Numero 4 - Personali
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AU D I O L O G I A - N E W S L E T T E R Notiziario ufficiale della Società Italiana di Audiologia Direttore: Prof. Antonio Quaranta Volume 7 Redazione: prof. Alessandro Martini, dott. Domenico Leonardo Grasso, dott.ssa Francesca Lanzoni Numero 4 - Anno 2002 Periodico trimestrale - Aut. Trib. di Bari n. 1330 del 18/7/1997 SOCIETÀ ITALIANA DI AUDIOLOGIA Consiglio Direttivo Presidente: prof. Agostino Serra Vice Presidente: prof. Giancarlo Cianfrone Past-President: prof. Giorgio Grisanti Segretario-Tesoriere: prof. Alessandro Martini Consiglieri: prof. Edoardo Arslan dr.ssa Deborah Ballatyne sig.ra Francesca Bellomo prof. Ettore Cassandro sig.ra Cotecchia Tiziana prof. Vieri Galli prof. Oscar Schindler In questo numero: 2. Norme per la preparazione dei manoscritti 3. La rilevazione della preponderanza direzionale assoluta con metodica videonistagmografica (VNG): un significativo indice di compenso funzionale nella diagnostica vestibolare. E. ARMATO, E. FERRI, E. ULMER 10. Determinazione della soglia uditiva mediante ABR e SVR - 1 dati normativi. D. ZANETTI, N. NADER 19. Gli impianti cocleari e retrococleari. Note di elettrofisiologia prostesica. A.A. AZZI 36. Recensioni 1 NORME PER LA PREPARAZIONE DEI MANOSCRITTI AUDIOLOGIA NEWSLETTER, trimestrale, è l’organo ufficale della Società Italiana di Audiologia: La rivista pubblica lavori, su invito ed originali, di interesse audiologico; inoltre pubblica editoriali, recensioni, notizie sindacali, atti ufficiali della Società, ed ogni altra comunicazione di interesse per i soci. I lavori presentati per pubblicazione non devono essere sottoposti contemporaneamente ad altra rivista. Gli articoli pubblicati impegnano esclusivamente la responsabilità degli autori. La proprietà letteraria degli articoli è riservata alla rivista. La pubblicazione dei lavori originali è subordinata ad una revisione redazionale. La proposta di correzioni o di ogni variazione sarà rinviata agli autori. 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Sulla pag.1: titolo in italiano, cognome e nome degli autori, istituto/i di appartenenza degli autori, parole chiave (3-5, indirizzo e numero telefonico dell’autore cui recapitare bozze e comunicazioni. Sulla pagina 2: Riassunto in italiano (150-200 parole) e Riassunto in inglese (150-200 parole), quest’ultimo pre ceduto dal titolo in inglese, cognome ed iniziali degli autori, istituto di appartenenza, e seguito da 3-5 “key words”. Bibliografia: riferita unicamente ai lavori citati nel testo; dovrà riportare, in ordine alfabetico: cognome ed iniziale degli Autori, titolo dell’articolo in lingua originale, titolo della rivista abbreviata secondo il “World Medical Periodical List”, anno di pubblicazione, numero volume, prima ed ultima pagina. Esempi: Articoli su riviste Schuller DE, Parrish RT. Reconstruction of the larynx and trachea. Arch Otolaryngol Head Neck Surg,1988, 114, 278-286. Capitoli su libri o pubblicazioni non periodiche Hartmann WM. Temporal fluctuations and discrimination of spectrally dense signals by uman listeners. In: “Auditory Processing of complex signals”, Yost WA, Watson CS. eds., Hillsdale NJ publ.,1987, 222-250. Illustrazioni: in bianco-nero, in tre copie, numerate progressivamente in numeri arabi, con riportato sul retro, a matita, cognome del primo autore, titolo del lavoro abbreviato, verso superiore della figura. Se sono necessarie figure a colori contattare la tipografia per le modalità di stampa. Tabelle: numerate progressivamente con numeri romani. Didascalie: devono essere chiare e necessarie alla comprensione di figure e tabelle (da evitare il rimando al testo) . Si ricorda che per figure già oggetto di pubblicazione, deve essere citata la fonte, accompagnata dal permesso scritto da parte dell’editore detentore del “copyright”. corrispondenza: prof. ALESSANDRO MARTINI AUDIOLOGIA ARCISPEDALE S. ANNA C.SO GIOVECCA, 203 44100 - FERRARA ABBONAMENTI: La rivista Audiologia-Newsletter è inviata gratuitamente ai soci in regola con il pagamento con la quota annuale. I non soci che desiderassero abbonarsi sono pregati di contattare la segreteria della S.I.A. (Prof. Alessandro Martini, Clinica ORL-Audiologia, Università di Ferrara, Corso Giovecca 203, 44100 Ferrara. Fax: 0532.236887, E-mail: [email protected]). 2 AUDIOLOGIA-NEWSLETTER 7:4 2002, Società Italiana di Audiologia LA RILEVAZIONE DELLA PREPONDERANZA DIREZIONALE ASSOLUTA CON METODICA VIDEONISTAGMOGRAFICA (VNG): UN SIGNIFICATIVO INDICE DI COMPENSO FUNZIONALE NELLA DIAGNOSTICA VESTIBOLARE. Enrico Armato, Emanuele Ferri, Erik Ulmer* Unità Operativa Autonoma di Otorinolaringoiatria – ULSS 13 – Ospedale Civile di DOLO (VE), *Service de Otorhinolaryngologie, Hôpital Nord, Marsiglia (Francia) PAROLE CHIAVE: Preponderanza direzionale assoluta – Compenso vestibolare – Videonistagmografia – Diagnostica vestibolare RIASSUNTO. INTRODUZIONE. In vestibologia, la Preponderanza Direzionale Assoluta (PDA) è l’espressione di una risposta nistagmica asimmetrica evocata da una stimolazione di intensità simmetrica. Le metodiche di registrazione videonistagmografica (VNG) consentono un’adeguata e precisa misurazione di detto parametro in virtù dell’utilizzo delle videocamere ad infrarossi. Il grado di bilanciamento funzionale dei due emisistemi vestibolari deve essere valutato sia in condizioni statiche (esame obiettivo con ricerca dei nistagmi spontanei e rivelati) che dinamiche (prove termiche e rotatorie). Rappresentando un indice di asimmetria della nistagmogenesi, la PDA non pretende di individuare la sede di tale asimmetria, ma consente, soprattutto in condizioni dinamiche, di quantificare con estrema precisione il grado dello scompenso funzionale vestibolare. Tale aspetto è fondamentale sia in campo clinico che medico-legale, dove risulta oltremodo necessario il riferimento ad un “marker” sensibile e significativo di scompenso vestibolare che possa sia monitorizzare l’efficacia dei presidi terapeutici che definire nel tempo lo stato della funzionalità labirintica. La Preponderanza Direzionale (PD) è un parametro che esprime un’asimmetria significativa della risposta nistagmica evocata da una stimolazione di intensità simmetrica. Essa definisce un’alterata funzionalità del sistema dell’equilibrio a livello vestibolare o extravestibolare (centrale, cervicale); tale alterazione coinvolge non solo i recettori dell’orecchio interno ma tutti i costituenti del sistema dell’equilibrio, ovvero i recettori propriocettivi cervicali, i centri nervosi implicati nella nistagmogenesi e la muscolatura estrinseca dell’occhio. E’ un parametro che ha goduto fino ad oggi di scarsa considerazione in quanto, nella metodica di registrazione elettronistagmografica (ENG), risulta pressoché impossibile distinguere movimenti dell’occhio molto lenti dagli artefatti secondari alle derive della tensione di polarizzazione degli elettrodi e/o del potenziale corneo-retinico. Grazie alle attuali metodiche di registrazione videonistagmografica (VNG), in cui gli elettrodi sono stati sostituiti dalle videocamere ad infrarossi, gli artefatti di cui sopra non sussistono più e, di conseguenza, non vi sono limiti inferiori nella precisione con cui si può misurare la velocità della fase lenta del nistagmo. Tradizionalmente la PD viene espressa in percentuale (%) (PD Relativa o PDR), impiegando come parametri o la frequenza del nistagmo (che è indipendente dalla velocità della sua fase lenta) o la velocità della fase lenta del nistagmo (3,4,6,7,9,10). Di recente, l’osservazione di alcune incogruenze concettuali relative all’utilizzo della PDR nelle prove termiche ed in quelle rotatorie ci ha condotto ad una rielaborazione formale e sostanziale del parametro PD. Impiegando come unità di misura quella di una 3 velocità (°/sec), è stato così definito il concetto di PD Assoluta (PDA). Scopo del presente lavoro è quello di enfatizzare l’importanza della PDA nella valutazione dinamica e nel follow-up del paziente vestibulopatico, chiarendo gli aspetti spiccatamente tecnici che conducono alla sua misurazione e fornendo le chiavi di lettura per un corretto inquadramento clinico e topodiagnostico. della fase lenta che li precede, la curva che si ottiene ha una forma esattamente opposta a quella del movimento della testa. Se ad esempio il soggetto è seduto su una poltrona che oscilla sinusoidalmente, con un dato periodo ed una data ampiezza, si otterrà una cumulée di forma sinusoidale avente un periodo identico a quello della poltrona, un’ampiezza dipendente dalla modalità di esame (VVOR, VOR) ed una fase invertita rispetto a quella della poltrona. Infine bisogna ricordare che, sebbene i movimenti oculari reali siano fisiologicamente limitati dalle pareti della cavità orbitaria, l’ampiezza della cumulée non possiede invece alcun limite teorico e può di gran lunga oltrepassare i 360°. Terminata l’acquisizione e selezionata la porzione di curva da analizzare, viene applicata una trasformata di Fourier sia a livello della curva delle velocità dello stimolo che di quella delle velocità della risposta oculomotoria. Tale trasformata consente il riconoscimento di quelle frequenze presenti nel segnale che hanno un’ampiezza significativa, calcolando per ciascuna di esse il guadagno e la fase della risposta. Per il calcolo della PDA è sufficiente ricavare il valore medio della risposta oculomotoria calcolata in termini di velocità. La necessità di esprimere la PD in termini di valore assoluto e non relativo si riferisce, in modo particolare, alle prove rotatorie e termiche, cioè in fase di valutazione dinamica del paziente vertiginoso. TECNICHE DI MISURAZIONE DELLA PDA NELLE PROVE TERMICHE E ROTATORIE. La PDA costituisce una velocità che si somma alla fase lenta del nistagmo che va nel suo stesso verso e che si sottrae alla fase lenta del nistagmo che va nel verso ad essa contrario. La misura precisa della PDA nelle condizioni di qualunque test termico e rotatorio necessita di alcune tappe nell’elaborazione del segnale di posizione dell’occhio fornito dalla videocamera ad infrarosso. A tal fine è stato utilizzato il Sistema Videonistagmografico Ulmer (Synapsys, Marsiglia) (11). Il primo stadio consiste, in tempo reale, nella creazione della “cumulée” delle fasi lente del nistagmo (fig.1). Questo algoritmo offre la peculiarità di non causare uno sfasamento e di essere particolarmente insensibile ad un fisiologico ammiccamento (“blinking”). La reiezione dei saccadici avviene indipendentemente dalla direzione dei medesimi, ovvero in modo egualmente efficace sia che corrispondano alla fase rapida del nistagmo provocato sia che si tratti di saccadici volontari diretti nello stesso senso della fase lenta del nistagmo. Infine, per maggiore accuratezza, i saccadici sono rimpiazzati da interpolazioni che tengono conto non solo della fase lenta precedente ma anche della media tra la fase lenta che precede e quella che segue. PDA VERSUS PDR NELLE PROVE ROTATORIE. Il paziente vestibulopatico con PDA presenta al test rotatorio sinusoidale una risposta nistagmica asimmetrica che determina una cumulata delle fasi lente ad andamento obliquo. Nel caso clinico relativo alla fig. 2, la presenza di un nistagmo spontaneo orizzontale sinistro genera una PDA sinistra. Se si considera che la somma di una sinusoide e di una retta produce ancora una sinusoide ma ad andamento inclinato (fig.3), appare naturale scomporre la cumulata delle fasi lente in due curve distinte: la prima, sinusoidale, che permette di esprimere il guadagno e la fase della risposta vestibolare e la seconda, rettilinea, che consente di misurare l’intensità della PD come pendenza di una retta e quindi come una velocità in °/sec (spazio in gradi in ordinata e tempo in secondi in ascissa). Questo aspetto è di grande rilevanza in quanto sottolinea l’inappropriatezza diagnostica della PDR. Difatti la PDR fonde due fenomeni indipendenti l’uno dall’altro che sono la PD da una parte ed il guadagno (gain) dall’altra. Le modalità di calcolo della PDR, al contrario di quelle della PDA, sono assai sensibili all’intensità della risposta vestibolare per una data stimolazione. L’intensità della risposta vestibolare è correlata sia Fig. 1 - Costruzione della “cumulée” delle fasi lente del nistagmo. Il grafico della cumulée della fase lenta del nistagmo è elaborato grazie ad un procedimento originale del trattamento del segnale in tempo reale. Se si registra il movimento degli occhi e si elabora il segnale di posizione eliminando i saccadici e sostituendo questi ultimi con delle interpolazioni lineari 4 Fig. 2 - Effetti della presenza di un nistagmo spontaneo sulla genesi di una PDA. L’esempio clinico, riportato nella fig. 4, risulta esplicativo di quanto esposto. Inoltre, la PDR risulta inadeguata ed imprecisa a causa di un’intrinseca limitazione nell’ampiezza della sua misurazione. Un palese inconveniente della modalità di calcolo tradizionale è la saturazione della misurazione che non può oltrepassare il 100%. Si constata che, in presenza di una PD, se l’ampiezza della risposta vestibolare è tale da non causare un’inversione del senso del nistagmo, la PDR assume necessariamente un valore del 100%. E’ evidente come la PDA non presenti questo inconveniente essendo perFig. 3 - Effetti della combinazione di una funzione lineare [f(ax)] con una sinufettamente in grado di rivelare le soidale [f(sinx)]: variazioni dell’intensità della PD, che avvenga o meno un’inversione del Ny per-rotatorio. L’esempio clinico, riportato nella fig.5, risulta esplicaall’intensità della stimolazione che la determina sia tivo di quanto esposto. all’entità dell’inibizione corticale. In queste condizioni la PDR può manifestare delle grandi variazioni anche quando la PDA rimane costante. 5 PDA VERSUS PDR NELLE PROVE TERMICHE. La misura della PDR nelle prove termiche non è appropriata in quanto il suo verso corrisponde a quello della stimolazione termica che ha beneficiato della migliore conducibilità termica. Il calcolo tradizionale della PDR è alterato dalla presenza delle cosiddette Preponderanze Termiche che sono inevitabili anche quando si ha la precauzione di irrigare con temperature (calde o fredde) che si discostino simmetricamente rispetto alla temperatura corporea; esse sono legate alle particolari condizioni di conducibilità termica dell’osso temporale di ciascun individuo. La PDR è quindi sensibile all’intensità della preponderanza termica, e tanto più quanto più elevato è il grado dell’ipovalenza. L’esempio clinico, riportato nella fig.6, risulta esplicativo di quanto esposto. Nelle vestibulopatie che si accompagnano al rilievo clinico di un nistagmo spontaneo, il senso della PD è non solo prevedibile ma anche confermato graficamente dal diagramma di Freyss; in questo contesto una pseudo-PD, incoerente perchè di segno opposto al Ny spontaneo, può risultare dall’applicazione della classica formula di Jongkees. Fig. 4 - La PDR è molto sensibile alle variazioni del gain del Riflesso Vestibolo-Oculomotore (VOR). Un paziente, che presenta una PDA d’intensità costante del valore di 5°/sec (retta punteggiata in nero), è sottoposto a 2 tests rotatori pendolari consecutivi: nel primo, in blu, la PDR è del 100% (|10|-|0|)/(|10|+|0|)x100; nel secondo, in rosso, il gain è ora raddoppiato e la PDR passa al 50% (|15|-|-5|)/(|15|+|-5|)x100. Fig. 5: La PDR non fornisce informazioni precise sulla reale evoluzione del compenso vestibolare. In un paziente con un’areflessia labirintica monolaterale acuta: al 2° giorno, in rosso, la PDA è di 10°/sec, e la PDR del 100% (poiché il senso del Ny non si inverte mai); al 10° giorno, in blu, la PDA si è ridotta della metà a 5°/sec, e tuttavia la PDR è sempre del 100% (poiché il senso del Ny non si inverte mai). Tutto ciò ci consente di poter affermare che la misura della PDA è appropriata. Nel diagramma di Freyss (fig.7) il valore assoluto della PD ha un preciso riferimento di carattere geometrico ed è omogeneo, come unità di misura (°/sec), al nistagmo evocato. Nel diagramma di Freyss l’ipovalenza relativa corrisponde all’ascissa (x) dell’incontro dei due segmenti che uniscono i valori delle stimolazioni isotermiche, così come la PD è indicata dall’ordinata (y) del medesimo punto. Risulta perciò evidente come nell’esempio precedentemente riportato il valore della PDA fosse nullo. E’ possibile correggere gli effetti della preponderanza termica sul calcolo della PD in modo da eliminare le incongrenze sopra menzionate. Il segno di somma delle velocità rilevate nelle diverse irrigazioni che determinano nistagmi dello stesso verso è sostituito da quello di moltiplicazione, in base alle considerazioni geometriche originate dal grafico di Freyss: Si ottiene la PDA che ha come unità di misura quella di una velocità. Anche nelle prove termiche, così come è avvenuto per quelle rotatorie, è più conveniente e corretto eliminare l’espressione di una PDR espressa in percentuale. 6 Fig. 6: La PDR è erroneamente identificata con la Preponderanza Termica, che è imprevedibile, inevitabile e non patologica. In un paziente con un’areflessia labirintica destra compensata, sottoposto a prove caloriche bitermiche (grafico di Freyss a sinistra), si osserva quanto segue: la PDA è nulla come previsto, la P. Termica è del 33% fredda, la PDR è del 33% destra. Se procediamo ad analoga prova irrigando con temperature lievemente inferiori rispetto a quelle precedentemente utilizzate (grafico di Freyss a destra), si osserva che: la PDA è sempre nulla, la P. Termica è del 33% calda, la PDR è del 33% sinistra. quarto delle PD osservate non è associato a deficit vestibolari unilaterali. Viceversa l’assenza di PD non esclude la presenza di deficit vestibolari, in base al fatto che circa un terzo dei deficit è compensato, come accade per esempio nei neurinomi dell’VIII nervo cranico. Anche qualora osservazioni cliniche ci consentano di considerare probabile l’origine vestibolare di una PD, la direzione di quest’ultima non permette assolutamente di determinare il lato del labirinto coinvolto (11). D’altro canto, l’osservazione di un valore patologico di PD è per il clinico un dato utile e significativo poiché esso rappresenta un indice obiettivo dell’intensità dei disturbi dell’equilibrio riferiti dal paziente, più che un parametro identificativo topodiagnostico (1,2). Tenuto conto del grado di sensibilità della videonistagmografia (VNG) e della inevitabile presenza di artefatti aleatori, come gli ammiccamenti palpebrali ripetuti o i decentramenti prolungati dello sguardo, è normale rilevare fenomeni di PD non patologici, che si esprimono soprattutto in un’inversione del senso della PD tra un test ed un re-test (12). I valori oltre i quali la PDR diventa patologica sono ben noti (3,4,6,7,9,10). Al fine di stabilire i limiti tra valori patologici e normali della PDA, è stato adottato il criterio della riproducibilità dell’asimmetria delle risposte. In precedenti lavori è stato evidenziato che il senso della PD non può invertirsi da un test all’altro se il valore della PDA è >2°/sec.; di conseguenza, il criterio più sensibile per ritenere una PD significativa è il fatto che questa sia riproducibile e ripetibile nei vari tests. Tutte le PD che oltrepassano la soglia dei 2°/sec soddisfano generalmente il criterio della riproducibilità (11,12). E’ possibile stabilire una scala di intensità della PDA (Tab. I): • Da 0 a 2°/sec., non riproducibile: PD di senso incostante, con andamento casuale. Tale valore è considerato non significativo (PD nulla); • < 2°/sec., ma riproducibile in tutti i tests, sia Fig. 7: Costruzione del diagramma di Freyss e significato delle coordinate dell’intersezione dei segmenti che uniscono i valori delle irrigazioni isotermiche. Legenda: Dc=Destra calda; Df=Destra fredda; Gf=Sinistra fredda; Gc=Sinistra calda. CORRELAZIONI CLINICHE E LIMITI TOPODIAGNOSTICI DELLA PDA. L’espressione di una PD rappresenta un indice di asimmetria della nistagmogenesi, senza tuttavia pretendere di identificare la causa di tale asimmetria. Difatti l’origine di una PD può essere, oltre che vestibolare, anche cervicale e/o centrale (5,8). Tests calorici eseguiti sistematicamente dimostrano che quasi un 7 Tab. I: Correlazione tra valori della PDA e sintomatologia soggettiva del paziente in relazione alle differenti vie vestibolari efferenti implicate. vestibolo-oculare vestibolo-spinale vestibolo-vegetativa vestibolo-corticale PD<2°/sec nessun disturbo nessun disturbo nessun segno nessuna sensazione della visione della marcia o sintomo 2°/sec<PD<5°/sec nessun disturbo instabilità transitoria talora inappetenza vaga insicurezza della visione nell’equilibrio 5°/sec<PD<10°/sec difficoltà nella instabilità persistente nausea senso di fluttuazione fissazione PD>10°/sec instabilità o rotazione instabilità invalidante nausea, vomito, senso di vertigine dell’ambiente sudorazione, pallore PDA e interessamento delle vie vestibolo-vegetativa e vestibolo-corticale risulta meno significativa, in relazione alla notevole variabilità interindividuale. Tuttavia la presenza di una PDA significativa non potrà consentire da sola una precisa diagnosi topografica: è compito del clinico stesso accumulare informazioni nel corso dell’anamnesi e dell’esame vestibolare che permetteranno di identificare l’origine della PD. Essa verrà considerata possibile, probabile o certa a seconda della quantità di indizi significativi e coerenti tra loro che saranno emersi dalla valutazione otoneurologica globale. La scala di intensità della PDA può anche correlarsi al tipo di rilievo clinico (nistagmi spontanei e rivelati) obiettivabile. Infatti, la “Preponderanza Direzionale”, il “nistagmo rivelato” ed il “nistagmo spontaneo” rappresentano espressioni dello sbilanciamento funzionale vestibolare, che si manifestano secondo una progressione che è direttamente correlata alla gravità dello scompenso (11). Perciò: • Una PD di grado lieve (< 2°/sec) é spesso compatibile con un’assenza di nistagmi, sia spontanei che rivelati; • Una PD di grado intermedio (da 2 a 5 °/sec) si accompagna ad un nistagmo spontaneo, ma quest’ultimo è di regola meno intenso; • Una PD di grado elevato (da 5 a 10 °/sec) o molto elevato (> 10 °/sec) è sempre associata ad un nistagmo spontaneo di pari intensità. Non si tratta quindi di tre elementi clinico-strumentali indipendenti. Difatti la pratica clinica vestibologica dimostra che ogni volta che si evidenzia un nistagmo spontaneo, quest’ultimo è sempre associato ad una PD dello stesso senso. Se l’intensità dello spontaneo è di grado lieve (< 2°/sec), l’intensità della PD è di norma superiore; ciò corrisponde ad un’enfatizzazione dei nistagmi spontanei di lieve intensità. In queste condizioni è pertanto logico prevedere che una PD di grado lieve, ma comunque significativo, possa associarsi all’assenza di nistagmi spontanei. E’ possibile, infatti, osservare di regola come il nistagmo spontaneo e la PD decrescano parallelamente con il progredire del compenso fino alla scomparsa del rotatori che calorici. Tale caratteristica è sufficiente a rendere la PD significativa, come abitualmente avviene nelle sequele dei deficit vestibolari periferici, nelle fasi intercritiche della malattia di Ménière e nei pazienti asintomatici (PD di lieve intensità); • Tra 2 e 5°/sec.; a partire da tali valori, l’esperienza dimostra che la PD è sempre riproducibile e si riferisce a pazienti con sintomatologia più marcata, anche se non invalidante, come abitualmente si riscontra nelle sindromi vestibolari deficitarie in via di compenso (PD di media intensità); • Tra 5 e 10°/sec.; tali valori si rapportano a pazienti notevolmente sintomatici, come tipicamente si evidenzia in tutte le vestibulopatie acute esaminate in fase precoce (PD di grave intensità); • > 10°/sec.; tali valori sono riferibili a quadri vestibolari di areflessia acuta in fase iniziale o di crisi menierica in atto (PD di gravissima intensità). L’espressione della PDA permette di rilevare delle interessanti correlazioni tra l’intensità della preponderanza medesima, espressa in gradi al secondo, ed i segni e i sintomi lamentati dal paziente per il coinvolgimento delle 4 vie neurologiche connesse ai nuclei vestibolari (tab. I) (11). Per ciò che concerne la via vestibolo-oculare, l’efficacia dei meccanismi di fissazione visiva è tale per cui solo le PDA > 5°/sec. sono in grado di produrre un disturbo soggettivo della visione; allorquando si raggiungono PDA > 10°/sec. i meccanismi di fissazione visiva risultano totalmente inadeguati e il paziente accusa una marcata sintomatologia vertiginosa oggettiva rotatoria. Tutto ciò giustifica la frequenza di tale correlazione clinico-strumentale nelle sindromi deficitarie acute e nelle canalolitiasi, e la sua rarità o assenza in tutte le altre sindromi vestibolari in cui l’intensità del deficit sensoriale è debole o intermedio oppure di intensità marcata, ma ad evoluzione lenta, come nei neurinomi dell’VIII nervo cranico. Per quanto attiene alla via vestibolo-spinale, si osserva un comportamento analogo alla precedente per effetto dei meccanismi di compenso visivo, esterocettivo e propriocettivo, che risultano inefficaci per valori di PDA > 5°/sec. La correlazione tra valori della 8 primo e con persistenza della seconda (11). In pratica, la PD esprime l’asimmetria funzionale del sistema vestibulo-oculomotorio durante una stimolazione termica o rotatoria, vale a dire in condizioni dinamiche; il nistagmo rivelato esprime questa stessa asimmetria nel periodo che immediatamente segue la stimolazione, vale a dire in condizioni post-dinamiche; il nistagmo spontaneo è l’espressione della stessa asimmetria in assenza di stimolazione, ovvero in condizioni statiche (1,2). In conclusione, poiché la PD compare più precocemente rispetto all’insieme dei nistagmi spontanei e rivelati, essa risulta il più significativo “marker” di scompenso vestibolare; ne consegue inoltre che nello studio della sensibilità al campo gravitazionale dei nistagmi di posizione è conveniente adottare la misura della PD piuttosto di quella del nistagmo essendo la prima più sensibile nello svelare le asimmetrie funzionali. logy of the vestibular system. Davis Company, p. 141, 1990. 4 - Baloh R.W., Halmagyi G.M.: Disorders of the vestibular system. Oxford University Press, p. 208, 1996. 5 - Cartwright A.D., Cremer P.D., Halmagyi G.M., Curthoys I.S.: Isolated directional preponderance of caloric nystagmus: a neural network model. Am J Otol, 21(4): 568-572, 2000. 6 - Dufour A., Mira E., Pignataro O.: Otoneurologia clinica. Centro Ricerche e Studi Amplifon, pp. 116117, 1993. 7 - Furman J.M., Cass S.P.: Balance disorders – a case study approach. Davis Company, pp.15-16, 1996. 8 - Halmagyi G.M., Cremer P.D., Anderson J., Murofushi T., Curthoys I.S.: Isolated directional preponderance of caloric nystagmus: clinical significance. Am J Otol, 21(4): 559-67, 2000. 9 - Jacobson G.P., Newman C.W., Kartush J.K.: Handbook of balance function testing. Mosby Year Book, pp.196-205, 1993. 10 - Shepard N.T., Telian S.A.: Balance disorder patient. 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Acta Otorhinolaryngol Ital, 21(2): 77-86, 2001. 3 - Baloh R.W., Honrubia V.: Clinical neurophysio- 9 AUDIOLOGIA-NEWSLETTER 7:4 2002, Società Italiana di Audiologia DETERMINAZIONE DELLA SOGLIA UDITIVA MEDIANTE ABR E SVR. - 1. DATI NORMATIVI Zanetti Diego, Nassif Nader Clinica Otorinolaringoiatrica - Università di Brescia PAROLE CHIAVE: ricerca di soglia, ABR, SVR RIASSUNTO ABSTRACT Gli Autori hanno inteso analizzare la correlazione tra la soglia tonale psicoacustica e la soglia ottenuta con registrazione delle ABR e delle SVR in un gruppo di soggetti normali, valutando la praticabilità di un test “combinato” per la ricerca della soglia uditiva con metodiche elettrofisiologiche. Quaranta soggetti normoacusici suddivisi per fasce d’età sono stati sottoposti ad esame audiometrico tonale e a registrazione delle ABR con click e delle SVR con tone burst di 0,5-1-2 kHz. Sono stati calcolati i valori medi e le deviazioni standard sia delle soglie ottenute con i tre metodi, sia i valori differenziali tra esse. Nei normoacusici la soglia ABR (media + 2 Dev.Std.), si correla (+6,52 ± 2,5dB) con la soglia psicoacustica media a 2/4 kHz; essa sovrastima la soglia tonale di un valore contenuto entro 12 dB nHL nel 95% dei casi. La soglia SVR risulta pressochè sovrapponibile alla soglia tonale, e, nel gruppo di soggetti di età inferiore a 30 anni, addirittura migliore (- 3,2 dB a 2 kHz); l’SVR dimostra una maggiore accuratezza alle frequenze medie e gravi rispetto all’ABR (differenze medie con soglia psicoacustica +2 Dev.Std. < 5 dB a 0,5kHz; < 4 dB a 1 e 2 kHz). The Authors tested the correlation between the behavioural threshold and that obtained by recording of ABR and SVR in a group of normally hearing subjects stratified by age. Forty subjects underwent threshold-seeking procedures by pure tone audiometry, click-evoked ABR and tone burst-elicited SVR at 0.5-1-2 kHz. Means and standard deviations were calculated for absolute and differential values between the tests. Mean ABR thresholds correlated well (+6,52 ± 2,5dB) with psychoacoustic [average at 2/4 kHz]; ABR overestimates the pure tone threshold within a range of 12 dB nHL in 95% of the cases. Thresholds determined by SVR are comparable with the behavioural ones; in the younger age group (<30 ys), SVR is even better than the subjective perception (- 3,2 dB a 2 kHz). SVR recording seem to be remarkably more accurate than ABR at the lower frequencies (mean differences +2 Std. Dev. < 5 dB at 0,5kHz; < 4 dB at 1 and 2 kHz). Keywords: hearing threshold, ABR, SVR 10 INTRODUZIONE stata utilizzata a scopo audiometrico, ma è tuttora troppo ottimistica la concezione che tale metodica possa fornire un grado di accuratezza assoluta nella determinazione della soglia uditiva in campo medicolegale (33). La registrazione dei potenziali evocati uditivi rappresenta una delle metodiche di indagine obiettiva per la stima della soglia uditiva. La possibilità di predire la soglia con test elettrofisiologici trova dirette applicazioni in campo audiologico infantile, medico-legale, audiologico industriale e psichiatrico. Con questo scopo sono stati utilizzati in letteratura l’elettrococleografia (ECoG), i potenziali uditivi del tronco encefalico (ABR), a latenza media (MLR), e i corticali lenti (SVR). L’EcoG garantisce la maggior accuratezza ma è un metodo invasivo; essa è importante in audiologia infantile ed in particolari patologie (es. malattia di Ménière) in cui sia necessario valutare la funzionalità del recettore, ma non utilizzabile su larga scala come screening o in campo medico-legale. Le ABR hanno dimostrato una notevole validità ma anche una scarsa specificità frequenziale, mentre MLR e SVR appaiono gravate da una ampia dispersione dei valori e da una notevole durata di esecuzione dell’esame. Un’ampia letteratura esiste sull’uso a scopo audiometrico delle ABR, e varie sono state le metodiche proposte per ottenere una specificità di frequenza, con risultati spesso discordanti (13, 14, 31). I potenziali evocati corticali rappresentano la metodica più selettiva in frequenza nella ricostruzione del tracciato audiometrico. Essi possono essere classificati in base alla loro latenza: quelli più precoci comprendono le risposte a latenza media (MLR) registrabili in un periodo compreso tra i potenziali a latenza precoce, come l’ECoG, l’ABR, l’SN10 e la FFR (latenza 0-12 msec) e le risposte corticali lente; hanno latenze comprese tra 10 e 80 ms. I potenziali corticali “lenti” (SVR) hanno latenze comprese tra 50 e 250 ms. La tipica risposta nell’adulto consiste in una piccola deflessione positiva (P1) rispetto all’elettrodo al vertice, situata a 50-75 ms seguita da un’onda molto più grande con deflessione negativa (N1) a 100-150 ms ed un ampio picco positivo (P2) a 175200 ms. Un’ulteriore picco negativo (N2) è solitamente rilevabile intorno a 200- 250 ms, normalmente di ampiezza ridotta nell’adulto, ma può essere anche il più largo potenziale nel bambino. Con la scala lineare l’onda più prominente risulta essere il complesso N1-P2; al diminuire dell’intensità di stimolazione, le altre componenti tendono a scomparire, mentre tale complesso si riduce progressivamente in ampiezza, pur rimanendo riconoscibile fino a valori iuxtaliminari (2). La disposizione degli elettrodi per la registrazione dell’SVR è simile a quella dell’ABR; la morfologia delle onde non varia nella registrazione ipsi- o controlaterale. La metodica risente delle condizioni di esame legate al paziente: l’atteggiamento di “attesa” dello stimolo determina un aumento di ampiezza della componente N1; durante il sonno REM si evidenzia un’amplificazione della componente N2; è nota, infine, l’influenza di farmaci sulla morfologia della risposta (19). L’SVR è MATERIALI E METODI Gli scopi del presente lavoro sono stati i seguenti: a) produrre una normativa della distribuzione dei valori di soglia uditiva (medie e deviazioni standard) ottenibili con la registrazione dei potenziali evocati, in un gruppo campione di soggetti normali collaboranti, suddivisi per fasce d’età; b) paragonare l’accuratezza della misura di soglia ABR ed SVR, confrontandola con la soglia psicoacustica degli stessi soggetti, per valutare l’efficienza e la praticabilità di un metodo combinato ABR + SVR nella determinazione della soglia uditiva, allo scopo di ridurre i tempi di esecuzione del test. La ricerca della soglia uditiva è stata effettuata in 40 soggetti normoacusici suddivisi per fasce d’età (<30 anni: n=20; 31-40 anni: n=10; 41-50 anni: n=10) mediante audiometria tonale, ABR e SVR, per un totale di 80 orecchi esaminati. I candidati sono stati selezionati con una accurata indagine anamnestica volta a rilevare l’assenza di patologia otologica pregressa o di malattie sistemiche potenzialmente lesive per l’apparato uditivo. Un esame obiettivo otorinolaringoiatrico ha escluso alterazioni nella sfera di competenza ed in particolare l’otoscopia stata accuratamente valutata per escludere lesioni pregresse. In tutti i soggetti è stata inoltre eseguita la valutazione della compliance alla membrana timpanica mediante impedenzometria. 1. La soglia psicoacustica è stata ottenuta con i soggetti in condizioni di riposo acustico e all’interno di cabina insonorizzata, mediante l’invio di toni puri di 0.5-1-2-4 kHz, attraverso cuffie TDH-49. In tutti i soggetti è stata rilevata anche la soglia soggettiva di percezione di treni di clicks di 0,1 msec inviati per 3 secondi alla cadenza di 31 pps attraverso cuffie TDH39 collegate allo stimolatore del sistema Amplaid MK12 per la rilevazione dei potenziali uditivi. Allo stesso modo è stata rilevata la soglia per tone bursts di 0.5-1-2 kHz inviati dallo stimolatore del sistema Amplaid; gli stimoli acustici avevano pertanto le stesse caratteristiche spettrali, di durata e di cadenza di ripetizione di quelli impiegati per la registrazione della risposta elettrofisiologica corticale lenta. 2. La rilevazione della soglia ABR è stata effettuata in ambiente insonorizzato e faradizzato mediante strumentazione Amplaid MK12. I parametri della stimolazione e dell’acquisizione sono riportati nella tabella I. La impedenza interelettrodica è stata sempre inferiore a 10 kOhm. Sono stati inviati click non filtrati di 0.1 ms, a polarità alternata con cadenza di stimolazione di 31 pps, ad intensità decrescenti con 11 step di 10 dB, a partire da 120 dB p.e.SPL fino a livello di soglia. Il tempo di analisi è stato di 10 ms, ed il filtraggio possedeva una banda passante di 201500 Hz con pendenza di 24 dB/ottava; la conversione analogico-digitale di 512 punti e 12 bit. Ogni risposta era la media di 2048 epoche. La determinazione del livello di soglia è stato eseguita in base all’analisi delle latenze assolute dell’onda V, in base alla valutazione soggettiva dello shift di latenza dell’onda V conseguente alla riduzione progressiva dell’intensità e mediante metodica test-retest a livello di soglia e a 10 dB SL (figura 1). 3. La rilevazione della soglia SVR sulle singole frequenze di 0.5-1-2 kHz è stata eseguita mediante i parametri riportati nella tabella I. L’analisi dei livelli di soglia è stata effettuata mediante decrementi successivi di 10 dB. Un complesso d’onda riconoscibile per morfologia e latenza delle singole componenti è stato considerato presente quando l’ampiezza della deflessione massima “interpicco” del complesso superava di almeno il 30% l’ampiezza media del rumore di fondo. Il valore di soglia è stato inoltre valutato con metodica test-retest e tenendo conto dello shift di latenza di P2 ed N2, della riduzione di ampiezza e dell’allargamento del complesso N1-P2-N2 in particolare con la riduzione progressiva della pendenza del tratto N1-P2 (figura 2). L’analisi dei tracciati ABR ed SVR è stata eseguita separatamente da due esaminatori ed analizzata poi congiuntamente con discussione dei casi in cui il livello di soglia era di dubbia interpretazione; in tali casi la rilevazione della soglia è stata ripetuta. I valori di soglia così determinati sono stati tabulati come riportato nella tabella II e sono state calcolate le differenze medie e le deviazioni standard in dB nHL tra ABR, SVR e soglia tonale, in modo da ottenersi una valutazione diretta della loro accuratezza, oltre che della dispersione dei valori. Il confronto tra soglia ABR e soglia audiometrica soggettiva è stato effettuato detraendo, dopo l’applicazione del fattore di conversione da dB SPL a dB HL (calcolato in 30 dB), dal valore medio della rilevazione elettrofisiologica il valore medio della soglia psicoacustica alle singole frequenze di 2000 e a 4000 Hz, e, inoltre, i valori ottenuti dalla media delle soglie alle due frequenze 2000-4000 Hz. RISULTATI (tabella II e fig. 3) a) Soglie psicoacustiche: la soglia tonale media è risultata inferiore a 15 dB +/- 5 dB nHL in tutti i soggetti esaminati; nel gruppo di età intermedia, compreso tra i 31 e i 40 anni, sono state rilevate le Fig.1: esempio di ricerca di soglia mediante ABR. Si noti il progressivo aumento delle soglie migliori alle 4 frequenze latenze delle componenti I-III-V e la loro scomparsa al graduale diminuzione delprincipali 0.5 - 1 – 2 – 4 kHz. E’ l’intensità dello stimolo. Tabella I: parametri di stimolazione ed acquisizione dei potenziali evocati uditivi impiegati nel presente studio ABR SVR click 0.1 msec non filtrati tone bursts 0.5-1-2 kHz polarità alternata rise/fall time: 10 msec;plateau 10 msec cadenza: 31 pps cadenza: random configurazione: A1/A2 - Cz - Fpz configurazione: A1/A2- Cz - Fpz n° ripetizioni: 2048 n° ripetizioni: da 50 a 100 tempo di analisi: 10 msec tempo di analisi: 250 msec banda passante: 20-1500 Hz banda passante: 1-30 Hz 12 Tabella II: risultati della rilevazione di soglia psicoacustica ed elettrofisiologica nel campione studiato e tabulazione dei relativi valori differenziali. SOGGETTI NORMOACUSICI (n=80 orecchi) SOGLIA TONALE DIFFERENZE (media+/- d.s.) dB nHL dB nHL 0,5 kHz = 10,16 +/- 2,30 ABR - 2 kHz = 7,52 +/- 1,68 1 kHz = 9,46 +/- 2,32 ABR - 4 kHz = 5,53 +/- 2,31 2 kHz = 9,63 +/- 2,01 ABR - 2/4 kHz= 6,52 +/- 2,5 4 kHz = 11,62 +/- 2,21 ABR = 17,15 +/- 1,35 SVR 0,5 kHz = 11,16 +/- 2,41 SVR - 0,5 kHz = 1,00 +/- 2,05 1 kHz = 11,37 +/- 2,06 SVR - 1 kHz = 1,91 +/- 1,03 2 kHz = 11,56 +/- 1,70 SVR - 2 kHz = 1,94 +/- 0,85 Fig.2: rappresentazione grafica di determinazione di soglia con SVR. Tone burst di 1000 Hz ad intensità decrescente in step di 10 dB HL. Test/retest iuxtaliminare. z z Hz Hz Hz kHz Hz kH k k k kH k 2 4 2 5 / 2 4 1 . -2 -0 R RR - BR RV R V B R V S S A S A AB SV RB A Fig. 3 istogramma della distribuzione delle soglie soggettive ed elettrofisiologiche nel campione studiato (n=80 orecchi normoacusici) 13 Figura 4: correlazione tra soglia ABR e soglie soggettive a 2 e 4kHz R= coefficiente di correlazione (test di regressione lineare) età inferiore a 30 anni (-3,44 dB a 0,5kHz; -2,82 dB a 1kHz; -2,19 dB a 2kHz) , mentre non si discostano in modo significativo dalla soglia psicoacustica negli altri gruppi. Il calcolo statistico del coefficiente di regressione lineare consente di segnalare una migliore correlazione tra soglia SVR e soglia soggettiva a 2000 Hz, mentre a 500 Hz la variabilità è maggiore ( fig. 5). Alla frequenza di 2000 Hz la sovrastima della soglia psicoacustica da parte dell’ABR (in senso peggiorativo), appare più evidente nel gruppo di età inferiore a 30 anni. , mentre oltre i 40 anni le rilevazioni con ABR ed SVR tendono ad equivalersi. DISCUSSIONE Figura 5: correlazione tra soglia SVR alle varie frequenze e soglie soggettive R= coefficiente di correlazione (test di regressione lineare) Varie metodiche sono state proposte in letteratura per la determinazione obiettiva della soglia uditiva (9). L’elevata dispersione dei valori evidenziata dai metodi basati sulle soglie del riflesso stapediale (30) o sull’audiometria vocale, ha fatto sì che tali metodiche fossero soppiantate dalle più moderne tecniche elettrofisiologiche. Le applicazioni nei confronti di soggetti di difficile valutazione audiometrica è evidente: in campo Medico-Legale (16) la risoluzione dei problemi prospettati, ad esempio, dal risarcimento di ipoacusie da trauma acustico cronico (3,5) è strettamente legata alla possibilità di disporre di valori di soglia uditiva confermati obiettivamente, al fine di tradurre il deficit uditivo riscontrato in valutazione percentuale di invalidità permanente indennizzabile. Nonostante un esame audiometrico tradizionale eseguito correttamente rappresenti una tappa tuttora fondamentale per un approccio audiologico adeguato, esistono tuttavia numerose circostanze nelle quali non è possibile attendersi una valida collaborazione da parte del soggetto esaminato, sia per una incapacità del tutto involontaria correlata al suo stato (coesistenza di deficit mentale, ridotta capacità di concentrazione, stato di coma, ecc.) sia per una possibile tendenza cosciente od incosciente ad alterare la risposta stato pertanto verificato il requisito di assoluta normoacusia nel campione di soggetti da esaminare, . b) Soglie ABR: risultano in tutti i casi peggiori della soglia soggettiva, secondo un valore medio tuttavia abbastanza contenuto (6,52 ± 2,5 dB) se confrontate con la media delle soglie soggettive a 2000-4000 Hz, come comunemente riportato in letteratura, mentre la migliore correlazione tra le due soglie si ottiene per la frequenza di 4 kHz in tutti e tre i gruppi di età; i valori si discostano invece maggiormente rispetto alla soglia tonale alla frequenza di 2000 Hz (figura 4). c) Soglie SVR: i valori medi di soglia rilevati mediante SVR alle frequenze 0.5-1-2 kHz sono risultati migliori della soglia psicoacustica nel gruppo di 14 Fig.6: rappresentazione schematica di: A - click filtrato da rumore a banda stretta (C+NBN) e calcolo differenziale mediante metodo delle “bande derivate” (diff ); B - click filtrato + mascheramento con notch a 1000 Hz + tono puro alla medesima frequenza 2) l’accuratezza, che, nel caso specifico, si correla alla distribuzione delle differenze tra le soglie ottenute con i potenziali evocati e le soglie psicoacustiche misurate su una larga popolazione di pazienti e con test ripetuti sullo stesso paziente. La ripetizione immediata della procedura nella stessa seduta e con le stesse modalità di esecuzione (“test+retest”) aumenta in modo significativo la sensibilità dell’esame. 3) la convenienza: per quanto riguarda l’elettrococleografia, essa ha lo svantaggio di essere una metodica invasiva (10); l’ABR è superiore ad MLR ed SVR nella rapidità di esecuzione. 4) la specificità in frequenza; è un aspetto particolarmente importante quando lo scopo dello studio è di riprodurre fedelmente i dettagli del contorno audiometrico. Il click non filtrato, stimolo comunemente utilizzato nella rilevazione dell’ABR, richiede una attività neurale altamente sincronizzata per generare una risposta chiara. La migliore sincronizzazione si ottiene con stimoli a rapido onset, appunto come il click, che essendo, tuttavia, uno stimolo a banda larga, eccita l’intera coclea, risultando pertanto inappropriata per la ricostruzione in frequenza di un audiogramma (11,18,23,26,40). Per aggirare questo ostacolo sono stati adottati metodi “indiretti” che tendono ad evidenziare i contributi derivanti da zone diverse della coclea, utilizzando, contemporaneamente al click, un rumore mascherante sottoposto a particolare filtraggio, così da escludere alcune componenti: metodo delle “bande derivate”; filtri passa-alto; “notched noise” (fig. 6) (13, 14, 27, 31). Sia le MLR che le SVR sono altresì ottenibili con stimoli specifici in frequenza; per l’SVR in particolare impulsi sinusoidali filtrati di lunga durata sotto forma di logon o di burst con “rise/fall times” relativamente brevi rappresentano stimoli adeguati e anche audiogrammi con una caduta sui toni acuti o audiogrammi con un Fig.7 : correlazione tra soglia media ABR e soglia psicoacustica in funzione della frequenza (da Jerger e Mauldin, 1978) dell’esame audiometrico. I potenziali evocati uditivi sono considerati la metodica obiettiva più affidabile nella rilevazione di soglia, seppure gravati da una ampia dispersione delle risposte anche tra i soggetti normali. In particolare, poi, ciascuna metodica dimostra delle limitazioni e dei vantaggi, per cui la selezione di una particolare prova elettrofisiologica deve tenere in considerazione (20) vari fattori: 1) la validità; implica che lo stimolo sia udibile e che la traccia ottenuta dalla registrazione dei potenziali evocati presenti una morfologia identificabile e ripetibile, cosa che può anche non avvenire, per l’ABR, in presenza di lesioni retrococleari. 15 Tab. III: differenze tra soglia ABR e soglia tonale psicoacustica nella letteratura AUTORI ANNO PTA 2-4 KHZ CORRELAZIONE Coats e Martin 1977 10 dB R=0,65 Jerger e Mauldin 1978 ±15 dB R=0,49 Bauch e Olsen 1986 10 dB Van Der Drift et Al., 1987 11 dB Fjermedal e Laukli 1989 10 dB Rance et al. 1995 15-25 dB R=0,93 Errore predittivo si riduce con aumentare dell’ipoacusia Stapells et al. 1995 12 dB a 2 kHz Aoyagi et Al 1999 14 dB a 1-2 kHz riore a +15 dB [tab. III] (12,29). Secondo Solomon (1974), invece, la soglia ABR nell’ambito di frequenze comprese tra 2 e 4 kHz si discosta sensibilmente dalla soglia psicoacustica (in senso peggiorativo), mentre la sua variabilità, indicata dalle deviazioni standard, risulta sovrapponibile a quella dell’SVR; quest’ultima, a sua volta, concorda in modo sensibile con la soglia tonale soggettiva. Nella presente casistica, l’ABR sovrastima la soglia tonale di un valore contenuto entro 12 dB HL nel 95% dei casi (media + 2 SD.), al pari dello studio di Stapells et Al. (1995). L’accuratezza della metodica SVR nella determinazione della soglia uditiva tonale è considerata elevata (tabella IV), con discordanze inferiori a 10 dB in oltre il 90% delle rilevazioni. Hyde e Alberti (1986) segnalano tuttavia che la detezione di onde di morfologia riconoscibile è problematica nel 5% dei casi e attribuiscono tale difficoltà alla presenza, nell’EEG, di attività ritmica di tipo alfa, di frequenza compresa tra 8 e 15 Hz dovuta alle condizioni di esecuzione dell’esame o alle condizioni del paziente. Albera e Coll. (1991) confermano l’osservazione di problemi di detezione del complesso N1P2 nel 22% dei casi, prevalentemente come mancata identificazione di una risposta presente. Appare comunque come criterio valido in campo medico-legale, quello dei 15 dB di notch centrale possono essere riprodotti abbastanza fedelmente (13,21, 25, 41). Uno dei limiti di queste due ultime metodiche è quello di risentire dello stato di veglia/sonno del paziente e dell’effetto di farmaci. Realisticamente, non si può affermare che esista un singolo metodo elettrofisiologico totalmente affidabile per la rilevazione della soglia uditiva umana, ed ulteriori studi devono essere condotti sulle modalità di stimolazione, acquisizione ed interpretazione delle risposte. Gli studi di confronto tra la morfologia dell’audiogramma e le soglie rilevate con l’ABR (68,11,17,21,22,28,32,37,38,42) hanno dimostrato una buona accuratezza, tuttavia non ancora sufficiente per una precisa determinazione frequenziale di soglia in campo medico-legale. Tutti gli studi che utilizzano stimoli specifici in frequenza hanno permesso di concludere che il maggior contributo alla costituzione dell’ABR deriva, con la stimolazione col click, dal giro basale della coclea essenzialmente nella regione compresa tra 2 e 4 kHz [ fig.7] (7,23,24;42). L’ABR permette pertanto di ottenere una indicazione sul livello di soglia uditiva solamente nell’ambito di questa banda di frequenze. Nella letteratura, l’accuratezza dell’ABR ovvero la differenza tra la soglia di detezione della V onda e la soglia psicoacustica è considerata generalmente infe- Tabella IV: correlazione tra soglia SVR e soglia tonale psicoacustica nella letteratura Autori anno differenza note Beagley e Kellog 1969 -3dB sovrapponibile: 81% Davis e Hirsch 1976 2.2 dB età<14 anni Lenzi 1975 +/- 10 dB Rossi et Al. 1984 5,69 dB range +/- 15 dB Hyde et Al. 1986 +/- 10 dB 0,5 kHz (5% errata identificazione) Albera et Al. 1991 <10 dB 22% errata identificazione 16 range alla frequenza di 0.5 e 1 kHz, come suggerito da Rossi e Coll. (1984) e Hyde e Alberti (1986). Nell’ambito della presente ricerca, condotta su soggetti normali, l’SVR appare nettamente più accurata dell’ABR nella rilevazione della soglia, soprattutto nei soggetti più giovani. E’ possibile che fattori inerenti le condizioni di esame, come fenomeni di “training” sia da parte dell’esaminato (nei soggetti giovani), sia da parte dell’esaminatore (riconoscimento dei complessi N1-P2) abbiano un ruolo non secondario nella diversa identificazione della soglia. Riteniamo pertanto fondamentale un adeguato training dell’esaminatore per una corretta conduzione del test. E’ doveroso, inoltre, segnalare che in alcuni casi l’interpretazione della presenza/assenza del complesso N1-P2 ad intensità di stimolazione iuxtaliminari è risultata problematica ed è stato necessario ripetere il test modificando le condizioni di esame (in una seduta successiva). La combinazione di ABR ed SVR alle frequenze 0,5 e 1 kHz [con l’eventuale aggiunta della ricerca di soglia a 2 kHz nei casi con discordanza > 15 dB HL tra soglia tonale ed ABR] sembra fornire, alla luce dei risultati del presente studio normativo, una sufficiente garanzia di accuratezza nella rilevazione obiettiva della soglia uditiva. nostro parere il compromesso ideale per il minimo dispendio di tempo e la sufficiente affidabilità nella valutazione audiometrica obbiettiva. Riservandoci di valutare, nell’ambito di uno studio attualmente in corso, l’influenza di ipoacusie trasmissive e neurosensoriali di varia morfologia audiometrica sull’accuratezza della determinazione di soglia con ABR ed SVR, proponiamo quindi, per l’eventuale applicazione in campo medico-legale, l’utilizzazione dell’ABR come test di routine (accuratezza 12 dB HL a 2 e 4 kHz), integrandola con la registrazione delle SVR sulle frequenze di 0,5 kHz (accuratezza 5 dB) e 2 kHz (accuratezza +/- 7 dB), in particolare nei soggetti con deficit sui toni gravi, in cui l’ABR risulta meno affidabile. BIBLIOGRAFIA 1. Albera R., Canale G., Magnano M., Lacilla M., Morra B., Rugiu R.G., Cortesina G.: “Relazione tra audiometria tonale liminare e potenziali evocati uditivi corticali” ACTA ORL ITAL 11, 551-562 (1991) 2. Albera R., Roberto C., Magnano M., Lacilla M., Morra B., Cortesina G.: “Studio della riconoscibilità della forma d’onda dei potenziali uditivi corticali” ACTA ORL ITAL 11, 543-549 (1991) 3. Almadori G, Ottaviani F, Paludetti G, Rosignoli M, Gallucci M, D’Alatri L, Vergoni G: “Auditory brainstem responses in noise-induced permanent hearing loss” AUDIOLOGY 27:36-41 (1988). 4. Aoyagi M, Suzuki Y, Yokota M, Furuse H, Watanaba T, Ito T: “Reliability of 80-Hz amplitude-modulationfollowing response detected by phase coherence”. Audiol Neurootol 4(1):28-37(1999). 5 Attias J, Pratt H : “Auditory evoked potentials and audiological follow-up of subjects developing noiseinduced permanent threshold shift” AUDIOLOGY 23: 498-508 (1984). 6. Bauch C.D. Olsen W.O. : “The effect of 2000-4000 Hz hearing sensitivity on ABR results.” EAR HEAR 7,314-7 (1986). 7. Beagley, H., and Kellogg, S. E. : “ A comparison of evoked response and subjective auditory thresholds.” INT AUDIOL, 8, 345 (1969). 8. 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A questo scopo abbiamo inteso determinare il rapporto tra soglia soggettiva psicoacustica e soglia SVR ed ABR in un gruppo di soggetti normali suddivisi per fasce d’età, in modo da ottenere valori di riferimento, da applicare poi in un confronto statistico con rilievi di soglia da effettuare su soggetti ipoacusici. Dall’analisi dei dati della presente ricerca emerge quanto segue: Nei soggetti normoacusici la soglia ABR si correla bene (6,52 ± 2,5dB) con la soglia psicoacustica a 2 e 4 kHz; essa sovrastima la soglia tonale di un valore contenuto entro 12 dB HL nel 95% dei casi (media + 2 Dev.Std.), mentre la soglia SVR risulta pressochè sovrapponibile e, nel gruppo di soggetti di età inferiore a 30 anni, addirittura migliore (- 3,2 dB a 2 kHz); 2) L’ SVR dimostra una maggiore accuratezza alle frequenze medie e gravi rispetto all’ABR (differenze medie con soglia psicoacustica +2 Dev.Std. < 5 dB a 0,5kHz; < 4 dB a 1 e 2 kHz) La combinazione delle due metodiche, ABR ed SVR alle frequenze 0.5 ed 1 kHz [con l’eventuale aggiunta della ricerca di soglia a 2 kHz nei casi con discordanza > 15 dB HL tra soglia tonale ed ABR] appare a 17 27. McDonald JM, Shimizu H : “Frequency specificity of the auditory brainstem response” AM J OTOLARYNGOL : 2:36-42 (1981). 28. 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Considering also that the microphonics are present when the hair cells have been totally destroyed and that in the absence of microphonics also the nerve potentials disappear, we believe that the signal radiated by the cochlear implants can take the place of the microphonics in the case they are missing, restoring hearing. Granting this to be true, the speech coding strategies should prove unnecessary: on the contrary the implant should reproduce the signals with the highest possible fidelity, as it is made by the cochlear potentials. An electrode with a single channel could be sufficient. We suppose that the entire population of the hair cells could be able to act like a panoramic receiver and perform in a real time a panoramic plot of the electrical spectrum irradiated in the cochlear fluids by the implant, transmitting it as a global pattern to the brain. ABSTRACT The cochlear implant introduces in the labyrinthine spaces an electric signal supposed to be received by the hair cells. The conviction that the train of impulses emitted by a channel of the electrode can reach the nearest hair cell or nerve termination and there it stops, is erroneous. The ion flux generated by whatever channel not only will alternatively run from one to the other pole many times per second at the rithm of the frequency of the sound, but it also will propagate, for a law well-known in Electrology, all around the tissues existing between the active and the ground electrode. All the cochlear spaces will be therefore invested by a flux of current which will spread everywhere in vertue of the high conductance of the labyrinthine liquids and of the other cochlear structures due to their high content of electrolytes. In other words, due to the very small dimensions of the cochlear structures and their anatomical contiguity and electrical continuity, a signal emitted by the active electrode will reach simultaneously all the hair cells, whatever its frequency or the port of origin should be. But, if all the cells are invested by the electric potentials generated by the implant, which are the factors playing a role in determining the success of it ? We believe that some help to solve this question could be found in the studies of v. Békésy on the “electroanatomy of the cochlea” which is diffusely discussed in this paper. We have also tried, from a purely theoretical point of view, to define the technical features that an ideal implant device should possess for granting the best recovery of hearing. At last we have discussed the question of the nuclear implants, whose results, at the present and from some technical and physiological point of views, seem according to our opinion far from beeing satisfactory. We also report briefly the results of experiments made with tubes of small diameter ( 1 - 2 mm ), 35 mm long, filled with electrolytic fluids, approximately resembling the cochlear partition. When excited with RIASSUNTO L’impianto cocleare immette negli spazi labirintici un segnale elettrico destinato nell’intento del progettista ad agire sulle cellule ciliate o sulle terminazioni nervose superstiti più periferiche. Il convincimento che il flusso di corrente emesso da una porta dell’elettrodo attivo raggiunga un limitato gruppo di cellule ciliate o di terminazioni nervose e qui si fermi è errato. Il flusso di corrente emesso da una qualsiasi porta scorrerà alternativamente tra questa e il polo di massa in maniera continua molte volte al secondo al ritmo della frequenza del suono in arrivo, dffondendosi in tutte le strutture anatomiche comprese tra porta e massa e per prime, per la legge di Ohm, in maniera più intensa 19 nelle strutture labirintiche. Ciò in ragione dell’elevata conduttanza dei liquidi labirintici e per la loro stretta contiguità anatomica e quindi anche elettrica. L’emissione di un segnale elettrico da una o più porte raggiungerà in maniera aspecifica tutte le cellule ciliate o le terminazioni nervose superstiti con il risultato che la stimolazione operata sulle strutture sensoriali dal segnale, qualunque sia la sua frequenza e da qualunque porta esso provenga, sarà simultanea e non tonotopica. La propagazione delle correnti elettriche a tutto l’ambito labirintico è ubiquitaria come risposta a precise e ineluttabili leggi fisiche. Sempre da un punto di vista teorico, a nulla varrà l’aver adottato elettrodi attivi con un alto numero di porte, l’aver scelto dispositivi multicanali, o ancora l’aver adottato sofisticate strategie di codifica dello stimolo sonoro originario o di dislocazione delle porte lungo lo stelo. L’efficacia di un impianto monocanale può prevedersi del tutto equivalente a quella del più comune impianto multicanale. Per quanto concerne le ragioni fisiche che determinano la propagazione delle correnti elettriche all’interno degli spazi labirintici, si ricordano i risultati degli studi sulla “elettroanatomia della coclea” riferiti da v. Békésy e si definiscono con fini puramente euristici le caratteristiche tecniche che un impianto ideale dovrebbe possedere per interpretare correttamente ed utilmente le leggi fisiologiche che reggono il funzionamento della coclea e del nervo. Si discute infine degli impianti tronculari e nucleari la cui efficacia, allo stato attuale della tecnica ed in vista di considerazioni d’ordine sia tecnico sia elettrofisiologico, ci sembra opinabile. Si riportano i risultati di una ricerca sperimentale condotta dall’ A. che ha accertato come colonne liquide elettrolitiche di piccolo diametro, sottoposte a sollecitazioni sonore, manifestino proprietà piezoelettriche e piezoresistive dando luogo a potenziali elettrici del tutto corrispondenti ai caratteri dello stimolo sonoro. Si reputa che fenomeni equivalenti possano manifestarsi all’arrivo dell’onda sonora anche nelle colonne liquide labirintiche, dove tali potenziali potrebbero identificarsi con i ben noti potenziali microfonici cocleari. Contrariamente a quanto comunemente si crede, questi potenziali non sono generati dalle cellule ciliate essendo presenti anche nel caso che queste siano completamente scomparse, ma è tuttavia certo che essi sono indispensabili per la genesi della sensazione acustica: è noto che se i potenziali scompaiono la sordità è totale. Poiché l’impianto cocleare provvede ad immettere nella coclea potenziali elettrici corrispondenti allo stimolo sonoro, si prospetta l’ipotesi che l’impianto serva a rimpiazzare, nei soggetti in cui tali potenziali siano scomparsi o indeboliti per cause patogene, i potenziali mancanti con potenziali artificiali elettricamente equivalenti. Se così fosse, sarebbero inutili le strategie di codifica del segnale attuate dall’impianto, che dovrebbe all’opposto riprodurre il segnale con la più alta fedeltà possibile. Si prospetta altresì l’ipotesi che il segnale elettrico irradiato dall’impianto venga ricevuto direttamente e in tempo reale dalla compagine delle cellule ciliate, ciascuna delle quali è probabile risulti sintonizzata su di una frequenza discreta in virtù di meccanismi elettrochimici di cui oggi si è già iniziato a percepire l’importanza . Il complesso delle cellule ciliate potrebbe in altre parole impersonare un vero e proprio ricevitore panoramico, o meglio un analizzatore di spettro, in grado di inviare ai centri una proiezione globale dello spettro elettrico presente in ogni istante nella coclea. Sotto questo profilo la sopravvivenza di un certo numero di cellule ciliate sembrerebbe necessaria per garantire un minimo di efficacia all’impianto, la cui riuscita potrebbe dunque prevedersi come approssimativamente proporzionale alla quantità di funzione cocleare residua accertata con l’audiogramma. Con la locuzione “impianto cocleare” si denota nell’uso comune sia il ben noto omonimo dispositivo elettronico sia la pratica chirurgica che provvede ad installarlo in soggetti affetti da grave sordità. L’impianto cocleare, inteso come prostesi tecnica, è costituito da un “condizionatore di segnale” (impropriamente designato come “stimolatore”) che, a mezzo di un microfono, provvede a captare la parola dell’ interlocutore e a “condizionarla”, modellandone lo spettro armonico secondo schemi più adatti, si suppone, ad essere percepiti e riconosciuti da taluni degli elementi nervosi dell’apparato uditivo. La parola così ristrutturata viene tradotta in un segnale elettrico che l’ “elettrodo attivo” provvede ad immettere negli spazi cocleari, a fronte di un “elettrodo di riferimento” o “indifferente”, o “di massa”, in genere esterno alla coclea, sul quale il circuito elettrico si chiude. A varia altezza lungo l’asse dell’elettrodo si affacciano numerose “porte”, ossia contatti elettrici da cui fuoriescono le tensioni generate dal condizionatore e ripartite sulle porte in funzione della loro frequenza, secondo un ordine tonotopico che dovrebbe rispecchiare quello con il quale le aree sensoriali cocleari sono distribuite lungo la membrana basilare: le frequenze acute verso il giro basale, quelle gravi verso i giri apicali. Il primo quesito che l’impiego di un impianto cocleare affaccia in eguale misura sia al Tecnico che lo costruisce sia al Medico che lo utilizza riguarda il luogo di suscezione su cui l’anzidetto segnale elettrico va ad indirizzarsi, ossia la struttura anatomica in grado di recepire detto segnale quale che poi sia il 20 FIG. 1.- Raffigurazione schematica dei percorsi delle correnti elettriche indotte nella coclea dall’impianto. In A: il convincimento che il flusso di corrente emesso da una porta dell’elettrodo attivo raggiunga ben definite aree di cellule ciliate e qui si fermi è errato. In B: il flusso di corrente emesso da una qualsiasi porta si propaga a tutto l’ambiente labirintico ed investe all’unisono la totalità delle cellule ciliate e delle relative terminazioni nervose, per chiudersi sull’elettrodo di massa. trattamento che ad esso riserveranno, nei successivi stadi di elaborazione, le vie ed i centri nervosi. spirale prospettato da House [ 19 ] è forse possibile ma difficile da dimostrare. La risposta ad un tale quesito sembra semplice: i “ricevitori” del segnale elettrico scaturito dallo stelo dell’impianto non possono essere che due: a) le cellule ciliate b) le terminazioni nervose cocleari connesse con il ganglio spirale e il primo neurone dell’ VIII. Ammettendo adesso che i recettori cocleari siano in numero sufficiente a consentirci di prevedere, almeno in via ipotetica, una soddisfacente applicabilità dell’impianto, cercheremo di immaginare come essi possano, una volta raggiunti dai segnali della prostesi, estrarre da questi l’informazione che la codifica vi ha racchiuso. Per quanto riguarda le cellule ciliate, la supposizione che su queste si diriga in maniera tonotopicamente discriminata la tensione generata dall’impianto cocleare e che ciascuna di esse, sotto l’impulso dello stimolo elettrico, provveda a ritrasmetterlo alle terminazioni nervose sottostanti, ci sembra non esorbiti dal luogo comune della spiegazione empirica. In più, questa ipotesi semplificatoria ignora del tutto il fondamentale problema della propagazione dello stimolo elettrico nella coclea, richiamato da quei principi generali dell’ Elettrologia che vedremo costituire la chiave di volta di qualunque tentativo di formulazione di una teoria generale dell’impianto cocleare e di conseguenza di una più coerente ed anche più veritiera valutazione dei risultati applicativi di questa tecnica. Ma una eguale cri- Tertium non datur: l’ipotesi che in assenza di strutture sensoriali superstiti a livello dell’organo del Corti i segnali dell’impianto possano direttamente giungere alle fibre del nervo VIII e da qui essere incanalati verso i centri è improponibile. Il linguaggio del nervo è incomprensibile e la sua sintassi impenetrabile, ma è certo che in ogni caso si tratta di un linguaggio infinitamente lontano da quello espresso dall’impianto, qualunque sia la strategia di codifica adottata. A nostro avviso, secondo logica e come meglio diremo in seguito, non vi è nessuna possibilità di comunicazione diretta tra impianto e nervo. D’altronde, nella totale o quasi totale assenza di recettori nervosi specifici, quale altra struttura nell’intero ambito cocleare o retrococleare potrà mai percepire i segnali emessi dall’impianto? L’interessamento del ganglio 21 tica reputiamo legittima nei confronti di alcuni Implantologi, i quali, a quanto personalmente ci consta e perchè la cultura medica, come è ovvio, non ha sufficienti frequentazioni con lo scibile elettrologico, concepiscono le basi tecniche dell’impianto non soltanto in maniera approssimata, ma addirittura totalmente erronea. Vorremmo cercare di chiarire in cosa consista l’errore immaginando di “srotolare” dalla sua configurazione a spirale la partizione cocleare assieme agli annessi dell’organo del Corti, rappresentandola schematicamente come in Fig. 1. Immaginiamo ancora di disporre di fronte ad essa l’elettrodo attivo dell’impianto cocleare anch’esso debitamente raddrizzato, ammettendo in via di ipotesi che tale sia la posizione reciproca della partizione e dell’elettrodo una volta che quest’ultimo sia stato collocato in sito. Ebbene, nell’opinione di alcuni il segnale elettrico uscito dalla “porta” dell’elettrodo è visto come una entità concreta e fisicamente quasi palpabile, una specie di “dardo” che, specifico per ognuna delle frequenze veicolate dall’elettrodo, si proietta sul corrispondente gruppo di cellule tonotopicamente sensibili a tale frequenza, stimolandole ed esaurendosi in tale azione. Quanto questo convincimento sia erroneo e fuorviante, per gli equivoci a cui esso può dar luogo, lo illustra un fondamentale principio della Elettrologia che qui brevemente ricordiamo nella sua generalizzazione biologica: se in un tessuto vitale vengono impiantati due elettrodi connessi con un generatore elettrico, la maggiore densità di ioni, e quindi la maggior intensità di corrente, si riscontrerà nei tessuti che si ritrovano lungo la direttrice che unisce idealmente in linea retta i due poli, ma è anche vero che le correnti sviluppate tra due elettrodi collocati in liquidi o in tessuti conduttivi non si circoscrivono a seguire quel tragitto limitato ed ideale quale potrebbe essere il percorso geometricamente più breve tra polo e polo, ma si propagano in tutti i liquidi e nei tessuti circonvicini ( NOTA 1 in Appendice ). Dopo questa precisazione, risulterà chiaro come l’idea prima ricordata secondo cui gli ioni proiettati dall’elettrodo attivo verso la cellula ciliata la colpiscano come un dardo e qui si fermino è puramente illusoria: la corrente emessa dall’impianto fluttuerà tra questo e l’elettrodo di massa topograficamente lontano, diffondendosi per stretta contiguità anatomica a tutti gli spazi labirintici e creando un campo elettrico percorso dalla corrente come se tra l’uno e l’altro polo esistesse una rete infinita di resistenze in serie-parallelo, il cui valore ohmico sarà tanto più elevato quanto maggiore sia la distanza dai poli e maggiore quindi la loro lunghezza fisica, con l’ovvia proporzionalità delle correnti secondo la legge di Ohm e con le modalità definite dalle leggi di Kirchoff. La corrente degli ioni emessa dall’impianto continuerà dunque senza sosta la sua corsa alternativamente da un polo all’altro, molte volte al secondo al ritmo della frequenza del segnale, investendo e quindi stimolando in maniera aspecifica, indifferentemente dalla loro natura, specificità istologica o vocazione tonotopica, tutte le cellule ciliate e le terminazioni nervose che incontrerà sul suo cammino o in sua vicinanza. E’ dunque vana la speranza di riuscire ad esercitare una stimolazione topograficamente discriminata di determinati gruppi di cellule in funzione della frequenza, distribuendo sapientemente le porte lungo lo stelo dell’impianto, senza provocare la stimolazione di tutte le altre cellule presenti nell’organo del Corti. Potremmo anzi aggiungere che, secondo i principi dell’Acustica fisiologica, con l’uso dell’impianto e qualunque fosse il tipo di messaggio sonoro giunto alla coclea, risultando stimolate simultaneamente tutte le cellule ciliate presenti nella coclea nessuna esclusa il soggetto dovrebbe percepire non un suono ma un rumore. Vedremo in seguito le ragioni per cui un simile catastrofico evento non si verifica e in quale maniera, secondo il nostro giudizio, sia ancora possibile da parte della coclea l’efficace utilizzo dei messaggi elettrici pervenuti dall’impianto. Le considerazioni qui svolte a riguardo delle cellule ciliate possono applicarsi con eguale ragione anche alle terminazioni nervose nel caso si voglia ammettere che esse, da sole o di conserva con le cellule ciliate, siano le destinatarie delle tensioni generate dall’impianto cocleare. Sarà tuttavia molto più arduo, nel loro caso, prospettare ipotesi circa il meccanismo con il quale i segnali elettrici dell’impianto potranno agire sui dendriti terminali: va anzitutto escluso nella maniera più categorica che la ricezione dello stimolo elettrico e la sua trasformazione in impulso nervoso possa avvenire con una azione di depolarizzazione affidata all’ intervento di mediatori chimici o elettrochimici, dato che i tempi entro cui dovrebbero attivarsi e spegnersi le reazioni istochimiche relative sono incompatibili con la rapidità delle oscillazioni pressorie alternative del suono pervenuto al condizionatore. In un suono di 2000 Hz, ad es., il segnale cambia di polarità 4000 volte al secondo: per seguire l’ondulazione pressoria le reazioni anzidette dovrebbero anch’esse verificarsi con lo stesso ritmo e la giunzione dendritica resettarsi chimicamente 4000 volte al secondo, il che è manifestamente impossibile dati i limiti imposti dal periodo refrattario del nervo Anche l’ipotesi che la tensione generata dall’impianto raggiunga direttamente la terminazione nervosa senza l’intervento dei mediatori chimici ci sembra assolutamente improponibile, stante l’enorme diversità nei linguaggi elettrici dell’impianto e del nervo e l’ incolmabile distanza tra i loro algoritmi sistematici. Per tutte le ragioni suesposte, ci sembra necessario concludere che la sola terminazione nervosa non possa da sola costituire il luogo di suscezione dello stimolo elettrico irradiato dall’impianto, ma debba sem- 22 pre avvalersi dell’intervento della cellula ciliata, il cui ruolo, assolutamente indispensabile, dovrà consistere nel ritrasmettere al dendrita lo stimolo elettrico artificialmente indotto nei liquidi labirintici. L’entità anatomofunzionale “cellula ciliata-dendrita” potrebbe impersonare il ruolo di un vero e proprio convertitore analogico-neurale, definizione che per assonanza richiama un dispositivo a funzione in qualche maniera affine e ben noto alle tecniche digitali. Siamo dunque dell’avviso che condizione necessaria prima ancora che sufficiente perché si possa sperare in una soddisfacente riuscita dell’impianto si è che sopravvivano cellule ciliate in numero sufficiente per consentire la percezione, sia pure parziale o imperfetta, dei segnali elettrici in cui l’impianto ha codificato i suoni della parola. Potremmo addirittura affermare che la qualità dei risultati ottenibili da un dato impianto potrà prevedersi come unicamente determinata dalla quantità di udito residuo nelle aree sensoriali deputate alla percezione delle frequenze costituenti la parola. Un semplice audiogramma con toni puri sembrerebbe dunque largamente sufficiente ad accertare se la popolazione delle cellule ciliate non si sia del tutto estinta e se vi sia ancora qualche vestigia di funzione nelle aree tonali prima dette. Il cocleogramma transtimpanico sotto questo profilo ci sembra pleonastico. Sulla base di queste proposizioni, ricordando la ben nota curva di Collard [ NOTA 2 ] che esprime l’importanza percentuale di ciascuna frequenza a determinare l’intelligibilità del parlato, potremmo anche prevedere, almeno in via teorica e nei confronti della parola, gravi difficoltà nel recupero implantologico in quel soggetto in cui il campo audiometrico non vada approssimativamente oltre 500 Hz. L’importanza dei suoni della parola compresi nella gamma al di sotto dei 500 Hz risulta, ai fini dell’intelligibilità, del tutto negligibile, come è ampiamente chiarito dalla Tecnica telefonica. E’ vero che in detto campo cadono generalmente le frequenze proprie dei suoni laringei della fondamentale, ma è anche vero che le formanti, ossia le variazioni di ampiezza che secondo la Teoria dell’ Informazione veicolano la maggior parte dell’informazione stessa, sono essenzialmente appannaggio del campo di frequenza compreso, sempre con una certa approssimazione, dai 1000 ai 3000 Hz. Ci sia consentito a questo proposito di dichiararci fortemente scettici circa possibilità che la mancata percezione delle frequenze nell’ambito critico prima detto possa essere compensata dall’azione vicaria di recettori a diversa collocazione tonotopica D’altronde una simile capacità compensatoria non ci sembra si manifesti in occasione di danni parcellari alla compagine delle cellule ciliate, ai quali consegue immancabilmente un deficit uditivo corrispondente, con perdita irreversibile nelle capacità di articolazione sempre proporzionale al danno audiome- tricamente testimoniabile ( NOTA 3 ). Non in antitesi con i fenomeni genericamente prima contemplati a riguardo della diffusione delle correnti negli elettroliti ma quali corrispondenti nel campo più specifico della funzione labirintica stanno le caratteristiche di risposta elettrica della coclea in funzione della particolare disposizione anatomica che in essa si riconosce: è evidente che una previsione circa l’utilità dell’impianto cocleare ai fini di un possibile anche se parziale recupero di una funzione uditiva soddisfacente potrebbe essere di grandissima importanza pratica ove riuscissimo a stabilire come si propaghino le correnti all’interno degli spazi labirintici. Problema di grande complessità la cui soluzione potrebbe essere prospettata almeno in via teorica solo ove riuscissimo a determinare la geometria elettrica, per così dire, della coclea, ossia disegnare una mappa elettrotopografica delle possibili distribuzioni delle tensioni, delle resistenze e delle capacità nell’ambito elettrico cocleare, individuando i percorsi preferenziali delle correnti tra l’elettrodo attivo e quello indifferente. Potremmo tentare di intravvedere almeno le linee approssimative di una soluzione di questo problema ricordando le ricerche d’indole strettamente elettrofisiologica operate, con procedure sperimentali di sofisticata eleganza tecnica, da v. Békésy [ 4 ], il quale, definiti sperimentalmente taluni dei parametri elettrici della funzione labirintica, ha tentato di gettare le basi di quella che Egli ha chiamato “elettroanatomia” della coclea, ossia di un corpo di dottrina destinato, ne siamo convinti, a divenire un capitolo predominante della moderna Fisiologia cocleare. Le ricerche di v. Békésy hanno tenuto conto del fatto che il labirinto è composto da un gran numero di membrane e cavità ripiene di liquido che rendono arduo lo studio della distribuzione delle correnti a causa delle variazioni imprevedibili nella resistenza dei singoli componenti. La ricerca ha quindi dovuto articolarsi su una serie di studi apparentemente distinti a seconda dei parametri esaminati, ma tutti riuniti sotto il comune denominatore di una realtà elettrologica che, anche se denunciata dalla presenza di campi elettrici cocleari di tipo diverso (potenziali microfonici, potenziali a corrente continua (d-c potentials), potenziali del nervo), non può che riconoscersi in una matrice anatomica unitaria. I risultati di talune di queste ricerche crediamo rivestano un notevole interesse per l’Implantologo, al quale potrebbero fornire la chiave di interpretazione dei fenomeni elettrici che si crede siano alla base del funzionamento dell’impianto e ne determinino l’utilità. Riassumiamo in brevissima sintesi i risultati degli studi qui detti: a) Le membrane attive e vitali presenti negli spazi cocleari non influiscono in maniera cospicua sulla resistenza ohmica totale degli spazi cocleari, i cui 23 valori resistivi sono essenzialmente determinati dalla colonna dei liquidi e dalle cellule di supporto dell’organo del Corti. b) L’impedenza elettrica della coclea non manifesta alcuna partecipazione di componenti capacitive: il carico è puramente resistivo. Stimoli alternativi come i segnali immessi negli spazi cocleari con l’impianto non dovrebbero dunque subire, diciamo noi, distorsioni di alcun tipo né tantomeno distorsioni di fase ma solo una attenuazione dissipativa. c) Le pareti ossee della coclea dimostrano di possedere discrete caratteristiche isolanti. d) Date le qui dette proprietà isolanti della capsula ossea labirintica, quella che potremmo chiamare la “messa a terra” della coclea, ossia il collegamento tra spazi labirintici e “massa” riferita all’elettrodo indifferente, avviene virtualmente solo attraverso il nervo acustico e i vasi sanguigni che si diramano dal modiolo. e) La connessione con la massa avviene per tutta la lunghezza della partizione cocleare dato che vasi e nervi si sfioccano dal modiolo a raggiungere ogni porzione della partizione stessa. Ne deriva che esiste indubbiamente un “cortocircuito” ubiquitario o al minimo una cospicua transconduzione tra i diversi giri della coclea. f ) Il condotto cocleare ripieno di endolinfa, le cellule dell’organo del Corti e i relativi vasi sanguigni costituiscono un percorso preferenziale per le correnti indotte nella coclea e dirette verso le strutture anatomiche circonvicine sulle quali sia stato applicato l’elettrodo indifferente. g) La trasmissione di correnti elettriche attraverso i liquidi cocleari sembra avvenire, giudicando la maniera con cui si propagano i potenziali microfonici misurati tra finestra ovale e finestra rotonda, con due diverse modalità: 1) in vicinanza della finestra rotonda, gli spazi liquidi possono assimilarsi ad un tubo pieno di fluido conduttivo, diviso in due canali dalla partizione cocleare, quasi a formare una “linea di trasmissione”; 2) allontanandoci dalla finestra rotonda, i liquidi cocleari assumono le caratteristiche di un aggregato fluido elettricamente omogeneo, come potrebbe essere una goccia d’acqua, dove i percorsi delle correnti si intrecciano a guisa di una rete resistiva multipolare. In essa saranno variamente rappresentati circuiti complessi relativi sia alla resistività longitudinale, sia a quella trasversale legata alla contiguità anatomica dei giri e alla conseguente transconduzione Come detto, non è improbabile che le proposizioni qui sopra riportate a compendio dei risultati raggiunti da v. Bèkèsy nelle accennate ricerche possano rivestire per gli Implantologi un interesse in campo speculativo scientifico o forse anche, più realisticamente, in campo applicativo strumentale. Dal nostro punto di vista ci sembra tuttavia utile avanzare due considerazioni riassuntive che crediamo importanti: a) indipendentemente dalla modalità di funzionamento di tutti gli spazi cocleari o di taluni loro segmenti ( a “linea di trasmissione” o a goccia d’acqua) tutte le aree della membrana basilare sono collegate a massa attraverso veri e propri ponti di cortocircuito conduttivi, nervosi o vascolari. Data la brevità dei circuiti relativi (la partizione cocleare è lunga circa 35 mm ma è avvolta su sé stessa, il che abbrevia i percorsi resistivi con gli ovvi conseguenti fenomeni di transconduzione), tutte le qui dette porzioni di membrana basilare possono dunque essere considerate a livello equipotenziale. A conferma di ciò possiamo ricordare che la conduttanza dei liquidi cocleari è pari a 2x10-2 mho / cm come accertato da v. Békésy [ 4 ]. Ricorrendo ad una sbrigativa espressione del linguaggio comune, potremmo dire che virtualmente tutti questi liquidi “sono in corto” tra loro. b) Considerando le ridottissime distanze che corrono tra le stesse cellule ciliate e tra cellule ed elettrodi, è certo, al di là di ogni dubbio, che a livello della coclea il campo elettrico creato dalle tensioni in uscita dall’elettrodo attivo, e non importa da quale, si propagheranno, subendo una irrilevante attenuazione stante l’anzidetta elevata conduttanza della perilinfa e dell’endolinfa, a tutti gli spazi labirintici, sì da investire, come già argomentato nelle pagine precedenti, simultaneamente tutte le cellule ciliate presenti nell’organo del Corti. D’altronde, che il campo generato dall’elettrodo dell’impianto sia tutt’altro che debole e tutt’altro che circoscritto lo dimostra il non infrequente interessamento del faciale durante l’uso del dispositivo qui detto (Niparko [ 31 ]). Osserviamo ancora, incidentalmente, che è proprio il fenomeno della propagazione ubiquitaria di un campo elettrico in aree anche lontane dalla sorgente profonda che ad esempio ci consente di sfruttare con elettrodi superficiali i potenziali elettrici generati dal cuore o dall’encefalo per eseguire i rilievi elettrocardiografici ed elettroencefalografici. Il fatto che la scienza implantologica ufficiale abbia fino ad ora ignorato e continui ad ignorare queste considerazioni che -ci sia consentito di affermarlo in maniera recisa- sono dal punto di vista fisico inoppugnabili, ci ha sempre profondamente stupito. In eguale maniera ci stupisce, sempre alla luce delle considerazioni suesposte, l’accanimento tecnico con cui si tenta di rendere metabolizzabile da parte della coclea il messaggio elettrico prodotto dall’impianto. Se a titolo di esempio vogliamo considerare, tra i tanti impianti oggi presenti sul mercato, quello descritto da Dillier et al. [ 10 ] possiamo constatare che in esso si è adottata una strategia di codifica per effetto della quale un adatto processore programmabile a seconda delle necessità del soggetto seleziona in base alla frequenza e all’ampiezza le prime due for- 24 manti, e in funzione dell’energia contenuta nelle rispettive bande genera poi una serie di impulsi bifasici indirizzati a 4 delle 22 porte collocate sull’elettrodo secondo una cadenza legata alla frequenza fondamentale della voce. Non comprendiamo a quali presupposti fisici, a quali principi della fisiologia cocleare e a quali scopi pratici un così macchinoso procedimento di codifica si sia ispirato. E’ comunque chiaro che il progettista, il quale afferma di aver collocato le porte dell’elettrodo attivo secondo l’ordine tonotopico presente nella coclea, ha tentato di ripartire l’emissione delle frequenze proprie del parlato in maniera altrettanto tonotopica, di modo che ciascuna porta generi la tensione corrispondente non solo alla frequenza prevista ma anche all’area di cellule ciliate destinate tonotopicamente alla percezione per via acustica della stessa, escludendo dal procedimento di codifica, perché poco significative, quelle frequenze che avrebbero potuto generare mascheramento o superimposizione. Un tale sforzo, lodevole dal punto di vista tecnico, ci sembra tuttavia inutile dal punto di vista pratico: come già detto, anche ove si riuscisse, in via assolutamente ipotetica, a far coincidere tonotopicamente la cellula ciliata preposta alla percezione di una data frequenza con una porta destinata ad emettere un segnale elettrico della stessa frequenza, la coincidenza ancorché puntuale non potrebbe evitare la diffusione di tale segnale non solo alle cellule viciniori ma a tutta la coclea. Per quanto concerne le strategie di codifica proposte dai produttori di impianti cocleari, la grande varietà dei protocolli adottati e la continua ricerca di sempre nuovi procedimenti di condizionamento e di filtraggio stanno a testimoniare l’ampiezza dei tentativi compiuti dai Tecnici nella speranza di riuscire a confezionare il suono in un messaggio elettrico il cui formato sia sempre più efficacemente fruibile da parte dei recettori cocleari. Ma al di là di ogni ovvio e legittimo risvolto commerciale, siamo purtroppo dell’avviso che gli sforzi compiuti a questo riguardo siano destinati a non sortire alcun risultato: a parte la considerazione che i segnali si propagano simultaneamente a tutto l’ambito labirintico anche se emessi da porte situate a diversa longitudine rispetto al tragitto del condotto cocleare vanificando così la speranza di un puntuale allineamento tonotopico tra cellula e porta, l’informazione contenuta nel segnale elettrico non potrà essere recepita dalla cellula ciliata in quanto questa si comporta come un ricevitore ad ingresso aperiodico ( v. Békésy [ 4 ] ) perché, come già detto, non risonante e quindi totalmente priva di selettività. E’ ovvio che tutto ciò è anche in ossequio al principio, ben noto in Fisiologia, della aspecificità della corrente elettrica la quale, pur adeguata a promuovere l’eccitazione generica, indifferenziata o più propriamente aspecifica della cellula sensoriale, non è in grado di suscitare una sensazione analoga a quella che dovrebbe far seguito ad una stimolazione specifica del sensore. L’aver tentato di chiarire i limiti della congruità ( se non proprio della apparente incongruità) puramente elettrica dei segnali generati dall’impianto in rapporto allo schema di funzione della coclea, lascia tuttavia aperto un interrogativo di grande peso: sarebbe possibile ottimizzare le proprietà tecniche generali dell’impianto in maniera che esso possa costituire un ancor più efficente ausilio per la funzione uditiva deficitaria? In altre parole quali caratteristiche tecniche esso dovrebbe presentare e a quali modifiche le versioni attuali degli impianti dovrebbero essere sottoposte per rendere questo strumento meglio adatto allo scopo prefisso? Tentiamo di seguito di dare qualche risposta a questo quesito: a) Anzitutto nessuna utile modifica potrebbe essere apportata all’elettrodo attivo: qualunque sia la porta da cui in un dato istante viene rilasciata la frequenza che le compete, tutte le cellule ciliate presenti nella coclea, come già detto, vengono contemporaneamente stimolate indipendentemente dalla loro collocazione tonotopica e dalla presunta destinazione topografica del flusso degli ioni fuoriuscenti da quella determinata porta. b) Possiamo aggiungere che se la stimolazione discriminata e certa di determinati gruppi di cellule ciliate e solo di essi in funzione della frequenza è impossibile, non vi è alcuna ragione di far differenza tra impianto monocanale e impianto multicanale. Con nessuno dei due la stimolazione potrà risultare acutamente selettiva in frequenza. Almeno da un punto di vista teorico, l’un tipo di impianto vale l’altro come d’altronde confermano le ricerche di House [ 19 ] e l’efficacia degli impianti monocanale. Gli effetti sulle cellule ciliate saranno complessivamente gli stessi. Crediamo che la raccomandazione di far uso di impianti con il più alto numero possibile di elettrodi di (si veda ad es. Fraysse et al. [ 14 ]) non sia perciò condivisibile. D’altronde ripetiamo ancora una volta che la speranza che, una volta posto in sito l’elettrodo attivo, possa esservi coincidenza tra distribuzione tonotipica delle cellule e proiezione topografica delle porte di uscita dell’elettrodo attivo, in maniera che la porta destinata ad emettere una tensione elettrica di una determinata frequenza si affacci esattamente in corrispondenza del gruppo di cellule ciliate deputate di norma a ricevere uno stimolo acustico della stessa frequenza, è puramente illusoria. Anche se nelle manovre con cui si introduce l’elettrodo nella rampa timpanica avessimo a disposizione precisi punti di repere standard, le imprevedibili variabilità anatomiche individuali nella distribuzione delle cellule ciliate lungo la membrana basilare vanificherebbero ogni nostra speranza di una collocazione puntuale. Avremo mai il coraggio di ammettere che l’introduzione dell’elettrodo attivo nella rampa timpani- 25 ca viene fatta sostanzialmente “ a casaccio “? Incidentalmente, “a casaccio” è una locuzione che ricorrerà ancora in queste pagine, ad indicare una regola di comportamento che ci sembra dòmini, come normativa procedurale tacitamente accettata dai più, anche in talune delle manovre attuate nel posizionamenti di elettrodi di altro tipo. Vorremmo a questo punto ricordare l’ipotesi avanzata da molti Ricercatori secondo cui la percezione del messaggio verbale potrebbe avvenire anche nel caso che non si verifichi una esatta corrispondenza topografica tra la porta dello stelo da cui si irradia una data frequenza ed il gruppo di cellule ciliate preposte alla ricezione di questa. In questo caso, si dice, i poteri logici corticali, grazie alla loro elevata plasticità, sono in grado di riprogrammarsi su algoritmi inediti spontanei, o su procedimenti sistematici acquisiti con l’esercizio, in grado di consentire l’intellezione dell’informazione contenuta nel messaggio verbale. L’ipotesi ci trova fortemente scettici per le ragioni che riportiamo in NOTA 3. c) Nessuna differenza sembra caratterizzare l’impianto monopolare da quello bipolare per ciò che concerne l’irradiazione, indebita ma inevitabile, del campo elettrico nei tessuti circonvicini: questa si verificherà in entrambi i casi con la stessa intensità. . d) Anche se ammettessimo nelle cellule ciliate la capacità a ricevere lo stimolo elettrico in maniera selettiva in funzione della frequenza, non vediamo l’utilità di spingere il limite superiore della banda trasmessa a latitudini esasperate. Abbiamo l’impressione che da parte dei Costruttori si sia ingaggiata una specie di gara a chi per primo raggiunga limiti da primato, ben oltre i tradizionali 6000 Hz. Quasi certamente per ragioni di preminenza commerciale o di prestigio, non certo per ragioni tecniche. Quale vantaggio infatti può derivare all’utente dall’uso di un impianto che trasmetta frequenze oltre i 3000 Hz? Nessuno. Semmai solo inconvenienti che si possono così elencare: 1) I suoni e i rumori la cui frequenza cada nella banda al di là dei 3000 Hz provocano fenomeni di mascheramento o “superimposizione”. Si veda anche NOTA 2 in Appendice. 2) La durata delle batterie del condizionatore-stimolatore si riduce per il maggior consumo di energia richiesto per trasmettere queste bande aggiuntive. 3) L’inclusione delle bande oltre i 3000 Hz tra quelle trasmesse all’elettrodo richiede dal punto di vista elettrico l’utilizzo di filtri dedicati che, anche se il filtraggio avviene in forma digitale, occupano un certo spazio all’interno del condizionatore. Essi potrebbero essere eliminati per dimensionare più generosamente e rendere più efficienti i filtri relativi alle bande di frequenza veramente utili, ossia al di sotto dei 3000 Hz, dove si fa massima la necessità di una quanto più possibile esatta percezione delle variazioni di ampiezza che, in accordo con la classica equazione di Hartley ed assai più che le variazioni di fre- quenza, costituiscono il fondamentale veicolo dell’informazione. Si veda NOTA 2 in Appendice. IMPIANTI RETROCOCLEARI Le numerose ricerche fino ad oggi compiute per definire i caratteri tecnici di impianti da collocarsi a livello retrocleare costituiscono la testimonianza di quanto sia acuto, da parte di molti ricercatori, il desiderio di ritrovare nell’accesso diretto alle vie il recupero di una funzione uditiva compromessa da calamità cocleari irreparabili. Dobbiamo dire che purtroppo, visti i limiti delle attuali possibilità tecniche e delle strategie chirurgiche oggi correnti, i tentativi fino ad oggi compiuti in tal senso ci sembrano destinati ad un totale fallimento. La pomposa denominazione di “orecchio bionico” è destinata a rimanere come l’etichetta di una enfatica dichiarazione di intenti piuttosto che come la qualifica di prerogative scientificamente omologabili. Vediamo il perché di questa nostra affermazione: Dai primi rilievi di Wever e Bray [ 41 ] degli anni ‘30 una larghissima messe di ricerche ha invano tentato di rispondere ai quesiti che, a riguardo della trasmissione dei potenziali nervosi lungo il nervo VIII, sempre più numerosi andavano proponendosi grazie e nonostante il progressivo affinarsi dei mezzi di ricerca. Dobbiamo ammettere che le uniche certezze raggiunte nel campo riguardano essenzialmente la nozione che se lo schema dello stimolo periferico ritrova una assolutamente precisa connotazione nella sensazione definitiva, la trasmissione lungo le vie nervose di tutti i caratteri qualitativi e quantitativi dello spettro sonoro avviene dopo che questi sono stati ristrutturati, in base ad un codice impenetrabile, in un pattern assolutamente incomprensibile e in maniera molto diversa da quella prospettata da Wever e Bray con la loro teoria telefonica, dove il nervo sembrava dovesse comportarsi per l’appunto come un semplice “doppino telefonico”. Le difficoltà, che crediamo per il momento insuperabili e che siamo certi renderanno molto difficile il disegno e la realizzazione di un impianto retrococleare efficiente, sono implicite nella complessità degli stessi principii che reggono l’attività del nervo e delle vie. IMPIANTI A LIVELLO DEL TRONCO DELL’VIII Dal punto di vista tecnico, considerando lo stato dell’arte delle attuali conoscenze elettroniche ed informatiche, l’impresa di realizzare un impianto retro- 26 cleare a livello del nervo risulta assolutamente impossibile. L’impedimento maggiore va visto nella colossale difficoltà di far sì che l’impianto parli lo stesso linguaggio del nervo. E’ ovvio che per risultare efficace un impianto ideale dovrebbe tradurre lo spettro armonico del suono in una serie di impulsi ordinati da algoritmi omogenei con quelli ai quali risponde la trasmissione nervosa nell’VIII, che avviene, come detto, secondo uno schema a tutt’oggi totalmente indecifrabile, mentre la configurazione dei segnali dovrebbe esattamente conformarsi al protocollo temporo-spaziale con cui le sequenze impulsive dei potenziali d’azione si presentano nel nervo o nei gruppi di fibre. Se in un immaginario progetto di principio volessimo teorizzare le prerogative di un simile utopistico impianto ideale, dovremmo soprattutto ricordare che: condizioni di normalità fisiologica, compete la trasmissione degli impulsi di quella data frequenza e solo di quella. Pura utopia. 3) Alla pari con ogni altra fibra midollata di eguale diametro (che nel caso del’VIII è uguale per tutte le fibre ) il tempo di scarica è di 1 msec. I segnali dell’impianto dovrebbero adeguarsi a questo parametro. 4) I segnali in uscita dall’impianto dovrebbero tener conto dell’ on effect, ossia della serie degli ampi impulsi transitori che, dopo ogni stimolazione sonora, precedono l’inizio dell’attività del nervo ( Davis et al. [ 6 ] ) . Si intenderà che l’elenco qui fatto delle caratteristiche tecniche a cui dovrebbe rispondere un impianto per così dire ideale ha un puro sapore accademico. E’ evidente che tra tutte le variabili della attività nervosa qui considerate, nessuna, nonostante il più sfrenato ottimismo e neppure con l’aiuto di una prostesi di puro profilo fantascientifico, potrà mai ritrovare una soddisfacente trasposizione nei segnali dell’impianto. Aggrava la nostra insufficienza tecnica la mancanza di un suffragio sperimentale che aiuti a ripetere “in vitro” le abissali complessità degli eventi bioelettrici propri della conduzione nervosa. 1) l’ aumento dell’ampiezza dello stimolo sonoro si traduce non in un aumento dell’ampiezza dei potenziali del nervo, bensì in un aumento della frequenza degli impulsi e nell’interessamento di vie collaterali in base alla legge del tutto o del niente valida per tutti i nervi sensitivi (Forbes e Gregg [ 13 ]; Adrian [ 1 ]). L’apparente aumento dell’ampiezza dei potenziali nervosi deriva in realtà dall’aumento del numero delle fibre stimolate. In più, a bassi livelli sonori l’onda del potenziale di azione è semplice ma diviene molto complessa se l’ampiezza del suono cresce, per il sopraggiungere di onde aggiuntive dove l’ampiezza, la latenza e la soglia variano in maniera indefinita. L’uscita dell’impianto dovrebbe conformarsi a questo bizzarro andamento dell’inviluppo dei potenziali. Dal canto suo il Chirurgo che si accingesse all’impianto a livello dell’VIII dovrebbe tener conto che: a) La latenza (in genere di 1 millisecondo) dei potenziali nervosi in risposta allo stimolo, cambia non solo a seconda dell’ampiezza dello stimolo sonoro, ma varia anche a seconda del punto di collocamento degli elettrodi ( Davis [ 8 ], Kemp, Coppée e Robinson [ 20 ]). 2) La rappresentazione della frequenza nelle aree della sezione del nervo è chiaramente tonotopica: determinati gruppi di fibre sono destinate alla trasmissione di frequenze discrete e solo di quelle, mentre ogni fibra si collega ad un determinato punto della membrana basilare ( Davis et al. [ 6 ]). A questa precisa collocazione topografica delle fibre non fa tuttavia riscontro un altrettanto separato ambito di funzione: il treno degli impulsi nervosi traduce in sé fedelmente gli elementi caratteristici della frequenza ma solo a frequenze basse. Con l’innalzarsi della frequenza il pattern dello stimolo periferico viene ad organizzarsi nel nervo in guisa da innescare il ben noto fenomeno dell’ equilibrazione (Davis, Forbes e Derbyshire [ 7 ]) a seguito del quale le fibre rispondono ad ogni secondo o ad ogni terzo impulso. Gli impulsi nervosi si raggruppano così in scariche asincrone rispetto allo stimolo. Una stimolazione artificiale del nervo dovrebbe dunque comportare il rispetto della fase delle varie scariche ed elaborare la sommatoria spazio-temporale tra le distinte aree del nervo. Inoltre i segnali relativi ad una data frequenza dovrebbero essere indirizzati alle sole vie a cui, in b) Come già detto, gruppi diversi di fibre rispondono a frequenze distinte ( Galambos e Davis [ 16, 17 ]). L’esito di un impianto che prevedesse una disposizione “a casaccio” dell’elettrodo sarebbe sicuramente fallimentare: la frequenza della tensione in uscita da ogni distinta porta e la frequenza elaborabile dal sottostante gruppo di fibre dovrebbero essere assolutamente coincidenti. IMPIANTI A LIVELLO DEI NUCLEI La realizzazione di un impianto da installarsi a livello dei nuclei costituisce un ulteriore esempio di come le speranze di un rimedio prostesico adeguato non trovino alcuna corrispondenza nei presidi tecnici che nelle intenzioni dei costruttori dovrebbero già essere in grado, oggi, di fornire un efficace rimedio alle più gravi sordità. Le ragioni della incongruenza degli attuali presidii con le necessità prefigurate dai casi qui detti risiedono, anche per questi speciali impian- 27 1) il carrier dovrebbe comprendere nel ristrettissimo spazio della sua superficie migliaia di elettrodi, dislocati non “a casaccio” ma topograficamente rispondenti alla dislocazione cocleotopica dei gruppi di cellule o fibre. La realizzazione di un siffatto supporto attivo potrebbe essere meno difficile di quanto verrebbe fatto di credere, ove si ricorresse alle stesse tecniche fotochimiche utilizzate in Elettronica per la realizzazione dei circuiti integrati. ti, nelle stesse ragioni che vanificano l’efficacia degli impianti tronculari, con l’aggravante che a livello dei nuclei i fenomeni della conduzione nervosa si fanno ancora meno decifrabili. Infatti: a) il pattern riconoscibile nel nervo e in cui lo stimolo sonoro viene tradotto è costituito da una serie di impulsi di eguale ampiezza che, giunti alle sinapsi delle vie non vengono semplicemente ritrasmessi alla vie seguenti, ma subiscono una ulteriore elaborazione che li semplifica e li rende in ogni caso diversi dagli impulsi precedenti (Fiori-Ratti [ 12 ]). Un impianto previsto per l’installazione lungo la via dovrebbe dunque adattarsi al diverso linguaggio “parlato” dalla via a seconda di ogni diverso livello sinapsico. b) Pare stabilito che esista una specie di proiezione cocleotopica nel nucleo dorsale e in quello ventrale di parti diverse della coclea ( Lewy e Kobrak [ 24 ], Strutz [ 35 ]). Come potrà essere scelta la sede dell’impianto per garantire la stimolazione di quelle aree pertinenti alle frequenze più significative per l’intelligibilità dei suoni verbali? c) Una volta immessi nelle zone nucleari specifiche, l’apparente semplificazione degli impulsi deriva dal fatto che, di sinapsi in sinapsi, i potenziali nervosi perdono taluni dei loro caratteri in quanto ogni ulteriore elaborazione viene affidata a vie collaterali indefinibili ( Fiori-Ratti [ 12] ). Potrà mai un impianto nucleare tener conto di queste varianti anatomiche e dei relativi inediti e imperscrutabili tragitti nervosi? d) Almeno la metà delle cellule dei nuclei, anche in assenza di ogni stimolazione, è sede di una attività spontanea che può essere inibita dall’arrivo di uno stimolo di frequenza più elevata ( Davis [ 8 ] ) . Ad es. uno stimolo di 2400 Hz può bloccare l’attività del nervo per toni di 1300 Hz. Il fenomeno si complica se i suoni sono vicini in frequenza e di debole ampiezza, fermo restando che non si tratta di fenomeni legati a fatti fisici come interferenza o cancellazione algebrica delle ampiezze e che questi fenomeni sembrano già evidenziarsi a livello della prima giunzione sinapsica del tratto uditivo, mentre è probabile che essi dipendano anche dalle particolari modalità con cui si realizzano le altre giunzioni a partire da quella di second’ordine ( Lorente de Nò [ 25 ]). I suoni di forte ampiezza non danno luogo a queste reazioni, ma non vi è dubbio che questo fenomeno costituirebbe un’ulteriore complicazione per un eventuale ipotetico progetto tecnico. 2) Ammessa la possibilità, utopistica ancor prima che teorica, di fabbricare un supporto attivo di tal tipo, resterebbe il problema del suo esatto posizionamento materiale nel campo chirurgico designato all’impianto, dovendosi rispettare l’ assoluta condizione di far esattamente collimare tonotopicamente elettrodi e fibre. Non occorre dire che la possibilità di garantire questa condizione appartiene al regno della fantascienza, anche se, come per l’elettrodo sopra preconizzato, il raggiungimento di una confacente soluzione sembrerebbe più legato ad un raffinamento di tecnica che ad uno sviluppo della ricerca. In ogni caso resterebbero irrisolti i rischi della diffusione, molto al di là dalle aree di contatto, delle correnti emesse dagli elettrodi esattamente come accade alle correnti degli impianti cocleari, la cui diffusione è, come detto, ubiquitaria in tutto l’ambito labiritico. 3) I fenomeni di inibizione osservati a fronte di stimoli di debole ampiezza prospetterebbero inattesi problemi di trasmissione dagli elettrodi alle cellule nervose dei nuclei. Le strategie applicative dovrebbero, ma non sappiamo in che modo, far fronte a questa imprevedibile eventualità. La conclusione che non possiamo sottrarci dal formulare è sconfortante: allo stato attuale dell’avanzamento della tecnica, la regola che oggi ci sembra domini il progetto e l’applicazione dell’impianto nucleare è quella dell’ “a casaccio”. E’ scelto “a casaccio” - e sfidiamo chiunque a dimostrare il contrarioil formato di codifica del segnale elettrico in uscita dal condizionatore in quanto manifestamente incoerente con la sintassi della trasmissione nervosa, ed è effettuato “a casaccio”, nell’area operatoria prescelta, il collocamento a dimora del carrier sul quale è installata “a casaccio” una ventina di elettrodi senza rispetto della corrispondenza tonotopica tra elettrodo e aree nucleari, mentre il Chirurgo è pronto, durante l’intervento ma ancora una volta “a casaccio” , a spostare il carrier nel caso che il controllo intraoperatorio con monitoraggio EABR avverta che l’area operatoria scelta per prima è “muta” ! Monitoraggio sulla cui attendibilità nutriamo serissimi dubbi: è noto che nel corso della narcosi profonda i potenziali di azione del tronco e dei centri non sono più rilevabili, mentre sono altrettanto serii i rischi che i potenziali microfonici cocleari, diffusi per contiguità elettrica alle aree del tronco, Se fosse possibile realizzare materialmente un impianto ad insediamento tronculare o nucleare teoricamente efficiente e perfettamente rispondente al software nervoso, per così dire, delineato nei paragrafi precedenti, resterebbero ancora da superare altri ostacoli stavolta pratici ma di complessità trascendente che di seguito enumeriamo: 28 vengano equivocati per potenziali nervosi. Non possiamo tuttavia dimenticare che nella recente letteratura vengono riportati numerosi casi nei quali l’ impianto a livello dei nuclei ha avuto un chiaro successo permettendo ai soggetti una soddisfacente percezione verbale interpretata sic et simpliciter come un indice di una corretta funzione dell’impianto. I nostri dubbi sono dunque infondati? Siamo dell’avviso che i successi riscontrati nei casi descritti non infirmino l’esattezza tecnica delle obiezioni sopra esposte e quindi la fondatezza delle nostre critiche, ma solo ripropongano nella loro essenza gli stessi problemi incontrati già ai primordi delle ricerche sulla Elettrofisiologia delle vie acustiche quando, ad iniziare da Adrian, i ricercatori si trovarono ad affrontare un gravissimo ed inatteso problema: a livello nucleare: le variazioni elettriche risultavano in realtà costituite da una commistione inestricabile di potenziali d’azione e di potenziali cocleari, trasmessi per diffusione elettrica attraverso le guaine nervose. Il fenomeno, ovviato con grande difficoltà dai primi Ricercatori con l’uso di elettrodi coassiali, è molto probabile si ripeta anche nel caso degli impianti nucleari ma stavolta in senso retrogrado: i potenziali irradiati dal carrier a livello delle aree nucleari risalgono attraverso le guaine e giungono nuovamente alla coclea, in ciò favoriti non solo dalla contiguità anatomica tra nuclei e coclea, ma anche dalla continuità elettrica dovuta alla elevata conduttanza delle guaine. E’ molto probabile dunque che alla funzione delle cellule ciliate vada ancora ricondotta la percezione del segnale generato dall’ impianto. A conferma di questi nostra affermazione ricorderemo che la Fisica formalizza la bidirezionalità di percorsi acustici ed elettrici che si intrattengano tra due poli in uno storico enunciato proposto già da Rayleigh e quindi da Helmholtz molti anni fa e tutt’ora comunemente applicato nel progetto di strutture tecniche. L’enunciato, conosciuto come il principio della reciprocità recita: “ la pressione acustica prodotto nel punto 2 da una sorgente sonora situata nel punto 1 è uguale a quella riscontrabile nel punto 1 quando la sorgente si trovi nel punto 2 “. La validità del principio è amplissima potendo applicarsi come nel nostro caso anche a qualunque sistema elettrico: l’impedenza di trasferimento tra i due terminali di un dipolo è indipendente dalla posizione della sorgente e del ricevitore. Il principio trova oggi larga applicazione nelle procedure di calibrazione di sistemi elettrici, acustici ed elettroacustici. e dalla nostra stessa specifica competenza. Possiamo tuttavia ricordare che qualche anno fa ed a puro titolo di curiosità statistica compimmo un rapido excursus in molte pubblicazioni al riguardo, confrontando le opinioni dei più noti AA. e i risultati della loro attività implantologica, soffermandoci su quei contributi che ci sembravano più emblematici per consentire una loro generalizzazione in un giudizio di merito equilibrato, Per quanto numerosissime altre pubblicazioni si siano nel frattempo aggiunte a quelle da noi primitivamente considerate, abbiamo constatato che anche nelle più recenti le specificità qualitative e quantitative dei risultati riferiti si ripetono virtualmente con la stessa incidenza percentuale osservata nei lavori di qualche anno fa. I risultati della nostra prima indagine potevano essere cosi riassunti: In alcuni lavori si riportavano risultati deludenti o addirittura negativi. Si vedano (Gagné et al. [15], Mecklemburg [ 27 ] ). In molti altri lavori i risultati si dimostrarono positivi nel senso che si giungeva ad una migliore ricognizione di suoni vocalici, di consonanti, fonemi, monosillabi, ossia in ogni caso dei costituenti elementari della parola ma non l’intellezione della parola in sé, mentre in molte altre pubblicazioni si parlava genericamente di “miglioramenti nel riconoscimento dei suoni o della parola”. Si vedano tra i più sigificativi i lavori di (Shiroma et al. [ 33 ], Tye-Murray et al. [ 39 ]). Secondo altri AA, con l’uso dell’impianto migliorava il costrutto melodico della parola emessa dal soggetto (Tobey et al. [ 38 ], Perkell et al. [ 31]). In numerosi altri contributi si sottolineava l’utilità dell’impianto a facilitare e sveltire l’apprendimento della labiolettura, o l’identificazione delle vocali, ovvero il riconoscimento degli elementi ritmici delle parole (ad es. Teig et al. [ 36 ], Kirk et al. [ 21 ])). Giova ancora ricordare i lavori in cui si riportavano i favorevoli risultati che l’impianto dimostrava nell’attenuare o sopprimere gli acufeni ( McKerrow et al. [ 26 ], Nègrevergne [ 30 ]), mentre per altri AA , come Skinner et al. [ 34 ] e Knutson et al. [ 22 ] l’uso dell’impianto, consentendo la percezione dei rumori e dei suoni dell’ambiente, migliorava il rapporto del soggetto con la famiglia e con la gente, ne attenuava l’isolamento psicologico e ne facilitava il reinserimento sociale. Altri AA auspicavano un possibile utilizzo dell’impianto come ausilio per una integrazione di apporti sensoriali di varia natura, ad es. con rieducatori vibrotattili, o in combinazione con protesi acustica controlaterale (Fraysse et al.. [ 14 ] ). Ma se vi sono casi in cui i risultati dell’impianto restano al di sotto delle aspettative -il che non stupisce trattandosi sempre di soggetti affetti dasordità gravissime-, vi è oggi una vasta messe di lavori dove le prestazioni della prostesi vengono definite eccellenti, consentendo esse non solo il recupero di parziali capacità percettive per rumori o suoni semplici, I RISULTATI Nelle pagine che precedono ci siamo limitati a trattare degli aspetti teorici, tecnici e per così dire propositivi degli impianti cocleari, ma abbiamo volutamente evitato di addentrarci in un bilancio sia pure parziale dei risultati che si ottengono con il loro impiego. Ciò esula dalle premesse di questo lavoro 29 costi, rischi e insuccessi. Sta di fatto che se dovessimo limitarci a riguardare la questione sotto un profilo puramente e crudamente fisico, dovremmo teorizzare , soprattutto per le ragioni relative all’indeterminatezza topografica della stimolazione elettrica attuata dall’impianto all’interno della coclea, che l’intellezione di un contesto verbale, non limitato al riconoscimento di vocali, di suoni consonantici o di frasi “abituali” ma costituito dal fraseggio spontaneo e imprevedibile di una normale conversazione, non potrebbe essere possibile, con il solo aiuto dei dispositivi attualmente disponibili, se non nei soggetti privilegiati da una così buona conservazione degli elementi nervosi dell’organo del Corti da far credere che un risultato altrettanto vantaggioso potrebbe forse essere raggiunto con il ricorso ad una semplice protesi acustica. Il riscontro dei successi dell’impianto in numerosi soggetti affetti da gravissima sordità contraddice tuttavia questa drastica affermazione e alimenta in noi il sospetto che i principi fisici e fisiologici da cui trae partito il funzionamento dell’impianto ed il beneficio che esso consente a chi ne fa uso, siano diversi da quelli tradizionalmente dichiarati e si affidino ad ancora sconosciuti meccanismi biotecnici che gli attuali impianti sono tuttavia in grado di sollecitare anche se a nostra insaputa. Una risposta a questo interrogativo ci sembra possa essere data in base ai risultati di una recente ricerca sperimentale da noi impresa nel tentativo di chiarire alcune delle incognite che rendono ancor oggi insolubile il problema della genesi dei potenziali microfonici cocleari [ 3 ]. Il tubetto è incollato sulla membrana di un piccolo altoparlante che riproduce stimoli acustici costituiti da voce, musica o toni puri. I microelettrodi in uscita ai poli dei tubetti vengono collegati ad un amplificatore di BF o ad un oscillografo a raggi catodici. La sensibilità di questi sensori elettrochimici è altissima: i potenziali prodotti si riscontrano anche se il sensore è mantenuto ad un centimetro di distanza al di sopra della membrana. La ricerca si è basata sull’osservazione del comportamento di liquidi elettrolitici contenuti in tubetti elastici del diametro interno di 1-2 mm e di 35 mm di lunghezza, sì da riprodurre in maniera molto approssimativa le caratteristiche dimensionali della partizione cocleare, fissati al centro della membrana di un piccolo altoparlante. Di fronte alle vibrazioni sonore riprodotte dall’altoparlante, i tubetti presentano risposte di inequivocabile carattere piezoelettrico e piezoresistivo, generando potenziali elettrici di notevole livello, il cui inviluppo è assolutamente identico al quello dello stimolo originario. Potremmo per analogia immaginare -con perfetta liceità transitiva dal punto di vista della Fisica- che lo stesso accada nelle colonne liquide cocleari: in queste, a seguito delle oscillazioni impresse loro dai moti della staffa, verranno a crearsi potenziali elet- ma addirittura il ripristino di una abilità a riconoscere la parola libera senza labiolettura, specie nei soggetti sordi postlinguali . Ricorderemo. Montandon et al. [ 28 ], Waltzman et al. [ 40 ] tra i primi a documentare l’effettiva efficacia degli impianti. A questi ha poi fatto seguito un vasto stuolo di AA che confermano come i risultati positivi siano ormai la regola negli interventi di questo tipo. Ed è proprio l’eccellenza della riuscita dell’impianto nei molti casi riportati in letteratura ed in molti casi pervenuti alla nostra stessa osservazione a dimostrare che uno o più elementi fino ad oggi incogniti e statisticamente non facili a definirsi entrano a determinare il fattore di merito definitivo di questi dispositivi. Quali sono questi elementi? Sarebbe facile individuarli nella maggior e minore proprietà della scelta dei soggetti, o nelle caratteristiche tecniche dell’impianto migliorate col tempo, o nella maestria dell’operatore, ma dal canto nostro non abbiamo dubbi nell’affermare che il fattore determinante per la migliore riuscita dell’ impianto cocleare non potrà essere individuato che quando saremo riusciti a chiarire -problema di formidabile complessità- come effettivamente operi il segnale dell’impianto all’interno della coclea e quali meccanismi elettrici o elettrochimici esso ponga in moto. La soluzione di questo problema appare remota, ma essa, a nostro giudizio, è la sola che potrebbe fornirci la chiave per una defintiva ottimizzazione del dispositivo di cui abbiamo fin qui trattato. CONCLUSIONE - NUOVI ORIZZONTI La rapida analisi qui compiuta delle conoscenze a tutt’oggi raggiunte a proposito degli impianti cocleari, nonché le critiche da noi formulate, sulla base di elementari principi di Fisica ed Acustica elettrofisiologica, agli assunti teorici e alle tecniche strumentali che sembrano oggi posti alla base dell’applicazione di questi dispositivi, potrebbero portarci a concludere che molti dei problemi prospettati dal punto di vista tecnico e fisiologicoapplicativo dell’impianto sono lungi dal poter ricevere una soluzione a breve scadenza. Non vi è dubbio che in molti casi l’impianto ha consentito di raggiungere risultati assai brillanti, anche se in qualche caso i giudizi espressi da taluni Otologi sono cauti o interlocutorii, considerando già soddisfacente l’aver permesso al soggetto “di udire anche se non di comprendere”, di distinguere tra suoni di diversa frequenza, di aver recuperato il soggetto al mondo dei suoni, di aver ottenuto una peraltro utilissima integrazione tra gli apporti dell’impianto con la labiolettura, ecc. ecc. il che ci obbliga a rammentare che tra le voci di bilancio di questa appassionante impresa scientifica, accanto ai profitti, ossia ai risultati positivi, dovremo talvolta ricordare termini sgradevoli ma obbligatori in ogni bilancio come 30 FIG. 2. - Il semplice dispositivo con cui si sono accertate le proprietà piezoelettriche e piezoresistive di tubetti di piccolo diametro ripieni di elettrolita in assoluta assenza di bolle d’aria ad evitare che si generino potenziali da elettrocapillarità. I microelettrodi sono entrambi in rame. trici il cui inviluppo riprodurrà fedelmente le oscillazioni della pressione sonora. In maniera altrettanto lecita, nulla osta - siamo convinti- ad identificare ipotenziali ottenuti nelle nostre prove con i ben noti potenziali microfonici cocleari, non solo per l’evidente analogia della configurazione spettrale, ma soprattutto per una considerazione che ci pare decisiva: v.Békésy [ 4 ] ha accertato che l’energia posseduta dai potenziali cocleari in uscita dalla coclea è del 19% più elevata di quella posseduta dallo stimolo sonoro in ingresso. Se reputassimo i potenziali cocleari l’esclusivo derivato della stimolazione meccanica delle cellule ciliate, queste non potrebbero che comportarsi come sensori piezoelettrici passivi, con un rapporto di conversione da energia meccanica (suono) ad energia elettrica (potenziali cocleari) sempre inferiore all’unità, a causa delle perdite prodotte dagli attriti e dalla conversione di una parte dell’energia meccanica in calore, e quindi mai superiore del 19% rispetto all’energia in ingresso. Che i potenziali cocleari non siano originati dalle cellule ciliate o almeno non solo da queste lo dimostra d’altronde l’osservazione che i potenziali risultano presenti anche nella totale assenza di quelle cellule (Kobrak et al. [ 23 ], Ashcroft et al. [ 2 ] ), Guttman e Barrera [ 18 ]. E’ invece legittimo considerare la tensione stabile di 0.12 V ( d-c potential ) riscontrata nella coclea da v. Békésy [ 4 ] come largamente sufficiente ad impersonare la sorgente di polarizzazione da cui i potenziali cocleari attingono, attraverso il meccanismo della piezoresistività, il plus del 19% prima detto. Non esiste a nostro avviso altra maniera di giustificare il sorprendente aumento dell’energia cocleare in uscita rispetto a quella in entrata, il che costituisce un ulteriore conferma della validità dell’ ipotesi elettrochimica da noi affacciata circa la genesi dei potenziali cocleari. Potremo a questo punto affermare che nei liquidi cocleari, attraverso meccanismi di natura piezoelettrica e/o di natura piezoresistiva, si realizza una trasduzione diretta dello stimolo sonoro in potenziali elettrici. E’ a questo punto lecito ipotizzare che le cellule ciliate siano in grado di captare con le ciglia ossia con vere proprie “antenne”- i potenziali elettrici qui detti, e quindi di attuare in tempo reale una ricognizione panoramica dello spettro elettrico presente in ogni momento nei liquidi cocleari. Ricognizione che a filo di logica non dovrebbe limitarsi ad una ricezione pura e semplice, ma dovrebbe effettuarsi secondo criteri di acuta selettività: ogni distinta cellula potrebbe essere designata a ricevere una ed una sola frequenza delle 25.000 (lo stesso numero delle cellule ciliate) che approssimativamente rappresentano la gamma delle frequenze udibili dall’orecchio umano. Tutte le cellule ciliate sarebbero dunque chiamate in ogni istante a ricevere i segnali elettrici generati nei liquidi labirintici, ma ciascuna di esse potrebbe riconoscere la frequenza che gli compete in maniera da attuare, assieme a tutte le altre una scomposizione della struttura spettrale dei potenziali attuando su questi senza difficoltà una sorta di analisi di Fourier. Dopo questa analisi selettiva, nelle cellule ciliate potrebbero attivarsi i meccanismi del rilascio del neurotrasmettitore verso le sottostanti terminazioni dendiritiche magari con il concorso di un’azione di modulazione da parte di afferenze olivo-cocleari, o più semplicemente dovrebbe verificarsi per via puramente elettrica la trasmissione al nervo del potenziale elettrico generatosi nella cellula ciliata, debita- 31 mente condizionato per risultare compatibile con il linguaggio del nervo stesso. Ai centri giungerebbe così la proiezione panoramica globale dello spettro elettrico presente in ogni istante nella coclea, qualunque fosse la complessità originaria dello spettro stesso. Come la cellula ciliata possa sintonizzarsi su di una sola frequenza e solo su questa rappresenta un enigma insolubile. Indulgendo alla fantasia potremmo prospettare la possibilità che la selettività in frequenza della cellula ciliata si richiami agli stessi fenomeni di risonanza elettrochimica che si intrattengono nei cristalli liquidi, i quali, nella fase colesterica, possono riflettere selettivamente la luce in funzione della frequenza. Qualcosa di simile, ovviamente in campi di ben diversa lunghezza d’onda, potrebbe accadere nelle cellule ciliate Che le cellule ciliate possano sintonizzarsi selettivamente su frequenze discrete è d’altronde ormai ammesso da parte di molti Ricercatori ( si veda ad es. Fettiplace e Fuchs [ 11 ] ). Non vi è dubbio che le supposizioni circa i meccanismi di ricognizione panoramica dello spettro elettrico cocleare da parte delle cellule ciliate, se confermate, ci libererebbe dal secolare fardello dogmatico delle innumerevoli teorie meccano-idrauliche ( teoria dell’onda viaggiante, dei vortici, delle onde stazionarie, ecc.) tutte fortemente opinabili dal punto della Fisica come ormai viene universalmente ammesso. Gli stessi meccanismi da noi prospettati potrebbero spiegare i fenomeni della trasduzione cocleare in maniera assai più plausibile di quanto non ci sembra possano fare le teorie oggi correnti che invocano indimostrabili meccanismi di controreazione biodinamica che darebbero origine, sotto l’impulso dell’onda sonora, ad amplificazioni ed oscillazioni nelle cellule ciliate, come sembrerebbero dimostrare riscontri sperimentali raggiunti con l’uso di sofisticate metodiche tra le quali la recente interferometria confocale. Queste teorie, accolte oggi con molto seguito dalla grande maggioranza degli Studiosi, ci trovano profondamente scettici per due sostanziali motivi: la dell’acqua ). Lo smorzamento che essa provoca a carico della cellula ciliata è tale da impedirle nella maniera più assoluta qualunque possibilità di oscillazione. Che questo dato di fatto sia del tutto ignorato dalla grande maggioranza dei Ricercatori ci stupisce non poco. Dopo quanto fino a qui considerato, dobbiamo a questo punto ricordare i risultati delle fondamentali ricerche di Davis et al. [ 6 ], secondo cui non è possibile riscontrare i potenziali di azione del nervo in assenza di potenziali cocleari. Non esitiamo ad affermare che l’importanza di questa lapidaria proposizione ci sembra oggi inspiegabilmente e colpevolmente sottovalutata nell’universo audiologico. Essa potrebbe da sola essere assunta come punto di partenza per tutta una serie di ricerche nel campo della elettrofisiologia dell’orecchio o informare di sé molte delle costruzioni logiche su cui basare promettenti speculazioni scientifiche. In base a questa proposizione e alla luce di quanto fin qui ipotizzato dobbiamo concludere che i potenziali cocleari non solo sembrano costituire l’evento più importante di tutta la fenomenologia cocleare, ma appaiono addirittura come il primum movens della sensazione uditiva. O con parole più semplici: niente potenziali cocleari , niente udito. Nulla vieta a questo punto di immaginare che gli eventi patogeni che hanno causato la sordità abbiano prodotto l’obliterazione di quelle sedi elettrogene, ossia le colonne liquide cocleari in qualche modo alterate nei loro caratteri elettrochimici, da cui promanano i potenziali cocleari, ovvero abbiano diminuito in maniera parziale o totale la capacità delle cellule ciliate di trasmettere alle le terminazioni dendritiche i potenziali cocleari stessi. Senza potenziali cocleari non vi sarà udito, come detto, ma allora è azzardato pensare che l’impianto cocleare sia in grado di svolgere la sua utile azione prostesica per il semplice fatto che esso surroga i potenzali cocleari, scomparsi o indeboliti, con segnali artificiali elettricamente equivalenti ? Se questo interrogativo potesse trovare una positiva risposta nella realtà, i fondamenti tecnici dell’impianto dovrebbero essere radicalmente ridisegnati: a) esse non spiegano come le oscillazioni anzidette possano manifestarsi quando il suono giunga alla coclea a livelli di soglia, ossia ad appena 0.0002 dyne / cm2 , un livello sicuramente non in grado di provocare un qualsivoglia moto nella membrana basilare (Naftalin [ 29 ]; a) il condizionamento del segnale secondo le bizzarre strategie di codifica oggi in uso sarebbe inutile. Al contrario l’impianto dovrebbe riprodurre i segnali con la più esatta corrispondenza tra suono ed inviluppo spettrale del segnale in uscita dall’elettrodo, per uniformarsi all’assoluta fedeltà con cui i potenziali cocleari ripetono il segnale acustico. b) per la già chiarita diffusione ubiquitaria dello stimolo elettrico irradiato dall’impianto negli spazi cocleari, una sola porta sullo stelo dell’impianto e un solo canale sarebbero sufficienti come d’altronde confermato dal già citato House [ 19 ]. b) a parte il fatto che l’amplificazione è un fenomeno attivo che richiede, perché possa intrattenersi, il contributo di una quota extra di energia da imputarsi evidentemente e negativamente alle risorse metaboliche della coclea, l’ipotesi che le cellule ciliate possano essere sede di fenomeni oscillatori o di risonanza non tiene conto del fatto che la viscosità dell’endolinfa è altissima (circa 2.9 cP, tre volte quel- 32 Ci sia consentito di aggiungere che la ristrutturazione degli impianti cocleari secondo gli indirizzi qui detti comporterebbe una enorme semplificazione delle loro caratteristiche tecniche e quasi certamente un’ altrettanto rilevante riduzione del loro astronomico costo. teorie oggi correnti, devono essere attraversate da una corrente elettrica, il che accade solo ove queste, connesse tra i due poli di un generatore elettrico, siano in grado intercettare il flusso di corrente che da questo origina. I tessuti e i liquidi della coclea, interposti tra elettrodo attivo ed elettrodo neutro, fungono da veri e propri conduttori elettrici, la cui conducibilità è largamente sufficiente a permettere un cospicuo flusso di ioni ( i soli a scorrere in soluzioni elettrolitiche) bastevole a produrre nelle strutture cocleari la prevista stimolazione quando essi le incontrino nella loro corsa alternativa da un polo all’altro, ma va ancora una volta ricordato che il percorso seguito dal flusso di ioni non è il più breve tra polo e polo, ma si propaga all’intorno in tutti i tessuti circonvicini. A compendio di quanto fin’ora detto una considerazione ci sembra a questo punto doverosa: in virtù della rapidità con cui la Tecnologia oggi avanza, non vi è dubbio che l’impianto abbia già in sé tutti gli ingredienti perché gli sia assicurata in un futuro prossimo una riuscita ed una applicabilità in misura assai più latitudinaria ed efficace di quella fino ad oggi oggettivamente riscontrata o prevista. Dobbiamo altresì riconoscere che anche se qualche ombra possa proiettarsi su di essa e sui risultati ottenuti, la tecnica degli impianti ha il grande merito di aver impostato scientificamente un quesito e tentata una soluzione. Encomiabile bilancio nel quale la voce più promettente è quella che riguarda non gli indirizzi di ricerca, già almeno in gran parte chiariti, bensì il livello tecnico dei mezzi applicativi e la loro evoluzione. Non vogliamo sottacere che il capitolo più controverso ci sembra quello relativo alle ricerche sugli impianti sul tronco dell’VIII e sui nuclei. Per quanto ci sembri oggi ancora enormemente remota la soluzione di questo recentissimo problema, i suoi assunti e le sue incognite ci affascinano. NOTA 2 Già nel 1928 Collard [ 5 ], con un paziente uso di filtri di banda ad alta selettività, tracciò la curva che in campo acustico esprime l’importanza percentuale di ogni frequenza a determinare l’intelligibilità del parlato. La curva ha costituito una pietra miliare nello sviluppo delle telecomunicazioni, tanto che da allora in poi tutti i progetti e le costruzioni nel campo delle comunicazioni telefoniche e radioelettriche professionali hanno tenuto conto di questa curva che consente di concentrare in un dato messaggio la più alta quantità di informazione, con una ridondanza ridotta all’essenziale e con la più elevata resistenza contro il rumore (inteso come disturbo in senso lato). Altro vantaggio va visto nella maggiore semplicità dei circuiti utilizzati nei sistemi di produzione o di trasmissione dei messaggi e nel risparmio raggiunto grazie alla minore quantità di energia complessivamente utilizzata. E’ in ossequio a questa curva, ad esempio, che le frequenze tramesse dai normali telefoni non vanno oltre i 3000 Hz. Le frequenze al di là di questo limite contribuiscono in maniera molto limitata ad accrescere l’intelligibilità del parlato, salvo che per certi suoni fonetici ( ad esempio s e f, d e t ) la cui imperfetta o incerta comprensione non compromette in genere l’intellezione globale del discorso. APPENDICE NOTA 1 Qualunque generatore di energia elettrica è provvisto di due poli di uscita dai quali l’energia prodotta viene prelevata per essere utilizzata in un “carico” nel quale essa potrà compiere un lavoro ben definito (rotazione di un motore, accensione di una lampadina o, nel nostro caso, stimolazione di una cellula ciliata). I due poli sono assolutamente indispensabili: la “corrente” di ioni e di elettroni che costituisce la corrente elettrica può solo manifestarsi e produrre l’effetto desiderato nel “carico” a patto che questo venga connesso tra i due poli anzidetti. In tal modo, se provvisto di una conducibilità elettrica sufficiente, il carico verrà ad essere attraversato dalla corrente che vi produrrà l’effetto voluto. Nell’impianto cocleare, il generatore è costituito dal condizionatore esterno del segnale, mentre i due poli sono rappresentati dall’elettrodo attivo e dall’elettrodo neutro. Nel caso delle strutture cocleari è indubbio che anch’esse, per essere stimolate come prevedono le NOTA 3 L’ipotesi avanzata da alcuni Ricercatori secondo cui l’assenza dei recettori specifici nel campo delle frequenze necessarie ad una efficiente comprensione del parlato possa essere compensata dall’azione vicaria di recettori a diversa collocazione tonotopica e, secondo taluni, addirittura dalla funzione compensatoria di terminazioni nervose eterotopiche, non tiene conto del fatto che tutti i componenti del sistema di comunicazione a frequenza acustica installato nell’uomo e 33 rappresentato dagli apparati uditivo e fonatorio sono sintonizzati su lunghezze d’onda comprese nell’ambito da 500 a 3000 Hz per ragioni di altissima specificità biotecnica, fissate entro gli schemi di un disegno filogenetico e di una capacità operativa che hanno come mira prioritaria la garanzia della più alta efficienza della comunicazione verbale a fronte di situazioni di rapporto segnale/disturbo sfavorevoli. La caratteristica di frequenza globale dell’orecchio e quella dell’emissione vocale confermano appieno la perfetta sintonia, nel senso più tecnico del termine, dei due apparati qui detti, mentre è chiaro che a questa condizione si attiene anche l’analizzatore centrale le cui capacità di analisi si fanno massime nel campo da 500 a 3000 Hz: si veda la curva che definisce la soglia della differenza per la frequenza. Non vi è dubbio alcuno, dunque, che il mantenimento della specificità operativa dei recettori cocleari nel riconoscimento verbale e del loro livello di efficienza sono garantiti solo se sia conservata la più specifica selettività e la più stabile collocazione cocleotopica di ogni recettore nei confronti della frequenza che esso è destinato a riconoscere. Non è ammessa in altre parole nessuna confusione dei ruoli, come chiaramente dimostra il fatto che tutte le terminazioni nervose, connesse a cellule ciliate topograficamente distinte nell’organo del Corti, fanno capo a fibre nervose di cui è nota la precisa dislocazione topografica all’interno del nervo. E’ in virtù di questa considerazione che ci dichiariamo fortemente scettici circa la possibilità che il messaggio verbale venga compreso dal soggetto portatore di impianto qualunque sia lo stato di funzionalità residua e/o di collocazione tonotopica delle cellule ciliate o delle terminazioni dendritiche compromesse dalle cause patogene alla base della sordità. Abbiamo già detto come da taluno si affermi che le sinapsi ed i meccanismi corticali di elaborazione logica sarebbero in grado di riprogrammarsi, grazie ad una loro presunta plasticità, adattandosi ad effettuare una efficiente decodifica del contenuto di informazione del messaggio verbale anche nel caso che lo spettro di questo risultasse alterato rispetto all’originale in quanto pervenuto attraverso la irrituale funzione di cellule ciliate e fibre nervose ectopiche stimolate da segnali elettrici eterotopici. Un’ipotesi che, oltre ad essere tutta da dimostrare, non tiene in alcun conto dell’ altissima specificità e stabilità tonotopica delle cellule ciliate e delle fibre. E’ nostro fermo convincimento che condizione necessaria prima ancora che sufficiente perché l’impianto possa consentire una soddisfacente riuscita si è che sussista la funzione di un adeguato numero di cellule ciliate nelle sedi tonotopicamente deputate per legge fisiologica alla percezione coerente dei suoni verbali. Come già ampiamente chiarito nelle pagine precedenti, crediamo invece assai più probabile che il soggetto, anche se le porte dello stelo non risultino allineate con le cellule tonotopicamente corrispondenti, tragga giovamento dalla funzione dell’impianto semplicemente perché le tensioni generate da questo si propagano istantaneamente, per continuità elettrica, a tutto l’ambito cocleare e quindi anche a tutte le cellule ciliate superstiti indipendentemente dalla posizione dello stelo e dalla dislocazione delle porte su questo. BIBLIOGRAFIA 1) Adrian ED. Electric reactions of the cochlea and auditory nerve. 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Selecting and Verifying Hearing Aid Fittings, second edition, by –Stuttgart, 2002, 395 pagine, _ 74,95. Il notevole sviluppo della tecnologia dei semiconduttori registrato nell’ultimo quinquennio ha reso disponibili nuovi microprocessori digitali per i segnali acustici, circuiti elettronici più flessibili ed affidabili e microfoni direzionali ed omnidirezionali di maggiore sensibilità. Le implicazioni conseguenti nell’ambito della strumentazione audiologica e della protesizzazione acustica rendono di notevole interesse la rielaborazione della prima edizione dei due analoghi volumi andati in stampa nel 1994. In “Hearing Aids: Standards, Options, And Limitations” sono presi in considerazione gli elementi strutturali delle protesi acustiche tradizionali di tipo analogico e di quelle più recenti con elaborazione digitale del segnale sonoro. Pur senza entrare nei dettagli tecnici della loro costituzione e progettazione, i primi cinque capitoli sono dedicati alla descrizione del funzionamento ed alla verifica delle prestazioni delle protesi, prendendone in esame tutti gli elementi costitutivi situati fra il microfono ed il ricevitore inclusi. Le metodiche d’elaborazione analogica e digitale del segnale, l’amplificazione non lineare e le prestazioni delle protesi multicanale sono descritte con particolare chiarezza e semplicità. L’intero 6°capitolo è dedicato agli auricolari su misura, dal rilievo dell’impronta del condotto uditivo esterno alla descrizione delle prestazioni acustiche dei vari modelli realizzabili. Nel 7° ed 8° capitolo sono prese in considerazione le tecniche di amplificazione direzionale per migliorare il rapporto segnale-rumore, con conseguente maggiore comprensibilità dell’ascolto in ambiente rumoroso, e le possibili metodiche di rilievo e confronto delle prestazioni delle più innovative, ma anche molto più costose, protesi di tipo digitale. Il 9° e ultimo capitolo è dedicato infine ai principali ausili ed accessori in grado di migliorare la qualità della vita dei pazienti ipoacusici, quali sistemi di amplificazione ad F.M., a raggi infrarossi, amplificatori telefonici, sistemi d’allarme ecc. Alla luce delle innovazioni tecnologiche introdotte nelle protesi acustiche, il volume “Strategies for Selecting and Verifying Hearing Aid Fittings” è interamente dedicato ad una rielaborazione delle procedure di selezione ed adattamento nella protesizzazione acustica. Nei primi quattro capitoli sono prese in considerazione le metodiche di prescrizione, selezione e verifica delle protesi. Nei capitoli dal 5° al 9° sono descritte le applicazioni di tali metodiche alle varie procedure di adattamento delle protesi in relazione ai diversi tipi di ipoacusia (da esposizione a rumore, di tipo neurosensoriale monolaterale, bilaterale con curve audiometriche simmetriche o asimmetriche, di tipo conduttivo o misto). Nei capitoli 11° e 12° sono riportate le applicazioni delle protesi impiantabili nell’orecchio medio e le tecniche di riabilitazione di soggetti con ipoacusia di grave o profonda entità, con l’utilizzazione di protesi di tipo analogico o digitale, o dopo applicazione di impianto cocleare. I capitoli 13° e 14° sono dedicati al “Counseling”, al sostegno psicologico ai soggetti 36