Il quadro dei delitti - 755553
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Il quadro dei delitti - 755553
LIBRO IN ASSAGGIO IL QUADRO DEI DELITTI DI NATHAN GELB IL QUADRO DEI DELITTI PERSONAGGI PRINCIPA LI Jeroen Van Aken, detto Hieronymus Bosch, pittore fiammingo Napoli Raimondo de Sangro, Principe di Sansevero, l'alchimista detector Vincenzo Fantoni, valletto del Principe Gualtiero Gualtieri, nunzio apostolico a Napoli Roma Sua Santità Benedetto XIV Clisson (Alta Bretagna) Upupa, maestro e guida della Confraternita della Rosa e degli Uccelli Zirla, Pernice, Sperling, Rallo, Usignolo, Pappagallo, Fenice, Biancone, Merlo, Airone, Colibrì, Cigno: gli “Uccelli” Urbain Boutier, allievo di Upupa Bernabé de Grace, il fuggitivo Beppe Talla, fabbro Perrine Martin, sua moglie Raphaël Choumien, oste, proprietario del Gelso d'Oro Padre Sébastien, parroco della chiesa della Trinité Hilarion Thenau, sacrestano Henriette Labbé, fidanzata di Bernabé P AG. 2 Jeanne, sua cugina Mathias Badeau, sindaco e subdelegato di giustizia Tiffauges (Paese di Rais) Rosario, capo della setta dei Templari della Rugiada Gilles Francesco Maria Prelati, sommo sacerdote della setta Bagoa, il guercio Maillezais (Basso Poitou) Guillaume de Fresne, priore dell'abbazia benedettina Joseph Didier, brigadiere della polizia militare Parigi Luigi XV, re di Francia Charles de Soubise, duca di Rohan, signore di Clisson Duca di Penthièvre e Rambouillet, grande ammiraglio di Francia PRECISAZIONE Di delitti e indagini è piena la storia, sin dai tempi della Bibbia. E da quando sono nate le storie criminali, il mondo ha conosciuto migliaia di detective. Ma è la prima volta che sulla scena appare un detector. Questo è l'appellativo scelto da Benedetto XIV per Raimondo de Sangro, convocato a Roma in tutta fretta. All'eclettico Principe di Sansevero il Pontefice affida un'indagine complicata e urgente: chiarire il mistero criminale nascosto dietro le strane morti che insanguinano uno spicchio di Francia a metà del XVIII secolo. I termini “detective” e “detector” sono nel dizionario inglese. Entrambi derivano dal latino. “Detector”, in più, è proprio parola dell'antico idioma romano. La radice è quella del verbo detegere, che vuol dire: scoperchiare, scoprire, spogliare, mettere in luce, svelare. Un verbo illuminante, aderente, adeguato. Dunque perfetto per descrivere il duro lavoro dell'infallibile segugio. P AG. 3 PRIMA DEI FATTI BRABANTE SETTENTRIONALE (OLANDA) S’HERTOGENBOSCH, 5 AGOSTO 1516 La morte deve avere un velo, la tomba un pudore. Ma qui, nell'atelier del pittore, né pudore né velo. La campana suona l'ora Sesta a mezzogiorno e l'assassinio è compiuto. Il cadavere del vecchio artista è un insulto alla morte stessa. Siede come re sconfitto. La testa irta di spine, conficcategli nel cranio, simile a un ecce homo. Sulla palandrana gialla, lacerata dal pugnale che gli trafigge il cuore, si spande una macchia fiammeggiante. Le mani sono inchiodate sopra il tavolaccio, accanto a due ampolline vuote, imbrattate del sangue che gocciola dalle carni vive, dalle palme trafitte. Perle di fosca porpora colano lungo la fronte, tingendogli i bianchi capelli, le folte sopracciglia e le guance scolorite. Stille coagulate in quelli che erano stati gli occhi somigliano a lacrime. Un resto di grido sembra risuonare nella bocca aperta. La scranna su cui giace l'hanno spennellata in fretta e furia con colori a olio, beffardo sfregio iridescente all'artista martoriato. Attraverso l'aria rarefatta, sottili volute di vapore si alzano dal sangue, quasi fumante offerta votiva. Sul chiaro sole, che filtra dalla finestra, si chiudono due nubi - complici dei criminali - come sipario impenetrabile. Uno dei boia sputa sul volto sfigurato e gli scarica contro una raffica d'insulti. “Mostro guaiolante, grugnente e strisciante nell'infame serraglio delle tue opere, eccoti servito!” Il secondo incalza, storcendo la bocca: “Con i tuoi eretici pennelli tu hai osato immortalare i segreti di Colui che un giorno fermò il vento, il mare, la tempesta! Blasfemo, lo hai reso simile a re Mida, il peggior alchimista!” “Vero, verissimo!” Un'altra voce fende l'aria con parole d'odio vibrante. “Ora giaci pure fra le braccia di Satana Trismegisto. Che quadro incantevole sei, mastro Van Aken! Ti manca solo la cornice. Chiunque scoprirì il tuo putrido corpo, scaraventerà l'assassinio sugli Ebrei. Un delitto perfetto sì, da far ricadere su quel branco d'incalliti deicidi.” “Smettila”, lo rintuzza il primo carnefice. “Prendiamo la tela e svigniamocela. Lasciamo questo porcile con il morto eccellente.” E fa un sacrilego inchino, lanciando un altro sputo verso quel miserevole resto di uomo, senza velo, senza pudore. In un amalgama di martirio, orrore e provocazione. P AG. 4 Tre quarti d'ora prima, mastro Jeroen si dirigeva verso il suo studio privato, costruito in mattoni e legno scuro di cipresso, stuccato per combattere l'umidità. Nell'attraversare il passaggio coperto che conduceva dall'abitazione allo studio, l'artista si voltò per guardarsi alle spalle. Perché quel giorno lo inquietava fin nelle viscere la sensazione d'esser seguito e spiato? A spaventarlo no, non era l'incontro con l'ormai abituale “presenza trascendente”, che si protraeva da sei giorni. Anzi. Sentirsi prescelto e depositario di segreti esagerati, pregni di energia sconvolgente, lo faceva sentire speciale. L'intera faccenda rasentava la fandonia, l'inverosimile. Ne aveva parlato solo con sua moglie, sentendosi sbeffeggiare come un insensato. Insomma, come una vittima della pomata delle streghe, con la quale si drogava per animare sul legno le diaboliche scene, frutto sosteneva lei - di uno sfrenato piacere sessuale. Ma oggi la signora Aleyt era assente. In visita da certi parenti a Roedeken, presso Oirschot. Perciò non gli sarebbe toccata la solita litania: “Jeroen Van Aken, marito mio, non sai dipingere che mostriciattoli...” “Te l'ho sempre detto. Gli altri ritraggono gli uomini come appaiono dall'esterno. Io invece li mostro dall'interno, per quel che sono.” “Sarà, comunque tu sei ossessionato dal diavolo. Nelle tue opere è sempre in agguato.” “Moglie, il diavolo è a molla. Il torto dell'uomo sta nel farlo scattare con troppa frequenza.” Il pittore scrollò le spalle, perché qualcosa gli pesava sul cuore... Aprì la porta, si voltò ancora. Nulla. Nessuno. Scosse la testa e si diede del matto. Era solo. Si avvicinò alla finestra. Accanto, messi ad angolo, due cavalletti affiancati. Uno sgombro, l'altro reggeva una tavoletta raffigurante il primo miracolo evangelico. Jeroen non lo degnò d'uno sguardo e passò oltre. Aperta la cassapanca in noce, ne estrasse una tela appena finita, che bloccò sul cavalletto vuoto. Rappresentava lo stesso soggetto religioso, Le nozze di Cana. Una copia identica al gemello, tranne per alcuni evidenti particolari. “Me le ha ordinate l'Entità disincarnata, queste modifiche... Ma come potrò far giungere a Charles de Montpensier tali messaggi criptici? La loro importanza risale alle vestigia di un disegno complesso iniziato quasi millecinquecento anni fa...” Mugugnando, aprì il ripostiglio segreto della credenza. Sul ripiano, allineate come battaglione, stavano le ciotole con i colori. Jeroen prelevò una fiaschetta. “Ecco, ecco il kyphi! Questa droga l'ho usata sempre con parsimonia, dacché mi fu portata dal maledetto paese di Arras. Ma devo riconoscerne la potenza, rispetto alla pomata delle streghe. Del resto, il mio 'ospite' vuole che ne ingurgiti tre cucchiai affinché si verifichi il fenomeno.” P AG. 5 Dosò la bevanda, la inghiottì e attese la piccola morte allucinata, occhi fissi al campanile gotico di San Giovanni. Occhi penetranti da falcone, già mezzo abbandonati, il respiro affannoso. Ecco... tra chimere, mostri e stregozzi, partoriti dalla sua ossessiva fantasia, finalmente vide il solito cavaliere templare. Biancovestito, croce rossa sul petto, reggeva un pellicano dorato nella destra e cavalcava il candido unicorno. Il cavaliere inforcò gli occhiali ad arco e guardò il dipinto alle spalle del pittore. “Molto bene, mastro Jeroen Van Aken. Mi avete pienamente soddisfatto. Siete migliore di Giotto! Voi riuscite a forgiare immagini vigorose e originali. Con gli opportuni accorgimenti, gli iniziati comprenderanno il simbolismo del fanciullo.” “Grazie, eccellenza. Ho eseguito su tela le modifiche che mi avete richiesto per la nuova versione. Il vassoio, le ampolline con le polveri preziose, la M dietro la spalliera del trono... Gli eletti potranno praticare l'arte della trasmutazione alchemica...” soggiunse in tono alto. “Sstt!” ammonì il monaco, alterando la voce. “Attenzione e cautela! Non dimenticatelo! Il vostro quadro, per i segreti che ingloba, può uccidere anche voi!” Il viso divorato dagli occhi immensi, occhi sbarrati da folle, l'artista domandò: “Signore, volete forse insinuare che io sono in pericolo?” “Vi siete confidato con qualcuno?” chiese l'altro, ansimando. ”Ah, sì. A persona fidatissima ho accennato del nostro incontro, insomma, della nostra 'comunicazione'...” “Maledetto Van Aken! Vi rendete conto? Qui avete effigiato Colui il quale detenne per primo le potentissime polveri! E senza rispetto andate a spifferare la faccenda... Nonostante i miei avvertimenti...” “Signore, ma io ho parlato solamente di voi! Capirete, non è cosa da tutti colloquiare con un personaggio bruciato sul rogo due secoli fa... Sebbene riesca a vedervi grazie all'effetto del kyphi.” E allora, d'improvviso, mentre si giustificava, non scorse più il Templare, ma un paesaggio secco, arido, calcinato. Tra fantasia e delirio, non distinse più realtà e visioni. Il discrimine s'era annullato. Provò a stropicciarsi gli occhi, ma gli orecchi percepirono questo messaggio: “E’ un folle chi dice il suo segreto/ a sua moglie o a chicchessia./ Per una cosa del genere il fortissimo Sansone/ perse gli occhi e i capelli...” Il pittore crollò sulla poltrona, stremato. P AG. 6 Dinanzi alle pupille gli schizzavano le consuete immagini partorite dal suo personalissimo talento. Un'arpa dai piedi umani gli offriva una corona di rovi. E un cinghiale, zampe di rospo e imbuto sulla testa, lo minacciava con un coltellaccio. Fantasia, sì... eppure no... realtà... Ora solamente Jeroen intuì. Ma subito fu trattenuto da un terzo personaggio, un pollo con occhi e braccia di scimmia. Questi lo abbrancò, mentre gli altri due circondavano i cavalletti. L'artista, divincolandosi, riuscì a rialzarsi, prima che l'effetto della droga tornasse ad affollargli la mente con i consueti mostriciattoli simbolici, anima delle sue dirompenti pitture. Ma i tre ceffi lo malmenarono davvero, rimbalzandoselo vorticosamente, come palla di stracci. “Vecchio eretico pazzo, cosa credevi?” inveì uno, in tono da inquisitore. “Risvegliare il nostro popolo addomesticato e insudiciarlo con rivelazioni ben occultate da oltre un millennio?” L'altro gli morse una gamba e tuonò: “Maledetto! I dati della fede assicurata dalla Chiesa non vanno sovvertiti. Impudente e imprudente, folle drogato imbrattatele, hai inscenato la commedia della morte dell'anima! L'uomo deve restare come l'asino di Buridano, sempre conteso tra l'inferno e il cielo”. “Siamo giunti in tempo a fermarti!” ammonì il terzo. “Segreto di due, segreto di Dio. Segreto di tre, segreto di tutti... Meglio interromperlo qui!” e gli affondò il pugnale nel petto. Jeroen farfugliò, ma sentì il cuore diventargli fuoco liquido. Un dolore insopportabile gli stava esplodendo dentro. Cadde riverso sul pavimento, lo sguardo proteso verso i due cavalletti. Le tre furie ghermirono la copia, più preziosa dell'originale e l'arrotolarono con cura, sottraendo pure la fiaschetta di kyphi. Prima di abbandonare lo studio, allestirono la loro iniqua messinscena. Afferrato il moribondo, simili a uccelli rapaci, curvi sulla preda, lo forzarono dentro la scranna, quindi ne fecero l'ignobile parodia del Dischiodato del Golgota. Poco più tardi, durante la fuga, i carnefici salirono con il dipinto razziato sopra un barcone che solcava il fiume Aa. Proprio come aveva minacciato il cavaliere templare nell'allucinazione, il quadro - il duplicato delle Nozze di Cana - aveva incominciato a uccidere. Iniziando dal suo artefice, Van Aken detto Bosch. Le nozze di Cana, dunque... Un sepolcro senza cadavere? O un cadavere senza sepolcro? P AG. 7 1 Il cuore di Napoli. Pietra. Tufo, marmo e lava. Striato da pochi giardini. Solcato da cicatrici verminose, i vicoli scarrucolanti chiasso, emananti muffa e indecifrabili odori. Il cuore di Napoli. Dedalo vuoto di grotte vulcaniche. In profondità acque fluttuanti e voragini di tenebra. Rigurgito e linfa del lago d'Averno, bocca sbadigliante sugli Inferi. In superficie, antichi palazzi gareggiano in splendore con chiese chiostri conventi, dove santi comprensivi sciolgono il proprio sangue e promettono miracoli. Il cuore di Napoli. Misterioso ricetto di arcane presenze. Grembo fecondo di segreti, come la Cappella Sansevero, tempio sepolcrale della famiglia de Sangro, abbellito da statue stranissime, inquietanti, scolpite quasi per alimentare sospetti e leggende. Oggi come ieri... 2 REGNO DELLE DUE SICILIE, NAPOLI 12 GENNAIO 1753 Là, nella Cappella, in quel piovoso venerdì, il Principe Raimondo rileggeva la propria lapide con i suoi reboanti titoli di nobiltà... Raimondo de Sangro Principe di Sansevero, Duca di Torremaggiore, Marchese di Castelnuovo, Grande di Spagna, Gentiluomo di Camera del re Carlo di Borbone, Comandante dell'Ordine Equestre di San Gennaro... Abito verde di velluto, jabot a righe orizzontali azzurro e oro richiamanti il suo stemma, don Raimondo scorreva, compiaciuto, quel testo predisposto da tempo. Intorno a lui, nella candida immobilità marmorea, le statue degli antenati parevano seguirlo con sguardo benevolo. Eppure ciò che il gelido marmo taceva, ciò che tra quegli elogi postumi non appariva, era una descrizione più vivida del Principe, un acuto ritratto psicofisico come quello tracciato dal monsignore fiorentino Giovanni Bottari. La natura ha raccolto, nella figura di Raimondo de Sangro Principe di Sansevero, tutto quanto i colori e l'indole hanno di più seducente per le loro consonanze e i contrasti. Di bassa statura, visto in lontananza, lo si prenderebbe per un ragazzetto. Ma da vicino, no. Anche se i suoi 43 anni li porta bene. Il volto, incorniciato da capelli sottili biondo scuro, ne sottolinea gli aristocratici natali. La fronte ampia rivela intelligenza intuitiva, attestando la vivacità increspata del genio, mentre il naso dritto a larga schiena indica rare facoltà superiori. Ha lunghe arcate sopraccigliari e gli occhi presentano iridescenze bruno-verdi, contornate da giallo dorato. Sono grandi e sporgenti, irrequieti e inquietanti, indagatori e profondi, lanciati lontano nel tempo. Il volto, tondeggiante e sfumato agli zigomi, che termina col mento appuntito ornato da fossetta, gli conferisce una certa aria canzonatoria. Il labbro superiore, leggermente sollevato, evidenzia gli incisivi rettangolari che egli liscia di tanto in tanto con la punta della lingua. P AG. 8 L'incedere del passo, fermo e sicuro, denota padronanza di sé. La voce forte e imperiosa lo rivela uomo nato al comando. Ricco, potente, blasonato da generazioni, discendente da Carlo Magno. Uomo mirabile, fatto per tutte le cose grandi e meravigliose. Profondo conoscitore degli arcani della natura, protomedico, scienziato, inventore, alchimista, massone potente, letterato e filosofo, editore in proprio... Ha pochi amici di razza e nascita buona. La massa lo teme e ne imbalsama le capacità con malevolenza, invidia e maldicenza. Tutto sommato è un uomo felice. Unico. Solitario, ma felice. Possiede conoscenza magica dell'umano e del sovrumano fusi insieme. Inafferrabile, insofferente verso ogni censura o costrizione intellettuale. Mangiapreti... Dopo aver sostato innanzi al futuro sacello, il Principe indugiò avanti all'ultima scultura da lui creata. Il Cristo velato. Le iridi fisse sul virtuoso velo troppo trasparente che ricopriva il morto corpo del Redentore, ripensò all'ingegnosa tecnica da lui ideata per ottenere quanto lo scalpello non avrebbe mai raggiunto. “Sì, ci sono riuscito! Bastava ricorrere a fisica e chimica e imbibire la sindone di stoffa pregiata in latte di calce. Certo, depositarla sulla statua, immersa con argani dentro il liquido in una vasca ammattonata, è stata impresa laboriosa. Ma quando, dai mantici della fornace a carbone, sono fuoriuscite le esalazioni del mio composto, il sottilissimo velo si è marmorizzato, diventando tutt'uno con la statua. Nessuno comprenderà questo segreto. Meravigliare è il mio motto!” Soddisfatto, si fregò le mani. Per aver ottenuto una scultura col trucco, o per la gioia d'ingannare artisti e critici? Chissà... Era fatto così, don Raimondo: infastidiva con le apparenze, con le illusioni ottiche. Tutto ciò lo avvolgeva in nube misteriosa, impossibile a vedere e pericolosa a guardarsi. Si divertiva nelle sue evoluzioni fantastiche, maneggiando la materia e rendendola docile ai propri ordini. Tutto sommato, avrebbe reso celebre lo scultore del Cristo, Giuseppe Sammartino. Che pure, mai in vita sarebbe riuscito a replicare un'opera simile. Accadde in quel momento, sotto i suoi occhi... un'immagine fugace si sovrappose al Cristo, celando il velo... una donna accasciata, pupazzo disarticolato, un fiotto di sangue, un'impronta di sangue, buio, tanfo d'umido... altrove... “Dove? Chi...” Il Principe sollevò una mano quasi a trattenere quella visione ma già le iridi bruno-verdi contemplavano solo la mirabile creazione scultorea... Eppure altro avevano visto... La mente agitata rincorse ipotesi, formulò domande e cercò risposte, senza trovarne. Don Raimondo sorrise. Mai affrettare i tempi! “Un giorno saprò... Torniamo al presente...” e incominciò a misurare a larghi passi la lunghezza del tempio. © 2006, Sperling & Kupfer Editori S.p.A. Edizione Mondolibri S.p.A., Milano su licenza Sperling & Kupfer Editori S.p.A. www.mondolibri.it P AG. 9