, nel corso degli anni in alcuni Länder si è avviata la possibilità di frequentare il corso di religione ebraica e islamica. Nel Brandeburgo e a Berlino, già negli anni
’90 – dopo la caduta del muro e la riunificazione – è stato introdo o pure un corso di cultura e co-religiosa e sul senso della
vita (LER): lì l’IR non è inserito nel curricolo obbligatorio ma è solo facolta vo, in seguito ad un referendum del 2009.
Come in altri Paesi, sono in a o processi di trasformazioni sociali e culturali, che domandano un ripensamento e una nuova
configurazione dell’IR a scuola.
Un gruppo di esper tedeschi del se ore (docen delle Università di Bamberg, Ausburg, Freiburg e dire ori di uffici delle diocesi di Bamberg e Osnabrück) ha reda o un testo di riflessione proposi vo, indicando alcuni capisaldi per un IR all’altezza delle
sfide a uali e capace di prospeFve future1.
1) UN MUTATO CONTESTO E NUOVE SFIDE
Questo contributo di riflessione è de ato da almeno tre nuove situazioni socio-culturali e religiose.
- Diminuiscono gli studen ca olici ed evangelici, mentre aumenta il numero di quelli senza confessione e i musulmani.
- La religione è tornata ad essere un tema pubblico.
- Sorge una ques one decisiva: come creare una buona coesistenza tra persone che hanno un diverso retroterra culturale,
religioso e di visione del mondo, per una convivenza civile, rispe osa di tuF, democra ca e responsabile?
2) LA FUNZIONE DELL’IR A SCUOLA
Qual è il compito dell’IR a scuola nella formazione ed educazione religiosa dei ragazzi/studen ? Quali competenze deve fornire/assicurare al termine del percorso scolas co? Quali le mete? Il gruppo di esper ne indica sostanzialmente cinque:
• L’IR desta la ques one di Dio e contribuisce, mediante un confronto basato sulla ragione, a rendere gli studen capaci di
riflessione verso la religione, contrastando le tendenze fondamentalis che.
• Si mostra, tramite l’IR, come persone illuminate possano vivere oggi la religione e la fede.
• Sos ene la capacità di scambio e di comprensione verso gli altri, verso persone di altre fedi, all’interno di una pluralità religiosa, culturale e sociale.
• Gli studen non vengono lascia soli, ma accompagna nel movimento di ricerca e nel cuore della domanda su ciò che vale, sul senso e sulla felicità.
• In un mondo plurale, o engono aiuto per l’orientamento della vita e per trovare il proprio posto in uno scambio con gli
altri.
Per rafforzare l’IR quale luogo di apprendimento è necessario svilupparlo sia dal punto di vista della concezione che da quello
organizza vo e vanno coinvol tuF gli a ori lega all’IR: le chiese e lo stato, la pedagogia della religione accademica, gli insegnan di religione, gli studen e i genitori.
3) GLI SNODI PER UN IR DEL FUTURO
Si suggeriscono tre snodi che, nella loro connessione, definiscono le prospeFve di sviluppo della disciplina IR.
• L’IR del futuro è confessionale
L’ancoramento confessionale rimane indispensabile, perché così si può garan re la connessione del sapere religioso ai vissu
concre delle comunità di fede.
• L’IR del futuro è coopera vo
Sul solco dell’esperienza ecumenica e per la necessità di una collaborazione dialogica tra le religioni e le mutazioni religiose in
a o, la cooperazione confessionale - già in a o presso molte scuole - va sviluppata e is tuzionalmente rafforzata. Essa perme e risposte condivise a ques oni a uali urgen e l’intreccio, il collegamento fra le diverse religioni e le discipline umanis che.
• L’IR del futuro è contestuale
La situazione dell’IR varia da regione a regione, e addiri ura da scuola a scuola, quindi è legato al territorio. Perciò è necessario
percepire e dare riconoscimento a concezioni regionali già esisten e a risposte contestualizzate a condizioni pluriformi, capaci
di cogliere fenomeni e forme del religioso che gli studen incontrano personalmente nel loro vissuto quo diano.
Questo triplice profilo dell’IR nel futuro della Germania si avvicina in parte e condivide il volto dell’IRC in Italia, diventa sopra u o s molo a rifle ere ulteriormente sulla connotazione di tale disciplina nel nostro sistema scolas co in con nua evoluzione.
NOTA
1
A cura di Marcello Neri, in: www.seFmananews.it del 04.01.2017 .
9
“Il BolleFno Salesiano, del gennaio 2017,
riporta un ricordo su Ciampi del Cardinale
T. Bertone, dove il Presidente Carlo Azeglio Ciampi era preoccupato per l’educazione dei giovani e raccomandava al Cardinale salesiano la missione degli insegnan di religione e la cura, la necessità
per una buona scelta.
10
Note di aggiornamento
IL BEN-ESSERE SPIRITUALE DELL’IdR
Si è svolto a Villa S. Carlo, l’11 e 12 febbraio u.s., il corso monografico su “Il ben-essere del docente e dell’IdR”,
che ha visto la presenza di circa 90 insegnan (tra IdR e di altra disciplina). La valutazione complessiva dei presen è
stata molto soddisfacente (sia per i relatori che per le modalità di lavoro), al punto che è nata la richiesta di proseguire sul tema anche l’anno prossimo.
Ora sono almeno due le tema che correlate al ben-essere: la relazione/relazionalità e l’alimentazione con lo s le di
vita (“Noi siamo ciò che mangiamo”), da affrontare mediante una pluralità di approcci. Si vedrà come venire incontro a questo desiderio!
Per condividere qualcosa del corso, si pensa di fare cosa gradita pubblicando il testo dell’intervento di mons. Gianluigi Pigato sul ben-essere spirituale e la maturazione cris ana dell’IdR.
Altro materiale si potrà leggere e scaricare dal nostro sito web, nella parte riservata.
CONTRIBUTO ALLA FORMAZIONE PER IL “BEN-ESSERE” SPIRITUALE
PER UN DOCENTE CREDENTE
LA VIA DELLA “VIRTU’” PER UN UOMO FELICE
SALUTO:
“Tra le scienze la teologia è la più bella, la sola che tocchi la mente e il cuore arricchendoli, che tanto si avvicini alla realtà umana e ge/ lo sguardo luminoso sulla verità … Ma anche la più difficile ed esposta a rischi, in essa è più facile cadere nella disperazione o, peggio, nell’arroganza; più di ogni altra può diventare la caricatura di se stessa” (Karl Barth).
“Sulla falsa teologia ricade la responsabilità morale della disperazione nichilis ca” (V. Mancuso).
Io sono un padre spirituale. Posso solo parlare a par re dalla mia esperienza, conoscendo adul che entrano in crisi con se stessi, con il mondo e con Dio. E’ opportuno tener presen fin dall’inizio, le “tre origini del peccato” (quasi “tre pecca originali”). Si
tra a di tre icone paradigma che, tre immagini, modelli, esempi – potremmo dire anche “tre parabole” -, con cui la Bibbia ci
racconta come il peccato entra nel mondo di Dio, distruggendo o il senso di Dio, o il senso dell’altro, con cui io devo diventare
una cosa sola, o il nostro rapporto vero con le cose: - il peccato dell’uomo e della donna nel giardino di ‘Eden (Gen 3); - il peccato di Caino (Gen 4); - il peccato dei costru ori della torre di Babele (Gen 11,1-9).
Nel ministero dell’accompagnamento spirituale vi incontro molte persone che hanno trascurato dei bisogni importan . Nei
primi anni della vita va tu o abbastanza bene, ma prima o poi ciascuno deve affrontare la propria verità, i propri bisogni di
amore e di amicizia, la propria sessualità, il proprio modo di essere uomini e donne, la propria maturazione spirituale.
LA LOTTA SPIRITUALE
“Occorre ripetere quali siano le guerre e le lo:e che ci a:endono dopo il ba:esimo … Si tra:a forse di cercare fuori di sé una
strada da intraprendere o un campo di ba:aglia? Forse le mie parole stupiranno, eppure sono vere: limita la tua ricerca a te
stesso! Tu devi lo:are in te stesso, perché il tuo nemico procede dal profondo del tuo cuore. Non sono io a dirlo, ma Cristo: “Dal
cuore provengono i pensieri malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le pros tuzioni, i fur , le false tes monianze, le bestemmie” Mt
15,19” (Origene, Omelie su Giosuè, 5,2).
Uno degli aspeF oggi più disa esi della vita cris ana è certamente quello della lo:a spirituale, elemento fondamentale in vista
dell’edificazione di una personalità umana, prima ancora che cris ana, salda e matura. Il rela vismo e co e l’imperante cultura
et-et, che fanno sognare la possibilità di uno s le di vita esente dal rischio e dalla fa ca della scelta, sembrano rendere “fuori
luogo” e “fuori tempo” la riflessione sulla necessità della lo a interiore.
Va però de o con chiarezza: non è possibile l’edificazione di una personalità umana e spirituale robusta senza la lo a interiore,
senza un esercizio al discernimento tra bene e male, in modo da giungere a dire dei “sì” convin e dei “no” efficaci: “sì” a quello
che possiamo essere e fare in conformità a Cristo; “no” alle pulsioni egocentriche che ci alienano e contraddicono i nostri rappor chiama ad essere contrassegna da libertà e amore.
L’invadenza dell’Io
Anche per un’epoca come la nostra, che non percepisce la consistenza e la dramma cità del peccato non dovrebbe essere difficile riconoscere le conseguenze dell’invadenza dell’Io: penso alla fa ca che tuF facciamo ad uscire dalle pastoie delle nostre
mo vazioni egois che; penso alla facilità con cui ci lasciano prendere da logiche par colaris che, incapaci come siamo di guar11
dare al di là del nostro piccolo calcolo. Le domande che al riguardo Dio ci fa sono spirito e vita, perché ci invitano a riconoscere
le ragioni del nostro disagio di vivere e della nostra mancanza di felicità di pace anzitu o in noi stessi, nella fa ca e nella paura
di amare che ci por amo dentro, nel sospe o di non essere ama , nella diffidenza di fronte a ogni a eggiamento.
Il tesoro nascosto
Gesù racconta di un “tesoro nascosto nel campo: un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tuF i suoi averi
e compra quel campo” (Mt 13,44). Colui che aveva trovato il tesoro avrebbe potuto portarlo via no e tempo senza bisogno di
acquistare il campo, ma quello che è decisivo non è solo la scoperta del tesoro, è anche la vendita degli averi per l’acquisto del
campo, cioè lo svuotamento di sé, la liberazione dall’ego. Normalmente l’ego con la sua a razione gravitazionale piega lo spazio-tempo della mente deformandone la percezione della realtà. Può persino giungere a diventare una specie di buco nero che
assorbe ogni cosa riconducendo tu o a sé, persino la luce degli occhi degli altri, e che per questo rende radicalmente incapaci
di amore. Ne viene che il vero tesoro appare consistere esa amente nella vendita dei beni, ovvero nella liberazione dall’orribile egocentrismo autoreferenziale.
La perdita dell’ingenuità
E’ così che capisco la verità su me stesso: è come un prendere coscienza del proprio egoismo e della propria fragilità, che fa
cadere l’ingenua magia di pensare che bas no le buone intenzioni per cambiare il mondo e la vita. C’è veramente una differenza stridente fra l’altezza dei buoni proposi e la presenza del male e dell’egoismo in ciascuno di noi: forse è questo ciò che
Dostoievski chiamava “l’abisso dei doppi pensieri”. Fai qualcosa di bene e t’accorgi che dentro il tarlo del tuo Io non abbandona. T’accorgi che sempre è grande la potenza del peccato. Gli al e bassi si susseguono con un’impressionante frequenza: e
non solo sul piano psicologico, ma su quello profondo delle scelte del cuore, degli orientamen di vita.
Certo, quello della lo a spirituale è un tema che necessita oggi di essere riformulato, ripensato alla luce delle categorie antropologiche e delle conoscenze psicologiche che i comportamen – a differenza della Scri ura e dei padri – possono vantare;
occorre cioè decodificare il linguaggio della Scri ura e dei padri .
-. Un piano più profondamente asce co: me ere il ba ezzato in condizione di compiere una scelta significa va della vita con
libertà di cuore e con mentalità evangelica. Si tra a di tanto in tanto di me ere ordine nella propria vita senza prendere decisioni in base ad alcuna propensione disordinata. “Me ere ordine” non significa semplicemente fare una buona confessione,
bensì trovare quell’ordine che è una scelta di vita qualificante, secondo Dio, vincendo i condizionamen mondani e uscendo
dagli affeF disordina .
-. Oltre al piano dello svolgimento asce co, c’è però anche il piano mis co che inerisce profondamente la vita spirituale e ne è
come la sostanza, il midollo, la linfa segreta e il conta o immediato con lui, appunto lasciandosi toccare da lui.
Le radici della riflessione sulla lo a spirituale si trovano nella Scri ura. Fin dalle prime pagine della Genesi, l’An co Testamento conosce il comando a dominare l’is nto malvagio che abita il cuore umano: “il peccato è accovacciato alla tua porta; verso
di te è la sua brama, ma tu dominalo” (Gen 4,7); “l’is nto (jezer) del cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza” (Gen
8,21). Questa lo a è talmente necessaria che nemmeno Gesù vi si è so ra o, e il suo confronto nel deserto con il Tentatore ce
lo mostra chiaramente (cf. Mc 1,12-13; Mt 4,1-13; Lc 4,1-13). Anzi, come Gesù, subito dopo essere stato ba ezzato da Giovanni, ha conosciuto l’assalto di Satana, così ogni ba ezzato dovrà a endersi una dura opposizione da parte dell’Avversario, che
cercherà di distoglierlo dal suo cammino di sequela.
CUSTODISCI IL TUO CUORE
La vita spirituale, e dunque anche la lo a, procede da un centro in mo, un organo centrale dell’uomo che la Bibbia e poi i padri chiamano “cuore”. Si tra a di un conce o che va ben oltre il valore quasi esclusivamente affeFvo a ribuitogli dalla nostra
cultura; nell’antropologia biblica, infaF, il cuore è il luogo dell’intelligenza e della memoria, della volontà e del desiderio,
dell’amore e del coraggio. In una parola, è l’organo che meglio rappresenta la vita nella sua totalità: “sede della vita sensibile,
della vita affeFva e della vita intelle uale, il cuore con ene gli elemen cos tu vi di ciò che chiamiamo ‘persona’” (A. Guillaumont).
Non è facile parlare di questo luogo impenetrabile (cf. Sal 64,7); eppure se non si percepisce il cuore quale centro della nostra
persona, quale spazio in cui giungere a una conoscenza diversa rispe o a quella razionale e intelle uale, non si potrebbe neppure intraprendere un lungo e paziente pellegrinaggio in direzione del nostro essere profondo che è la vita spirituale. Al riguardo, non si dimen chi la splendida espressione u lizzata nella Prima le era di Pietro: “l’uomo nascosto nel cuore” (1 Pt 3,4). In
ciascun essere umano si cela un uomo interiore: suo compito è esserne consapevole e di predisporre tu o affinché questa
iden tà profonda cresca e si rinnovi di giorno in giorno (cf. 2 Cor 4,16).
Nel cuore avviene la sinergia tra la “grazia san ficante che è lo Spirito Santo” (Karl Rahner) e lo spirito dell’uomo con la “s”
maiuscola: “lo Spirito stesso a esta al nostro spirito che siamo figli di Dio” (Rm 8,16); “Il Dio della pace vi san fichi interamente, e tu a la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo” (1
Ts 5,23). Certo, è molto difficile, anzi impossibile, determinare dove termini l’azione dello Spirito di Dio e dove cominci quella
dello spirito dell’uomo. De o altrimen : “Chi può conoscere il cuore? Io, il Signore, scruto il cuore ed esamino il profondo” (le .: i reni)” (Ger 17,9-10; cf. Sal 7,10; Lc 16,15; ecc.). E’ nel cuore, la parte più segreta di ogni essere umano (là dove vede
il Padre: cf. Mt 6,4.6.18), che è impressa l’immagine di Dio in noi; solo Dio è capace di avere uno sguardo “altro” su di esso, più
profondo e veri ero di ogni nostra le ura: “se il nostro cuore ci rimprovera, Dio è più grande del nostro cuore e conosce
12
tu o” (1 Gv 3,20). E’ nel cuore che si posano i doni divini: lo Spirito santo (Gal 4,6), l’amore di Dio (Tm 5,5), la pace di Cristo (Col
3,15); Cristo stesso abita per la fede nei nostri cuori (Ef 3,17). Il cuore appare così il luogo della dimora di Dio nell’uomo e, nel
contempo, l’organo da cui sale a Dio la risposta dell’uomo tramite l’amore (cf. Mc 12,30 e par.), la fede (cf. Rm 10,10), la speranza (cf. Ef 1,18) e la preghiera (cf. Gl 4,6; Ef 5,19; Col 3,16).
1^ DOMANDA: “COME PERSEGUIRE UNA PIU’ MATURA ED EQUILIBRATA AUTOCOSCIENZA?”
Si tra a in primo luogo di perseguire una sana “autocoscienza” del proprio valore. Ho bisogno di intuire le mie capacità, il mio
valore. Autocoscienza del proprio valore significa che io intuisco la mia unicità. Mi è lecito essere me stesso. Non mi devo paragonare con altri. Mol credono certamente alla Parola che nel ba esimo ha pronunciato su di noi: “Tu sei mio figlio predile o,
Tu sei mia figlia predile a, in te mi sono compiaciuto”; ma le immagini nega ve di sé che nell’infanzia si sono impresse su di
loro, impediscono di sperimentare che il fa o di essere accol da Dio determina anche la percezione di sé. Troppo in profondità
sono entrate in loro delle voci nega ve, come: “Io non sono a posto. Nessuno può sopportarmi, io sbaglio tu o”. Una sana autocoscienza del mio valore lo posso sviluppare solo quando io osservo tu e le mie immagini nega ve e me ne congedo. Si tra a
allora di perme ermi di essere così come sono. A mol consiglio sempre: medita mezz’ora davan a Cristo: “tu o può succedere, io non condanno, ma io considero tu o dentro l’amore di Cristo”. Una sana autocoscienza del proprio valore nasce se io
sviluppo la percezione della mia unicità. Non devo essere più forte degli altri, non devo essere orgoglioso di me stesso.
Ma quello che veramente siamo non possiamo più descriverlo. E’ in fin dei con un mistero. In questo noi stessi in fin dei con
noi incontriamo anche Dio.
Un’altra strada della maturità umana passa a raverso l’osservazione dei bisogni e delle passioni. I primi monaci hanno sviluppato la do rina dei 9 logismoi. Sono nove passioni o emozioni che sono presen nella persona. Sono innanzitu o neutri. Ma ci
possono anche dominare. Si tra a di conoscersi meglio, non per condannare se stessi, ma per riconoscere come io tra o le mie
passioni. Inoltre i monaci dicono: tu non sei responsabile dei pensieri e delle passioni che hai, ma solo di come tu li traF.
I primi logismoi sono i tre impulsi fondamentali: cibo, sessualità, aspirazione al possesso. TuF e tre gli impulsi vogliono spronarci a vivere. E in fin dei con vogliono spingerci verso Dio. Ma possono anche diventare delle bramosie. Allora ci dominano. Non
si tra a di recidere gli impulsi, perché altrimen ci mancherebbero delle importan energie vitali. Si tra a di integrarli nella
nostra vita di modo che ci aprano verso Dio e l’Altro. Il cibo culmina nel pasto sacro, nell’Eucaris a. La sessualità in fin dei con
desidera diventare una sola cosa con Dio nell’estasi dell’amore. E l’aspirazione al possesso deve rimandarci alla ricchezza interiore della nostra anima.
I tre logismoi della sfera emozionale sono: tristezza, ira e accidia. La tristezza è la commiserazione di se stessi. Io compa sco me
stesso, nuoto nella commiserazione di me stesso. A mo vo della tristezza ci sono spesso desideri infan li o grandi fantasie. La
guarigione dalla tristezza sta nel lu o. Devo portare il lu o per il fa o che sono mediocre, di non essere perfe o, di non essere
il più grande santo. Nel lu o vengo a conta o con le mie vere forze. L’ira e l’aggressività vogliono regolarmente la relazione tra
la vicinanza e la distanza. Ho bisogno dell’aggressività per me ere un confine tra me e gli altri. In famiglia o in una comunità
posso vivere bene solo se sono capace di entrambi ques a eggiamen : acce are la vicinanza e me ere dei confini. L’accidia è
l’incapacità di vivere il momento presente: non ho voglia di lavorare, né di pregare e nemmeno di fare nulla. Non posso sopportare me stesso. L’accidia viene guarita dall’esercizio di rimanere in se stessi, di sopportare questo stato in se stessi.
I tre bisogni della sfera religiosa sono: la sete di gloria, l’invidia e l’orgoglio (in greco: hybris). Quando ho sete di gloria, sono
con nuamente rivolto all’opinione che gli altri hanno su di me. Io ho bisogno di riconoscimento e di lode. Mi definisco a par re
dalla lode che mi fanno gli altri. Quando provo invidia, mi paragono agli altri. Svaluto gli altri per rivalutarmi. Oppure al contrario io annullo me stesso, perché gli altri sono migliori di me. Io non sono presente a me stesso, ma vivo a par re dal confronto
con gli altri. L’orgoglio è il rifiuto di acce armi con le mie zone d’ombra e i miei pun ciechi. Ho una così alta immagine ideale di
me stesso che sono cieco di fronte alla mia realtà. C.G. Jung parla qui di inflazione. Io mi gonfio con le grandi immagini ideali. E’
pericolosa l’iden ficazione con le immagini arche pe, per es. con l’immagine del soccorritore e del salvatore. Se mi iden fico
con il soccorritore, divento cieco di fronte ai miei bisogni. Mentre mostro vicinanza all’altro, dietro alla vicinanza io esprimo e
maschero il mio bisogno. Ciò è spesso il mo vo degli abusi sessuali.
Si tra a di guardare ques nove logismoi (desideri) e di usarli in modo tale da sfru are la forza presente in ques pensieri e
sen men per il mio cammino spirituale e umano.
Recentemente Enzo Bianchi ha pubblicato dei fascicoli dal tolo “Se questa vita ha senso”: ha elencato i 7 vizi capitali-logismoi
con l’invito a “custodire il cuore”: l’ingordigia è il rapporto deformato col cibo; la lussuria è il rapporto deformato con il corpo e
la sessualità; l’avarizia è il rapporto deformato con le cose e il denaro; la collera è il rapporto deformato con gli altri; la tristezza
è il rapporto deformato con il tempo; l’accidia è il rapporto deformato con lo spazio; la vanagloria e l’orgoglio sono il rapporto
deformato con il fare e con Dio. “Vale la pena lo are contro le tentazioni che si annidano nel nostro cuore, per ristabilire rappor auten ci con se stessi, con gli altri e con Dio. Vale la pena cambiare il nostro s le di vita, addestra nell’arte della lo a
spirituale” (E. Bianchi).
2^ DOMANDA: ESISTE UN ITINERARIO DI MATURAZIONE SPIRITUALE NEL “MINISTERO” DI INSEGNANTE DI RELIGIONE?
Cerchiamo di rispondere a par re dalla Scri ura e dall’esperienza.
1.- L’i nerario del cris ano verso la maturità responsabile.
L’i nerario fondamentale del cris ano è stato configurato, tema zzato in diversi modi. Scegliamo lo schema proposto dal card.
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C.M. Mar ni.
Lo schema prende a modello i qua ro vangeli, considera secondo alcune delle loro cara eris che: Marco, come il vangelo del
catecumeno, Ma eo come il vangelo del catechista, Luca-AF come il vangelo dell’evangelizzazione, Giovanni come il vangelo
del cris ano maturo. Essi diventano i paradigmi dei diversi momen della maturità cris ana.
1.- Marco, il paradigma del primo passo, della conversione personale al Signore come il tu o della vita. Si abbandona la religiosità pagana, fondata sull’uso della divinità per il proprio successo personale e ci si arrende al Signore, che dalla croce ci manifesta il Padre, con un gesto che è appunto quello della conversione.
Conversione è il conce o chiave di tu o l’i nerario cris ano e, nella Scri ura, è l’evento che differenzia tu o ciò che precede
da tu o ciò che segue (“C’è più gioia in cielo per un peccatore che si converte che non per novantanove gius che non hanno
bisogno di conversione”: Lc 15,7).
Anche quando la conversione è embrionale trasforma la vita, perché basta un granello di fede per sradicare un albero e per
spostare le montagne. Per essa la persona nasce di nuovo, ha occhi nuovi, e la trasformazione è così radicale da influire su tu e
le operazioni del conver to, sui suoi pensieri, sulla sua immaginazione, producendo simboli che penetrano nella psiche; la conversione cris ana arricchisce la comprensione, guida il giudizio, rinforza le decisioni.
Se ci capita di assistere più da vicino a una conversione che avviene repen namente in un modo nuovo, quanto prima faceva
paura viene affrontato con serenità.
Il momento determinante, fondamentale, della conversione, è approfondito nelle sue condizioni dal vangelo di Marco.
2.- Questo momento è des nato a crescere, come il granello di senapa, fino a diventare un arbusto so o cui gli uccelli possono
fare il loro nido. La conversione, cioè, ha uno sviluppo ampio e, nel suo crescere, trova mol ostacoli, trova il terreno calpestato, gli uccelli che beccano il seme, le spine che soffocano.
E’ nel vangelo di Ma:eo che possiamo leggere un secondo momento di questa conversione. Da personale, individuale
(scegliere Gesù come Messia, Signore, Figlio di Dio), deve diventare conversione alla Chiesa o nella Chiesa. Il ba esimo infaF
comporta l’ingresso in una comunità, comporta un saper vivere insieme, un acce are le leggi del vivere comune, un entrare
nella dinamica del Regno con tu e le sue condizioni anche e che; comporta il riconoscimento di Gesù nei fratelli, nella gerarchia, in tu o ciò che cos tuisce i doveri e gli appelli quo diani.
Il momento ecclesiale della conversione, che di solito non è presente all’inizio (almeno quando si tra a di una conversione individuale adulta), a poco a poco diventa cosciente e viene a riempire la vita con l’adesione a una comunità nella quale si riconosce la presenza di Dio.
3.- Il terzo momento del cammino è rappresentato dal Vangelo di Luca e degli A/. Dopo essere entrato nella Chiesa, dopo aver
scoperto con gioia il disegno di salvezza di Dio in Gesù Cristo, ci si chiede e gli altri? E tu o il resto degli uomini? Che cosa posso
fare per loro? Come aiutarli diventando segni di salvezza?
Nasce quel cammino ulteriore che è il bisogno di evangelizzare, con tu e le domande so ese a tale bisogno: che cosa significa
evangelizzare oggi e quale rapporto tra Chiesa e mondo, tra storia della salvezza e storia della società, tra cris anesimo e altre
religioni? Il Vangelo e gli AF ci insegnano a poco a poco a discernere, cos tuendo così un manuale per l’evangelizzatore.
E’ questo anche il momento in cui si avverte più specificamente la necessità di una sistema zzazione teologica, di compiere
delle grandi dis nzioni nelle quali orizzontarsi per capire il tempo presente.
4.- Finalmente il quarto momento della sintesi contempla va a cui ci aiuta il IV vangelo di Giovanni. Il discepolo, che ha percorso tan cammini, che ha imparato molto e ha messo insieme elemen dispara , ricerca l’unità, una sorta di visione unitaria
contempla va, nella quale si riassume il precedente bagaglio in una sintesi più alta e matura. Giovanni ripete i preceF e le indicazioni date dagli altri evangelis , perché gli preme so olineare una cosa sola: che Dio Padre si rivela a noi nel Figlio, che Dio
ha tanto amato il mondo da rivelarsi al mondo nel Figlio.
E’ un tema che viene con nuamente ripetuto, in mille modi, ma, appunto, un tema contempla vo che perme e di cogliere il
mistero di Dio riducendolo a una fondamentale unità.
La maturità cris ana non è propria della prima conversione personale o della conversione ecclesiale o dei primi servizi diaconali
di evangelizzazione, ma di chi, avendo operato una sintesi, è capace di assumersi anche responsabilità di altri.
Se il ba esimo è per eccellenza la tappa della conversione e la confermazione può essere indicata come tappa dell’inserzione
ecclesiale o della pienezza di percezione dello Spirito che fa essere nella Chiesa per un cammino di evangelizzazione, i sacramen del presbiterato e del matrimonio danno, a chi sta avvicinandosi alla maturità della fede, la grazia, la capacità e il potere
di esprimere questa responsabilità anche per altri e di assumerla per una comunità di fedeli o per una comunità familiare.
C’è dunque un rapporto tra queste diverse forme di maturità cris ana e i diversi servizi, i diversi ministeri per i quali il cris ano
è chiamato a passare, siano ministeri ordina o non ordina , come per esempio la catechesi, i ministeri di carità, che corrispondono ai diversi gradi di maturità.
3^ DOMANDA: QUALI SONO LE ARMI DELLA LOTTA SPIRITUALE CONTRO LE TENTAZIONI?
La lo a invisibile si fonda in radice sulla fede nella risurrezione di Gesù Cristo, sulla fede cioè nell’evento pasquale che ha segnato la vi oria defini va sulla morte e su “colui che della morte ha il potere, il diavolo” (Eb 2,14).
Non lo sforzo umano oFene vi oria, ma la grazia di Dio che, a raverso la morte dell’uomo a se stesso, agisce in lui e lo vivifica.
Nessuna presunzione nel combaFmento spirituale: l’unico nostro merito può essere quello di predisporre tu o affinché Dio
agisca in noi. La vita del cris ano può solo essere “vita di conversione in a o”, un con nuo cedere alla grazia che ci aFra e ci
salva; lo Spirito Santo che abita in noi non è solo il maestro di questa lo a, ma è lui stesso a lo are in noi, rinnovando sempre
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la nostra persona affinché possa essere, nonostante le nostre contraddizioni, dimora di Dio (cf. 1 Cor 3,16; 2 Cor 6,16). D’altra
parte, è pur vero che la collaborazione dell’uomo all’azione di Dio è assolutamente necessaria. Tale sinergia tra azione di Dio e
desiderio dell’uomo è ben espressa nelle parole del profeta Geremia: “Guariscimi, Signore, e io sarò guarito, salvami e io sarò
guarito, salvami e io sarò salvato … Fammi ritornare e io ritornerò, perché sei tu il mio Dio” (Ger 17,14; 31,18).
In questa durissima lo a occorre munirsi di armi spirituali (cf. 2 Cor 3,5): “la corazza della fede e della carità e l’elmo della speranza della salvezza” (cf. 1 Ts 5,8). Vi è innanzitu o l’assiduità con la Parola di Dio – “spada dello Spirito” (Ef 6,17) – contenuta
nelle Scri:ure: “la meditazione della Parola di Dio è simile a una tromba che ene il tuo cuore desto per il combaFmento,
affinché tu non dorma mentre il tuo Avversario veglia” (Origene). La pra ca della lec o divina, l’esercizio di meditare e pregare
la Parola, faF con fede, possono ricomporre l’unità del cuore posta in crisi dall’insinuarsi del pensiero malvagio.
Stre amente legate a tale assiduità sono la preghiera e l’invocazione del Signore (cf. Ef 6,12-20; Col 4,12): chiedere il dono di
un “cuore capace di ascolto” (1 Re 3,9) e invocare con umiltà: “Non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal Maligno” (Mt
6,13), sono elemen essenziali della lo a.
Non si potrebbe poi dimen care l’importanza dell’apertura del cuore a un padre spirituale, a chi è più esperto in umanità e in
vita spirituale. E’ puramente illusorio pensare di poter affrontare da soli con successo questa lo a: non ci si può fidare di se
stessi, né tanto meno guidarsi da soli! Affidare a un altro la sugges one, il pensiero, non significa semplicemente sfuggire al
soggeFvismo, ma accedere già a una misura terapeu ca. E’ inoltre un grande a o di umiltà, con cui ci si dispone ad acce are
l’aiuto da chi ha il dono del discernimento.
La lo a richiede inoltre la disponibilità ad acconsen re senza alcuna resistenza alla misericordia di Dio, credendo più a essa che
non all’evidenza di miseria delle nostre vite: mai disperare della misericordia di Dio (cf. Regola di Benede:o IV, 74), delle sue
viscere di misericordia (rachamim: Sal 103,4; Is 54,7; 49,14-15) tenace e paziente per gli umani suoi figli. Non si dimen chi che
la vita cris ana non è un’inarrestabile ascesa verso l’alto, un cammino di perfezione dopo una defini va vi oria sul peccato,
bensì vita di un peccatore perdonato, che ritorna costantemente a mendicare la misericordia di Dio, cadendo e rialzandosi senza fine; essa è l’incessante arte del riprendere la conformità a Cristo, è il costante ricorso al calice del suo sangue che purifica e
perdona i nostri pecca .
Ecco perché, infine, occorre saper fare dell’eucaris a il magistero della lo:a spirituale, l’insegnamento che governa i nostri
rappor con la realtà, con gli altri, con noi stessi e con Dio. La liturgia eucaris ca, canone e regola dell’intera vita cris ana, è
infaF l’evento in cui Dio è adorato e confessato nella sua san tà e in cui, nel contempo, la sua san tà viene comunicata a
quan partecipano a questa azione comune: “il nostro pensiero è in pieno accordo con l’eucaris a e l’eucaris a, a sua volta,
conferma il nostro pensiero” (Ireneo di Lione). Se dunque nella celebrazione dell’eucaris a i cris ani entrano in stre a comunione con la vita stessa del Figlio, fino a divenire il suo corpo nella storia, è fondamentale che essi comprendano in profondità il
significato e le implicazioni contenute nel gesto liturgico: come Gesù ha consegnato e spezzato la sua vita per gli uomini, così
ogni cris ano deve donare la propria vita per i fratelli. A questo livello appare nuovamente con evidenza che nella nostra lo a
sia lui a lo are. Ogni nostra vi oria è solo riflesso della vi oria pasquale di Cristo: egli infaF sa compa re le nostre debolezze,
essendo stato tentato in ogni cosa, come noi, ma senza comme ere peccato (cf. Ef 4,15), e ora “è sempre vivente per intercedere a nostro favore” (Eb 7,25).
4^ DOMANDA: COME IL MINISTERO AFFIDATO ALL’INSEGNANTE DI RELIGIONE STIMOLA LA MATURAZIONE PERSONALE?
Il servizio dell’insegnamento della religione s mola il processo di crescita al quarto livello della maturazione, quella della tappa
giovannea.
1.- Il ministero di insegnante s mola questo processo anzitu o imponendo con forza domande che nascono da situazioni nuove, non previste nella formazione teologica né nell’esperienza precedente. L’insegnante viene così obbligato a una sintesi ulteriore, nell’ambito della maturità raggiunta e con l’aiuto avuto in passato. In proposito possiamo pensare alla presenza dell’Islam in occidente; si tra a di una situazione nuova e la nostra teologia non ci aveva a rezzato ad affrontarla. A mano a mano
che la viviamo e la vivremo, saremo costreF a compiere un tenta vo di sintesi nuova: che cosa significa la religione islamica e
che posto ha nell’economia divina. Come dobbiamo comportarci con i musulmani, come dobbiamo valutare i loro a eggiamen, come dialogare, come respingere, come opporci? E’ dunque s molata una sintesi a livello teore co.
Spesso le sintesi sono suscitate da for domande esistenziali, che teoricamente avevamo sen to e ci pareva di aver risolto.
D’altra parte se non avessimo ques pungoli provvidenziali, ci adegueremmo e non risponderemmo più alle realtà così come si
evolvono.
2.- In secondo luogo l’insegnamento mostra al vivo le nostre lacune ed è quindi uno s molo a recuperare momen perdu
della formazione precedente. Ci sono occasioni e prove che spingono a domandarci: ho fa o davvero nella mia vita una sintesi
contempla va? Ho integrato diverse realtà della fede nella contemplazione del Signore?
Questa messa in luce di una maturazione insufficiente indica che il Signore ci ama e vuole s molare il nostro cammino. Egli, per
amore, è esigente con noi, non si accontenta mai, ci vuole sempre più perfeF e ci pone quindi con nuamente in ques one per
mostrarci quanto ancora ci manca per raggiungere la necessaria maturità.
3.- Il servizio all’insegnamento, infine, s mola il processo di crescita al quarto livello, quello giovanneo, della maturazione cris ana, evidenziando carenze di sintesi vitale. Credevamo di avere tale sintesi, ma quando siamo colpi da una sofferenza, da
una grande prova, oppure quando dobbiamo passare da un po di servizio a un altro, il nostro equilibrio ordinario è sconvolto,
entriamo in confusione e ci accorgiamo che la sintesi spirituale o teologica o didaFca, che pensavamo di avere, ci si sfalda tra
le dita.
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E’ un provvidenziale richiamo non al fa o che ho perduto tu o, ma al fa o che il Signore mi chiama a una sintesi più alta.
La conclusione che possiamo trarre è che c’è veramente, lungo tu a l’esistenza del servizio educa vo, molto bisogno di luoghi,
di persone, di sussidi, di strumen che aiu no i passaggi a nuove sintesi, a elaborare nuove risposte, ad accedere a cerchi più
al di conoscenza.
5^ DOMANDA: A CHE COSA E’ DOVUTA LA DISTANZA TRA “ASSENSO NOZIONALE” E “ASSSENSO REALE” DELLA RADICALITA’
DELLA FEDE? (Henry Newman)
“Appropriazione” significa “fare proprio” un ogge o. In senso morale e spirituale, vuole dire fare diventare propria un’idea, un
ideale, uno s le di vita; par re da una proposta estrinseca e giungere a renderla mia, a fare in modo che nasca da me.
L’uomo può giungere a integrare la verità cris ana nella pienezza della sua personalità; perché molte persone non interiorizzano mai la fede. Il cammino dell’appropriazione non è solo lungo, ma spesso avviene in maniera solo embrionale, non quindi
automa camente e non sempre. La fede diviene assenso reale a raverso un fa coso e lento processo di autotrascendenza
personale cioè il desiderio di auten cità, quel qualcosa dentro di me, che mi spinge ad andare oltre, ad andare sempre più in là.
La distanza tra i due modi di assenso è dunque mo vata dalla necessità di un tempo di maturazione umana.
Numerosi ostacoli impediscono l’”appropriazione”. Ostacoli dell’ambiente spesso sfavorevole; ostacoli cos tui da abitudini
personali caFve oppure semplicemente da pigrizia (non voglia di ragionare, di rifle ere su se stesso, non voglia di compiere la
fa ca di elaborare il conce o); ostacoli dell’inconscio, per cui la persona sa parlare benissimo, è capace di esporre la verità con
chiarezza, ma a un certo punto si accorge che sta recitando, che ripete conceF impara a memoria e che però non ha penetrato, non ha interiorizzato.
Dove sta Dio? Santa Teresa d’Avila nel Libro delle Fondazioni, l’ul ma sua opera, che è una trama di memorie, amicizie, dialoghi, incontri, ha scri o per le sue monache: “Dio va fra le pentole, in cucina”. Il Signore dell’universo si muove nella nostra cucina, fra brocche, pentole, stoviglie, casseruole e tegami. Dio in cucina significa portare Dio nel territorio di prossimità. “Oggi,
quando le re e gli strumen della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inaudi , sen amo la sfida di scoprire e trasme:ere la “mis ca del vivere insieme” (n.d.r. la mis ca dell’incontro, della sorellanza e della fratellanza), di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ cao ca che può trasformarsi in una vera
esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio. In questo modo, le maggiori possibilità di comunicazione si tradurranno in maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tu/. Se potessimo seguire questa strada, sarebbe
una cosa tanto buona, tanto risanatrice, tanto liberatrice, tanto generatrice di speranza. Uscire da se stessi per unirsi agli altri fa
bene. Chiudersi in se stessi significa assaggiare l’amaro veleno dell’immanenza e l’umanità avrà la peggio in ogni scelta egois ca che facciamo” (Evangelii Gaudium, n. 87).
Giuliana da Norwich, in una delle visioni, parla di Dio usando l’aggeFvo domes c, familiare, di casa. Se non lo sen domes co,
vicino, di casa e di strada, di tavola e di fa ca, dentro lo splendore del dimesso, non hai ancora trovato il Dio della vita. Sei ancora alla rappresentazione nozionale del Dio della religione. E’ in cucina, in quel luogo che ci ricorda il nostro corpo, il bisogno di
cibo, la lo a per la sopravvivenza, il gusto delle cose buone, i nostri piccoli piaceri, e poi la trasformazione dei doni della terra e
del sole. “La realtà del pane” scrive Luigi Verdi, “Dio sa di pane!”.
CONCLUSIONE: In che cosa consiste allora la “maturità”? Romani Guardini ha scri o: “La maturità è la risultante costante di
con nui squilibri!”
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Unità di apprendimento esemplari
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Desiderio di Spiritualità
QUARESIMA, TEMPO VIVIFICANTE
L’inverno prepara la primavera, il gelo si dischiude in un formicolio di
energie vitali, la Quaresima apre alla Pasqua e alla Pentecoste.
Belle parole, ma per ora noi s amo brancolando nel buio, il cuore avverte un senso di smarrimento con il more che debba durare per
sempre. Eppure c’è chi ha affrontato questo smarrimento prima di noi
e per noi. Gesù ha creduto nella forza vincente della luce. “Se il chicco
di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto fru o” (Gv 12,24), ha de o un giorno per
confortare e incoraggiare; più che una parabola era una profezia: un sepolcro si sarebbe aperto per accogliere il suo corpo affidato come seme alla terra. Veniva sepolta la morte e da lì sarebbe scaturita la vita.
Perché facciamo così tanta fa ca a credere alla realtà del seme che muore e porta vita nuova?
Abbiamo bisogno di imparare nuovamente ad a endere con pazienza, a sperare, a contemplare. Abbiamo bisogno di intuire la
verità, la forza, la bellezza della Parola di Gesù. Abbiamo bisogno di lasciarci confortare dallo sguardo profondo del Padre: “Il
Padre vede nel segreto…”. Lo sguardo del Padre non abbandona mai il seme nascosto. Ce lo ricorderà l’Evento pasquale con
quel corpo di Cristo balzato alla vita dall’oscurità del sepolcro. E l’apostolo Paolo che ci dice: “Non dimen cate: il Cristo è il primogenito di coloro che risuscitano dai mor ; è colui che ha inaugurato per tuF la legge del morire e del risorgere” (cfr. 1Cor
15,20-22). Parafrasando la parola “primogenito” con un’espressione intonata alla primavera, è Cristo la primula che ritrova la
luce e il tepore di una nuova primavera, quella che nessun inverno può cancellare.
C’è il deserto della solitudine e l’inverno degli affeF, la no e oscura della fede e la croce del dolore assurdo. Sono realtà contemporanee, quo diane, concrete che esprimono un linguaggio universale, un linguaggio comune anche a chi si professa credente in Dio. Dobbiamo recuperare altre immagini, immagini che parlano di una vita più forte di ogni des no apparentemente
senza speranza. Pensiamo al passo di Geremia: “Mi fu rivolta questa parola del Signore: ‘Che cosa vedi Geremia? ’ Risposi:
‘Vedo un ramo di mandorlo’. Il Signore soggiunse: ‘Hai visto bene, perché io vigilo sulla mia parola per realizzarla’” (Ger 1,1112). Mandorlo in ebraico significa “io vigilo” perché, a causa della sua precoce fioritura, sembra che in inverno non dorma per
essere il primo ad annunciare la primavera. Il mandorlo per eccellenza, il primo vegliante e il primo risvegliante, è Dio stesso
che sta accanto ad ogni creatura per richiamarla ad una vita nuova. E mandorlo dovrebbe essere ogni credente, un mandorlo
fiorito in mezzo a una società che ancora pa sce i rigori dell’inverno.
In questo siamo aiuta dal Tempo Quaresimale, tempo propizio per rifiorire, per fare pulizia spazzando via paure e tristezze,
inerzie e compromissioni, rassegnazione e pigrizia; tempo per aprire spazi nuovi alla nostra interiorità. All’inizio della Quaresima ecco le parole di Gesù a risvegliarci dal nostro inverno: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; conver tevi e credete
al Vangelo” (Mc 1,15). Le Sue parole sono un invito al cambiamento auten co, in un con nuo processo di rinnovamento che
può e deve essere il motore della nostra vita. Credere al Vangelo significa orientare la propria esistenza al bene. “Misericordia
io voglio e non sacrifici” (Mt 9,13; 12,7). Ciò che Dio chiede è amore per la vita, propria e del prossimo.
La Quaresima non è un tempo di mor ficazioni, ma di vivificazioni.
Per questo l’azione di Gesù non è quella di abba ere l’albero che non porta fru o, ma di concimarlo per dargli nuovo vigore
(cfr. Lc 13,8). Gesù non è venuto a spezzare la canna incrinata o a spegnere la fiamma smorta (cfr. Mt 12,20), ma a liberare
nell’uomo le energie d’amore che sono sopite e fargli scoprire forme inedite, originali e crea ve di perdono, di generosità e di
servizio. E se il nostro è un sì, ci è dato di sperimentare la Pasqua non solo come pienezza della vita del Risorto, ma anche della
nostra vita. “Tu sei grande, Signore, e degno di lode. E l’uomo, una par cella del tuo creato, che si porta a orno il suo des no
mortale, vuole conoscer , per lodar . Ci hai faF per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te” (sant’Agos no).
Una Quaresima viva e vivificante a tuF noi!
A cura di Paola Pietrobelli
Lectio biblica
LE FGHIJEKGLMI NE OI OPIOOG, OQFF’IOIRSGL NG MLOT: QM UERRGML NG FQUG IN LRHJI!
Il tempo forte della Quaresima è l’opportunità propizia che ogni anno la Chiesa ci offre per ripercorrere le nostre scelte e gli orientamen che abbiamo dato alla nostra vita e poter riconoscere il chiaro scuro che sempre ci abita. Non siamo però lascia soli, in questo
difficile cammino verso il nostro in mo, in quanto la liturgia ci dona nutrimento necessario per riportare la giusta luce nelle nostre
tenebre. La Parola allora è la grande protagonista del tempo quaresimale, perché ha lo scopo di narrarci l’esperienza di Dio con l’uomo e le figure bibliche, sopra u o quelle dell’AT, sono immagine di ogni esperienza con Dio. L’emblema an cotestamentario che ci
viene donato come esempio in questo tempo forte è senza dubbio Mosè, la cui esperienza è per eccellenza simbolo della relazione
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con Dio e, guardando lui, possiamo riconoscere il modo con cui Dio oggi ci parla, agisce, si relaziona con ciascuno di noi.
Quando pensiamo a Mosè ci viene subito in mente il passaggio del Mar Rosso e la liberazione dalla schiavitù degli egiziani. La nostra
a enzione invece si volge ad un’altra liberazione che Mosè sperimenta ed è quella da se stesso. L’incontro con il Signore, infaF, lo
libera dalle sue paure, dalle sue aspe a ve e lo rende capace di vivere da uomo libero, in grado di stare in relazione con Dio e giungere a diventare Suo amico. Il percorso di Mosè diventa allora un graduale passaggio dalle tenebre del suo egoismo, alla luce della
relazione vera con il suo Signore, un percorso che dice la natura più profonda dell’evento pasquale e che coinvolge ogni credente di
tuF i luoghi e di tuF i tempi.
Il testo di riferimento che ci guida in questo i nerario è il discorso che il diacono Stefano fa negli AF degli Apostoli (At 7,20-35), poco
prima della sua lapidazione, mostrando in tu e le scri ure e dunque anche in quelle che riguardano il grande liberatore, l’agire di Dio
dalle origini fino all’evento grandioso della risurrezione. Stefano descrive la vita di Mosè suddividendola in periodi di quarant’anni e
riguardo al primo ciclo, me e in evidenza come il suo ascolto nei confron di Dio sia disturbato da alcune interferenze che gli impediscono di riconoscere ed accogliere il proge o che il Signore stesso ha messo nel suo cuore.
La prima indicazione che ci viene data negli AF è che Mosè era molto bello! La bellezza di Mosè ci richiama il testo della Genesi,
quando Dio crea e si compiace di quello che ha creato. C’è una Provvidenza che il testo ci mostra e che precede e accompagna la vita
di Mosè, così come c’è una Provvidenza che precede e accompagna anche la nostra vita: il modo con cui il Signore si è compiaciuto
della nascita di Mosè, è anche il modo con cui si compiace di noi, ricolmandoci di doni. E dunque all’inizio della nostra riflessione risulta fondante riconoscere e rimanere a contemplare con stupore le tante situazioni provvidenziali che hanno cara erizzato la nostra
vita, come necessaria premessa per comprendere il cammino di passaggio dalle tenebre alla luce a cui ognuno di noi è chiamato.
“Mosè venne istruito in tu a la sapienza degli Egiziani…”: al nostro Mosè viene data la migliore formazione, nella migliore scuola del
tempo e la sua bravura gli fa prendere coscienza delle sue qualità. Comincia a pensare che ha qualcosa da dire e da fare e vive l’età
del “ce la faccio da solo”, giudicando tu o secondo il suo modo di vedere, certo di sapere come devono andare le cose! È la prima
interferenza che Mosè sperimenta! E quanto è forte questa interferenza anche nel nostro mondo, nel nostro quo diano, è decisamente una comune esperienza. Nel pieno delle sue forze, Mosè comincia a sen re un forte desiderio nel suo cuore: farsi voce di chi
soffre, di chi vive ingius zie…ma a modo suo! Era forte delle sue idee, delle sue capacità…ma evidentemente la realtà era diversa. Di
conseguenza decide di farsi gius zia da solo e di agire secondo i suoi criteri. E siamo alla seconda interferenza, che non è meno rilevante della prima nel nostro ordinario contesto!
Di fronte alla realtà, Mosè si spaventa! Le circostanze lo sorprendono, la paura lo disarma ed egli si trova alle prese con la terza interferenza! Davan a una situazione diversa da quella che si aspe ava: l’essere riconosciuto come un assassino, Mosè non trova altra
soluzione che scappare…con tu o il carico di delusione che questo comporta! La paura è la grande protagonista di questo periodo
della sua vita che gli consiglia l’unica soluzione che vede, ossia la fuga. La paura è anche la grande dominatrice del nostro oggi, fa o
di con nuo terrore di perdere quello che consideriamo fondamentale per la nostra vita e che ci suggerisce un’unica strada: la fuga,
fuga dalle responsabilità, fuga dai legami, fuga da tu o quello che ci chiede di prendere posizione. In preda al panico, Mosè si rifugia
nella terra di Madian dove, ci dice il testo, ha due figli. Questa indicazione che in verità a noi può sembrare banale, ci dà invece una
no zia molto importante: egli si è accomodato, si è rassegnato, ha deciso che in fondo non era capace di portare avan i grandi ideali
che aveva nel cuore e si è arreso! Sembra di sen re l’eco di tan nostri discorsi: “ma chi ce lo fa fare…! Non ne vale la pena…! È troppo fa coso…e poi cosa ci guadagniamo? Tanto non serve a nulla: non cambierà mai niente!”. È la dramma ca condizione di tan nostri creden …e forse anche la nostra. Ma Dio non si rassegna e quello che poteva sembrare agli occhi umani un des no ormai segnato, diventa il luogo dell’esplosione di luce. Sì, perché la luce esplode proprio nelle tenebre, nelle nostre tenebre!
“C’è un momento in cui l’uomo giunge a riconoscere che niente lo soddisfa davvero, che tuF i suoi metodi, tu e le sue esperienze,
tu e le sue speranze lo hanno soddisfa o solo fino a un certo punto: rimane ancora un vuoto, un vuoto che soltanto Dio può colmare. È un’esperienza che non si fa quando ancora le cose si accavallano una sull’altra e si con nua a sperare che ciascuna di esse riempia quel vuoto. Ma quando sopravviene lo scacco, allora ci si viene a trovare in quello stato di a esa e di vigilanza che fu lo stato di
Mosè per 40 anni.” (Card. C. M. Mar ni). “Mentre Mosè stava pascolando il gregge… arrivò al monte di Dio, l'Oreb” (Es 3,1): Dio ha
aspe ato che Mosè raggiungesse proprio questo punto per farsi presente…Dio lo sta aspe ando proprio in quel roveto, dove forse
l’insoddisfazione di una vita ormai rassegnata, o la frenesia del lavoro sfrenato che facesse dimen care il resto, lo avevano condo o!
Il primo a eggiamento di Mosè è la meraviglia! C’è tu a la grandezza di Mosè in questa indicazione: è lontano da casa, lontano dai
suoi ideali, lontano da tu o…eppure non ha dimen cato la meraviglia, non ha permesso che il suo cuore si atrofizzasse…Mosè è ancora capace di meravigliarsi! Questo è anche il nostro segreto: essere capaci di meravigliarci. Non a caso il Signore ci chiede di diventare come bambini, proprio perché la meraviglia è l’unico canale capace di farci riconoscere che Dio è all’opera nel nostro mondo,
nella nostra vita. “Io sono il Dio dei tuoi padri, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe ". Dio raggiunge Mosè nel suo deserto, nel
luogo dove ormai pensava di essere solo, lontano dal suo Dio…Dio lo raggiunge proprio dove lui mai si sarebbe aspe ato! Questo è il
nostro Dio! “Togli i sandali dai piedi, perché il luogo in cui stai è terra santa. Mosè è invitato a togliere i sandali della sua idea di Dio:
la Sua vera iden tà è Emmanuele, Dio con noi! È questo il punto di arrivo di tu o il cammino di Mosè e il punto di arrivo di ciascuno
di noi. A questo punto cosa succede? Dio dice: «Ora, va’…». Ecco come agisce l’educazione divina! “Una volta che Mosè si è purificato dalla propria presunzione di salvare gli Israeli , una volta che si è reso sensibile alla realtà vera delle cose, ecco che Iddio lo rimanda, come se niente fosse, come se mai avesse fallito. Dio gli ridà la piena fiducia: «Io mando dal faraone». Mosè si sente ripreso
completamente in mano da Dio e rimandato non per opera sua, ma per l’opera di Dio” (Card. C. M. Mar ni). È questa la luce alla quale il Signore vuole condurre anche noi alla fine di questo nuovo percorso quaresimale che ci viene offerto e che non ci chiude in noi
stessi, ma ci invita ad andare a quan ancora non conoscono il vero volto di questo nostro Dio.
A cura di Suor Anna Cipro
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Appuntamenti formativi
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Ciak
SOLE ALTO
Titolo originale: Zvizdan; regia e sceneggiatura: Dalibor Matanić; fotografia: Marko Brdar;
montaggio: Tomislav Paulic; musiche: Alen e Nenad Sinkauz; scenografia: Mladen Ozbolt;
costumi: Ana Savic Gecan; interpre : Tihana Lazović, Goran Marković, Nives Ivanković, Dado
Cosić, S pe Radoja, Trpimir Jurkić, Mira Banjac; distribuzione: Tucker Film; durata: 123’; origine: Croazia/Slovenia/Serbia, 2015.
Il regista Dalibor Matanić è nato a Zagabria il 21 gennaio 1975. Qui si è diplomato in regia
all’Accademia d’arte dramma ca e, a soli quarant’anni, ha già realizzato numerosi lungometraggi. Sole alto (il cui tolo originale è Zvizdan, le eralmente lo zenit) è stato la rivelazione
dello scorso Fes val di Cannes (Prix du Jury nella sezione “Un certain Regard”), candidato al
Lux Prize e scelto dalla Croazia per la corsa all’Oscar. Inoltre è stato il film inaugurale del Trieste Film Fes val.
Il film è cos tuito da tre vicende. Tu e e tre sono ambientate negli stessi luoghi, due villaggi
dei Balcani dove si fronteggiano serbi e croa , ma in tre epoche diverse, il 1991, il 2001 e il 2011. Sono tre storie d’amore che
diventano lo specchio della dramma ca situazione dell’ex Iugoslavia dove l’intolleranza e l’odio etnico hanno provocato tragedie che rischiano di perpetuarsi nel tempo.
Prima vicenda: Yelena e Ivan, 1991. Lei è una ragazza serba, lui è croato. Sono due giovani che si amano e che hanno deciso
di rifugiarsi a Zagabria per vivere il loro amore lontano dal clima di tensione che si respira nei loro villaggi. Ma le loro famiglie
sono decisamente contrarie. In modo par colare il fratello di Yelena, Sasa, che è stato arruolato nell’esercito serbo che si sta
preparando alla guerra, non acce a che sua sorella ami un ragazzo di un’altra etnia. Quando scopre che i due stanno per fuggire insieme, interviene con la forza e riporta a casa la sorella. Ivan li insegue, ma quando arriva davan ad un posto di blocco, in
seguito ad un diverbio, viene ucciso da un militare serbo. A Yelena non resta che la disperazione per la perdita della persona
amata.
Seconda vicenda: Nataša e Ante, 2001. Nataša e la madre, serbe, fanno ritorno nella loro casa dopo la fine della guerra. La
trovano devastata, ma decidono di riappropriarsene e di farla ristru urare da un ar giano croato, Ante. Ques è un po gen le e rispe oso e instaura un buon rapporto con la madre. Ma Nataša non può sopportarlo perché vede in lui uno di quelli che
hanno ucciso suo fratello Drazen. La sua os lità nei confron del giovane si trasforma poco alla volta in curiosità, in a razione
fisica che sfocia in un rapporto sessuale travolgente e frene co. Ma dopo tale rapporto Nataša prende le distanze da lui. Quando i lavori sono fini , Ante se ne va, lasciando la ragazza, le cui ferite non si sono ancora rimarginate, in una situazione dramma ca.
Terza vicenda: Marija e Luka, 2011. La guerra sembra ormai essere lontana e la vita aver ripreso il suo corso normale. Luka,
un ragazzo croato, si reca con il suo amico Ivno a Spalato. Durante il viaggio i due si fermano nel villaggio na o (lo stesso degli
altri episodi) per partecipare ad una festa, una specie di rave party. Luka, a differenza degli altri giovani che sembrano cercare
solo il diver mento e lo sballo, si porta dentro un peso, un rimorso: quello di aver abbandonato Marija, la sua ragazza serba
dalla quale ha avuto un figlio, su pressione della madre. Dopo essere andato a trovare i genitori, nei cui confron prova un forte risen mento, Luka decide di andare da Marija per chiederle perdono. Vorrebbe tornare a vivere con lei e con il suo bambino, ma la ragazza lo respinge. Dopo aver cercato lo sballo nel rave, Luka ritorna ed esprime tu o il suo pen mento. Solo così si
può aprire la strada del perdono e della riconciliazione.
Il racconto ha una stru ura lineare e presenta le tre vicende in ordine cronologico. Va subito so olineata una felice scelta
espressiva dell’autore: nonostante l’arco temporale in cui si svolgono i faF, Matanić sceglie gli stessi due straordinari giovani
interpre per tu e e tre le storie, costringendo lo spe atore a pensarli come “diversi” (situazioni diverse, tempi diversi, comportamen diversi), ma nel contempo anche “uguali”, ad esprimere una con nuità, pur nella diversità. Una con nuità che diventa elemento universalizzante so o il profilo dell’intolleranza e dell’odio, che producono tragedie difficili da superare. Una
con nuità che viene espressa anche a raverso alcuni elemen narra vi ricorren : innanzitu o gli stessi luoghi (i due villaggi,
uno serbo l’altro croato; il bellissimo lago, nelle cui acque s’immergono – elemento stru urale di grande rilievo – i personaggi;
il chiosco in riva al lago, che diventa punto di ritrovo e segno dei tempi che cambiano; la presenza di animali: gaF, ma sopra u o un cane; perfino di inseF: i ragni, le formiche, le mosche, con in bell’evidenza la pale a di plas ca per ucciderle. È un
microcosmo quello che ci presenta l’autore, teatro di inaudite violenze. Ma è significa vo che il regista non raccon la storia
della guerra civile, con tanto di combaFmen , di mor e di feri , ma raccon tre storie d’amore per far vedere che cos’è che
provoca la guerra e quali sono le conseguenze che ne derivano, nel tempo, sul piano umano, sul piano delle esigenze più profonde degli uomini e delle donne.
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Primo episodio. Le prime immagini del film sono idilliache. Un ragazzo in riva al lago sta suonando la sua tromba, in una pace rasserenante. Accanto a lui compare una ragazza. Sono Ivan e Yelena, due fidanza che hanno deciso di fuggire insieme e di
andare a vivere a Zagabria. I due ridono, scherzano, amoreggiano. Quando arriva un amico di Ivan, Yelena va a fare il bagno nel
lago, mentre i due maschi restano sulla spiaggia a fumare e a chiacchierare. Le immagini subacquee di Yelena assumono un
valore simbolico che ritornerà anche negli episodi successivi: l’acqua sembra assumere un valore catar co, quasi una promessa
di felicità, un suo preludio. Ma ben presto, per contrasto, appaiono delle immagini inquietan . Sono le immagini delle camione e militari che passano e che, anche a livello sonoro, rappresentano l’an tesi a quel momento di serenità e di pace. I tre
giovani, ora insieme, assistono a quel passaggio con apprensione e disgusto.
Poi i due protagonis fanno ritorno alle loro case. Si capisce che lui è croato e lei serba. Yelena, per tornare a casa, deve superare uno sbarramento stradale che divide significa vamente i due villaggi. Con montaggio parallelo l’autore mostra le reazioni
dei loro familiari. Yelena, che è orfana di padre, viene interrogata dalla madre e si scontra con il fratello Sasa, che inveisce contro di lei: «Non ci devi andare più. Vuoi proprio morire prima del tempo? Non lo vedi quello che succede? Bru a deficiente (…)
si scopa un idiota di quelli; sono lo zimbello del paese». Ivan, che ha perso la madre, viene raggiunto al bar dalla vecchia nonna
che si preoccupa per lui: «Stanno arruolando i ragazzi per l’esercito; avevo paura che avessero preso anche te. Tra poco saremo
in guerra». Ivan viene anche rimproverato da un suo amico, più o meno con le stesse mo vazioni usate dal fratello di Yelena:
«Quelli stanno me endo le mine e bloccando le strade e tu vai a scopare nelle loro case». È chiaro che regna un clima di for ssima tensione, che prelude alla guerra civile. Gli “altri”, quelli appartenen ad un’altra etnia vengono vis come nemici
(vengono defini “quelli”) e risulta pertanto inconcepibile che due ragazzi “diversi” si amino.
Yelena si prepara poi per par re e viene a sapere dalla madre che Sasa (che è all’oscuro delle sue intenzioni) è appena stato
arruolato nell’esercito. Ivan intanto si confronta con il padre. Ques si lamenta: «Sul punto di morte ho promesso a tua madre
che avrei badato a te e alla nonna. Tu te ne vai con quella ragazza, la nonna è sempre più rimbambita: io non ce la faccio a starvi dietro». Poi con nua: «Se tua madre sapesse che tu stai insieme con una di quelli si rivolterebbe nella tomba. Sei stupido.
Non te ne accorgi di cosa succede?». Ivan cerca di calmarlo: «Staremo fuori solo fin quando non si calmeranno le acque». Ma il
padre conclude amaramente: «Col c… che si calmano; stanno impazzendo tuF».
Il giorno dopo Yelena prende la valigia e cerca di raggiungere Ivan. Mentre se ne va vede il fratello davan alla tomba del padre. Poi a raversa un ponte (altro elemento simbolico), dove stazionano dei militari, e si reca al chiosco in riva al lago dove c’è
una festa e dove ha appuntamento con Ivan, che suona nella banda musicale con la sua tromba. Ma quando Sasa viene informato dai militari che sua sorella è passata di lì con la valigia, diventa furibondo. Va a casa, prende l’automobile e corre al chiosco. Con la violenza prende la sorella e la porta a casa. Ivan li rincorre, ma, giunto davan al posto di blocco, gli viene impedito
di passare. Il de aglio del filo spinato rende efficacemente la logica che sta prevalendo, quella di tuF i fili spina che dividono
ed escludono. Ivan, esasperato, si me e a suonare la tromba, la sua “arma di pace” che si contrappone alle armi vere, quelle
che uccidono. Ivan e Sasa si affrontano, li gano, si spintonano. Improvvisamente e inaspe atamente un militare spara e uccide
Ivan. Un grande silenzio che avvolge tuF (anche le pecore, in un’immagine par colarmente intensa) lascia il posto allo sgomento di Yelena che, accorsa sul posto, urla disperatamente il suo dolore. L’ul ma immagine è il de aglio della mano di Ivan
che stringe la tromba, ogge o di pace reso inu le dalla logica dell’odio e della guerra che ne consegue.
Tra il primo e il secondo episodio c’è un raccordo rappresentato da una musica e da una canzone roman ca che contrastano
profondamente con le immagini di distruzione, di devastazione, di morte. Si capisce che si è consumata una guerra terribile che
è durata alcuni anni.
Secondo episodio. Nataša è una ragazza serba che, assieme alla madre, fa ritorno nella sua casa dopo tanto tempo. Il villaggio è quello del primo episodio. Le due donne trovano la casa semidistru a («Hanno distru o tu o per diver mento»). Quel
le o matrimoniale bruciato diventa il simbolo di una crudeltà che provoca dolore e risen mento. Nataša avrebbe voluto andare all’estero, ma la madre ha voluto tornare sulla “sua” terra: «Sempre meglio di dove eravamo». Le due donne si recano sul
posto dove c’è la tomba del padre e del fratello di Nataša, Drazen, cui la ragazza era par colarmente legata. Visto che ora c’è la
possibilità di tornare in possesso dei documen catastali che tes moniano la proprietà, la madre decide di far riparare i danni e
dà l’incarico ad Ante, un ragazzo croato serio e gen le. Ma Nataša gli è os le: «Non lo voglio uno di quelli in casa». E quando il
ragazzo inizia i lavori, lei, con la scusa di andare sulla tomba del fratello, si allontana e resta fuori tu o il giorno. La madre vorrebbe invitare Ante a mangiare con loro, ma Nataša glielo proibisce. L’a eggiamento della ragazza nei confron di Ante è cara erizzato da insofferenza e da risen mento. E quando è costre a ad aiutarlo nel suo lavoro, lo fa di malavoglia e poi, rabbiosamente, corre a sdraiarsi in mezzo alle sterpaglie, con le formiche che le corrono su per la mano. La sua reazione diventa violenta quando la madre chiede ad Ante se ha una ragazza. Si capisce allora che forse, accanto all’odio e alla repulsione, in lei c’è
spazio anche per una certa a razione, se non altro sul piano fisico. Ante è un bravo ragazzo: suo padre è stato ucciso e lui ha
smesso di andare a scuola per prendersi cura della madre. Potrebbe essere un buon compagno per lei.
Ed ecco un violento scontro tra madre e figlia. La madre rimprovera Nataša: «È un buon lavoratore Ante, ed è anche una brava
persona. E tu invece compor come una ma a ogni volta che entra. A un uomo così tu e le ragazze correrebbero dietro, e tu
invece sei intra abile». Nataša risponde con veemenza: «Hanno ammazzato Drazen quelli come lui. E per loro è tu o normale.
Ti dovres vergognare. E tu cucini per lui. E poi cosa farai? Lo inviterai a dormire qua? Hanno ucciso tuo figlio laggiù e ora tu sei
loro amica». La madre, piangendo, l’accusa allora di essere un’ingrata schifosa e di pensare solo a se stessa. Più tardi, durante
la no e, Nataša s’avvicina alla madre e le chiede scusa. Le due donne s’abbracciano. Dopo questo li gio le cose incominciano a
cambiare. Nataša avverte sempre più a razione nei confron del giovane, al punto da provare eccitazione. E l’indomani cam28
bia anche a eggiamento nei suoi confron : lo saluta, gli offre da mangiare, lo provoca, e poi gli chiede di accompagnarla in
spiaggia a vedere il chiosco che è stato restaurato. Qui i due giovani fanno il bagno (ancora una volta le immagini subacquee) e
poi finalmente il confronto. Ante ha capito che lei lo ri ene responsabile della morte del fratello, ma riba e: «La tua gente ha
ucciso mio padre, ma io non do la colpa a te».
Il giorno dopo Ante, termina i lavori, sta per andarsene. Ma Nataša lo seduce. C’è una scena di sesso frene co. Ma alla fine, di
fronte al ragazzo che cerca di baciarla, Nataša si so rae e gelidamente afferma: «Abbiamo finito». La ragazza non è capace di
andare oltre l’is nto sessuale, e quando Ante se ne va per sempre, lei resta chiusa nel suo dramma, senza riuscire a sbloccarsi.
L’ul ma immagine è su di lei, ansimante, col volto oscurato, in posizione quasi fetale.
Un altro raccordo collega il secondo al terzo episodio. La musica ora è moderna e ritmata e le immagini, riprese da una macchina in corsa, rappresentano l’epoca della ricostruzione (anche se non manca l’immagine di un cimitero a ricordare tu o quello
che è avvenuto).
Terzo episodio. Luka e il suo amico Ivno stanno andando a Spalato, ospi di un loro amico di università. Ma Ivno vuole fermarsi al paese (il solito paese degli altri episodi) per partecipare ad un rave. Luka sembra contrariato, preferirebbe non fermarsi. Durante il viaggio Ivno dà un passaggio a due ragazze. L’autore so olinea il cambiamento dei tempi: i giovani non vogliono
ricordare e preferiscono darsi al diver mento e allo sballo con l’alcol e le droghe. Ma Luka si porta dentro il peso di un rimorso,
che solo più tardi verrà svelato allo spe atore. Dopo aver ritrovato gli amici di un tempo (sempre nello stesso posto: il lago, il
chiosco, ecc.), Luka decide di andare a trovare i suoi genitori che non vede da tanto tempo. L’incontro è piu osto imbarazzante.
Luka abbraccia il padre ma non fa altre anto con la madre. I genitori gli offrono da mangiare, ma i dialoghi fanno intuire che c’è
qualcosa che non va. La madre infaF gli dice che non deve sen rsi così in colpa; che per lui è stato molto meglio così. Poco alla
volta si viene a sapere che Luka aveva avuto una relazione con una ragazza serba, Marija, dalla quale era nato un figlio. Poi Luka, su pressione della madre, se n’era andato in ci à e aveva abbandonato la ragazza e il bambino. Ecco perché Luka ora prova
un certo as o nei confron dei genitori, sopra u o della madre: «Per questo non torno volen eri». Poco dopo Luka se ne va,
senza avere mangiato niente e senza abbracciare i suoi.
Agli amici che lo cercano, Luka dice che vuole rimanere ancora con i suoi genitori, ma poi, dopo aver rifle uto, prende un’altra
direzione e si reca a casa di Marija. È significa vo che, durante il percorso, venga inquadrata la lapide dov’è sepolto Ivan, il giovane del primo episodio, morto nel 1991. L’incontro tra i due è piu osto burrascoso. Luka dice che gli dispiace, ma Marija riba e: «Ah sì? Ti dispiace. Prima scappi e poi dispiace eh?». Poi inveisce contro la madre di lui che lo ha spinto a fare quella
scelta. Luka la implora: «Io sono qui. Solo questo conta. Non mi importa quello che pensano gli altri. Tu o quello che voglio è
stare qui. E non me ne voglio andare. Voglio stare qui con te. Con voi due». Dopo aver visto e accarezzato il bambino, Luka chiede ripetutamente perdono, ma Marija è irremovibile e lo caccia: «Stai lontano da me; va ene, sparisci. Noi s amo bene così,
sparisci».
Luka si reca al rave dove si droga per cercare di evadere dalla realtà. Dopo alcune ore di sballo, verso maFno, tuF i giovani si
ge ano nel lago. Ancora una volta le immagini subacquee di Luka sono importan : è lì, so ’acqua, che il ragazzo sembra ritrovare la sua donna. InfaF, una volta uscito dall’acqua, quando il sole è ormai alto, Luka, guidato da un cane, ritorna da Marija.
Non una parola in tu o il finale: lui suona e bussa, ma non gli viene aperto. Allora si siede davan alla porta sui gradini, con la
testa bassa. Lei lo vede dalla finestra. Esce e si siede accanto a lui che appoggia la testa sulla sua spalla. I due restano sempre in
silenzio: lei guarda avan , lui cerca un segno di perdono. Poi la ragazza ritorna dentro. Potrebbe chiudersi la porta alle spalle.
Lui si volta e guarda: la porta è rimasta aperta, segno di speranza, della possibilità di perdonare.
Significazione. L’idea centrale del film nasce, naturalmente, dalla somma delle significazioni dei tre episodi. Nel primo episodio,
che avviene prima dello scoppio della guerra, viene so olineato l’odio etnico che porta alla violenza e alla distruzione di ogni
sogno d’amore. Nel secondo, poco dopo la fine della guerra, la violenza che si è compiuta lascia ferite che, nonostante l’a razione e il desiderio, non riescono a rimarginarsi. Nel terzo, dopo vari anni durante i quali si cerca di dimen care a raverso il
diver mento consumis co, permangono la diffidenza e l’intolleranza che portano dolore e sofferenza. Solo con un sincero penmento e con la forza (fa cosa) del perdono si apre la porta alla speranza e alla riconciliazione.
L’idea centrale, pertanto, potrebbe essere formulata in ques termini: l’intolleranza sociale, poli ca, religiosa produce effeF
devastan che si prolungano nel tempo e che possono essere supera solo grazie al pen mento, al perdono e all’amore.
Olinto Brugnoli
COMMISSIONE DIOCESANA PER L’IRC
L’appuntamento è per venerdì 17 marzo p.v., ore 17.00-19.00, presso “Casa Provvidenza” in Contrà S.
Domenico (VI).
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Memorandum
PER CHI SOSTIENE L’ESAME PER LA LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE RELIGIOSE
È tenuto a chiedere alla Segreteria dell’ISSR una dichiarazione del superamento dell’esame e del conseguimento della Laurea,
portarla o inviarla alla Segreteria del nostro Ufficio per una nuova proposta di nomina come incaricato annuale IRC. Successivamente trasme erà copia del documento ufficiale di Laurea per la cartella personale.
VERIFICA DEI TITOLI DI STUDIO
Per tuF, in par colare i nuovi IdR, si consiglia di verificare a entamente il proprio tolo di studio, perché con il primo se embre 2017 si applica l’Intesa DPR 175/12 ... e chi sta terminando, affreF il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze
Religiose o tolo previsto dalla norma va vigente. Grazie!
ERRATA CORRIGE
Nello Speciale IR 178 c’era un errore a p. 2: Charles de Foucauld non è ancora Santo; è stato bea ficato da papa Benede o XVI
il 13 novembre 2005.
VIAGGI ESTIVI
- 15-23 luglio 2017: Viaggio in Germania sulle orme di Lutero e della sua riforma
- 5-12 agosto 2017: Viaggio a Gerusalemme, con la guida del prof. Gianantonio Urbani dello Studium Biblicum Franciscanum
Per informazioni e prenotazioni conta are l’Ufficio Pellegrinaggi (tel. 0444/327146 - [email protected]).
PER LA RUBRICA “BUONE PRATICHE IRC”
Cari colleghi,
è della scorsa estate l’invito/proposta di Don Antonio di aFvare una rubrica sulle buone pra che nel nostro insegnamento. Don Antonio ha chiesto al nostro piccolo gruppo di coordinare e s molare questa rubrica. Ci siamo chies cosa volesse
dire nello specifico e desideriamo condividere con voi le nostre riflessioni.
1. Per prima cosa ogni nostra lezione, ogni ora dovrebbe essere una “buona pra ca”, ma sappiamo tuF che alcune cose funzionano, altre meno. Chi ha esperienza spesso sa già “leggere” la classe o alcuni alunni con poche lezioni, i colleghi meno esper si
trovano spesso a sperimentare e, talvolta, a fallire.
2. Ci sono quindi sicuramente delle “buone pra che”, delle piccole azioni, dei piccoli “trucchi del mes ere” che però fa chiamo
a condividere, dei quali ognuno e ognuna è forse un po' geloso e gelosa.
3. Ecco quindi a formularvi un rinnovato appello a scriverci, anche cose semplici. Sarà poi nostra cura redarre un breve testo,
magari dargli una cornice, accorpare più contribu , etc.
Vi assicuriamo che per noi “nuovi arriva ” sono davvero preziosi consigli, indicazioni, s moli: un ar colo par colarmente
ada o per il dibaFto in classe, un video per aFvare la discussione, delle piccole strategie ado ate. È vero che non sempre una
stessa proposta effe uata da una persone diversa man ene la stessa “potenza”, ma ques primi tempi di esperienza ci dicono
che spesso i consigli dei tutor e dei colleghi, emersi anche nei corsi di aggiornamento e nelle proposte di formazione, sono parcolarmente u li e fru uosi. Vi rinnoviamo quindi i nostri indirizzi mail e il grado scolas co di riferimento e vi invi amo a scriverci.
Grazie!
Dario Zambrini (Scuola Primaria)- [email protected]
Daniela Rigodanzo (SS I grado) - [email protected]
Francesco Maule (SS II grado) – [email protected]
Vita di casa nostra
La nostra collega Lara Scalzeri, assieme al marito Alessio, ci annuncia con gioia che il 10/11/2016 è nata Valen na.
Felicitazioni ai neo genitori e benvenuta alla piccolina!
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