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INTRODUZIONE
La pratica del riconoscimento sociale
La riflessione proposta in questo testo si è sviluppata ed ha accompagnato il lavoro
di strada in alcune aree della città di Torino1 caratterizzate da un alta frequentazione
di adolescenti e di giovani e da un particolare rischio sociale per lo spaccio ed il consumo di stupefacenti.
L’intervento è stato realizzato secondo la metodologia della bassa soglia.
Si tratta del servizio di bassa soglia «After» e «Freedancing». Il progetto After era rivolto alla
popolazione giovanile di tre aree particolarmente a rischio nella città di Torino: Porta Palazzo, San
Salvario, Murazzi. Gli operatori di strada dell’Associazione ASG, grazie ad una presenza quasi quotidiana (5 giorni alla settimana) e prolungata (6 ore nella fascia pomeridiana serale), si sono proposti
come punti di riferimento per i giovani incontrati sulla strada con problematiche di alcol e tossicodipendenza e si definivano come punti della rete di risorse che sono presenti in zona (erano operativi
su parte del territorio individuato dei coordinamenti delle attività di promozione e degli interventi di
prevenzione terziaria con i quali il progetto si poneva in sinergia). Il progetto Freedancing, di prevenzione secondaria, era rivolto ai giovani frequentatori di discoteche serali o pomeridiane (alla domenica). Ne sono state mappate oltre cinquanta nell’area metropolitana cittadina (Torino). Le entrate di
discoteche presidiate sono state particolarmente La Gare e Le Chalet in Torino. Il servizio consisteva
nell’allestimento di spazi di incontro ed ascolto mobili (camper e gazebo) davanti alle discoteche. Si
offriva la possibilità (molto utilizzata) di misurare il tasso alcolico e di avere consigli adeguati all’entità
del tasso rilevato. Una mostra allestita su poster giganti sensibilizzava i ragazzi sui temi dell’abuso
dell’alcol e delle sostanze stupefacenti utilizzate dal popolo delle discoteche. Una presentazione più
completa dei tre servizi di bassa soglia realizzati dall’ASG le cui esperienze hanno sollecitato le riflessioni di questo volume (After, Freedancing, Accompagnamento solidale «Fatti e Parole») può essere
consultata sul sito www.allweneed.net.
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L’accompagnamento solidale verso i giovani consumatori o abusatori è avvenuto
secondo la pratica del mentoring attraverso operatori sociali professionali.
Nel caso, invece, degli adolescenti sono stati seguiti i criteri della «peer education»
attraverso operatori pari, formati e motivati a stabilire relazioni di fiducia, confronto, aiuto, in costante collaborazione con il sostegno sia di figure professionali adeguate (educatori e mediatori culturali) sia di adulti significativi (volontari, famiglie sensibili, operatori parrocchiali).
La bassa soglia è una modalità informale di intervento che, partendo dalla riduzione
della soglia d’accesso alla fruizione di servizi di assistenza e di cura, ricerca la vicinanza con l’utenza e si prefigge di facilitare o migliorare la creazione ed il mantenimento della relazione di aiuto. Il principale obiettivo consiste, infatti, nell’entrare in
rapporto diretto con l’area «sommersa» di quanti, singoli e gruppi, vivono situazioni
di abbandono, di disagio o di rischio e non comunicano con le risorse organizzate e
istituzionali del territorio.
L’intervento a bassa soglia non è inteso come accettazione debole e passiva delle
condizioni di emarginazione ma come testimonianza dell’attenzione e della centralità della persona e dei valori della convivenza sociale e come azione concreta di riconoscimento sociale del valore delle persone per la promozione delle loro risorse ed attitudini al fine di raggiungere un’efficace integrazione sociale.
La bassa soglia viene identificata generalmente mediante quattro fattori fondamentali:
❖ la massima accessibilità ai servizi di aiuto,
❖ il setting informale tra operatori e utenti,
❖ la multidisciplinarietà dell’equipe di lavoro,
❖ la costruzione della rete dei servizi e delle risorse del territorio.
Per riduzione del danno s’intende invece una metodologia di intervento che sfrutta
tutte le possibilità di contatto con chi, per i più disparati motivi legati alla sua condizione, non è a volte neppure in grado di formulare una domanda di aiuto e che,
nel contempo, non può essere abbandonato da una città civile e solidale al proprio
destino.
La riduzione del danno è quindi una scelta di civiltà: si propone di limitare le conseguenze sociali correlate all’uso di droghe (la diffusione dell’AIDS, la criminalità,
il mercato clandestino) e di salvaguardare la salute dei consumatori dediti alle pratiche endovenose e ridurre le overdose, attraverso l’educazione sanitaria e di intervento medico.
L’accompagnamento a bassa soglia, sia quello di prevenzione terziaria (la riduzione del danno di giovani consumatori di droghe e di colle, usate esclusivamente dai
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giovani immigrati) sia quello orientato ad un target adolescenziale per la prevenzione secondaria (il contrasto all’abuso dell’alcol e delle droghe del divertimento, l’educativa di strada e all’entrata di discoteche) si è pensata e realizzata a tre livelli complementari: la «presenza», l’«azione a rete», gli «eventi pubblici di cultura giovanile».
La relazione interpersonale («la presenza») è considerata lo strumento fondamentale
di un intervento che è finalizzato all’incontro, all’ascolto e all’orientamento delle
persone. Sviluppando con le persone incontrate (in gergo «agganciate»), anche nella
condizione di assunzione attiva di sostanze (droghe e alcol), una relazione significativa di fiducia, l’operatore di bassa soglia ha la concreta possibilità di offrire opportunità di aiuto e di fare da tramite alla creazione di rapporti di integrazione con il
contesto sociale («azione a rete»), oltre che essere di stimolo e di sostegno alla formazione e messa in azione delle abilità personali e sociali delle persone svantaggiate da
valorizzare negli eventi pubblici di cultura giovanile. È quindi l’intervento principale
dal quale si sviluppa tutta l’azione sociale a bassa soglia.
Nel caso degli adolescenti l’obiettivo individuato consisteva nell’entrare in comunicazione con i gruppi informali, nella loro frequentazione quotidiana e nei diversi
spostamenti nella città, per guadagnarsi la loro fiducia e simpatia e realizzare i medesimi obiettivi, in condizioni ovviamente diverse.
L’occasione e il pretesto per il contatto dei gruppi informali, in entrambi i casi, è
stata (ed è tutt’ora, perché l’attività continua) la proposta di contribuire alla composizione e redazione di un «giornalino di strada»2 rivolto ai pari, con l’invito a contribuire con piccoli articoli, messaggi, fumetti, disegni, fotografie, per i singoli numeri mensili o quindicinali.
Nella metodologia utilizzata e qui presentata nei suoi motivi ispiratori, il racconto
della quotidianità è inteso come occasione per riflettere, riconsiderare la vita e darle
ordine, per attribuire significati e per motivare all’azione e al cambiamento.
Il giornalino di strada, insieme ad altre forme di comunicazione a bassa soglia3
sono considerati anche strumenti importanti per promuovere forme pubbliche di
espressione di sé, per intessere un dialogo con la popolazione del territorio e, in particolare, con le famiglie degli adolescenti incontrati, invitando i genitori, dopo l’approccio interpersonale, a momenti di confronto e di formazione.
Il giornale di strada «Allweneed» (regolarmente registrato) si poneva in continuità con l’esperienza pregressa realizzata positivamente ai supermercati Le Gru (Grugliasco), per dare voce ai diversi
soggetti incontrati promuovendone la comunicazione e la parola e favorendone il protagonismo creativo.
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Nei progetti After e Freedancing è stata realizzata anche una stazione radio web ed impiantata
una televisione di strada.
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Il contatto interpersonale e la relazione instaurata concretamente in strada hanno,
tuttavia, come preoccupazione immediata non la produzione culturale ma la qualità
di vita delle persone incontrate, la risposta, quindi, alle richieste di aiuto più urgenti. In alcuni casi questa riguarda i bisogni primari (vitto, vestiario, posto letto), in altri azioni di advocacy (ricerca lavoro, assistenza legale) o interventi di empowerment
attraverso lo sportello di strada e la consulenza individuale informale (con lo psicologo o l’educatore sul camper).
L’accompagnamento individualizzato, attraverso l’approccio del mentoring, risponde bene al bisogno vitale di essere accolti e anche accompagnati verso e attraverso i servizi.
Sulla strada o nei luoghi informali si incontrano giovani in una fase della vita in
cui sono particolarmente predisposti all’iniziazione delle carriere di abuso o di dipendenza e vivono il pericolo reale dell’approccio alle sostanze illegali e delle attività ad
esso collegate (spaccio, delinquenza, danni alla salute...).
La «presenza» degli operatori di strada è particolarmente utile, quindi, nei passaggi di fase del consumo di stupefacenti: dal non uso all’uso occasionale, dall’abuso sporadico e quello problematico; nel periodo che precede l’entrata in comunità o
alla sua uscita.
Riduzione del danno, servizi a bassa soglia, trattamento sanitario, presa in carico
e intervento terapeutico, relazione educativa, lavoro sociale di comunità, sostegno
alla famiglia, promozione della socializzazione... sono i diversi momenti di un continuum che, tramite opportune alleanze e sinergie, possono impegnare il territorio
in una progettazione educativa efficace e condivisa: l’azione a rete. La progettualità
comune dei diversi servizi di accoglienza e di cura possono formare un’efficace catena
d’aiuto e di solidarietà.
La rete naturale dell’appartenenza primaria (famiglia, amici, vicinato) è stata
scombussolata dai cambiamenti sociali ed è stata impoverita dall’isolamento, dallo
sradicamento e dall’insicurezza. Il sistema formale della cura mostra purtroppo inefficienze ed inadeguatezze anche a motivo dei tagli alla spesa sociale. Energie vive del
territorio mobilitano e si organizzano per costituirsi come «corpi intermedi» tra i singoli cittadini e le istituzioni ed intervenire in relazioni di aiuto nelle situazioni problematiche.
La crescita della sensibilità di una cultura professionale dei servizi a bassa soglia fa
generalmente riferimento alla metafora della rete: un articolato e diversificato sistema di servizi, nell’ottica della reciprocità e della complementarietà dei diversi interventi pubblici e del privato sociale.
L’azione a rete è anche la risposta più efficace di fronte alla continua evoluzione del
consumo delle droghe e ai vari fenomeni sociali ad esso correlati. È accresciuta la tol6
lerabilità sociale verso il consumo, che ormai prevede droghe per tutti e tutte le occasioni: per le feste, lo stadio, le gite scolastiche... droghe per l’evasione e per l’inserimento, per la fuga dalla realtà e per l’efficienza sociale.
All’espansione del mercato può rispondere solo l’organizzazione e la sinergia della rete di risposta.
Consumo e spaccio di sostanze, comportamenti violenti e condotte devianti sono
però anche tentativi di assumere identità e instaurare forme di socializzazione come
risposte (fallimentari) al disagio personale e alle difficoltà dell’integrazione. Sono i
sintomi di un mancato riconoscimento sociale.
L’«azione di rete»4 si propone quindi di costruire anche un adeguato consenso sociale per rendere possibile l’attivazione di processi di cittadinanza attiva come prevenzione dei processi di emarginazione e di etichettamento e come promozione dell’integrazione.
Il lavoro di strada diventa così opera di produzione culturale. L’obiettivo della
promozione delle capacità dei ragazzi e dei giovani, il sostegno al loro protagonismo,
viene cioè cercato nella possibilità di realizzare eventi (normalmente di corto e medio impatto) di autoespressione giovanile in vista di un pubblico riconoscimento del
valore e delle condizioni di vita delle persone incontrate.
Costruire eventi di pubblico riconoscimento delle attitudini dei giovani e diffondere la «cultura di strada», con il coinvolgimento di responsabili di associazioni, istituzioni e famiglie del territorio è un obiettivo fondamentale di «cittadinanza attiva».
Il lavoro di strada come sinergia di presenza, azione a rete, promozione di eventi pubblici di cultura giovanile (l’azione sociale performativa), inoltre, usa linguaggi diversi
in base ai diversi contesti:
❖ flessibile e non intrusiva nel caso della presenza (l’orientamento alle persone, nei
loro ambienti di vita);
❖ ferma e risoluta nell’azione a rete (la progettazione, il coordinamento, la sinergia
degli interventi, l’azione politica);
❖ efficace nell’azione sociale performativa (la cura dei legami sociali, la pratica del riconoscimento sociale).
La Psicologia di Comunità rappresenta, storicamente, il primo tentativo organico di connessione
tra la ricerca psicologica e l’azione sociale. Gli studi di Alfred Adler hanno evidenziato la fondamentale importanza dell’interdipendenza tra comunità e individuo. K. Lewin ha dimostrato i grandi
risultati che possono essere ottenuti con metodologie partecipative atte alla presa di coscienza e alla
risoluzione dei problemi nelle comunità territoriali.
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La metodologia a bassa soglia ha bisogno quindi di riferirsi ad una teoria guida
che aiuti ad entrare nella complessità della comunicazione e a valorizzarne tutte le
potenzialità.
Il lavoro di strada viene proposto in questo testo come «pratica del riconoscimento sociale», come azione sociale che si propone di rigenerare i legami tra le persone, di estendere la pratica del diritto e di promuovere forme efficaci di solidarietà
locale.
La riflessione che si sviluppa in questo testo è stata pensata come manuale di formazione per operatori di strada, tenendo soprattutto presente l’obiettivo di orientare ad una mentalità aperta e cosmopolita per un’azione difficile e di grande valore
sociale eppure poco valorizzata, nella speranza che la pratica del riconoscimento
sociale produca effetti innanzitutto nel loro lavoro.
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