19 - Ordine degli Avvocati di Trani
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19 - Ordine degli Avvocati di Trani
ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA Ufficio stampa Rassegna stampa 19 aprile 2006 Responsabile : Claudio Rao (tel. 06/32.21.805 – e-mail:[email protected]) 1 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA SOMMARIO Pag. 3 ANTIRICICLAGGIO: Contante super-vigilato (il sole 24 ore) Pag. 4 ANTIRICICLAGGIO: Obbligo d'avviso con l'antiriciclaggio (italia oggi) Pag. 6 ANTIRICICLAGGIO: Gli indicatori di anomalia delle operazioni sospette (italia oggi) Pag. 7 ANTIRICICLAGGIO: Professionisti al test antiriciclaggio (italia oggi) Pag. 9 ANTIRICICLAGGIO: La normativa dalla A alla Z (italia oggi) Pag.10 INCIDENTI STRADALI: Sinistri stradali, breve guida (pratica) per il risarcimento danni - di Maurizio Hazan e Daniela Zorzit (diritto e giustizia) Pag.20 INCIDENTI STRADALI: Tav. 1 - Competenze e procedure (diritto e giustizia) Pag.21 AVVOCATI: "Gratuita disumanità". Diritto di critica al magistrato? No, diffamazione dei difensori (diritto e giustizia) Pag.22 AVVOCATI: Spese legali, nessuna discriminazione per il difensore d'ufficio di un irreperibile (diritto e giustizia) Pag.23 PROFESSIONI: Professioni, spetta allo Stato individuare nuove figure (diritto e giustizia) 19/04/2006 2 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA IL SOLE 24 ORE ANTIRICICLAGGIO/I controlli al via da sabato si aggiungono a quelli per i pagamenti Contante super-vigilato Va comunicato entro trenta giorni all'Economia l'uso di somme oltre 12.500 euro I professionisti e gli intermediari finanziari chiamati alla collaborazione attiva con le autorità di vigilanza antiriciclaggio sono tenuti alla «segnalazione» delle operazioni sospette (in vigore da sabato) e alla «comunicazione» delle infrazioni al divieto di circolazione del contante e dei titoli al portatore (in vigore dal 14 marzo 2004). Si tratta di adempimenti che non devono essere confusi, neppure dal punto di vista lessicale: segnalazione e comunicazione sono solo apparentemente sinonimi. La segnalazione delle operazioni di sospetto riciclaggio - disciplinata dall'articolo 3 della legge 197/91 e dall'articolo 9 del Dm 141/2006 - implica la valutazione delle caratteristiche oggettive e soggettive della transazione. I professionisti - dottori commercialisti, ragionieri, consulenti del lavoro, notai, avvocati e revisori contabili e tributaristi – dovranno segnalare ogni operazione sospetta di riciclaggio. Vale a dire ogni operazione che per caratteristiche, entità, natura o per qualsivoglia altra circostanza conosciuta in ragione delle funzioni esercitate - tenuto conto anche della capacità economica e dell'attività svolta dal soggetto cui è riferita – porti a ritenere, in base agli elementi di conoscenza disponibili, che il denaro, i beni o le utilità oggetto delle operazioni medesime possano provenire dai delitti previsti dagli articoli 648-bis e 648-ter del Codice penale. La comunicazione delle violazioni alla normativa sulla limitazione della circolazione del contante e dei titoli al portatore, disciplinata dall'articolo 7 del decreto legislativo 56/2004, concerne invece la rilevazione di infrazioni all' articolo 1 della legge antiriciclaggio (197/91) e la conseguente informativa all'autorità. La norma sancisce il divieto di trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore da trasferire è complessivamente superiore a 12.500 euro. I vaglia postali e cambiari e gli assegni postali, bancari e circolari per importi superiori a 12.500 euro devono recare l'indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità. Il saldo dei libretti al portatore non deve essere superiore a 12.500 euro. Ne consegue che particolare attenzione deve essere posta dai professionisti nel rilevare le infrazioni di cui abbiano conoscenza nell'esercizio di funzioni privatistiche (in specie nella tenuta di contabilità per conto dei clienti e comunque nel normale esercizio di mandati) e negli incarichi di rilevanza pubblicistica (per esempio, nello svolgimento di funzioni di curatore fallimentare o di consulente tecnico). Distinte sono anche le autorità destinatarie dei due diversi obblighi: per la segnalazione di operazione sospetta dev’essere attivato senza ritardo l'Ufficio italiano dei cambi. La comunicazione delle infrazioni all' articolo 1 della legge antiriciclaggio deve essere invece inoltrata dai professionisti, entro 30 giorni, al ministero dell'Economia. Differenti sono anche le sanzioni amministrative che fanno da contraltare al mancato rispetto degli oneri. La violazione dell' obbligo di comunicazione è punito con la sanzione pecuniaria dal 3 al 30% dell'importo dell'operazione, con possibilità di applicare anche il meccanismo di pagamento in misura ridotta previsto dall'articolo 16 delle legge 689/81. La definizione può essere effettuata corrispondendo all'Erario la più favorevole misura tra il doppio del minimo e la metà del massimo edittale previsto (nel caso di specie è preferibile la prima soluzione, che porta al 6%). L'omissione della segnalazione di operazione sospetta è invece punita, salvo che il fatto costituisca reato, con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 5% fino alla metà del valore dell'operazione, senza possibilità di utilizzare il meccanismo dell'articolo 16. L'obbligo di comunicazione delle infrazioni rilevate dai professionisti e dagli intermediari finanziari alla normativa sulla limitazione della circolazione del contante e dei titoli al portatore è in vigore dal 14 marzo 2004, data di entrata in vigore del decreto legislativo 56/2004, che ha recepito la seconda direttiva comunitaria antiriciclaggio. Luigi Ferrajoli 19/04/2006 3 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA ITALIA OGGI In vigore dal 22/4 il dovere di segnalazione a carico dei professionisti in caso di operazioni sospette Obbligo d'avviso con l'antiriciclaggio Scatta per le dichiarazioni infedeli o fraudolente del cliente Il commercialista, che prenda atto di una dichiarazione infedele o fraudolenta foriera di un indebito risparmio fiscale rilevante ai fini penali con denaro reimpiegato da altro soggetto nell'attività economica, dovrà provvedere alla segnalazione all'Uic dell'operazione sospetta. I professionisti non saranno chiamati, invece, a indagare su altre informazioni rispetto a quelle a loro disposizione in relazione all'attività svolta. Sono alcune delle conseguenze dell'entrata in vigore, a partire dal 22 aprile, degli articoli 9 e segg. del regolamento n. 141 del 3 febbraio 2006. L'obbligo di segnalazione. A partire dal prossimo 22 aprile i professionisti e le società di revisione avranno l'obbligo di segnalare all'Uic ogni operazione sospetta di riciclaggio riscontrata nello svolgimento delle proprie attività. Le segnalazioni vanno effettuate senza ritardo, possibilmente prima del compimento dell'operazione. Ovviamente, la possibilità di segnalazione anteriormente al compimento dell'operazione o contestualmente a essa non è consentita alle società di revisione le quali non possono che trarre le loro informazioni dal controllo a posteriori della contabilità e dei bilanci societari. Dette segnalazioni non costituiscono violazioni del segreto professionale, se poste in essere in buona fede e per finalità ivi previste, né comportano responsabilità di alcun tipo per i professionisti, i loro dipendenti e i collaboratori. Inoltre, secondo l'art. 9 del regolamento, sospetta è l'operazione che per caratteristiche, entità e natura o per qualsiasi altra circostanza conosciuta a ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto della capacità economica dell'attività svolta dal soggetto cui è riferita, induca il professionista incaricato a ritenere, in base a elementi disponibili, anche desumibili dall'archivio unico, che il denaro, le entità o i beni dell'operazione possono provenire dai delitti previsti dagli artt. 648-bis e ter del codice penale. Per il professionista un campo d'indagine limitato. Affinché un'operazione possa venir qualificata come sospetta è necessario prendere in considerazione da un lato gli elementi oggettivi relativi all'operazione e dall'altro quelli soggettivi relativi al cliente. Nel primo caso si tratta d'individuare l'entità, la natura dell'operazione nonché le altre circostanze individuabili dal professionista in virtù della funzione esercitata, nel secondo caso andrà analizzato l'aspetto economico finanziario del cliente tenendo conto delle sue capacità patrimoniali anche in relazione all'attività svolta. Ciò che appare fondamentale evidenziare, tuttavia, è che il professionista non è chiamato a ricercare ulteriori informazioni rispetto a quelle di cui è in possesso relativamente alla funzione da esso esercitata ed esclusivamente sulla base di esse, è chiamato a individuare eventuali incongruenze rispetto al profilo di rischio di riciclaggio del cliente. Non c'è dubbio, peraltro, sul fatto che le operazioni sospette possano emergere anche dalla tenuta della contabilità aziendale. Rilevazioni in materia contabile e amministrativa e tenuta e redazione di libri contabili d'altro canto sono prestazioni che secondo l'Uic obbligheranno il professionista alla registrazione del cliente all'atto del conferimento del mandato. Tali operazioni, peraltro, obbligano il 4 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA professionista all'identificazione del cliente, in quanto ritenute a valore non determinato o determinabile. La dichiarazione infedele o fraudolenta. Ai sensi dell'art. 648-ter del codice penale viene punita, con la reclusione da quattro a 12 anni e con la multa da 1.032 a 15.493 euro, la condotta di chi, fuori dal concorso nel reato, impiega in attività economiche o finanziarie lecite, denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto. È l'ipotesi, per esempio dell'amministratore di una società che impieghi in attività societarie i risparmi fiscali a seguito di una dichiarazione fiscale infedele o fraudolenta sottoscritta dal presidente della società nella quale si siano superate le soglie per la perpetrazione dei reati fiscali di cui agli artt. 2, 3 e 4 del dlgs 74/2000. Si tratta della classica fattispecie dell'impiego, per attività economiche da parte di soggetti, di denaro (illecito risparmio di imposta) proveniente da delitto fiscale da altri perpetrato. Tali fattispecie sono, peraltro, espressamente menzionate dalla Banca d'Italia nel decalogo (del gennaio 2003) in cui sono richiamate le istruzioni operative, nelle quali vengono evidenziati i delitti tributari quali ´reatipresupposto' per l'obbligo di segnalazione. Ne consegue che il commercialista, consulente abituale della società, dovrà in queste situazioni provvedere alla segnalazione della operazione sospetta di cui è a conoscenza. (riproduzione riservata) Luciano De Angelis 19/04/2006 5 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA ITALIA OGGI 19/04/2006 6 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA ITALIA OGGI Con la pubblicazione di regolamenti e istruzioni Uic trova applicazione la disciplina del dlgs 56/2004 Professionisti al test antiriciclaggio Dal 22 aprile via agli obblighi di identificazione e segnalazione L'imminente entrata in vigore del decreto ministeriale n. 141/2006 determinerà, a carico di ragionieri e dottori commercialisti, la decorrenza degli obblighi relativi all'identificazione della clientela, registrazione e conservazione dei dati e delle informazioni e segnalazione delle operazioni sospette a fini antiriciclaggio. Il regolamento ministeriale (e le istruzioni applicative emanate dall'Uic con provvedimento del 24 febbraio 2006) darà infatti attuazione alle disposizioni contenute nel dlgs n. 56/2004 che ha esteso ad alcune categorie professionali gli obblighi antiriciclaggio già a carico delle banche e degli altri intermediari finanziari. Insieme ai commercialisti sono chiamati a osservare gli obblighi antiriciclaggio anche revisori contabili, consulenti del lavoro, notai e avvocati, queste ultime due categorie solo per determinate operazioni, e tutti coloro che rendono i servizi forniti da revisori contabili, periti e consulenti, ovvero svolgono attività in materia di amministrazione, contabilità e tributi (si pensi, per esempio, ai tributaristi e alle società di servizi). Si è così giunti alla fase applicativa della disciplina antiriciclaggio per i professionisti: restano peraltro talune disomogeneità tra le disposizioni ministeriali e le indicazioni dell'Uic che potrebbero creare taluni problemi operativi, a partire dall'obbligo di identificazione della clientela. Come è noto dal prossimo 22 aprile (data di entrata in vigore del regolamento ministeriale) i professionisti sopraindicati saranno tenuti a identificare i clienti che si avvalgano della loro prestazione professionale qualora questa abbia a oggetto mezzi di pagamento, beni o utilità di valore superiore a 12.500 euro o in presenza di operazioni di valore indeterminato o indeterminabile. Sul punto si può osservare che, mentre il regolamento del ministero dell'economia e finanze fa scattare l'obbligo al momento in cui la prestazione professionale ha inizio (articolo 4, comma 1), le istruzioni dell'Uic individuano l'accettazione dell'incarico quale momento in cui il professionista è tenuto a effettuare l'identificazione. Uno specifico problema attiene, inoltre, alla questione se siano, o meno, assoggettati alla normativa antiriciclaggio i componenti del collegio sindacale. L'Uic, nelle istruzioni applicative, ha espressamente escluso dall'ambito di applicazione della normativa antiriciclaggio i professionisti che siano componenti di organi di amministrazione, controllo e liquidazione di società, enti, trusts o altre strutture analoghe. Resta peraltro impregiudicato per i componenti dei collegi sindacali degli intermediari abilitati indicati dall'articolo 2 del dlgs n. 56/2004 l'obbligo di vigilare sull'osservanza delle norme antiriciclaggio e di trasmettere al ministero economia e finanze copia degli accertamenti e delle contestazioni relative a violazioni delle suddette norme (articolo 10 della legge antiriciclaggio). Analoghi doveri sono previsti a carico dei collegi sindacali dei soggetti di cui all'articolo 7 del dlgs n. 374/1999 (si tratta delle società di recupero crediti, custodia e trasporto contante, titoli e valori ecc.). Le indicazioni dell'Uic dovranno essere oggetto di ulteriori riflessioni, tenuto conto che la legge n. 29/2006 (legge comunitaria per il 2005), nel recepire la direttiva n. 2005/60/Ce (cosiddetta III direttiva 7 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA antiriciclaggio) ha previsto che il legislatore delegato provveda entro il 2007 a uniformare la disciplina dell'articolo 10 della legge antiriciclaggio e quella dell'articolo 7 del dlgs n. 374/1999. L'intervento normativo è diretto a rendere i doveri del suddetto organo maggiormente coerenti con il sistema di prevenzione delle operazioni di riciclaggio. Si evidenzia, da ultimo, che il dlgs n. 56/2004 ha introdotto taluni obblighi non condizionati dall'emanazione del regolamento ministeriale e, pertanto, attualmente già vigenti. Si tratta, innanzitutto, dell'obbligo, da parte del professionista, di comunicare al ministero economia e finanze le infrazioni alle disposizioni dell'articolo 1 della legge antiriciclaggio (dl n. 143/1991 convertito nella legge n. 197/1991) concernenti le limitazioni all'utilizzo del contante. L'altro obbligo, attualmente vigente, riguarda l'adozione di adeguate procedure preventive e impeditive di operazioni di riciclaggio. Deve peraltro ritenersi che la piena applicazione di quest'ultimo obbligo si avrà solo a seguito dell'entrata in vigore del regolamento ministeriale. (riproduzione riservata) Susanna Ciriello Fondazione Luca Pacioli 19/04/2006 8 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA ITALIA OGGI La normativa dalla A alla Z La disciplina antiriciclaggio e gli adempimenti a carico dei professionisti sono al centro di una serie di documenti della Fondazione Luca Pacioli (il primo, n. 9 del 14 aprile, riguarda l'individuazione dei destinatari della disciplina e fa il punto sulla decorrenza degli obblighi) e della prossima videoconferenza, in programma il 27 aprile. Si segnala, inoltre, che la rivista Summa ha dedicato un numero speciale agli obblighi ´antiriciclaggio' gravanti sui professionisti: il Summit, che fornisce un approfondita disamina della disciplina alla luce dei provvedimenti attuativi, sarà sulle scrivanie dei ragionieri a maggio. 19/04/2006 9 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA DIRITTO E GIUSTIZIA Sinistri stradali, breve guida (pratica) per il risarcimento danni di Maurizio Hazan e Daniela Zorzit La legge 102/06 introduce, con disarmante sbrigatività, una riforma destinata ad incidere sensibilmente sulla materia della tutela giurisdizionale dei diritti dei danneggiati da sinistri stradali. L’obiettivo della vigilia, dichiarato espressamente nell’ambito dei lavori preparatori, era quello di offrire miglior protezione a tali diritti, accelerando i tempi di definizione dei relativi procedimenti risarcitori e garantendo così una più pronta, semplice ed efficace soddisfazione delle “vittime della strada”. Il risultato – almeno: l’attuale risultato – si pone in termini assolutamente antitetici rispetto alle intenzioni di partenza, dal momento che il legislatore, nelle due laconiche righe con cui ha disposto l’assoggettamento al rito del lavoro delle “cause di risarcimento dei danni per morte o lesioni conseguenti ad incidenti stradali”, ha creato grovigli interpretativi di tale portata da porre l’operatore del diritto di fronte a dubbi tutt’altro che trascurabili. Dubbi che rischiano di trasformarsi in autentici freni procedurali, essendo tutt’altro che remota la possibilità che, in fase di prima applicazione della nuova legge, i giudizi risarcitori di nuova incardinazione si ingolfino, arenandosi in una serie di eccezioni pregiudiziali di competenza e di rito. Lungi dal garantire gli effetti sperati, la riforma in parola presta il fianco a numerose altre severe critiche, prima tra tutte quella relativa all’assoluta inopportunità di porre il danneggiato nella grave difficoltà di orientarsi tra discipline processuali ed organi giudicanti di volta in volta diversi a seconda del tipo di danno patito. Una tutela giurisdizionale a “quadruplo” binario, quale si presenta quella delineata dalla riforma, comporta invero la definitiva rinunzia al tentativo di ricondurre ad unità il sistema procedurale in tema di infortunistica stradale ed RCA; ciò con evidente pregiudizio delle ragioni di coloro i quali dovrebbero invece poter contare sull’immediato esercizio di strumenti processuali uniformi e chiari. Il tutto, poi, senza voler dire dell’oggettiva difficoltà di “trapiantare” (letteralmente) un sistema normativo concepito specificamente per la disciplina processuale di controversie del tutto particolari (quali quelle lavoristiche, portatrici di ben individuati interessi sociali), su di un terreno niente affatto omogeneo, quale quello delle cause in materia di infortunistica stradale.Si aggiungano, infine, le obiettive difficoltà che il rito del lavoro ha, nella prassi, evidenziato, non consentendo, in concreto, l’effettiva soddisfazione di quelle esigenze di concentrazione e di celerità che ne giustificarono l’adozione: difficoltà che alimentano qualche ulteriore perplessità in ordine all’opportunità della scelta riformista, tanto più in considerazione dell’aggravio di tempi connesso all’espletamento (il più delle volte ineludibile) di accertamenti medico legali sulla persona del danneggiato (al fine di quantificare con esattezza l’ammontare dei postumi permanenti e temporanei derivatigli a seguito del sinistro). Possiamo dunque affermare che, vista la ratio di imprimere una accelerazione ai giudizi in questione, sarebbe stato forse preferibile, anziché “prendere in prestito” il rito del lavoro (con tutti i problemi di compatibilità che ne conseguono, sui quali infra), utilizzare il procedimento ordinario (di recente) riformato. Insomma, non sembra allo stato errato sostenere che l’intervento legislativo in commento, incentrato sullo scheletrico impianto dell’articolo 3 della legge 102/06, sia frutto di autentica improvvisazione normativa ed espressione di una scelta niente affatto ponderata. Di una scelta che si rivela, in ogni caso, non adeguata, non essendo in grado, allo stato di fornire compiuta risposta ai numerosi gangli ermeneutici inevitabilmente connessi alla propria generalissima formulazione. Ciò posto in linea di premessa, entreremo nello specifico, cercando di dar una prima soluzione ad alcune tra le segnalate problematiche interpretative e di fornire un quadro il più possibile aggiornato e generale della disciplina processuale applicabile al settore del risarcimento dei danni da responsabilità civile automobilistica. Prescinderemo, in tal ambito, dal considerare i profili penalistici ed amministrativi dell’intervento di riforma (es. aumento delle sanzioni edittali; sospensione della patente), sui 10 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA quali, per ragioni di opportunità e “spazio”, non ci soffermeremo. *** L’applicazione delle norme processuali “lavoristiche”: limiti e portata dell’intervento legislativo. Come detto, l’articolo 3 della legge 102/06 estende il cd. rito del lavoro (libro II, titolo IV, capo I del Cpc) alle cause relative al risarcimento dei danni per morte o lesioni conseguenti ad incidenti stradali. Tale disposizione cancella e riscrive (sia pure per relationem) le regole che presiedono allo svolgimento delle liti in materia e stravolge, per così dire, i confini ed i punti cardinali di riferimento: l’obiettivo è quello di creare una nuova carta geografica e sostituire alle vecchie strade vie più celeri e snelle. Si tratta in primo luogo di comprendere se, come sembra a prima vista, tale norma abroghi implicitamente il disposto dell’articolo 7 comma 2, nella parte in cui sottrarrebbe ai giudici di pace la competenza esclusiva a decidere cause di valore inferiore a 15.493 Euro relative a sinistri con lesioni. La formulazione letterale della disposizione in commento, prevedendo l’applicazione in blocco delle disposizioni di natura processuale di cui al libro II, titolo IV, capo I del Cpc (articoli da 409 a 441 Cpc), consente, a nostro parere, di affermare che la materia del risarcimento da rca sia, al pari delle controversie di cui all’articolo 409 Cpc, devoluta alla competenza del Tribunale (ex articolo 413 comma 1 Cpc). Conclusione, tale ultima, a cui si perviene considerando comparativamente il disposto dell’articolo 447bis Cpc, e cioè della norma che, disponendo l’applicazione del rito del lavoro alle cause locatizie, costituisce significativo precedente dell’articolo 3 della legge 102/06. Ebbene, il rinvio alle norme processual lavoristiche operato dall’articolo 447bis non è integrale, bensì limitato a determinate disposizioni, specificamente richiamate. Tra tali norme non vi è l’articolo 413 Cpc, che deve pertanto ritenersi NON applicabile alla materia locatizia. Va peraltro considerato che al momento dell’entrata in vigore dell’articolo 447bis, sopravviveva, per le locazioni, la competenza esclusiva del Pretore. La scelta del legislatore di non richiamare l’articolo 413 comma 1 Cpc doveva pertanto intendersi del tutto coerente con il mantenimento del riparto di competenze per materia all’epoca vigente. Analogo percorso non è rilevabile tra le pieghe dell’articolo 3 e del generale rinvio alle disposizioni processuali del libro II, titolo IV, capo I del Cpc. L’attribuzione al Tribunale del potere esclusivo di decidere, secondo il rito del lavoro, su ogni causa avente ad oggetto sinistri con lesioni (anche per danni di valore contenuto entro i limiti della competenza del Giudice di Pace) sembra pertanto, quanto meno in assenza di disposizioni integrative, difficilmente revocabile in dubbio. Va registrata, peraltro, l’opinione contraria sviluppatasi, in sede di primo commento, presso quella parte di dottrina che ha, invece, affermato la sopravvivenza della competenza esclusiva del Giudice di Pace anche in relazione a danni da sinistri con lesioni aventi valore inferiore ad Euro 15.493. Secondo tale opinione, il Giudice di Pace sarebbe, in tal caso, tenuto ad applicare il rito del lavoro. Soluzione che sembra francamente non condivisibile, anche sul piano della mera opportunità pratica. Pare poi del tutto destituita di fondamento, rivelandosi addirittura contra legem, la tesi, da taluni accennata, secondo la quale la nuova legge farebbe salva integralmente la competenza esclusiva (con rito ordinario) del Giudice di Pace, dovendo l’articolo 3 della legge 102/06 intendersi riferito soltanto alle lesioni di gravità tale ad esorbitare il limite di valore di cui all’articolo 7 comma 2 Cpc Il conflitto di opinioni sin qui registrato costituisce primo, eloquentissimo, indice dell’intollerabile grado di approssimazione – quando non di improvvisazione – con cui il legislatore dimostra di aver approcciato la riforma. Rimane il fatto che, quale che sia l’interpretazione più corretta da dare alla norma, la stessa finisce per complicare, anziché semplificare, il sistema processuale che governa le cause risarcitorie in materia di RCA. In precedenza ci si trovava di fronte ad un sistema binario di agevole lettura, perfettamente comprensibile sul piano della scelta legislativa e volto a ripartire i contenziosi in oggetto, in relazione all’importanza della controversia, tra il Giudice di Pace ed il Tribunale. Oggi, invece, ci troviamo al cospetto di un sistema 11 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA processuale pluriframmentato, che potremmo definire a quadruplo binario, destinato a porre l’operatore del diritto, prima ancora che il privato cittadino, di fronte a scelte procedurali niente affatto immediate. Proviamo a riassumere: Per i procedimenti aventi ad oggetto sinistri stradali senza lesioni (sinistri che abbiano cioè cagionato soli danni a cose), rimangono ferme la competenza del Giudice di Pace, entro i limiti di valore di cui all’articolo 7 comma 2, e l’applicazione del rito ordinario; Per i danni a cose di valore eccedente, è nuovamente competente il Tribunale, che dovrà giudicare applicando le regole del processo ordinario; Per i le cause avente ad oggetto sinistri stradali con lesioni, o conseguenze mortali, è competente in via esclusiva il Tribunale, a prescindere dal valore (della causa) e con applicazione del rito del lavoro. A ciò si aggiunga la possibilità, ex articolo 70ter delle disposizioni di attuazione del Cpc, di applicare il rito societario, con l’assenso di tutte le parti interessate, nelle controversie di cui al sopracitato numero 2. Qualora, infine, si desse ingresso all’interpretazione secondo la quale il Giudice di pace manterrebbe – applicando il rito del lavoro - le proprie competenze anche in ordine ai sinistri con lesioni contenute entro i limiti di valore di cui all’articolo 7 comma 2, il sistema risulterebbe ulteriormente complicato. Ma i problemi non si esauriscono qui.Nell’ipotesi (nient’affatto improbabile) in cui la vittima intenda chiedere contestualmente il ristoro dei così detti “danni materiali” – ad es. per un importo ricompreso nella cognizione del Giudice di Pace - e dei danni fisici, dovrebbe trovar applicazione l’articolo 40 Cpc (in particolare, commi 6 e 7) con attrazione di entrambe le cause innanzi al Tribunale. Di fatto, quindi, la competenza del magistrato non togato rischia di essere svuotata. Sul punto, occorre dare atto della tesi (formulata da C. Viazzi, in questa Rivista, n. 12, 25/03/06, pag. 100) secondo la quale la riforma perderebbe gran parte della propria forza innovativa perché, in caso di cumulo tra domande risarcitorie per danni non patrimoniali e materiali, proprio in applicazione dell’articolo 40 comma 3 Cpc, vi sarebbe comunque prevalenza del rito ordinario. Tale posizione interpretativa mostra profili di notevole interesse, ma la conclusione cui essa giunge non è, per così dire, incontrovertibile: l’ambito di operatività della norma citata, infatti, non è poi così pacifico. In particolare, in dottrina (Attardi, “Le nuove disposizioni sul processo civile”, 1991, Consolo, Luiso, Sassani “La riforma del processo civile,1991 pag. 23) e giurisprudenza (Cass. 266/2000) si è affermato che la trattazione congiunta di cause sottoposte a riti differenti può attuarsi soltanto laddove vi sia connessione ai sensi degli articoli 31, 32, 34, 35 e 36 Cpc – testualmente richiamati dal terzo comma dell’articolo 40 Cpc –, restando esclusa negli altri casi, in particolare, nelle ipotesi di cui agli articoli 33 Cpc, 103, 104 Cpc. E vi è chi ( Taruffo, “Le Riforme della giustizia civile”, Torino, 2000, pag. 175) ritiene addirittura che le vertenze connesse soggettivamente od oggettivamente debbano, di regola, procedere separatamente, secondo le rispettive norme di rito, tutte le volte che ciò non comporti l’adozione di un provvedimento ex articolo 295 Cpc (ossia: solo quando si profili la necessità della sospensione sarà consentito il simultaneus processus con la prevalenza di cui all’ articolo 40 comma 3°). Sotto altro profilo, poi, non sarebbe neppure azzardato sostenere che l’articolo 3 in esame, operando un rinvio generalizzato (a differenza, come detto, dell’articolo 447bis Cpc) alle norme “di cui al libro II, titolo IV, capo I del Cpc” abbia, per così dire, aggiunto all’articolo 409 Cpc una ulteriore tipologia di controversie: se così fosse, stando alla lettera dell’articolo 40 comma 3 - ed ammesso pure che nella fattispecie sopra vista sia possibile la trattazione congiunta -, il rito “lavoro” sarebbe sempre destinato a prevalere. In definitiva, nel solco delle modifiche introdotte dall’articolo 3 legge 102/06, non è così scontato che le azioni promosse rispettivamente per lesioni e per pregiudizi materiali possano essere cumulate (o successivamente riunite) per essere entrambe trattate e decise secondo il rito ordinario. Ed è evidente che se si dovesse accogliere la soluzione negativa, optando per la necessità di una trattazione disgiunta, il risultato sarebbe quello di una inaccettabile diseconomia di sistema, con aggravio generale dei costi di lite (in una materia che comporta carichi processuali niente affatto trascurabili).In ogni caso, anche considerando la norma dal punto di vista della sua ratio (quella di rendere più celere la definizione giudiziale dei casi più gravi, consentendo ai danneggiati che abbiano subito lesioni di utilizzare gli strumenti processuali lavoristici), un’interpretazione di buon senso in ogni caso dovrebbe condurre all’applicazione del rito lavoro anche nell’ipotesi di proposizione congiunta di domande risarcitorie per 12 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA danni da lesioni o danni a cose. A questo punto, richiamate le considerazioni sopra svolte, viene naturale formulare una osservazione: in un’ottica di semplificazione (anziché di “aggrovigliamento”), probabilmente sarebbe stata più lineare e meno artificiosa una opzione ab origine unitaria (senza distinzione tra tipologia di danni, e con generalizzata applicazione del rito “generale”novellato o del rito lavoro). *** D’altra parte, alla luce delle rilevanti modifiche introdotte dalle legge 80/2005 e 263/05, l’articolo 3 in esame perde l’efficacia dirompente che – almeno nelle intenzioni – portava con sè. Dal punto di vista rigorosamente teorico ed astratto, il procedimento di cui agli articoli 409 ss. Cpc rimane probabilmente più celere rispetto a quello ordinario, anche dopo la sua recente riformulazione. Su un piano concreto, tuttavia, tale assunto potrebbe essere messo in dubbio. Ed invero, nella prassi è assai raro che innanzi al Tribunale del lavoro si celebri una sola udienza (come dovrebbe essere nello spirito dell’articolo 420 Cpc); a ciò si aggiunga, poi, che non sempre i termini acceleratori di cui all’articolo 415 Cpc o 418 Cpc vengono rispettati (anche perché non sono perentori). Sotto altro profilo, poi, va rilevato che, almeno sulla carta ( e salve le “prossime verifiche sul campo”), la differenza tra i due riti appare oggi meno marcata rispetto al passato, dato che il Dl 35/2005 ( convertito dalla legge 14/05/2005 con successive modifiche) ha sensibilmente contratto i tempi (e le articolazioni) del giudizio. Alla luce di ciò, la scelta di cui alla legge 102/06 mostra elementi di criticità: vi è da chiedersi se l’estensione operata tout court – in modo frettoloso e senza alcun coordinamento – dall’articolo 3 fosse davvero indispensabile, tenuto conto di tutte le conseguenze che ne derivano (tra le quali le segnalate difficoltà interpretative, dubbi, rischio di caos e stravolgimento dell’apparato organizzativo degli uffici). Risulta, a questo punto, utile ed interessante esaminare l’iter che ha condotto alla approvazione del testo definitivo. Leggendo i lavori preparatori si scopre, infatti, che l’articolo 3 aveva in origine un contenuto radicalmente diverso da quello attuale; se ne riporta il testo: Articolo 3. (Accelerazione dei processi civili in materia di risarcimento per danni derivanti da incidenti stradali gravi). 1. Dopo l’articolo 175 del Cpc è inserito il seguente: «Articolo 175bis. (Domande di risarcimento in caso di incidenti stradali). - Quando è chiamato a pronunciare su una domanda di risarcimento relativa a lesioni che abbiano cagionato la morte o a lesioni gravissime provocate da incidenti stradali o da infortuni sul lavoro il giudice istruttore fissa le udienze di trattazione successive alla prima a non più di due mesi l’una dall’altra. Nei processi di cui al comma 1 sono vietate le udienze di mero rinvio e sono ridotti della metà i termini previsti per lo scambio di memorie e le repliche istruttorie e conclusionali». Durante l’esame del progetto alla Camera dei Deputati, la norma è stata emendata e praticamente riscritta (nella versione odierna) affermando che la materia riguardante gli incidenti, le lesioni o la morte conseguenti ad infortuni sul lavoro, era già assoggettata al rito speciale di cui agli articoli 409bis e ss. e che l’estensione di tale disciplina processuale alla infortunistica stradale appariva, quindi, del tutto “naturale”. Non solo: “il richiamo a tale procedura già ampiamente sperimentata da oltre trent’anni nel nostro ordinamento con risultati positivi”, poteva “sortire effetti di velocizzazione”. Nel corso del dibattito non era, peraltro, sfuggita “una contraddizione di fondo” rappresentata dal fatto che la soluzione prospettata non tenesse conto del diverso modello di processo che la commissione ministeriale Vaccarella stava, in quell’epoca, predisponendo. L’impasse, tuttavia, – come si legge nel resoconto stenografico della seduta del 9 marzo 2005 – veniva superato con il rilievo (opinabile e comunque non confermato dalla evoluzione dei fatti) per cui il nuovo modello avrebbe sostanzialmente ricalcato quello societario (D.Lgs 5/2003) e – sempre secondo il parere del relatore – avrebbe determinato un considerevole allungamento dei tempi del giudizio, perché il magistrato sarebbe intervenuto solo in limine, dopo un lungo ed “infinito” scambio di memorie tra gli avvocati. Per quanto riguarda l’iter presso il Senato, occorre segnalare che, almeno nella fase iniziale, l’articolo 3 ha generato non poche perplessità: ci si è chiesti (seduta del 10 maggio 2005) se vi fosse compatibilità tra le peculiarità delle vertenze in materia di incidenti stradali “nell’ambito dei quali si svolgono accertamenti peritali talora complessi” e le caratteristiche del processo del lavoro. Sotto altro profilo si è rilevato che il rinvio a quest’ultimo appariva “non convincente” perché “le potenzialità acceleratorie di tale rito rispetto a quello ordinario” si erano “significativamente ridotte con l’introduzione del giudice unico di primo grado” e lo sarebbero state ancor più “con l’entrata in vigore delle 13 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA modifiche di cui al decreto legge sulla competitività” (Dl 35/2005) “anche con riferimento tra l’altro all’introduzione dello strumento della consulenza tecnica preventiva”, ritenuto “particolarmente utile” nelle cause in esame. Le considerazioni ora riportate hanno ceduto di fronte alla ”esigenza di una rapida approvazione del provvedimento in titolo”, anche se, come è scritto nei lavori, si è da più parti affermata “la necessità di interventi correttivi che potranno venire effettuati anche nella fase iniziale della prossima legislatura”.Alla luce di quanto sopra pare ancora una volta potersi affermare che la scelta effettuata all’esito di tali dibattiti preparatori sia stata frutto di una decisione sbrigativa e tranciante; decisione che non ha tenuto conto della evoluzione normativa “parallela” (riforma del rito ordinario) e – proprio a causa di un rinvio “maldestro”, generico e tutto da interpretare - ha finito col creare seri problemi di coordinamento e – forse- inutili complicazioni. L’auspicio, pro futuro, è che il legislatore intervenga a colmare tali evidenti lacune, definendo in termini più chiari, espliciti e coerenti il complesso normativo processuale applicabile alle controversie in oggetto. *** Ciò doverosamente posto in linea di premessa, andiamo a considerare gli ulteriori problemi di coordinamento indotti dalla norma in commento, la cui semplice lettura pone l’interprete di fronte alla necessità di selezionare, nel corpo normativo di cui al “libro II, titolo IV, capo I del Cpc”, le disposizioni “processuali” in concreto applicabili alla materia del risarcimento del danno da RCA. Problema esegetico che non si sarebbe posto se il legislatore avesse, molto più opportunamente, optato per un rinvio a disposizioni specifiche e ben individuate, sulla falsa riga di quanto effettuato in seno all’articolo 447bis Cpc. Il rinvio di cui all’articolo 3 della legge 102/2006 opera “a tutto tondo”: non vi sono esclusioni espresse (fatta eccezione per i soli precetti di natura sostanziale, sottratti, a contrario, alla estensione), né viene dettata una disciplina “sostitutiva”. Questo significa che l’interprete dovrà compiere, ogni volta, una accurata attività di analisi, confronto, vaglio e giungerà a conclusioni che, per natura, saranno più o meno condivisibili, ma non assolute. L’operazione si rivela particolarmente delicata perché si tratta di verificare se e fino a che punto si possano “trapiantare” in un altro sistema disposizioni per così dire “autoctone”, nate cioè in un contesto del tutto peculiare. Come si è osservato in dottrina, infatti (Carinci, De Luca Tamajo, Tosi, Treu, Diritto del lavoro 2, Utet pagg. 482 ss.), la disciplina processuale di cui agli articoli 409 ss. Cpc “affonda le proprie radici: a) nella particolarità degli interessi anche collettivi in gioco e dei relativi conflitti, che reclamano forme di tutela peculiari; b) nella particolare deteriorabilità dei diritti del lavoratore subordinato, la cui tutela condizionata agli ordinari tempi del processo civile sarebbe per ciò stesso definitivamente pregiudicata (si pensi alla funzione di sostentamento della retribuzione; alla destinazione alla conservazione del patrimonio fisio – psichico del lavoratore di molti istituti quali le ferie, la salvaguardia dell’ambiente di lavoro; all’implicazione di valori personali e familiari nelle controversie relative a mutamento di mansioni o trasferimento, ecc.); c) nella necessità di neutralizzare sul piano processuale la peculiare situazione di debolezza “relativa” del prestatore di lavoro, mediante una tutela “differenziata” in grado di ripristinare anche sulla ribalta processuale la eguaglianza sostanziale (..)”. In questo contesto il pensiero corre ad un antico brocardo latino: Sine pennis volare haud facile est. È difficile che la norma possa prendere il volo in mancanza di precisi criteri di “adattamento” e raccordo. Tenendo presenti questi rilievi – da considerare come una sorta di criterio guida, di parametro di raffronto -, senza alcuna pretesa di completezza, possiamo tentare l’indagine e segnalare i (principali) aspetti problematici. Seguendo l’ordine del codice, vengono anzitutto in considerazione gli articoli da 410 a 412bis: vi è da chiedersi se il tentativo di conciliazione sia applicabile anche alle cause di cui all’articolo 3 della legge 102/06. La risposta non è agevole, ma vi sono alcuni argomenti che depongono in senso negativo. Si consideri, anzitutto, che per i sinistri stradali esiste già una apposita procedura di liquidazione, creata proprio al fine di favorire il più possibile la transazione ante litem (articolo 3 Dl 857/96 e successive modifiche; articolo 148 Codice delle Assicurazioni); la previsione di uno spatium deliberandi a pena di improcedibilità dell’azione (analogamente a quanto disposto dallo stesso articolo 412bis Cpc), di scansioni temporali e precisi obblighi rigidamente sanzionati rende superfluo un (ulteriore) tentativo di composizione: se l’intesa non è stata raggiunta nei termini all’uopo stabiliti, è probabile che il conciliatore non sia in grado di aggiungere nulla, divenendo l’intervento del Giudice sostanzialmente ineludibile. Del resto, la soluzione interpretativa contraria comporterebbe un inutile allungamento dei tempi (con 14 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA il rischio che, nella peggiore delle ipotesi, ai 90 giorni di cui all’articolo 148 C.d.A. si sommino i 60 giorni di cui all’articolo 410bis), in aperto contrasto con la ratio sottesa alla legge 102/06. E ciò senza considerare, poi, che il Legislatore si è dimenticato di indicare quale organo dovrebbe essere chiamato a svolgere tale funzione (né francamente si può immaginare che simile compito sia stato implicitamente affidato… alla Direzione Provinciale del lavoro!). Data la specialità della materia (arbitrato previsto dai contratti collettivi), dovrebbe essere, invece, pacifica la non applicabilità degli articoli 412ter e quater. Dell’articolo 413 Cpc crediamo si possa “prendere in prestito”, con tutte le riserve del caso, solo il comma 1: le vertenze per il risarcimento dei danni per lesioni o morte conseguenti a sinistri stradali dovranno essere incardinate innanzi al Tribunale, che dovrà decidere applicando il rito del lavoro. Non sembra, per converso, si possano estendere le previsioni di cui ai commi successivi, che regolano la competenza per territorio in base a criteri dipendenti dalle peculiarità del rapporto lavoristico (es. luogo in cui il vincolo è sorto o si trova l’azienda ecc.). Si dovrà, quindi, continuare a far riferimento alle norme generali (articoli 18 ss. Cpc).Il procedimento sarà poi disciplinato dagli articoli 414 e seguenti (almeno sino all’articolo 420 Cpc, con esclusione, però, dell’articolo 417bis, specificamente dettato per i dipendenti della Pa), che riguardano la forma della domanda, il deposito del ricorso, il decreto di fissazione dell’udienza, la costituzione del convenuto, la proposizione della riconvenzionale ecc.. Al riguardo vanno segnalati, naturalmente, i particolari oneri di allegazione imposti alle parti, le quali sono tenute a corredare i rispettivi atti costitutivi, oltre che dell’indicazione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si fondano le domande e le corrispondenti eccezioni, anche – a pena di decadenza - degli specifici mezzi di prova posti a sostegno di tali domande/eccezioni. Ciò comporta, soprattutto sul piano istruttorio, una drastica compressione della dialettica processuale propria del processo ordinario, oggi articolata secondo le scansioni temporali dettate dall’articolo 183 Cpc in più udienze. Dovrà, pertanto, pro futuro prestarsi particolare attenzione alle restrizioni probatorie tipiche del rito del lavoro, onde non incorrere in eccezioni di decadenza difficilmente superabili. Ciò anche in considerazione dell’estrema delimitazione dei poteri di emendatio delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già formulate in atti nonché di proposizione di nuove prove, da intendersi circoscritti entro gli strettissimi limiti di cui all’articolo 420 commi 1 e 5 Cpc. Colui che agisce in giudizio dovrà pertanto specificare con precisione nel proprio ricorso i fatti e gli elementi di diritto posti a sostegno della propria domanda, avendo cura di articolare sin da subito le proprie capitolazioni probatorie, di indicare i testimoni di cui chiedere l’escussione e di allegare ogni documentazione medica utile a dimostrare l’entità del danno e del risarcimento azionato. Analogamente dovrà attivarsi il convenuto, nella propria memoria di replica, con specifico riferimento all’allegazione delle eccezioni non rilevabili d’ufficio e dei mezzi istruttori volti a sostenerle.Vi è da chiedersi se, in questo contesto di radicale concentrazione e specifica allegazione, possano essere ancora ammesse domande risarcitorie non circostanziate e generiche, soprattutto per quanto riguarda il quantum. Ed invero, la prassi invalsa nel settore registra sovente l’incardinazione di cause quasi esplorative e la proposizione di domande di assoluta genericità, il più delle volte aventi ad oggetto la condanna dei convenuti al risarcimento di danni “da quantificarsi in corso di causa” anche a mezzo di eventuale CTU. Riteniamo, al riguardo, che anche alla luce dei più recenti orientamenti giurisprudenziali in materia lavoristica (sia pur sviluppatisi con riferimento ad un tema - quello della quantificazione di eventuali pretese retributive - non del tutto omogeneo), il danneggiato non debba ritenersi, oggi come in passato, tenuto a svolgere una domanda precisamente quantificata né a corredarla con una relazione tecnica di parte. Egli potrà continuare a svolgere una domanda generica di risarcimento del danno, a condizione però di produrre in giudizio – sotto pena di nullità del ricorso - tutta la documentazione (medica e non) necessaria a quantificare la pretesa, anche a mezzo di CTU, e di indicare chiaramente i parametri liquidativi da applicarsi al caso di specie. Non dovrebbe, peraltro, poter proporre una domanda fondata sull’accertamento di postumi permanenti o temporanei non ancora stabilitisi in via definitiva (in tal senso, già si poteva opinare, anche in relazione al rito ordinario, sulla scorta di quanto previsto dal combinato disposto degli articoli 145 e 148 del nuovo codice delle assicurazioni private). La discussione della causa, destinata ad essere esaurita in unica udienza ex articolo 420 Cpc, continuerà ragionevolmente ad articolarsi, nella prassi, in più udienze (sia pur non di mero rinvio), la prima delle quali destinata all’interrogatorio libero delle parti ed al tentativo di conciliazione della lite. La comparizione personale delle parti, pertanto, meramente eventuale nel rito ordinario (ex articoli 183/185 Cpc), resta obbligatoria nelle cause aventi ad oggetto sinistri mortali o con lesioni. Rimane da considerarsi come tale 15 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA “obbligo” (di comparizione personale) (potendo, la mancata presentazione costituire comportamento valutabile ai fini della decisione) possa risultare difficilmente assolvibile da parte delle compagnie assicuratrici, destinate sovente a sopportare carichi contenziosi plurimi nel corso della stessa giornata. In tali ipotesi, peraltro, sembra poter soccorrere il disposto del nuovo articolo 185, nella parte in cui facoltizza la parte a farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale, munito di una procura che potrà esser conferita anche con scrittura privata autenticata dall’avvocato difensore. Tale norma, a nostro parere applicabile anche al rito lavoro (nonostante la mancanza di un espresso richiamo in tal senso) è destinata a rendere più agevole e meno onerosa, rispetto al passato, la possibilità di farsi legittimamente rappresentare in sede di comparizione personale. Espletate le prove, la causa passerà in decisione, previa discussione orale. Lo scambio di memorie conclusive (fisiologico nel rito ordinario) è qui soltanto eventuale e rimesso alla discrezionalità del Giudicante (ex articolo 429 Cpc). Qualche perplessità sorge di fronte all’ articolo 421 Cpc: vi è da chiedersi se la norma trovi la propria ragion d’essere solo ed esclusivamente nelle caratteristiche del rapporto di lavoro; in caso positivo, l’ estensione de plano alle vertenze di cui all’articolo 3 legge 102/06 potrebbe essere messa in dubbio. Le particolarità della disposizione in esame (che segnano la differenza con il rito ordinario) consistono essenzialmente nel riconoscimento al Giudice del potere di “disporre d’ufficio in qualsiasi momento ogni mezzo di prova, anche fuori dai limiti stabiliti dal codice civile, ad eccezione del giuramento derisorio”; “richiedere informazioni ed osservazioni alle associazioni sindacali” (almeno per questa parte, l’applicabilità dovrebbe essere esclusa mancando il termine di riferimento; e lo stesso vale per il comma 3, relativo all’accesso sul luogo di impiego); “ordinare la comparizione, per interrogarle liberamente sui fatti di causa, di quelle persone che siano incapaci di testimoniare a norma dell’articolo 246 Cpc”. Per risolvere l’impasse può forse essere d’aiuto l’articolo 447bis Cpc: esso richiama solo il comma 1 dell’articolo 421 Cpc e detta, per il resto, una disciplina ad hoc (che fa comunque salvi i limiti stabiliti dal codice civile). Tale scelta – adottata con riguardo alla materia delle locazioni - potrebbe essere indicativa e dimostrare che i commi 2, 3, 4 dell’articolo 421 Cpc sono insuscettibili di operare al di fuori dell’ambito per il quale sono stati concepiti, necessitando, all’uopo, di uno specifico adattamento ( in mancanza del quale, dunque, l’applicazione resta esclusa ). L’articolo 422 Cpc (registrazione su nastro) non crea problemi di sorta e, comunque, data la scarsa organizzazione degli uffici, probabilmente non avrà nella prassi molta fortuna. Maggiori difficoltà pone l’articolo 423 Cpc: se si vuole seguire il criterio teleologico sopra suggerito, si può concludere per l’operatività dei commi 1 e 3 (che hanno un contenuto analogo a quello dell’articolo 186bis Cpc e prevedono l’ordinanza di pagamento di somme non contestate), gli unici a cui l’ articolo 447bis rinvii. Si dovrebbe, invece, escludere l’estensione del comma 2, dettato a specifica tutela del (solo) lavoratore: data la diversità della materia, pare, infatti, più equo consentire a tutte le parti di utilizzare il rimedio, come appunto dispone, in via generale, l’articolo 186quater Cpc (si pensi, per es. ad una eventuale domanda di regresso della Compagnia nei confronti di un corresponsabile, oppure a pretese azionate nel medesimo giudizio in via di rivalsa verso l’assicurato). Ciò, a maggior ragione, laddove si consideri il fatto che il danneggiante già dispone del diritto di chiedere, in corso di causa, la liquidazione di una “provvisionale”. Diritto che, come vedremo tra poco, la legge 102/06 (articolo 5) ha addirittura esteso. Dovrebbero, poi, trovare applicazione gli articoli da 424 a 429 Cpc, fatta eccezione, però, per l’ultimo comma di tale norma – che ha indiscutibilmente carattere sostanziale (e non processuale come richiesto dall’articolo 3 legge 102/06) – e, in mancanza del termine di riferimento, per l’articolo 425 (Richiesta di informazioni e osservazioni alle associazioni sindacali). Non sembra, invece, ammissibile una estensione dell’articolo 431 Cpc che, si noti, non è richiamato dall’articolo 447bis (che detta, in sostituzione, una disciplina ad hoc); ciò fa pensare che la norma in esame risponda ad esigenze specifiche, valide solo per il rapporto cui si riferisce: parrebbe da escludersi, quindi, una “dilatazione” oltre i confini naturali. Ed in effetti, la disposizione in parola riserva un (evidente) trattamento di favore al lavoratore, che può dare attuazione coattiva al decisum con la semplice copia del dispositivo e “subire” la sospensione dell’esecuzione solo quando “all’altra parte possa derivare gravissimo danno” (per il datore, invece, valgono gli “ordinari” principi). Ebbene, in mancanza di uno specifico rinvio da parte del legislatore, sembra azzardato applicare alle parti delle cause ex articolo 3 legge 102/06 lo stesso regime differenziato stabilito dall’articolo 431 Cpc. Quest’ultimo è stato pensato in relazione ad un contesto radicalmente diverso, in cui ragioni sociali ed economiche impongono di tutelare quello che, nelle prospettazioni di principio, è il contraente più debole, per il quale, presumibilmente, il rapporto di impiego 16 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA rappresenta la principale fonte di sostentamento. Ed invero, secondo la dottrina sopra citata (Carinci, De Luca Tamajo, Tosi, Treu), la previsione in esame «appare informata dal rilievo che generalmente il lavoratore ha minori capacità di resistenza e di attesa e subisce quindi maggiori danni dalla lunghezza del processo (..), rischiando talora di addivenire a transazioni svantaggiose pur di realizzare in tempi brevi il proprio credito». Ebbene, nell’ambito delle cause per risarcimento dei danni da incidenti stradali, a queste esigenze sembrano già rispondere l’articolo 24 legge 990/69 (oggi articolo 147 CdA) e, in modo ancor più rafforzato, l’attuale articolo 5 legge 102/06. A ciò si aggiungano, altresì, gli obblighi (formulazione dell’offerta, corresponsione dell’importo) previsti nell’ambito del procedimento di liquidazione stragiudiziale (articolo 3 Dl 857/96 e successive modifiche; articolo 148 Codice delle Assicurazioni), a “garanzia” dei quali sono previste pesanti sanzioni amministrative. Senz’altro da escludere, invece, l’applicabilità dell’articolo 432 Cpc (Valutazione equitativa delle prestazioni), norma che riveste certamente carattere sostanziale. Si dovrebbe, invece, ammettere l’operatività delle disposizioni dettate per il giudizio di appello, fatta eccezione per il comma secondo dell’articolo 433 Cpc (esecuzione iniziata prima della notificazione della sentenza), che presuppone l’estensione – a nostro avviso da negare - dell’articolo 431 Cpc. Tenuto conto dell’oggetto delle vertenze di cui all’articolo 3 legge 102/06, è difficile, infine, ipotizzare che l’articolo 440 Cpc (inappellabilità delle decisioni relative a controversie di valore inferiore a lire cinquantamila) trovi concreta applicazione. *** Altri cenni in tema di processo e risarcimento dei danni da RCA. Può rivelarsi, a questo punto, interessante, svolgere qualche ulteriore considerazione in ordine al non trascurabile impatto sui giudizi in oggetto di alcune norme introdotte nella recente novella del Cpc nonché dall’articolo 5 della legge 102/06.. Impatto destinato a prodursi in ogni caso, sia che si applichi il rito del lavoro che quello ordinario. Ci riferiamo, in primo luogo, al riformato impianto dell’articolo 696 Cpc, nella parte in cui il legislatore, aderendo alle indicazioni della Corte Costituzionale (cfr: sentenza 257/96) ha esteso l’ambito di applicazione dell’accertamento tecnico preventivo, oggi esperibile anche “sulla persona dell’istante e, se questa vi consente, sulla persona nei cui confronti l’istanza è proposta”. Tale strumento processuale anticipatorio (unitamente a quello speculare – ma veramente innovativo – di cui all’articolo 696bis Cpc) fornisce tanto al danneggiato quanto alla compagnia assicuratrice del danneggiante la possibilità di risolvere in tempi più celeri, evitando – se possibile - ulteriori aggravi di costi giudiziali, tutte le controversie in cui sia pacifico l’an e l’oggetto della contesa riguardi soltanto il quantum del risarcimento. È infatti noto come buona parte dei giudizi promossi in tema di risarcimento dei danni da RCA verta proprio, e soltanto, sulla quantificazione del danno azionato dall’attore, sovente contestata dall’ente assicuratore. Ebbene, in tale ipotesi, capita spesso che il giudizio sia proseguito sino al momento dell’espletamento della Consulenza Tecnica d’Ufficio, all’esito della quale, chiariti definitivamente ed imparzialmente gli esatti termini del compendio risarcitorio azionato, la compagnia si dichiari disponibile ad offrire, anche banco iudiciis, la corrispondente liquidazione. Ora, tale fase processuale, destinata all’obiettiva individuazione dei postumi derivati all’attore, può essere oggi anteposta al vero e proprio giudizio, consentendo alle parti di limitare il loro confronto nell’ambito dei meri accertamenti medico legali, all’esito dei quali definire bonariamente la vertenza senza incardinare un vero e proprio processo. Una perdurante litigiosità potrebbe residuare solo in ipotesi di disaccordo sulle valutazioni rese dal consulente in sede di ATP. Ma non solo: lo svolgimento di un accertamento tecnico preventivo per la quantificazione dei postumi derivati all’attore potrebbe rivelarsi utile anche in quelle cause in cui l’an non sia del tutto pacifico, risultando contestato il nesso di causalità tra l’evento dannoso e le lesioni lamentate. Ciò in quanto il secondo comma dell’articolo 696 Cpc, disponendo espressamente che l’accertamento tecnico possa 17 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA “comprendere anche valutazioni in ordine alle cause e ai danni relativi all’oggetto della verifica”, legittima l’estensione del quesito da rivolgere al consulente anche al di là dello stretto limite di indagine a cui in precedenza poteva ritenersi sottoposto un atp (sino a ricomprendere anche l’analisi delle cause del sinistro e dei suoi effetti, mediante accertamenti di tipo cinematico od ergonomico). Ciò che sembra veramente innovativo, e che potrebbe in qualche modo influenzare i processi liquidativi attualmente in uso presso le compagnie assicuratrici, è la possibilità per le stesse compagnie – laddove temano richieste speculative – di agire in prevenzione, e di chiedere al danneggiato di sottoporsi ad ATP al fine di consentire la formulazione definitiva dell’offerta liquidativa. In tal senso si presta, oltre che la norma sopra menzionata, anche e soprattutto l’articolo 696bis Cpc, che ne costituisce replica, eccezion fatta per lo scopo espressamente conciliativo (meglio: prodromico ad un eventuale conciliazione) che tale ultima disposizione persegue. La finalità propedeutica all’eventuale transazione consente di affrancare l’accertamento preventivo da quei requisiti di urgenza e da quelle esigenze di anticipazione che governano, invece, l’ATP – “classico” – nei casi di cui all’articolo 696 Cpc. La richiesta di ATP da parte della compagnia dovrà incontrare l’assenso della parte sottoposta all’indagine medico legale. Assenso che non dovrebbe ragionevolmente mancare e che, laddove difettasse, potrebbe tradire intenti effettivamente strumentali e speculativi. Altra norma interessante, nell’ambito del novellato impianto del Cpc, è l’articolo 283 Cpc, nella parte in cui individua tra i gravi e fondati motivi per chiedere la sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata la “possibilità di insolvenza di una delle parti”. Le compagnie assicuratrici che abbiano subito una sentenza ritenuta ingiusta potranno oggi, più che ieri, utilizzare tale disposizione nel senso per loro più favorevole e domandare la sospensione in parola ogni qualvolta il danneggiato/appellato dimostri una propensione all’insolvenza tale da mettere a repentaglio la possibilità di ottenere, all’esito del giudizio di secondo grado, la restituzione del compendio risarcitorio liquidato in primo grado. Merita, infine, qualche parola la “nuova” disciplina della “provvisionale”, introdotta dall’articolo 5 della legge 102/06, secondo la cui letterale formulazione: “All’articolo 24 della legge 990/69 è aggiunto, infine, il seguente comma: “qualora gli aventi diritto non si trovino nello stato di bisogno di cui al comma 1, il giudice civile o penale, su richiesta del danneggiato, sentite le parti, qualora da un sommario accertamento risultino gravi elementi di responsabilità a carico del conducente, con ordinanza immediatamente esecutiva provvede all’assegnazione, a carico di una o più delle parti civilmente responsabili, di una provvisionale pari ad una percentuale variabile tra il 30 ed il 50 per cento della presumibile entità del risarcimento che sarà liquidato con sentenza”. Il riferimento all’articolo 24 della legge 990/69, norma abrogata e da tempo sostituita dall’articolo 147 del nuovo codice delle assicurazioni private dimostra, una volta di più, l’assoluta leggerezza con cui il legislatore ha affrontato il proprio sforzo riformista…. Al di la di ciò, la disposizione in commento prevede, al fianco della tipica provvisionale, uno strumento di tutela anticipatoria alternativo, da utilizzarsi in tutti i casi in cui, ferma l’esistenza di gravi elementi di responsabilità a carico del danneggiante, difettino quei requisiti di bisogno che invece condizionano l’erogazione della (maggiore) provvisionale di cui all’articolo 147 del nuovo Codice. Così come si era, in dottrina, negata la natura cautelare della provvisionale “in caso di bisogno”, a fortiori dovrà negarsi l’applicabilità all’istituto in commento del regole sui procedimenti cautelari, dovendosi escludere anche in questo caso la possibilità di proporre la relativa istanza ante causam. A fronte della novità legislativa, il danneggiato si trova oggi nella possibilità di chiedere in ogni caso, ed anche non versando in stato di bisogno, l’erogazione di una provvisionale di misura variabile tra il 30 ed il 50 per cento della presumibile entità del risarcimento che sarà liquidato con sentenza. Unica condizione per l’ammissibilità della richiesta è il fumus di fondatezza della domanda attorea, ravvisato nella sussistenza di gravi elementi di responsabilità a carico del conducente.La concessione della provvisionale dovrà essere subordinata ad una 18 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA specifica audizione delle parti, ragione per la quale, anche ove si applicasse il rito del lavoro, una richiesta in tal senso formulata in udienza dovrebbe indurre il giudice a rinviare la causa per la discussione sul punto, concedendo termine ai convenuti per formalizzare le proprie difese al riguardo. Si tratta, oggi, di comprendere se la provvisionale di cui all’articolo 5, non correlata ad alcun stato di bisogno, possa essere richiesta anche per la liquidazione anticipata dei soli danni materiali (non fisici). D’altra parte, risulta difficile capire entro che limiti, ed in base a quali criteri, il Giudicante debba orientarsi nel graduare la misura della provvisionale in parola (stabilendola tra il 30% ed il 50% del danno presumibilmente liquidabile): al riguardo, l’attribuzione di veri e propri poteri discrezionali, ben può essere giustificata a fronte dell’allegazione di un determinato stato di bisogno, sulla scorta della cui gravità il Giudice è in condizione di erogare una liquidazione anticipata ed adeguatamente proporzionata. Non così per la provvisionale di nuova introduzione, rispetto alla quale i criteri da adottarsi nello stabilire la misura dell’importo liquidato rimangono tutti da scrivere. Meglio sarebbe stato, probabilmente, riformare la materia in termini più mirati, andando ad incidere su quello che, allo stato attuale, può ritenersi un vero e proprio “buco” nel sistema: l’impossibilità di chiedere una provvisionale ante causam. Impossibilità che, con specifico riferimento a danni di gravissima entità (per la cui guarigione sono previste prognosi molto lunghe), rischia di porre il danneggiato che non sia in grado di provvedere alle proprie spese mediche di fronte ad una impasse difficilmente superabile. In mancanza dell’accertamento dell’intervenuta guarigione clinica, infatti, il danneggiato medesimo non sembra in grado di promuovere alcun giudizio, stanti le condizioni di proponibilità dell’azione dettate dagli articoli 145 e 148 del nuovo Codice delle Assicurazioni Private. Alla luce di tale blocco procedurale gli sarà pertanto preclusa, anche nell’attuale sistema riformato, ed anche versando in grave stato di bisogno, qualsiasi possibilità di ottenere una provvisionale (richiedibile soltanto in corso di causa). *** Alla luce dei menzionati interventi di riforma abbiamo dunque tentato di abbozzare un quadro, giocoforza non del tutto nitido, del contesto procedurale in cui può oggi ritenersi articolato il processo dei risarcimenti dei danni da RCA. Senza alcuna pretesa di completezza, ed anzi con la consapevolezza dell’ontologica precarietà di qualsiasi tentativo di dar corso a definitive ricostruzioni sistematiche della materia, alleghiamo qui di seguito uno schema riepilogativo che può, allo stato, fungere da guida pratica, sia pur nell’ambito di una situazione normativa necessariamente in fieri. 19/04/2006 19 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA Tav. 1 - Competenze e procedure OGGETTO danni a cose danni a cose lesioni o morte con lesioni o morte Tribunale inferiore a Giudice di Pace Tribunale rito del lavoro € 15.493 rito ordinario (art. 7, comma 2, c.p.c.) (art. 3 legge 102/2006) rito del lavoro (art. 40, commi 3, 6 e 7, c.p.c.) (art. 3 legge 102/2006) Tribunale VALORE rito ordinario (art. 9 c.p.c.) Tribunale Tribunale superiore a € 15.493 Tribunale rito del lavoro (art. 3 legge 102/2006) rito societario rito del lavoro (art. 3 legge 102/2006) (art. 40, commi 3, 6 e (consenso parti) (art. 70-ter disp. att. c.p.c.) 19/04/2006 20 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA DIRITTO E GIUSTIZIA "Gratuita disumanità". Diritto di critica al magistrato? No, diffamazione dei difensori Gli avvocati possono criticare le decisioni della Magistratura? La Camera penale di Roma ha annunciato un giorno di astensione dalle udienze per consentire ai penalisti di partecipare ad un’assemblea dedicata al tema della «salvaguardia dei principi di autonomia, libertà ed indipendenza del difensore». In realtà il giorno di astensione è nato come azione di protesta dopo la condanna di due avvocati, Gian Domenico Caiazza del foro di Roma e Antonio Fasolino, del foro di Napoli, per i giudizi espressi su un provvedimento della magistratura. Questa la vicenda. G.T. era detenuto da oltre due mesi in regime di arresti domiciliari e sottoposto alle indagini preliminari per un reato di tentata estorsione quando improvvisamente il padre (che viveva nell’abitazione immediatamente limitrofa) moriva colpito da infarto. I difensori formulavano istanza al Gip di Torre Annunziata perché autorizzasse il loro assistito a vegliare il feretro del padre e a seguire le esequie il mattino successivo. Tramite fonogramma dei Carabinieri il Gip comunicava che G.T. era autorizzato solo a partecipare, con scorta, ai funerali del padre. La difesa constatava così che era stato negato alla persona indagata l’elementare diritto di vegliare il feretro del padre sito nel civico immediatamente successivo a quello della propria abitazione e che lo stesso provvedimento veniva adottato senza nemmeno fornire una motivazione adeguata. Con una lettera privata, i due avvocati informavano quindi dell’accaduto il Presidente del Tribunale di Torre Annunziata, il ministro della Giustizia e il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. Nel testo si segnalavano l’incongruità logicoprocessuale del provvedimento, la manifesta contrarietà ai più elementari sentimenti di umanità anche per la forma adottata (fonogramma senza alcuna motivazione). «Un siffatto provvedimento lascia sgomenti – dichiaravano i due difensori – per la sua manifesta mancanza di giustificazione logica e di qualsivoglia plausibile ragione cautelare, e per la sua altrettanto manifesta, gratuita disumanità. Non resta allora a questi difensori altra via che elevare la più ferma ed indignata protesta per un provvedimento odioso,gravemente quanto gratuitamente contrario al senso di umanità». Il Gip di Torre Annunziata ha ritenuto però il contenuto dello scritto offensivo della propria reputazione dal momento che definiva «a più riprese disumani ed odiosi i provvedimenti giurisdizionali dallo stesso adottati nei confronti del loro assistito». I legali, rinviati a giudizio con citazione diretta, hanno rivendicato il diritto di critica nei confronti di un provvedimento giudiziario che aveva a loro avviso violato manifestamente il principio di umanità della custodia cautelare ed i più elementari parametri di una equa amministrazione della giustizia. Il giudizio è stato celebrato davanti al Tribunale di Roma in composizione monocratica e si è concluso con la condanna degli imputati alla pena della multa ed al risarcimento del danno morale liquidato equitativamente in 50 mila euro in solido tra loro. La Camera penale capitolina, condannando il tribunale per una decisione che ha come obiettivo primario quello di condizionare l’attività professionale del difensore, si chiede dunque se «la libertà di pensiero e il diritto di critica valgano anche nei confronti della magistratura». Per i penalisti capitolini la condanna di Caiazza e Fasolino «si profila come un attentato al diritto di difesa ovvero all’autonomia e all’indipendenza dell’avvocatura, anche per il condizionamento che rischia di esercitare per il futuro». L’assemblea dei penalisti romani deciderà adesso quando e dove organizzare la giornata di dibattito sul tema. (p.a.) 19/04/2006 21 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA DIRITTO E GIUSTIZIA Spese legali, nessuna discriminazione per il difensore d'ufficio di un irreperibile Nessuna discriminazione nei confronti del difensore d’ufficio di chi è irreperibile. Così la Corte costituzionale con l’ordinanza 160/06 (depositata lo scorso 14 aprile, redatta da Paolo Maddalena) ha dichiarato non fondata la questione di legittimità dell’articolo 117 comma 1 del Dpr 115/02, il «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia». A sollevare la questione era stato il Gup del tribunale di Bolzano nella parte in cui la norma non estenderebbe al legale della persona irreperibile i benefici previsti dall’ammissione al gratuito patrocinio. Del resto, sosteneva il remittente gli onorari del difensore d’ufficio di chi è irreperibile sono liquidati con modalità tali da determinare ritardi consistenti e costringono lo stesso legale ad anticipare anche cifre rilevanti. Per cui tale disposizione darebbe luogo a una disparità di trattamento rispetto al difensore d’ufficio di persona reperibile nei confronti del quale le spese vengono anticipate. La Consulta, tuttavia, nel dichiarare non fondata la questione ha fornito importanti chiarimenti. Tuttavia, hanno aggiunto i giudici delle leggi, le due situazioni non sono paragonabili dato che l’ammissione al gratuito patrocinio, rispondendo a un preciso vincolo costituzionale che si concretizza nella «non abbienza» mentre del tutto diversa è la circostanza dell’imputato nei cui confronti non sia stato possibile eseguire le notificazioni nei modi previsti dalla legge. Infine, ha detto ancora l’Alta corte, la diversità degli istituti comparati rende incongruo il riferimento a una disparità di trattamento tra il difensore d’ufficio di chi è irreperibile e quello di persona reperibile, qualora gli assistiti versino in una condizione di non abbienza. Del resto, hanno ammesso i giudici costituzionali, è del tutto contraddittorio affermare la «non abbienza» dell’imputato irreperibile. (cri.cap) 19/04/2006 22 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected] ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA DIRITTO E GIUSTIZIA Professioni, spetta allo Stato individuare nuove figure Spetta allo Stato individuare le nuove figure professionali mentre le Regioni si occupano di disciplinare tutti quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà territoriale. Così la Corte costituzionale con la sentenza 153/06 (depositata lo scoro 14 aprile, redatta da Paolo Maddalena) ha dichiarato illegittimo l’articolo 32 commi 1 e 2 della legge della Regione Piemonte 1/2004 diretta alla «realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali». A sollevare la questione era stato il Governo nella parte in cui la norma individua le figure professionali dei servizi sociali, includendovi anche gli assistenti sociali, gli educatori professionali, gli operatori socio-sanitari, gli assistenti domiciliari e dei servizi tutelari e gli animatori professionali socioeducativi. In questo modo era la Regione a determinare di fatto i titoli professionali e i contenuti della professione. Ma non solo, la legge regionale indica anche i titoli necessari per l’esercizio dell’attività di educatore professionale diversi da quelli già prescritti dal legislatore statale. La Consulta nel dichiarare fondata la questione ha ricordato, tuttavia, che l’articolo 117 della nostra Carta fondamentale affida allo Stato la determinazione dei principi fondamentali in materia di professioni. Per cui a individuare i titoli e i contenuti della professione ci pensa il legislatore statale e non certo quello territoriale. (cri.cap) 19/04/2006 23 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected] – [email protected]