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Il buon gusto in Camillo Ettorri. I fondamenti
retorici dell’estetica italiana del Settecento
Pietro Falagiani
Sommario
Il Buon gusto nei componimenti retorici, l’unica opera che ci è
pervenuta del gesuita Camillo Ettorri, è un trattato pubblicato
negli ultimi anni del Seicento il cui valore trascende le posizioni
estetiche in esso presentate, ancora riconducibili a un atteggiamento prescrittivo, perché esemplifica efficacemente il ruolo centrale della retorica classica nel giudizio estetico, elemento costante della trattatistica italiana per tutto il Settecento. L’originalità
del Buon Gusto, infatti, emerge nell’analisi approfondita dei legami tra gusto, giudizio argomentativo e creatività che delineano
la figura dell’intenditore. La passionalità regolata dal giudizio, la
conoscenza dei registri e dei modelli del passato e la sapiente dissimulazione che fa apparire un’opera come frutto del caso sono,
per Ettorri, elementi costitutivi del fare artistico e del giudizio
di gusto, il cui fine è ancora la persuasività e l’elevazione del
gusto popolare. Nel secondo Settecento italiano andrà affermandosi una retorica del sentimento più aperta al giudizio emotivo
e immediato del pubblico. Bettinelli e Spalletti saranno tra i
maggiori interpreti di questo nuovo atteggiamento critico.
c 2009 ITINERA (http://www.filosofia.unimi.it/itinera)
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ITIN E RA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura
I fondamenti retorici del giudizio di gusto nell’Italia del
Settecento
l dibattito estetico nell’Italia del Settecento vive in gran parte del riflesso
di quello europeo, ma dimostra la sostanziale apertura al confronto
culturale con le posizioni filosofiche che andavano affermandosi nelle
altre nazioni, l’intensa circolazione delle idee discusse dai maggiori teorici
illuministi e la vitalità di un confronto costante, che rielabora diversi aspetti
dei nuovi percorsi interpretativi con indubbia originalità.
Francia, Germania e Inghilterra sono le nazioni in cui l’estetica si definisce, seguendo le linee guida dell’associazione del gusto immediato alla
conoscenza, dello sviluppo della critica, determinato dal riconoscimento di
un senso comune, dell’affermarsi del ruolo dell’emozione come modalità di
fruizione e discernimento che permette il giudizio, da parte di un pubblico pluralizzato e sempre più ampio, di elementi “confusi”, non accessibili
alla sola razionalità, che fanno leva sul piacere sensibile e richiedono una
«applicazione pronta e squisita di regole che neanche si conoscono»1 . Gusto, emozione, piacere sensibile e senso comune del bello rendono possibile,
quindi, l’affermarsi di un’estetica spettatoriale, che trova nel giudizio del
pubblico un elemento ormai imprescindibile per la valutazione di un’opera,
di cui il critico e il teorico non possono più non tenere conto2 .
Il Settecento è anche il secolo in cui il piacere fisiologico si afferma tra gli
aspetti predominanti nella fruizione dell’opera d’arte e determina la rilevanza, sempre maggiore, dell’immaginazione sensibile, che ordina il territorio
della conoscenza estetica e mostra come anche ciò che non corrisponde a criteri di correttezza razionale possa tendere, comunque, a una diversa forma di
perfezione3 . È indicativo, in tal senso, il passaggio dalla diffidenza di Cartesio per il piacere dei sensi4 , al riconoscimento baumgarteniano del ruolo della
conoscenza sensibile nella scienza estetica, in cui l’immaginazione è l’analogo
della ragione e ordina l’ambito fenomenico, inaccessibile alla distinzione e
alla valutazione logica5 .
La ricerca di un principio unitario, capace di ordinare il territorio della
fruizione estetica e orientare la produzione artistica, è un aspetto costante a
I
Ch. de Montesquieu, “Gusto”, in L’estetica dell’Encyclopédie, a cura di M. Modica,
Editori Riuniti, Roma 1995, p. 154.
2
Cfr. M. Mazzocut-Mis, “Introduzione”, in Estetica della fruizione, Lupetti, Milano
2007, pp. 7-12.
3
Cfr. E. Franzini, L’altra ragione, il Castoro, Milano 2007, pp. 23-25.
4
Nella IV meditazione, Cartesio afferma che, nell’intelletto, vi sono anche conoscenze
non chiare e non distinte, e, nella VI, invita a diffidare dei sensi, preda della sostanza
estesa e, quindi, soggetti all’errore (cfr. R. Descartes, Meditazioni filosofiche, a cura di E.
Garin, Laterza, Roma-Bari 1978).
5
Baumgarten, nel 1750, definisce l’estetica come «teoria delle arti liberali, gnoseologia
inferior, arte del pensare bello e analogo della ragione» (cfr. A.G. Baumgarten, Estetica,
tr. it. di F. Caparrotta, a cura di S. Tedesco, Aesthetica, Palermo 2000, p. 27).
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quasi tutti gli autori settecenteschi, italiani e stranieri. Il riconoscimento di
un senso preposto alla ricezione del Bello, il Gusto, collocato a metà strada
tra i sensi e l’intelletto, è il primo passo verso il delinearsi della nozione
di genio6 , analogo della creazione, che può produrre opere più perfette di
quelle della natura perché emendate da caratteristiche individuali, selezionando e componendo molte bellezze particolari in un’opera d’arte che tende
all’assoluto7 . L’immaginazione è, quindi, una risorsa ormai imprescindibile,
ma anche un’insidia ai cui eccessi va posto un freno, e l’educazione del gusto
ha il compito di delimitarne i confini8 .
Nell’unica opera teorico-didattica che ci è pervenuta del gesuita Camillo
Ettorri, Il buon gusto nei componimenti retorici, pubblicato a Bologna nel
1696, emerge l’influsso della Teoria delle Arti umanistica9 , che si manifesta
nell’inclinazione al discorso precettistico e prescrittivo, aperto agli influssi
delle nuove esigenze critiche ancora in senso normativo, che non coglie fino
in fondo l’esigenza di relazionarsi col giudizio di un pubblico che non più
composto, da soli intenditori e conoscitori in senso tecnico, il cui giudizio,
ormai, è in buona parte immediato e determinato dall’emotività10 .
In Ettorri si manifesta, quindi, quella propensione a una discorsività
eclettica11 che caratterizzerà la trattatistica italiana per tutto il secolo successivo. La componente prescrittiva, in cui la matrice retorica è sempre
presente e spesso predominante, non separa ancora in modo netto gli aspetti ricettivi da quelli creativi: per Ettorri, e per la trattatistica italiana che
precede la metà del Settecento, l’obiettivo è, quindi, ancora la definizione
del buon gusto in senso generale.
Gusto e prescrizioni retoriche in Camillo Ettorri
Gli estremi biografici di Camillo Ettorri non ci sono noti. Le uniche notizie di cui possiamo disporre sono quelle che lo stesso autore ci presenta ne
Il buon gusto nei componimenti retorici, in cui afferma di avere insegnato
per vent’anni retorica e per dodici teologia12 . Quest’opera, la prima in cui
Cfr. E. Franzini, L’altra ragione, cit., p. 31.
Cfr. G. Spalletti, Saggio sopra la bellezza, a cura di P. D’Angelo, Aesthetica, Palermo
1992, pp. 13-21.
8
Cfr. E. Oggionni, “Gusto e buon gusto. Normatività nell’estetica di G.F. Meier”, in
M. Mazzocut-Mis (a cura di), Estetica della fruizione, cit., pp. 89-93.
9
Cfr. G. Morpurgo-Tagliabue, Il concetto di gusto nell’Italia del Settecento, La Nuova
Italia, Firenze 1962, pp. 14-18.
10
Cfr. P. D’Angelo, “Il gusto in Italia e Spagna dal Quattrocento al Settecento”, in L.
Russo, Il gusto. Storia di una idea estetica, Aesthetica, Palermo 2000, pp. 27-31.
11
Cfr. G. Morpurgo-Tagliabue, Il concetto di gusto nell’Italia del Settecento, cit., pp.
14-18.
12
Cfr. C. Ettorri, Il buon gusto nei componimenti rettorici, opera di Camillo Ettorri
della Compagnia di Gesu nella quale con alcune certe considerationi si mostra in che
consista il vero buon gusto ne’suddetti componimenti. . . Dedicata agl’illustrissimi signori
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compare nel titolo la parola ‘gusto’, si pone ai confini dell’estetica moderna,
anche se le posizioni espresse nella trattazione sono inequivocabilmente seicentesche. Le linee di sviluppo del testo riformulano la lezione ciceroniana,
con lunghe citazioni, frequenti esemplificazioni, e ampi passaggi espunti dalle
opere del cardinale Pallavicini. La retorica classica è la guida costante delle
riflessioni di Ettorri, che si rivolge a un pubblico di letterati con evidenti
finalità formative. Tuttavia, nella prima parte del trattato, l’apertura del
discorso all’ambito estetico è frequente, pur nel permanere di un atteggiamento prescrittivo-pedagogico. La critica13 ha sottolineato l’incapacità di
Ettorri, e degli autori italiani sei-settecenteschi, di elaborare una definizione
metodologica della nozione di gusto, e il trattato si apre proprio con una presa di distanze da Bouhours14 . A essere messa in discussione è la concezione,
riformulata dall’autore italiano, di buon gusto come «armonia di ingegno
e ragione, naturale giudizio, il quale risiede indipendentemente dai precetti dell’animo di alcuni; in vigor di cui reprimendo l’impeto dell’ingegno,
fa sì che si contenga nelle sue proposizioni entro i confini della ragione»15 .
Ettorri, opponendosi alla definizione di gusto come giudizio naturale16 , sostiene l’idea di gusto come giudizio derivato da conoscenze ed esperienza,
molto più tradizionale e arretrata rispetto alla direzione che già in quegli
anni era stata intrapresa dall’estetica nel resto d’Europa. Bouhours, nel
trattato La manière de bien penser dans les ouvrages de l’esprit17 , legava il
giudizio di gusto all’istinto e alla sfera dei sensi, affermando l’impossibilità
di definire razionalmente il Bello e facendo ricorso, quindi, alla nozione di
‘non so che’. Ettorri, invece, riporta il giudizio di gusto nel solco delle
attività intellettuali, affermando, quindi, che il gusto non è altro che «giudizio regolato dall’arte»18 . Egli accosta l’arte alla retorica, considerando il
prodotto artistico come una somma di figure e argomenti, trasmissibili dal
maestro all’allievo e il cui effetto sul fruitore può essere pienamente compreso e spiegato dalla loro conoscenza. Le implicazioni di questa posizione
dell’Accademia degli Argonauti eretta in Bologna nel Collegio de’Nobili di S. Francesco
Saverio, per gli eredi del Sarti alla Rosa, in Bologna 1696, p. 5 (d’ora in poi BG).
13
Sull’opera di Ettorri si sono soffermati, in particolare, P. D’Angelo, “Il gusto in Italia
e Spagna dal Quattrocento al Settecento”, cit., pp. 11-31, e G. Morpurgo-Tagliabue,
Il concetto di gusto nell’Italia del Settecento, “Aesthetica preprint”, Centro Internazione
Studi di Estetica, Palermo 2002, pp. 10-11.
14
Bouhours è identificato come l’autore di questo passo, da Ettorri, solo nel capitolo in
cui è citato il titolo La manière de bien penser sur les Ouvrages de l’Esprit. Nelle prime
righe dell’introduzione, l’autore italiano si riferisce solo a un anonimo autore francese.
15
BG, p. 4.
16
BG, p. 5.
17
Cfr. D. Bouhours, La Manière de bien penser dans les ouvrages de l’esprit, Vve de
S. Mabre-Cramoisy, Paris 1687, p. 342. Anche in La Bruyère emerge la connessione tra
gusto e sentimento del Bello, istinto della giusta ragione che agisce con maggiore rapidità
e certezza di qualsiasi ragionamento (cfr. J. de La Bruyère, Caratteri, a cura di F. Giani
Cecchini, Tea, Milano 1988, pp. 307-308).
18
BG, p. 5.
4
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sono rilevanti: la produzione artistica, in Ettorri, è un fenomeno in larga
misura dovuto all’influsso di scuole e all’introduzione, da parte di alcuni
maestri, di innovazioni e artifici19 . Inoltre, solo chi ha ricevuto una formazione artistica è in grado di rendere conto, in modo analitico e razionale,
dei procedimenti messi in atto dell’artista-retore nell’opera e, quindi, nella
mente del fruitore. Non è possibile, dunque, riuscire nell’arte soltanto in
virtù del proprio ingegno, e ancor meno grazie a imprecisate doti naturali,
che, in mancanza di conoscenze razionali, sono del tutto inutili. Per Ettorri,
il gusto è composto da ingegno, giudizio e intelletto20 , ed esso è ben lontano
dall’idea di senso indeterminato che caratterizza la concezione originaria di
questo termine. Con Ettorri fa la sua comparsa, seppur in forma embrionale, la posizione culturale che legittima il ruolo predominante del critico e del
conoscitore rispetto al fruitore comune, ma l’aspetto di maggiore interesse
che emerge dalla sua concezione di buon gusto è il legame tra legittimità del
giudizio e le conoscenze retoriche21 , aspetto derivato anche dall’esigenza,
tipica dell’ambiente gesuita, di avvicinare l’eloquenza al popolo. Per Ettorri, l’artista e il conoscitore di cose artistiche devono, innanzi tutto, essere
buoni retori. Infatti, l’idea di produzione artistica come somma organica di
figure, argomenti, e relazioni tra le parti e il tutto, esige che l’artista non
abbia semplicemente abilità tecniche e che il fruitore non sia semplicemente
un buon conoscitore dell’arte. Al di sopra della tecnica e della formazione
culturale, c’è, infatti, uno sguardo tutt’altro che ingenuo, capace di svelare
gli artifici di un’opera e di accomunare forme d’arte del tutto diverse fra
loro, una sapienza che guida la mano dell’artista, che non ha nulla a che
fare con la semplice erudizione ed è la sola responsabile della riuscita e della
comprensione di un’opera d’arte. Ettorri, instaurando un legame tra il giudizio di valore rispetto all’opera d’arte e la padronanza delle regole retoriche,
presenta una posizione che avrà grande fortuna e continuerà a evolversi fino
ai nostri giorni, assumendo la connotazione di un vero e proprio metodo
di indagine culturale, valido anche al di fuori delle discipline direttamente
legate all’estetica.
L’impiego della nozione di gusto in senso retorico e normativo, in un momento in cui in Francia, Germania e Inghilterra, essa era già affrontata da
un punto di vista estetico, è un aspetto che si manterrà costante per tutto il
Settecento, anche se, nei decenni successivi, avrà, negli autori italiani, sempre maggiore rilevanza il problema del rapporto tra genio e gusto, ancora
assente in Ettorri22 . Le prime pagine del Buon gusto23 , in tal senso, sono
indicative del permanere dell’orientamento prescrittivo, e non teorico, della
trattatistica italiana, del mancato approfondimento della dimensione metoCfr.
Cfr.
21
Cfr.
22
Cfr.
23
BG,
19
20
ibid., p. 6.
ibid., pp. 76-77.
ibid., p. 5.
G. Morpurgo-Tagliabue, op. cit., p. 11.
pp. 4-9.
5
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dologica rispetto alla fruizione estetica, di un’interpretazione della nozione
di gusto che deriva esclusivamente dall’idea di bello24 . Ettorri rappresenta, quindi, il punto di partenza di un percorso non privo di sviluppi, come
il riconoscimento del ruolo giocato dall’emotività nel genio, in Bettinelli, o
la ricerca di un principio fondativo, in senso soggettivo e antropologico, in
Spalletti. Dalla premessa di una discorsività prescrittiva, ostensiva e priva di rigore definitorio, tuttavia, non sarebbe stato possibile interrogarsi
sulla natura gnoseologica del gusto, sull’opposizione tra oggettività e soggettività nel giudizio estetico, sui temi dell’immediatezza emotiva e della
riflessione razionale25 . Le strutture argomentative degli autori italiani seisettecenteschi derivano, infatti, da un atteggiamento estetico umanista che,
con l’avvento dell’Illuminismo, andava estinguendosi nel resto dell’Europa,
e che, al contrario, in Italia permane26 . Ad esso può essere ascritta la predominanza, anche nel Buon gusto, di aspetti tecnici, visti dal lato dell’artista,
dell’oratore, e l’incapacità di affrontare il punto di vista del pubblico, del
fruitore, dello spettatore. Ciò che distinguerà gli autori italiani del secondo
Settecento da Ettorri, sarà, infatti, il parziale riconoscimento di elementi
soggettivi come l’emotività e il piacere sensibile oltre il semplice ruolo giocato da essi nel rapporto tra l’oratore e il suo uditorio. Questi aspetti, pur in
mancanza della profondità teorica che andava ormai diffondendosi fuori dai
nostri confini, permetteranno di delineare una critica capace di relazionarsi
con un nuovo pubblico in formazione, quello degli spettatori, molto più ampio di quello seicentesco, formato, ancora, quasi esclusivamente da letterati.
L’accostamento del gusto alle prescrizioni retoriche, non impedisce, tuttavia, di cogliere in Ettorri evidenti nessi con aspetti che, pochi anni dopo,
emergeranno nella critica delle belle arti. Tra Seicento e Settecento, infatti, i
concetti evolvono in senso nuovo, pur nel permanere di nozioni come ‘gusto’,
‘non so che’ e ‘ingegno’27 .
L’idea di gusto, dalle posizioni di Ettorri, si evolverà, quindi, fino ad
assumere i connotati di una capacità di giudicare che non decide razionalmente, ma attraverso un sentire immediato ed emotivo. Tuttavia, ciò
avverrà in Francia, Inghilterra e Germania, mentre l’Italia, che insieme alla
Spagna aveva dato un contributo decisivo, nel Cinquecento e nel Seicento,
alla formazione dell’idea di gusto, manterrà, rispetto a questi temi, un atteggiamento che non sarà capace di fare una scelta univoca tra la riflessione
orientata all’analisi dei fenomeni riconducibili alla fruizione, a cui si dovrà la
nascita di un’estetica metodologicamente rigorosa, e l’elaborazione di trattati in cui il confine tra le finalità formative e quelle analitiche non sarà mai
Cfr. G. Morpurgo-Tagliabue, op. cit., p. 17.
Cfr ibid., p. 11.
26
Cfr. ibid., p. 14.
27
Cfr. P. D’Angelo, “Il gusto in Italia e Spagna dal Quattrocento al Settecento”, cit.,
p. 19.
24
25
6
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chiaramente definito28 .
Composizione artistica e tecnica oratoria
Il Buon Gusto si apre con un riferimento alla distinzione dei sapori buoni
da quelli cattivi, che mira a delimitare i confini del giudizio estetico rispetto all’incerta valutazione immediata del gusto, che non sempre è in grado
di individuare il bello: «agli infermi è grato il nutrimento cattivo, ed ingrato il buono né mancano intelletti ai quali l’ottimo nel favellare sembra
pessimo, ed ottimo il pessimo»29 . Da ciò deriva l’esigenza di regolare il giudizio con l’arte, cioè con le conoscenze tecniche e pratiche. Ettorri prende
le distanze da Bouhours, dall’idea che il buon gusto sia la naturale armonia
di ingegno e ragione che risiede nell’animo di alcuni indipendentemente dai
precetti e che, spontaneamente, mantenga l’ingegno nei limiti della ragione.
Dopo avere esteso il territorio soggetto alla valutazione del gusto a tutte
le forme d’arte, Ettorri esprime la volontà di elevare il discorso rivolto al
popolo «con saviezza di pensiero e pulizia di stile»30 , al fine di educarlo
meglio, dimostrando quanto fosse lontana l’istanza critica in senso moderno, libera da finalità esclusivamente formative, che emergerà, ad esempio,
in autori come Du Bos e Bettinelli. L’autore francese, in particolare, legittimerà il giudizio del pubblico nelle Réflexions critiques sur la poésie et la
peinture31 , apparse nel 1719, in cui si afferma il predominio del gusto sulla
ragione rispetto al giudizio di un’opera d’arte, che, come un intingolo, può
essere valutata solo assaggiandola32 . Per Du Bos, il piacere deriva infatti
dalla commozione dell’animo che gratifica il fruitore mediante l’empatia e il
riconoscimento emotivo nell’opera d’arte, valida alternativa all’ozio che gli
permette di vivere situazioni inaccessibili alla sua esistenza ordinaria33 . In
Italia, tra Seicento e Settecento, non è ancora ammessa l’idea di un giudizio
immediato di un pubblico di spettatori, cioè di fruitori capaci di giudicare con sensi e sentimento, ancor prima che con criteri di giudizio appresi e
Cfr. ibid., p. 23.
BG, p. 4.
30
Ibid., p. 9.
31
Cfr. J.-B. Du Bos, Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura (1719), tr. it. di
P. Vincenzi e M. Bellini, a cura di M. Mazzocut-Mis e P. Vincenzi, Aesthetica, Palermo
2005.
32
«Si usa forse la ragione per sapere se un sugo è buono o cattivo e si pensò mai, dopo
aver stabilito i princìpi geometrici del sapore e definito la qualità di ciascun ingrediente
che serve per realizzare tale pietanza, di esaminare la loro proporzione per decidere se il
sugo è buono? Niente affatto. Esiste in noi un senso che ci fa conoscere se il cuoco ha
operato secondo le regole della sua arte. Si assaggia il sugo e, anche senza conoscere le
regole, si capisce se è buono. In un certo senso, lo stesso si può dire delle opere intellettuali
e dei quadri che, commuovendoci, ci procurano piacere» (ibid., parte II, sez. XXII, pp.
295-296).
33
Cfr. E Franzini, “Il gusto in Francia dal gran secolo alla rivoluzione”, in L. Russo (a
cura di), Il gusto. Storia di una idea estetica, cit., p. 47.
28
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formati razionalmente. Con l’espressione parlar popolare, Ettorri intende,
quindi, il discorso che si rivolge al popolo con finalità persuasive, affermando apertamente un’attitudine che non si pone lo scopo di formare, in esso,
una capacità di giudizio autonoma. La formazione al buon gusto impartisce,
quindi, i precetti necessari per chiunque aspiri a produrre opere retoriche34
in modo che egli possa, a sua volta, comporre rendendosi «virtuosamente
popolare» e in tal modo conquistare il suo uditorio.
Il Buon gusto nei componimenti retorici è diviso in tre parti, e composto
da settantasette brevi capitoli. La prima parte presenta gli aspetti comuni
a chi ambisce a comporre secondo il vero buon gusto. Ettorri riconosce al
pubblico la capacità di formare lo stile dell’oratore mediante l’espressione
del consenso, senza una forma adeguata agli uditori, infatti, nulla potrebbe
essere gradito al popolo. «Essendo il professore di lettere umane fornito di
mente sottile per natura, e per lo studio addottrinata, corre gran rischio
che, attento a contentar se stesso, porga ben sì notizie sublimi, ma non
già conformi alla capacità dei più»35 . Il ruolo del giudizio popolare è, in
tal modo, limitato all’espressione di un consenso che non può ancora essere
considerato una forma di un giudizio, perché la mancanza di conoscenze
tecniche ne esclude l’autorità e l’indipendenza di valutazione.
Ettorri approfondisce, quindi, la relazione tra fantasia e buon gusto,
sottolineando, nuovamente, come solo le conoscenze tecniche possano permettere un impiego virtuoso di essa36 . In tal senso, la fantasia assolve alla
funzione di perfezionare la natura, e non di distruggerla. Molti, «invece
di migliorare questa natura (il che farebbero col levarle i vizi, che ad essa sono congiunti) gliene aggiungono, e tali, e tanti, che la snaturano e la
distruggono: e mentre vogliono farsi artificiosissimi, si riducono a essere innaturalissimi. Come avviene in chi volendo schiarir troppo la medicina, le
toglie il suo vigore»37 .
Ettorri segnala, quindi, le insidie derivate da una ricerca ostinata della
sublimità, che, ben lungi dal nobilitare l’opera d’arte, è causa di oscurità38 . Ciò vale, soprattutto, per le opere che hanno il fine di dilettare il
pubblico, come canzoni, sonetti, elogi39 . L’associazione tra chiarezza, im«Mi servo frequentemente della voce di Retorica, e di componimenti Rettorici; perché
ho creduto d’abbracciar con essa quanto appartiene ad ogni maniera d’usar la penna in
soggetti ecclesiastici e secolari in verso e in prosa» (BG, p. 7).
35
Ibid., p. 2.
36
Ibid., p. 23 e p. 34.
37
Ibid., p. 41.
38
Cfr. ibid., p. 44.
39
«E poi prendete per Massima da non pentirvene, e da non peccare contra la naturalezza, il non pubblicare con le stampe un Poemaccio, una Canzone, un’Ode, un elogio
talmente oscuri, che dobbiate voi stesso accompagnarli con un commento. Questi piccoli lavori sono indirizzati ad onorato diletto; e questo costerebbe troppo caro, se vi fosse
d’uopo studiarvi sopra per arrivar quel sentimento da cui nasce l’esser dilettato» (ibid., p.
48).
34
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mediatezza espositiva e finalità non elevata dell’opera d’arte, mostra come
l’atteggiamento culturale di Ettorri fosse attento a preservare dalle insidie
del manierismo e dello stile ampolloso, avvicinando, sotto questo aspetto,
l’autore bolognese a Bettinelli, che metterà la polemica contro l’accademismo
al centro dei suo lavori maggiormente improntati alla critica letteraria.
Ettorri prende, quindi, le difese degli antichi, ricorrendo all’argomento
dell’assolutezza della loro opera, dovuta alla capacità di modellare il loro
stile in diverse maniere, di adattarsi a diversi tipi di pubblico nella forma,
pur mantenendosi al di sopra di ogni contingenza nella sostanza40 . I veri
maestri del buon gusto si distinguono, diversamente da quanto ci si potrebbe
aspettare, per la loro ingenuità, cioè per l’originalità, intesa come distacco
dalle norme predominanti, che li rende degni di essere presi ad esempio nei
secoli successivi41 .
Nel decimo capitolo, Ettorri dà il nome di primi principi a quelle verità
normative «che non sono capaci di essere mostrate con più manifesta ragione»42 . Essi sono prescrizioni che non si contraddicono reciprocamente, e
sulle quali può essere fondata l’opera o il discorso di buon gusto, e accomunano ogni forma di composizione retorica o artistica e sono presenti in ogni
opera di gusto, come il caldo, il freddo, l’umido e il secco convivono in ogni
specie43 . Nel processo di elaborazione di un’opera di buon gusto, i primi
principi concorrono con i tre elementi, figli della potenza conoscitiva: ingegno, giudizio e intelletto. L’ingegno è una facoltà donata dalla natura, da
essa deriva l’invenzione, che permette di «estrarre dalle manifestazioni degli
oggetti qualche particolarità in essi nascosta»44 . L’invenzione, tuttavia, non
basta a rendere ingegnosa un’opera, infatti a essa deve aggiungersi la singolarità, l’originalità nel processo creativo, che altrimenti si abbasserebbe al
livello di sterile ripetizione manieristica. In questa fase dell’elaborazione di
un’opera, entra in gioco il giudizio che «esamina le intenzioni dell’ingegno
per decidere quali debba la volontà abbracciare e quali rifiutare. Onde chi
desidera comporre secondo il buon gusto, niente deve mettere in pratica di
ciò che col suo ingegno avrà indagato, se prima sottoposto alla censura del
Giudizio, non sarà da lui approvato»45 .
L’idea di giudizio come forma di sorveglianza e di controllo sull’ingegno,
Cfr. ibid., p. 59.
«Onde scorgerete quanto fondatamente raccomandi, che l’arte di comporre secondo il
vero buon gusto s’apprenda dai suoi veri Maestri. Da questi (chi lo crederebbe?) otterrete
una lor propria ingenuità; ed è che possedendo la diversità delle opinioni (opinioni dico,
non errori) e di più sapendo, che varie sono le maniere di comporre (niente meno, che
quelle dei pittori) e tutte buone di lor natura; non vi angustieranno, se voi (o per genio,
ed anche per ingegno, non atto ai più) i appiglierete ad una, e non all’altra» (ibid., pp.
55-56).
42
Ibid., p. 68.
43
Cfr. ibid., p. 72.
44
Ibid., p. 77.
45
Ibid., p. 78.
40
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conferma come, alla fine del Seicento, non fosse ancora ammessa, in ambito
estetico, una concezione del giudizio di gusto in senso immediato ed emotivo,
che si affermerà, invece, in Du Bos e in Bettinelli. L’intelletto, l’ultima
facoltà citata da Ettorri come fondamento del corretto operare retorico,
permette la formazione di un concetto di ciò che la mente rappresenta46 .
L’emotività, tuttavia, assume un ruolo centrale anche in Ettorri: essa
non ha valore nella definizione del giudizio di gusto, ma è uno strumento
indispensabile per l’esito di ciò che l’artista-retore vuole comunicare al suo
pubblico. «L’affetto rende il parlar molto popolare, e insieme molto ornato.
Molto popolare, perché il popolo, a differenza del dotto, parla quasi sempre
con affetto: ed essendo, d’ordinario, da qualcheduno agitato, appena ad altro
fine apre bocca, fuorché a volere alcuna cosa da colui col quale ragiona. A
differenza del dotto, che come tale, parla all’intelletto per ammaestrarlo, il
che si fa quietamente, e non alla volontà per espugnarla, il che non si può
fare con questa quiete»47 .
La nozione di ornamento, cioè di espediente tecnico o discorsivo finalizzato a suscitare calore ed empatia nel pubblico, si lega, in Ettorri, alla
memoria e alla persuasione, portando alla luce, ancora una volta, il ruolo che
la retorica continua a rivestire nella produzione artistica e nella definizione
di generi e stili in base ai diversi tipi di pubblico e di finalità che l’artista, o
il retore, si prefigge di raggiungere48 .
Il tema della passionalità è affrontato da Ettorri anche dal punto di vista
dell’autore, paragonato all’orsa, che, prendendosi amorevolmente cura dei
suoi cuccioli, li forma con affetto materno. L’autore deve quindi investire il
suo soggetto «con cuore, e perciò vi appaia affezionato, e appassionato. Onde mai non si possa dire di lui che sia languido, freddo, svogliato, insomma
disaffezionato a quel che compone»49 . Le opere di Cicerone, infatti, «quantunque parlino all’intelletto, nondimeno vi parlano col cuore, e si scorge che
46
«È l’intelletto una potenza dell’anima, di cui si sa ch’ella in vigor di esso formi concetto
di ciò che gli è rappresentato. Tanto che intelligere est intus legere. Perciò non si darà
mai per opera lavorata dal buon gusto, se assolutamente non sia intelligibile, ed ancor
facilmente, e finalmente con diletto» (ibid., p. 81).
47
Ibid., p. 84.
48
«Perocchè gli ornamenti in gran parte nascono dagli affetti, come a suo luogo dirò, in
quanto rendendosi da essi caldo chi di loro è pieno, fanno che ritrovi figure, e di sentenze, e
di parole molto vivaci e pellegrine. Il che non accade negli ingegni puramente speculativi,
maestrali, e da scuole. Perciò ragionevolmente paragonò Zenone la Dialettica (parlo della
propria delle scuole, ed in quella adoperata) al pugno chiuso. E la retorica, propria di chi
tratta col popolo, alla mano aperta. Voleva additarci, che la prima si consenta di mostrare
la verità, o probabilità dei teoremi, sopra i quali discorre, al cui intento non conviene
allargarsi. La seconda intende la persuasione (cioè l’innesto di alcuna opinione nell’animo
di alcuno) in virtù di cui credendo al persuasore s’induca ad oprar come egli vuole. E
perché la prima ai dotti s’indirizza, ottiene il suo fine anche ristretta, non intendendo
indurre, né inducendo a fare. La seconda bersagliando nel popolo, nol colpirebbe se non
fosse copiosa ed altrettanto varia, quanto la prima è uniforme nel suo parlare» (ibid., p.
85).
49
Ibid., p. 136.
10
ITIN E RA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura
l’autor loro ama quello che insegna, e brama che egli sia creduto. Parlando
poi col cuore, ne segue che si giunga al cuore ancor dei suoi lettori»50 . Gli
affetti sono, inoltre, divisi da Ettorri in due classi distinte: quella dei piacevoli e quella dei veementi. Mentre i primi possono essere diffusi in tutta
l’opera, e come piccole gocce scavano la pietra, i secondi vanno usati con
parsimonia, perché estenuerebbero l’attenzione del fruitore o dell’uditore51 .
La capacità dialettica ha un ruolo predominante tra le conoscenze da
impartire a un buon autore. Per spiegare il ruolo che essa assolve nella retorica, Ettorri ricorre a un paragone: il componimento, elaborato secondo
i precetti del buon gusto, è come una pianta: le sue radici sono le verità
indubitabili, che devono mantenersi disadorne, dato che la loro utilità rende
superfluo qualunque ornamento; i rami sono, invece, formati dalla dialettica
che estende verità assolute e principi manifesti; le fronde, infine, sono frutto
della retorica, che adorna e abbellisce la pianta52 . La dialettica, per Ettorri,
è la capacità, che caratterizza l’oratoria e la produzione artistica, di sviluppare argomenti, intuizioni, forme e stili, in base al costume di un’epoca,
adattandoli, in ogni occasione, alle esigenze specifiche di un uditorio. Essa deriva anche dal confronto costante del buon retore con i grandi autori
del passato, dallo studio accurato dei loro argomenti e dalla rielaborazione
costante delle loro intuizioni53 .
Nel trentesimo capitolo del Buon gusto, Ettorri affronta il tema del sublime poetico. Virgilio, in tal senso, esemplifica la capacità di padroneggiare i
tre registri, alto, medio e sublime, facendone un uso adeguato all’argomento
e alle finalità del discorso poetico, che, quando è autenticamente sublime,
non è «pieno di parole vanamente alte e non è come una corteccia rozza»,
ma «come il legno che, invecchiato per anni e cotto dal sole, è resistito alle
stagioni»54 .
Onde universalmente raccogliete che turgido e gonfio è quel componimento, il quale più pensato, meno mostra di pensiero che sia o vero o
grande ma termina in mere voci, quantunque belle. All’opposto del sublime. Gliene viene poi, come ai pome di Gomorra, che belli all’esterno
ma tutti cenere nel loro interno, si nauseano: e niente meno al componimento gonfio accade; è nauseato, anzi deriso dai savi. Se vi piacciono
questi esiti miserabili, datevi a tutto potere alla biasimata turgidezza,
se vi dispiacciono, abbracciate la vera sublimità. E fissatevi nell’animo
che essa non si deve usar per tutto, vuole la sua moderazione.55
Nella seconda metà del Seicento, il dibattito sul sublime si diffonde in
Francia, dove autori come Rapin e Boileau, interrogandosi sulle relazioni
Ibid., p. 137.
Cfr. ibid., p. 145.
52
Cfr. ibid., p. 109.
53
Cfr. ibid., p. 292.
54
Ibid., p. 274.
55
Ibid., p. 275.
50
51
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ITIN E RA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura
tra sublime e patetico, determinano il passaggio del sublime da categoria
stilistica a categoria estetica56 . La posizione di Ettorri è vicina, sotto alcuni
aspetti, a quella di Bernard Lamy, che nel 1668 pubblica le Nouvelle réflexions sur l’art poétique57 in cui il sublime, pur legato alla tradizione retorica,
viene relazionato anche alla passione, all’emotività e al superamento della
noia, e quindi alla sua interpretazione come categoria estetica58 . Nell’autore
italiano, infatti, il sublime, oltre a essere un registro stilistico-retorico, è un
atteggiamento complessivo, che orienta l’autore nella realizzazione dell’opera
d’arte.
Forme e stili del buon gusto
Dopo avere analizzato gli aspetti costanti della composizione poetica e retorica, nella seconda e nella terza parte de Il buon gusto, Ettorri affronta la
questione dello stile, sottolineando, innanzi tutto, come esso sia totalmente
inaccessibile al fruitore59 . La conoscenza stilistica, deve, quindi, essere esibita con grande parsimonia, e l’eccesso, nel coltivarla, «profuma i concetti
con un’ambra di Spagna, che a lungo andare offende la testa. Nel principio
diletta, nel progresso stanca»60 .
Nel ventitreesimo capitolo, Ettorri aveva affrontato la questione della
spezzatura, della disinvoltura che cela sapientemente al fruitore il ricorso
allo stile da parte dell’autore. Scegliendo le parole più adatte al significato, infatti, ne esce «come fortuitamente la corrispondenza del suono e della
rima»61 . Nulla si scopre, infatti, dell’arte più efficace: «la meraviglia, e
per conseguente il diletto, nasce dall’apparire che il caso abbia fatto ciò che
non pareva possibile se non per arte»62 , anche se la riflessione e lo sguardo
dell’esperto mostrano quale sforzo l’artista abbia compiuto per far apparire il caso in luogo dell’artificio tecnico. Da ciò deriva che la bruttezza
dell’affettazione, oltre a svelare i procedimenti elaborativi dell’artista, insinua nello spettatore il dubbio dell’insincerità dell’oratore e la sensazione di
scarsa spontaneità di fronte all’opera d’arte63 . Inoltre, la semplicità ben si
addice a soggetti e argomenti la cui pregnanza è inscritta nella loro stessa
natura: «Chi mai adornerà la punta di una spada? Un filo di seta? Ovvero
una lima? Il loro stesso ornarle sarebbe distruggerle»64 . Dopo aver distin56
Cfr. M. Mazzocut-Mis, “La querelle sul sublime da Rapin a Silvain: ‘stile’ o
‘categoria’?”, in Id. (a cura di), Estetica della fruizione, cit., pp. 55-57.
57
Cfr. ibid., p. 57.
58
Cfr. ibid., p. 60.
59
Lo stile «al popolo è totalmente nuovo, niente sapendo d’esso, e niente osservando»
(BG, p. 160).
60
Ibid., p. 173.
61
Ibid., p. 181.
62
Ibid., p. 182.
63
Ibid., p. 183.
64
Ibid., p. 216.
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ITIN E RA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura
to l’eleganza dalla grandezza, «comune anche ai barbari»65 , associando la
prima alle nozioni di pulitezza, brevità e leggiadria, e la seconda alla magniloquenza66 , ed avere elencato le diverse varietà di stile oratorio, Ettorri
distingue il sublime dal tragico, registri stilistici che spesso vengono confusi67 . All’elemento tragico, infatti, spesso si addice lo stile umile, che, per
contrasto, ne esalta la drammaticità68 . Ettorri cita Virgilio come esempio
di capacità di padroneggiare i diversi registri stilistici.
Il mito di Zeusi fa la sua comparsa nel trentatreesimo69 capitolo de Il
buon gusto, ma Ettorri ricorre a esso soltanto per chiarire la sua concezione
di selezione diacronica di forme artistiche e stili argomentativi, che si basa,
in primo luogo, sulla scelta dei migliori aspetti di ogni epoca storica, e, in un
secondo tempo, sulla distinzione, nell’opera di ognuno di essi, degli aspetti
più adatti a essere assunti come norma per colui che ambisce a ricoprire il
loro stesso ruolo nel presente70 . L’idea di estrazione e composizione di molte,
diverse, bellezze individuali in un’opera d’arte che tende all’ideale di bello
assoluto, è ancora assente in Ettorri e dovrà attendere il secondo Settecento
per affermarsi nel dibattito estetitico italiano, ed essere affrontata in modo
approfondito da Winkelmann, Mengs e Spalletti.
Nel trentaquattresimo capitolo, Ettorri attacca apertamente Bouhours,
che era già stato oggetto di una presa di posizione critica nelle prime righe
dell’introduzione. L’autore francese sopravvaluterebbe le forme, antiche e
moderne, conferendo a esse un valore assoluto, a discapito del ruolo giocato
dalla dialettica, che le selezionerebbe, accogliendole o respingendole in base
a fattori che un’analisi astratta, avulsa dal contesto in cui esse si sono sviluppate, non potrebbe cogliere71 . Ettorri afferma, inoltre, che le forme del buon
gusto sono approvate dal buon giudizio, respingendo, in tal modo, l’idea di
gusto come valutazione immediata72 , anche se, nel trentottesimo capitolo,
Ettori torna ad attribuire valore all’emotività, ammettendo il fenomeno del
riconoscimento empatico, della commozione e delle passioni suscitate dalla
riflessione. Infatti, alcune opere d’arte non diletterebbero per gli oggetti che
rappresentano, ma per le riflessioni che su quegli oggetti sono state fatte e
per il modo in cui essi sono stati rappresentati73 .
Nell’ultimo capitolo del trattato, Ettorri presenta una teoria delle forme
Ibid., p. 225.
Cfr. ibid., pp. 229-230.
67
Cfr. ibid., p. 272.
68
Cfr. ibid., p. 273.
69
Cfr. ibid., p. 290.
70
«Osservate ciò che hanno di buono, e fate ciò, se siete ancor principiante, con la scorta
di un bravo maestro, per ricavarlo a vostro vantaggio e fare come l’ape, il cui onoratissimo
istinto è succhiar dai fior il loro buono, senza toccare il loro cattivo. Onde sono le artefici
del miele e della cera, che di tanto emolumento sono al genere umano». (ibid., p. 292).
71
Cfr. ibid., p. 308.
72
Cfr. ibid., p. 307.
73
Cfr. ibid., p. 363.
65
66
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ITIN E RA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura
del buon gusto, dichiarando di ispirarsi alle idee di Ermogene e di Demostene, ed elencando i sette principi del buon comporre: perspicuità, grandezza,
bellezza, velocità, costumatezza, verità e attitudine. Essi devono cooperare
nell’opera d’arte, compensandosi in modo reciproco e conferendo equilibrio
al discorso nella sua interezza74 . La perspicuità si fonda sulla chiarezza,
sull’armonia della semplicità e determina l’accessibilità a un’opera d’arte o
a un’orazione da parte del pubblico. Essa interviene sulla tecnica esecutiva
o discorsiva, pulendo da inutili orpelli che appesantirebbero l’insieme causando oscurità e allontanando l’opera dagli scopi che l’autore si prefigge. Il
ruolo della costumatezza è circoscritto all’ambito retorico, e consiste nella
capacità dell’oratore di esibire al pubblico la sua rettitudine e le sue qualità
individuali75 . Verità e velocità sono principi che Ettorri colloca nell’ambito
delle norme esecutive presentate nei capitoli precedenti, riconducibili, quindi,
all’austerità e all’incisività dell’orazione76 .
Il principio su cui Ettorri si sofferma maggiormente è quello della grandezza, e in esso emergono aspetti riconducibili al sublime longiniano. Essa,
infatti, è una maniera di parlare che oltrepassa il puro, va oltre il detto e
deriva da un insieme di elementi: gravità, asprezza, veemenza, splendore.
La connessione della grandezza con l’asprezza, con l’austerità di una parola che, respingendo razionalmente l’ascoltatore, lo atterrisce, innescando un
processo che lo lega a sé in modo inconscio, anticipa, sotto alcuni aspetti,
la riflessione burkiana77 , ed esige, da parte dell’autore, la scelta di un linguaggio duro e dissonante. Ettorri parla esplicitamente di «sentenze pigliate
da cose che comunemente son reputate ricrescevoli, come minacce rimproveri, biasimi. Ed altre che sono dannose, come terremoti, tempeste, guerre,
veleni, morti, inferno e miserabili, come infamia, calunnia e pazzia»78 . Le
forme che vanno prescelte, per atterrire e avvincere lo spettatore, devono
essere brevi, frammentarie, assomigliare «agli stiletti, armi corte. Le quali
fanno che più frequentemente si rinnovi il colpo»79 . La grandezza, in Ettorri, rimanda al sublime, perché non ha nulla a che fare con la magniloquenza.
Essa, al contrario, si lega all’elevazione che deriva proprio dall’austerità di un
discorso disadorno, aspro, disorientante, che porta lo spettatore oltre i suoi
limiti soggettivi, avvincendolo a linguaggi e immagini che lo spogliano della propria soggettività, portandolo oltre la prospettiva a cui, abitualmente,
egli è legato. La parola grande ed elevata, per Ettorri, segna profondamente
l’uditore, che, dopo averla ascoltata, non sarà più lo stesso80 . Anche le posiCfr. ibid., p. 631.
Cfr. ibid., pp. 667-678.
76
Cfr. ibid., p. 282.
77
Cfr. B. Saint-Girons, Fiat lux. Una filosofia del sublime, tr. it. di C. Calì e R.
Messori, Aesthetica, Palermo 2003, p. 113.
78
BG, p. 647.
79
Ibid., p. 648.
80
Cfr. B. Saint-Girons, Fiat lux. Una filosofia del sublime, cit., pp. 17-20.
74
75
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ITIN E RA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura
zioni ettorriane sui temi del grande e del sublime confermano come, alla fine
del Seicento, le nozioni che dal mondo classico erano giunte alla tecnica delle
arti umanista, andassero ormai ripresentandosi in una nuova luce. Anche
in Italia, infatti, pur in assenza dell’attitudine metodologica che già andava affermandosi nel resto d’Europa, si riscontrano intuizioni anticipatrici di
molti elementi che animeranno il dibattito estetico nei decenni successivi.
Retorica del sentimento e giudizio estetico nel secondo Settecento italiano
La componente prescrittiva che caratterizza l’impostazione del Buon gusto
si oppone a molti aspetti che emergeranno nel secondo Settecento, ormai
aperto a una concezione di pubblico individualizzato e attivo, in cui il senso
comune del bello giocherà un ruolo primario. Tuttavia, alcune posizioni di
Ettorri si evolvono negli italiani settecenteschi, in particolare in Bettinelli
e in Spalletti, e le stesse figure di autore-retore ed esperto-educatore, che
emergono chiaramente nel Buon gusto, pur senza essere definite in modo
esplicito, rimandano alle figure di artista popolare81 e critico che andranno
affermandosi in Francia, Inghilterra e Italia dal Settecento in poi. Il ruolo
che Ettorri attribuisce all’emotività, che nel Buon gusto è ancora finalizzato
alla persuasione della moltitudine di uditori, si evolverà fino a essere un elemento centrale nel secondo Settecento italiano, così come l’associazione tra
le nozioni di genio, invenzione e dissimulazione permarrà nel Saggio spallettiano e nell’Entusiasmo di Bettinelli, pur se collocata in un diverso impianto
teorico. La ricerca dei fondamenti antropologici della fruizione estetica e
il rilievo dato al ruolo dell’intenditore nel cogliere la funzione sociale della
relazione tra pubblico e autore sono altri aspetti che permangono per tutto
il Settecento nella trattatistica italiana.
La teoria della sprezzatura, l’idea che l’arte debba nascondere se stessa
presentandosi al fruitore con apparente spontaneità e non come il prodotto
dello sforzo tecnico dell’artista e dell’applicazione di regole, risale al Libro del
cortegiano di Baldassarre Castiglione ed ebbe grande fortuna nel dibattito
estetico e letterario, non soltanto in Italia82 . Se per Ettorri meraviglia e
diletto nascono proprio «dall’apparire che il caso abbia fatto ciò che non
pareva possibile se non per arte»83 , Bettinelli riconduce la sprezzatura a
un non so che di selvaggio, incolto, sregolato che deriva dalla repentina
ispirazione che infiamma il poeta84 e Spalletti dedica un intero capitolo del
Saggio, il decimo, alla «delicata sprezzatura difficilissima»85 .
Cfr.
Cfr.
83
BG,
84
Cfr.
85
Cfr.
81
82
BG, p. 2.
B. Saint Girons, Fiat lux. Una filosofia del sublime, cit., p. 181.
p. 182.
S. Bettinelli, L’entusiasmo estetico delle belle arti, Zatta, Venezia 1780, p. 70.
G. Spalletti, op. cit., p. 61.
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ITIN E RA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura
Il tema dell’ingegno e del suo rapporto col giudizio razionale che sorveglia
il fare artistico si manifesta esplicitamente in Ettorri, che nega autonomia
al genio86 e alla sua immediatezza fondata sull’estro e sul gusto dell’autore.
La legittimità dell’ingegno, che ancora non è estro, ma somma di artifici87 , è data dalla sua facoltà di estrarre dalle manifestazioni particolarità
in essa nascoste88 , e in questo aspetto emerge un’assonanza con la teoria
spallettiana del bello come caratteristico, frutto dell’estrazione e ricomposizione in un’unica opera di elementi che si presentano negli oggetti della
natura nella loro unicità89 . Bettinelli porterà all’estremo l’opposizione tra
genio e razionalità nei passi dell’Entusiasmo incentrati sul tema della visione, del trasporto e del delirio artistico90 . Egli, infatti, tenta di conciliare
l’incrinarsi della razionalità che caratterizza il momento creativo con lo spirito di moderazione, necessario per non lasciar cadere l’opera d’arte oltre il
crinale del mostruoso e del ridicolo91 , pur riconoscendo al genio irrazionale,
prossimo alla follia, una funzione primaria nella riuscita dell’opera d’arte e
nell’elevazione dell’anima dell’artista e del fruitore92 .
Gli interrogativi sulla legittimità del giudizio di gusto immediato e l’esigenza
di individuare un criterio univoco per il riconoscimento del bello sono aspetti
che permangono nei decenni che separano la riflessione di Ettorri da quelle
di Bettinelli e Spalletti. L’evoluzione della precettistica retorica in giudizio
di gusto immediato, che porta Bettinelli e Spalletti a parlare di senso del
bello e di attrazione per il caratteristico, dimostra come il sentimento non
fosse più uno strumento per educare l’uditorio, bensì il veicolo di un piacere
fine a se stesso93 , che determina la riuscita dell’opera passando quasi esclusivamente per l’apprezzamento del pubblico. La nuova retorica del sentimento
si serve delle prescrizioni che Ettorri attinge dall’insegnamento degli antichi,
ma con la nuova finalità di dilettare senza insegnare nulla che non sia già
presente nello spettatore, nella sua emotività, nelle sue passioni.
Cfr BG, p. 78.
«Dei due motivi che abbiamo incontrato nelle teoriche del seicento, il naturale e il meraviglioso [. . . ] nel caso di Bettinelli è il secondo che viene esaltato. Ma anche trasformato
in senso preromantico. All’‘ingegno’ si è sostituito il ‘genio’, all’‘artificio’ l’entusiasmo:
una nozione è passata nell’altra» (G. Morpurgo-Tagliabue, op. cit., p. 77).
88
Cfr. ibid., p. 77.
89
Cfr. G. Spalletti, op. cit., p. 63.
90
Cfr. S. Bettinelli, op. cit., pp. 53-54.
91
È quindi richiesta all’artista molta «solidità d’organi, equilibrio d’umori e buona dose
di saviezza per bilanciar l’Entusiasmo. Se questo predomina, fa travvedere, vede troppo,
scorre all’inverisimile, al mostruoso, al fanatico, al forsennato. Ma d’altra parte senza
quella illusione non può giungersi a cose grandi» (ibid, pp. 55-56).
92
Cfr. ibid., p. 26.
93
Come sottolinea G. Morpurgo-Tagliabue, già nella seicentesca disputa scaturita dalla
pubblicazione del Cid di Corneille, che ebbe dalla sua il favore del pubblico, emerge un
conflitto tra gli eruditi, che giudicavano secondo i canoni dell’aristotelismo, e i nuovi criteri
estetici, che ammettevano ruolo preminente del pathos (cfr. G. Morpurgo-Tagliabue, op.
cit., pp. 218-219).
86
87
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ITIN E RA – Rivista di F ilosofia e di Teoria delle A rti e della Letteratura
Lo spazio concesso da Spalletti e Bettinelli al sentimento dello spettatore, autentico giudice del bello, li allontana dal pedagogismo seicentesco che
ancora caratterizza l’atteggiamento di Ettorri, ma essi sentono, comunque,
l’esigenza di individuare una figura capace di cogliere il gusto comune e il
senso del bello. Se l’emotività non è più esclusivamente uno strumento di
cui l’artista-retore si serve a fini persuasivi, essa detta comunque le regole al
fare artistico, ha una funzione centrale nella riuscita dell’opera d’arte e deve,
quindi, essere ordinata, analizzata, classificata. Il critico, in tal senso, ha un
ruolo non secondario rispetto a quello che l’intenditore aveva in Ettorri, perché il riconoscimento della posizione attiva del pubblico, elemento di novità
in Bettinelli94 e in Spalletti95 , non fa venir meno l’esigenza di una figura capace di riconoscere la riuscita dell’opera. Nel secondo Settecento, ciò è reso
possibile proprio dalla limitazione di quegli elementi estranei alla sensibilità
del pubblico, che ormai impone la sua emotività all’autore, rovesciando il
docere mediante il diletto della retorica classica senza, per questo, intaccare
la funzione ordinatrice del giudizio estetico. Emerge, quindi, in Bettinelli e
in Spalletti, l’esigenza di orientare il fare artistico, ancor prima di interpretare l’opera d’arte. La prescrittività ettorriana, che preparava l’autore alla
conoscenza delle maniere più adatte a educare il popolo, assume, quindi, la
nuova forma di una sorveglianza attiva sull’artista, che deve con la sua opera rispecchiare l’emotività di un gusto popolare che andava formandosi in
quegli anni senza altro fine che il soddisfacimento delle proprie aspettative
estetiche e la gratificazione intellettuale di fruitori sempre più numerosi. A
dover essere educato al ‘bello’, nel secondo Settecento, è l’artista, almeno
quanto lo è il pubblico, perché il giudizio di gusto definisce la produzione
artistica, passando dal consenso dei fruitori dovuto ai nuovi valori soggettivi
dell’emotività, dell’amor proprio, dell’entusiasmo. Il giudizio di gusto, tuttavia, negli autori settecenteschi italiani ha ancora una funzione normativa:
questo è il solco che li separa dalla figura del critico novecentesco, che assolverà piuttosto al compito di rendere espliciti al fruitore aspetti dell’opera
estendendone la capacità di giudizio, formando il pubblico alla valutazione
estetica e includendo o escludendo un’opera nel novero dei prodotti degni di
essere chiamati artistici96 .
Il Settecento non determina una cesura netta tra la retorica ettorriana e
i nuovi valori del sentimento, che sono alla base del giudizio estetico in Bettinelli e Spalletti. Nel secolo dei Lumi, al contrario, la precettistica assume una
nuova forma in cui emotività e sentimento giocano un ruolo essenziale anche
nella condivisione sociale della fruizione97 . Ordinare l’elemento indistinto
Cfr. M.T. Marcialis, Saverio Bettinelli, un contributo all’estetica dell’esperienza,
“Aesthetica preprint”, Centro Internazionale Studi di Estetica, Palermo 1988, pp. 81-4.
95
Cfr. G. Spalletti, op. cit., pp. 40-47.
96
Cfr. G. Morpurgo-Tagliabue, op. cit., pp. 213-214.
97
«Il discorso bettinelliano si allarga così ad una valutazione della poesia come fenomeno
– accanto ad altri fenomeni – di una determinata civiltà, con gli altri fenomeni sottoposto
94
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e caotico della fruizione, riconducendo l’emozione soggettiva all’idea sociale
di pubblico, è, infatti, un’esigenza ampiamente sentita e riconosciuta dalle
teorie illuministe. Non a caso Bettinelli e Spalletti cercano ostinatamente di
rendere conto del fondamento antropologico delle loro teorie, ricorrendo alle
teorie climatiche che caratterizzano il genio, nell’Entusiasmo98 , e la funzione
sociale dell’amor proprio, che emerge nel Saggio99 . Gli aspetti della retorica classica rielaborati da Ettorri nel Buon gusto, in Bettinelli e Spalletti
rompono gli argini della precettistica del Seicento e aprono la strada alla
condivisione sociale del giudizio di gusto, che detta le regole all’elaborazione
e alla fruizione dell’opera d’arte, pur mantenendosi equidistante tra esse,
e questo è un elemento di novità che ricorre in tutta l’Europa del secondo
Settecento. A rendere possibile il passaggio dalla figura del retore-educatore
a quella del letterato, più sensibile al gusto popolare, è, tuttavia, proprio lo
sviluppo degli aspetti della retorica classica incentrati sul pathos che rendono
possibile il riconoscimento della centralità dell’elemento sentimentale. Se in
Ettorri l’artista doveva essere educato al bello, che eleva il pubblico, e introdotto al modo più efficace di somministrare l’arte al popolo, in Bettinelli e
Spalletti l’autore deve essere educato prima di tutto al gusto immediato del
pubblico e alle sue emozioni perché il bello è nell’individuo, e la condivisione
della fruizione estetica rispecchia la trasformazione del giudizio retorico in
senso comune, dell’uditorio in pubblico, della moltitudine in società.
alla trasformazione e al divenire di una determinata società e valutabile o commisurabile
agli altri fenomeni sulla base del suo peso sociale» (M.T. Marcialis, Saverio Bettinelli, un
contributo all’estetica dell’esperienza, cit., p. 31).
98
S. Bettinelli, L’entusiasmo estetico delle belle arti, cit., pp. 222-241.
99
Cfr. G. Spalletti, op. cit., pp. 82-83.
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