L` imprevedibilità della natura richiede una politica che da sociale

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L` imprevedibilità della natura richiede una politica che da sociale
L’ imprevedibilità della natura richiede una politica che da sociale ed economica
diventi pure più fatto di tecnica e di scienza.
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di Cosimo Nesci
Non c’è dubbio che gli eventi sismici e alluvionali di questo secolo hanno determinato
conseguenze importanti e rilevanti circa il destino di gran parte dell’umanità. Ci siamo trovati
spesso di fronte a fatti che sicuramente non sono nuovi nella storia dell’uomo, il quale da sempre
si districa nel suo rapporto con la natura e le sue imprevedibilità; tuttavia, dovendo difendere la
sua vita facendo i conti con i suoi poteri, fermo restando che non c’è dubbio rispetto al dato che
egli non è onnipotente ed onnipresente, è indispensabile riflettere su come l’uomo deve convivere
con la natura per approfondire i suoi poteri e fronteggiare la eventuale ineluttabilità degli eventi
che si scatenano provocando panico, feriti, morti, distruzione, impotenza e dolore. E sulla sua
strada l’uomo, oggi, nel mentre resta sempre in piedi il dilemma di quanto può lui e quanto invece
è esterno e non governabile, trova una nuova ragione per capire quanto può, quanto deve, quanto
gli compete per affrontare al meglio il suo rapporto con gli eventi non previsti e non
comodamente governabili dalla sua intelligenza. Il sisma abruzzese altrettanto quanto altri che si
sono verificati prima, e in altre parti del mondo: gli tsunami, i movimenti che attengono alla
solidità o meno della terra ed ai suoi ricorrenti sconvolgimenti interni, le sempre più frequenti
tempeste di vento e di acqua, distruttive del lavoro e della creatività umana, ripropongono, oggi
più che mai, il rapporto, appunto, dell’uomo con la natura. E ci impongono di capire bene cosa
fare, come prevenire, come reagire di fronte alle catastrofi inaspettate. Fermo restando che la
scienza per molti fenomeni si dichiara impotente, sorge il dovere di stare con i piedi per terra e
riflettere in termini di praticità e di conoscenza storica dei fatti e degli eventi, facendo ricorso al
bagaglio di memorie ataviche, di saperi e di esperienze. Su cosa si deve ragionare al cospetto degli
eventi che sempre più spesso ci troviamo a fronteggiare? Di sicuro il primo compito dell’uomo è
quello di vagliare le sue possibilità concrete e praticamente sperimentate. Il resto verrà dopo.
Emergono, quindi, le differenze tra conoscenze storicamente accertate, quanto si riesce a capire
dalle novità che si presentano e quali poteri ha l’essere umano, che comunque stanno dentro
l’esercizio della forza, che è la risultante tra poteri naturali e conoscenze. La storia ci insegna che
l’uomo progredisce in continuazione e migliora lo sviluppo delle sue conoscenze. Il suo dovere,
quindi, è di avere da una parte fiducia nella sua capacità, dall’altra la solerzia di affrontare i
problemi man mano che si presentano: oggi quelli che affliggono l’umanità sono particolarmente
gravosi e complessi. E deve affrontarli. Non siamo più al tempo della ineluttabilità degli eventi.
Non siamo di fronte a dati che possano annullare la grande risorsa umana che è la scienza, la
tecnica, il sapere. Per questo, fuori da ogni gioco di parte, il primo dovere dell’uomo è di porsi
“super partes” e fidarsi della scienza e della tecnica che sole possono dare le risposte che si
richiedono di fronte a fatti che possono non avere limiti, possono non avere ancora del tutto
espresso le onnipotenze di cui potrebbero essere dotati. La storia ci insegna, anche, che ci
troviamo non di fronte a possibili diluvi futuri. Oggi ci troviamo di fronte a tempeste, a terremoti,
ad esplosioni della natura umana, che stanno, tutti, dentro limiti di spazio e di tempo. Sono
davanti ai nostri occhi le rovine di Pompei ed Ercolano, le devastazioni prodotte dai vulcani, le
conseguenze di tornado, cicloni, che si presentano, sempre più spesso, tanto in terre ricche e
famose come l’America quanto in terre povere e sconosciute; sappiamo delle devastazioni del
terremoto di Reggio e Messina e dei tanti altri che si sono verificati in altre parti del globo
terrestre. Questo però ci consente anche di vedere il limite chiarissimo degli eventi di fronte ai
quali è acclarato che si può e si deve, appunto, opporre la forza dell’uomo. C’è una grande
polemica politica che, questa sì, ha senso e motivo di esserci, la quale addita visioni di colpe e di
responsabilità di fronte alle morti seminate dalle catastrofi naturali che, se da una parte ci fanno
trovare realtà tragiche, dall’altra ci impongono di reagire e di verificare quanto e come si possono
correggere gli errori degli uomini, della cattiva politica, della speculazione sul territorio. La natura
va protetta difesa, salvaguardata, curata, non aggredita e devastata come si sta facendo per
questioni di guadagni facili per pochi che si ritorcono in danni e morte per molti. Nel caso dei
terremoti, che nella nostra riflessione hanno particolare attenzione, per via dei recenti
avvenimenti in Abruzzo, a noi vicino, per non parlare del Belice, del Vajont, dell’Irpinia, risulta
evidente che alla scienza ed alla tecnica possiamo rivolgerci per frenare, se non proprio per
sconfiggere, la devastazione naturale, per tenere a freno l’ingordigia degli speculatori e per dare
uno scrollone forte alla politica, responsabile maggiore del degrado ambientale da cui nascono o
traggono forza i rivolgimenti della natura. Oggi è presente il dibattito su quando e come avviene
un sisma, sulla potenza delle onde anomale, sui maremoti, sul potere dei venti. E si è di fronte alla
grande attualità della fisica che analizza, approfondisce, affronta il significato e le conseguenze
degli eventi naturali. Si discute per capire se il terremoto è prevedibile, se è nel potere della
scienza attuale operare per difendersi, se siamo in condizione di distinguere tra evento naturale e
responsabilità dell’uomo, quindi della sua politica. Perché la politica non ha solo il compito di
organizzare la società, ma ha anche quello di fare i conti con tutto quanto può incidere sulla vita
umana e sociale. Per questo è in atto la grande questione di quanto s’è fatto o no, per prevenire,
per assicurare la vita degli uomini, la difesa delle città, del loro patrimonio artistico, culturale,
umano. Il nostro contributo alle discussioni di oggi lo vogliamo dare esprimendo, come frutto di
esperienza del nostro lavoro particolarmente interessato al valore della terra e quindi del
territorio, dicendo che pubblici poteri devono maggiormente interessarsi alla luce di quanto
stiamo soffrendo, e per frenare la forza della natura che devasta laddove non c’è virtù a resisterle.
In Giappone, in altre parti della terra, dove la costruzione è più oculata, risposta a eventi
particolarmente disastrosi nel passato, si è dimostrato che l’uomo può opporre grande resistenza.
In Abruzzo, come altrove, s’è evidenziato che le conseguenze degli eventi sono rapportati alla
forza della resistenza. Si misura la forza del terremoto alla luce della scienza, ora è giunta l’ora di
misurare al meglio la capacità di sapere fronteggiare con la corretta gestione del territorio tali
avvenimenti. C’è il problema del soccorso dopo l’evento che, per i fatti di Abruzzo, almeno stante
a quanto fin’ora avvenuto ed a fatti di volontà e di solerzia, possiamo rilevare molto positivo.
Ottimo il lavoro della Protezione Civile, degli aiuti umanitari che si sono moltiplicati con il passare
dei giorni, degli interventi di governo e di tutte le parti sociali che stanno facendo a gara per
aiutare, per intervenire, per ridurre i disagi della sfortunata popolazione del luogo. C’è poi quello
che resta un fatto altrettanto importante, quello della prevenzione, della individuazione della
qualità e quantità di attività per assicurare la salvaguardia della vita umana, sociale e artistica dei
popoli. Per questo poniamo l’attenzione sugli elementi emergenti dai fatti e dai tempi. Sì al
recupero dei beni, alla ricostruzione della città, al recupero possibile delle case, degli edifici
pubblici, delle chiese alla salvaguardia del patrimonio artistico e rurale di tutto questo territorio.
Ma parallelamente occorre guardare all’immediato futuro di tutti noi rilevando che occorre ben
pesare la forza della natura e della capacità dell’uomo. Diciamolo chiaramente: il sisma ha colpito
laddove le case sarebbero crollate come foglie morte perché vecchie, costruite male, non
assicurate da strutture in ferro e cemento. Le devastazioni hanno interessato uffici pubblici su cui
ha gravato la mano della speculazione edilizia, le collusioni tra politica e imprenditoria, tra i diversi
livelli della cattiva politica e della cattiva amministrazione, la politica solo come fattore economico
e sociale, priva di scienza e di tecnica. E’ fuori di dubbio il fatto che una struttura ben progettata,
ben fatta, ben collaudata e, comunque anche più in regola con le norme antisismiche, non sarebbe
crollata e non avrebbe provocato i morti. Da una parte abbiamo avuto un terremoto chiaramente
definito nella sua forza, dall’altra abbiamo visto quanto la miseria della cattiva o povera
costruzione costituiva la sede della dimora sociale. Il terremoto ha devastato quanto era stato
costruito male, quanto era vecchio. Perché non abbiamo ancora la cultura della difesa dagli eventi,
costruiamo male e irresponsabilmente. Dobbiamo, invece, trarre un insegnamento da quanto è
avvenuto.
L’uomo può e deve opporsi agli eventi della natura. A Reggio Calabria, lo dicono tutti, ma anche in
altre realtà particolarmente sismiche, la tragedia sarebbe stata di molto inferiore e i morti si
sarebbero potuti contare sulle dita di una mano. D’altro canto anche recentemente a Reggio si
sono avuti scosse telluriche di notevole entità, come quella del 1975, ma non hanno provocato
nulla oltre che un po’ di paura e di fuga precauzionale dalle proprie case per radunarsi nei grandi
piazzali. La nostra odierna riflessione, quindi, ci porta a ricordare che altri lutti potrebbero
verificarsi se non si fanno interventi seri per risanamenti nell’edilizia abitativa e di sostegno, per
potenziare le strutture, per iniziare una nuova politica che tenga conto delle esigenze dell’uomo
così come del territorio. Intervenire subito, prima che sia troppo tardi, per potere guardare al
futuro con sicurezza e senza doverci sentire colpevoli e corresponsabili. E’ l’ora di una politica
nuova, dove scienza e tecnica facciano la loro parte per andare oltre il passato. Per superare i suoi
limiti già abbondantemente sperimentati.
Cosimo Nesci
Segretario Nazionale Generale FNA