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PARIGI
Il bello del Brut:
i dilettanti sono blue-chips
La Biennale di Venezia è stata solo una delle tappe di un boom inarrestabile. Il mercato, con
quotazioni oltre i 100mila euro, porta alla ribalta l’arte di alienati, carcerati o puri visionari
Christian Berst (nella foto) ha aperto a Parigi la galleria d’arte che porta il suo nome, a due passi dal
Centre Pompidou, nel 2005. È la sola della capitale
specializzata in Art Brut.
Come spiega il crescente interesse del mercato per
questa forma artistica un po’ a parte?
Grazie all’azione congiunta di collettivi, associazioni e
istituzioni, l’Art Brut sta finalmente uscendo dall’ombra in cui la storia dell’arte l’ha a lungo relegata. Bisogna ricordare che Jean Dubuffet e i suoi successori
hanno portato avanti una lotta, quasi politica, contro le istituzioni e le loro sclerosi, finendo col tenere a distanza il mondo dell’arte. È scandaloso che le
istituzioni culturali e museali abbiano ignorato l’Art
Brut per un secolo. È eccitante immaginare che nel
8 IL GIORNALE DELL’ARTE. VERNISSAGE. GENNAIO 2014
che nel segreto della sua camera d’ospedale realizzò centinaia di
acquerelli, è andata all’asta da Christie’s per 145mila euro (era
stimata 15mila-20mila euro). Nel 2012 l’American Folk Art
Museum di New York ha aperto l’Henry Darger Study Center, mentre il Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris vuole
dedicargli un’intera sala. Le tele di Augustine Lesage, molto apprezzate dai Surrealisti, si vendono ormai intorno ai 50mila euro,
mentre le opere di Adolf Wölfli, scoperto da Dubuffet nel ’45,
possono raggiungere in galleria i 100mila euro. Le bamboline di
Morton Bartlett in dieci anni hanno più che raddoppiato il loro
valore e dopo la consacrazione alla Biennale di Venezia si può
immaginare che le gouache di Carlo Zinelli seguiranno lo stesso
andamento. Secondo il gallerista Christian Berst, ad affascinare
collezionisti e pubblico è il fatto che «questi autori sono forse i soli a
illustrare ancora ciò che l’arte non avrebbe mai dovuto perdere: una verità di
fondo, libera dalla volontà di seduzione e di conformarsi al gusto dell’epoca».
Un collage realizzato nel 2010 dall’artista ceco emergente, Lubos
Plny, della galleria Berst, ha di recente integrato la collezione del
Musée d’Art Moderne del Centre Pompidou. La scoperta di
Plny e di un altro creatore ceco, Zdenek Kosek, si deve al collezionista Bruno Decharme, che possiede una delle più grandi
raccolte al mondo di Art Brut, ricca di 4mila pezzi. Il prossimo
ottobre la Maison Rouge di Parigi ne esporrà circa seicento, dedicando la prima grande mostra a questa collezione eccezionale.
«La scoperta della collezione di Jean Dubuffet, negli anni Settanta, è stata
per me una rivelazione, afferma il collezionista. All’università ho por-
XX secolo ci sia ancora un intero universo artistico da
esplorare. Un’emozione paragonabile a quella generata dalla scoperta delle arti dette «primitive» nella
prima metà del ’900.
Come sta evolvendo il mercato?
L’evoluzione è diversa a seconda che si tratti di classici
del XX secolo o di Art Brut contemporanea. La progressione delle quotazioni di autori storici come Adolf
Wölfli, Carlo Zinelli o Aloïse è regolare senza essere
folgorante, ma potrebbe accelerarsi in un futuro prossimo. Mentre le opere di Henry Darger o di Martín
Ramírez, che sono considerate crossover perché attirano tanto collezionisti d’Art Brut quanto collezionisti
d’arte contemporanea, conoscono un’incalzante crescita delle quotazioni.
Chi sono i collezionisti di Art Brut?
Da qualche anno a questa parte si tratta principalmen-
te di collezionisti che provengono dall’arte contemporanea, ma sta emergendo una giovane generazione di compratori attratta da opere che sono
perlopiù rimaste fuori dalle speculazioni del
mercato e restano dunque ancora accessibili.
Siamo di fronte a un fenomeno di moda?
Una moda è qualcosa che appare in un
dato momento per rispondere al gusto di una data società. Non è il caso
dell’Art Brut, che di fatto esiste da
sempre, anche se la si scopre solo
ora. Non si tratta di un fenomeno
circoscritto nel tempo, come non lo
è stata l’arte primitiva, e anzi si può
prevedere che a breve questi creatori
saranno riconosciuti come artisti nel
senso proprio del termine. n L.D.M.
PHOTO PIERRE-EMMANUEL RASTOIN
PHOTO P. BERNARD; © ADAGP/DR
Chi li compra?
PHOTO OLIVIER LAFFELY, ATELIER DE NUMÉRISATION - VILLE DE LAUSANNE COLLECTION DE L’ART BRUT, LAUSANNE
M
otooka Hidenori allinea fino all’ossessione i modelli di
treno che conosce. Auguste Forestier assembla modellini di barche con pezzi di recupero, benché non abbia
mai visto il mare. Willem van Genk mischia collage e pittura per
riprodurre nel dettaglio la metropolitana londinese, mentre Fausto Badari disegna trattori e autobotti con i motori a vista. «Ognuno di questi veicoli rappresenta un passaporto per la libertà», spiega Anic
Zanzi, conservatrice alla Collection de l’Art Brut di Losanna e
curatrice della prima Biennale d’Art Brut che si apre con la mostra «Véhicules» e che fino al 27 aprile riunisce circa 260 opere di
42 autori dedicate a ogni sorta di mezzo di trasporto, dalle bici alle
astronavi. Losanna ha ereditato nel 1971 la collezione dell’artista
Jean Dubuffet, che per primo codificò il concetto di Art Brut.
Nata con 5mila opere, ne conta oggi 60mila. «La nostra intenzione
è dare nuovo risalto e visibilità alla collezione. Di qui l’idea di una grande
esposizione ogni due anni che permetta sia di mostrare sotto nuove prospettive
opere note, sia di allestire opere mai mostrate prima. Si tratta di una Biennale
atipica, senza prestiti esterni», ha precisato la curatrice. Malati mentali, detenuti, marginali, gli autori Brut, detti
anche outsider, sono, senza saperlo, anche
artisti. Le loro «produzioni sono spontanee e
inventive, poco debitrici all’arte convenzionale e
ai luoghi comuni culturali», scriveva Dubuffet
nel 1953. Perlopiù autodidatti, inventano tecniche e creano mondi, restando nell’ombra,
ma talvolta riescono a uscire alla luce del sole.
Lo abbiamo visto come mai prima all’ultima
Biennale di Venezia, che ha fatto del museo
immaginario in forma di Torre di Babele progettato da Marino Auriti il simbolo della
rassegna «Il Palazzo Enciclopedico»,
curata da Massimiliano Gioni. Lo si
è visto anche a Parigi dove, lo scorso
ottobre, si è esportata per la prima volta
la Outsider Art Fair di New York. C’è
chi preferisce chiamarli «autori di Art
Brut», chi non esita a definirli «artisti»,
ma certo è che questi creatori fuori norma stanno vivendo un momento di grazia.
Nel 2013, una gouache di Henry Darger,