Decentramento Politico e Decentramento Fiscale: L`esperienza

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Decentramento Politico e Decentramento Fiscale: L`esperienza
“DECENTRAMENTO POLITICO E DECENTRAMENTO FISCALE:
L’ESPERIENZA SPAGNOLA”
ÁLVARO RODRÍGUEZ BEREIJO1
Universidad Autónoma de Madrid
SOMMARIO: §1. Il decentramento fiscale in Spagna: una prospettiva
costituzionale. §2. Evoluzione e sviluppo del decentramento fiscale in
Spagna. §3. La prospettiva del federalismo fiscale: possibilità e limiti. §4.
Riflessione finale.Il finanziamento autonomico e lo Statuto della Catalogna.
§5. Bibliografía.
§1.- Il decentramento fiscale in Spagna: una prospettiva costituzionale.
Negli oltre 25 anni dall’entrata in vigore della Costituzione, la Spagna ha
portato a termine un processo complesso e politicamente delicato di
decentramento politico assai profondo e, soprattutto, assai celere compiuta in
poco piú di una decina d`anni. In altre parole, ha trasformato uno degli Stati
europei più fortemente centralizzati in uno degli Stati più fortemente decentrati, in
cui lo Stato gestisce il 51,2% della spesa pubblica, gli Enti locali il 12,8% e le
Regioni (Comunità Autonome) il 36% della spesa pubblica complessiva. In tal
modo, gran parte delle quote di autogoverno regionale fissate nel periodo
costituente quale obiettivo ultimo dello sviluppo regionale, sono state portate a
compimento.
A determinare la problematica del decentramento finanziario della Spagna
sono state, in larga misura, le scelte attuate a suo tempo dai costituenti
nell’ambito della Costituzione del 1978. Si tratta di accorgimenti costituzionali che
privilegiano un Erario delle spese e non delle entrate, frutto probabilmente delle
condizioni politiche ed economiche del momento. In quel tempo, un sistema di
finanziamento regionale basato sui tributi di ogni singola Regione (Comunidad
1
Il testo é stato originalmente la mia relazione alla Conferenza Internazionale tenuta a Ravenna il 13-14 di
Ottobre 2006 su “Sovranitá fiscale degli Stati tra integrazione e decentramento”, diretta dal Prof. Adriano
Di Pietro della Universitá di Bologna. Traduzione a cura della dott.ssa Saturnina Moreno González,
Universidad de Castilla-La Mancha.
1
Autónoma in lingua spagnola) avrebbe tendenzialmente provocato l’insorgenza di
grandi disuguaglianze sul piano della prestazione di servizi pubblici oppure dei
livelli
di
pressione
fiscale
significativamente
diversi
o
addirittura
una
combinazione di entrambi tali effetti, altrettanto perversi. Il risultato finale sarebbe
stato, probabilmente, un incremento dei compiti di ridistribuzione dell’Erario
centrale e, di conseguenza, un aumento crescente del suo fabbisogno di
finanziamento per poter così rettificare le disuguaglianze derivanti da un sistema
di finanziamento che avesse privilegiato un Erario delle entrate a un Erario delle
spese (Prof. SUREDA CARRIÓN).
Pertanto, tale accorgimento costituzionale soggiace a ragioni di carattere
storico. La Costituzione spagnola articola, quindi, al finanziamento regionale o,
per meglio dire, l’Erario regionale, l’altro cardine della costruzione di uno Stato
decentrato cui politici e accademici hanno convenuto di denominare “Stato delle
Autonomie”, in Erario delle spese, non delle entrate, poggiante su tre principi
fondamentali: uguaglianza, solidarietà interregionale e coordinamento con l’Erario
dello Stato; uguaglianza, solidarietà interregionale e coordinamento conferenti
all’Erario statale un ruolo necessariamente forte all’interno dell’equilibrio del
sistema.
La
Corte
Costituzionale
ha
evidenziato
il
carattere
strumentale
dell’autonomia finanziaria delle Comunità Autonome [“piena disposizione di mezzi
finanziari per poter esercitare, senza condizionamenti indebiti e in senso lato, le
proprie competenze e, in modo particolare, quelle definite come esclusive” (STC2
201/1988,F.J.4º) ] quale garanzia della propria autonomia politica, cui è
indissolubilmente unita, e quale limite, dato che, contrariamente allo Stato, è
vincolata
allo
sviluppo
e
all’esercizio
delle
competenze
assegnatele,
conformemente alla Costituzione (art.148 e 149 CE), dai rispettivi Statuti e Leggi
organiche delimitanti le competenze (SSTC 63/1986, 201/1988, 14/1986,
96/1990, 13/1992, 237/1992, 126/1999, 192/2000 e quella più recente STC
168/2004).
Inoltre, la Corte Costituzionale ha sottolineato l`importante contenuto
finanziario del principio di solidarietá invocato spesso dalla Costituzione, che “in
2
STC: Sentencia del Tribunal Constitucional. Sentenza della Corte Costituzionale [NdT].
2
somma non é altro che un fattore di equilibrio fra l`autonomia delle nazionalitá e
le regioni e la indissolubile unitá della Nazione spagnola”(STC 135/1992)
La Costituzione delinea un Erario regionale essenzialmente asimmetrico,
anzi doppiamente asimmetrico.
Asimmetrico nel senso appena segnalato, di poteri e potestà regionali
diversi nei due rami del Fisco –il ramo delle entrate e quello delle uscite–, il che
ha fatto sì che, e di questo dirò più tardi, il funzionamento dell’Erario regionale
dipenda, in termini finanziari, oltremisura dallo Stato condizionandone anche
l’autonomia finanziaria e politica; e un Erario asimmetrico, nel senso che in seno
alla Costituzione coesistono sistemi di finanziamento diversi, derivanti dalla
presenza di un regime speciale di Convenzione o Accordo economico, copia di
un diritto storico riconosciuto e tutelato dalla Costituzione alle Regioni a regime
foral dei Paesi Baschi e della Navarra (1ª Disposizione aggiuntiva CE3). Non un
privilegio, bensì un diritto storico donde la Convenzione. Più avanti vedremo dove
si trova, a mio giudizio, il problema e quanto potremmo denominare il “privilegio”
derivante dal regime della Convenzione, che non risiede tanto nell’esistenza del
regime di per sé come piuttosto negli esiti cui conduce, vale a dire, come si
applica il sistema di Convenzione o Accordo economico delle Regioni forales e
come si procede al calcolo della “quota” (il loro apporto complessivo al
finanziamento delle spese generali dello Stato).
I tratti distintivi del sistema di finanziamento desumibile dalla Costituzione,
operativo da oltre un quarto di secolo, sono come segue:
1º. L’asimmetria, illustrata sopra;
2º. un sistema aperto, indeterminato, nel senso che la Costituzione spagnola è
alquanto parca per quanto riguarda la configurazione del finanziamento delle
Comunità Autonome e il ruolo che vi devono svolgere le risorse finanziarie loro
assegnate dall’art. 157 (imposte cedute; maggiorazioni delle imposte statali;
partecipazioni alle entrate dello Stato; trasferimenti del Fondo di compensazione
Interterritoriale; altri stanziamenti a carico del Bilancio generale dello Stato;
imposte proprie, tasse e contributi speciali e, infine, entrate patrimoniali e
operazioni di credito) della Costituzione.
3
CE: Constitución española. Costituzione spagnola.
3
La Costituzione non definisce il ruolo che dev’essere svolto, nell’ambito di
tale finanziamento, da ciascuna risorsa enumerata dalla medesima, ma si limita
semplicemente a tracciare un quadro, ampio e impreciso, nonché a enunciare i
principi generali relativi all’autonomia finanziaria, al coordinamento con l’Erario
statale e di solidarietà tra tutti gli spagnoli, nel cui ambito dev’essere attuato il
sistema di finanziamento regionale.
La Costituzione affida a una legge organica statale ad hoc integrata nel
blocco della costituzionalità, la Legge organica sul finanziamento delle Comunità
Autonome (LOFCA), e comunque in nessun caso agli Statuti di Autonomia –
pertanto neppure lo Statuto di Autonomia, malgrado il rango e la natura di legge
organica, è la norma in grado di stabilire la portata delle competenze
fondamentali dello Stato nelle varie materie (art. 149.1 CE) oppure convenire la
delega o il trasferimento delle competenze esclusive dello Stato ex art. 150.2 CE)
- la norma preposta all’attuazione di tale specifica e all’articolazione concreta del
sistema di finanziamento.
La Costituzione non predetermina quale debba essere il sistema di
finanziamento regionale ma consente che il “finanziamento venga definito da una
legge organica integrata nel blocco della costituzionalità”, che svolge, così, una
funzione di delimitazione della portata concreta delle competenze regionali di cui
agli artt. 156 e 157 della Costituzione e costituisce perció parametro di
costituzionalitá (STC 68/1996; STC 192/2000); ecco perché nell’espressione
“blocco della costituzionalità” rientrano gli Statuti di Autonomia delle varie regioni
nonché alcune leggi organiche particolarmente significative, perché si richiamano
ad aspetti dell’assetto statale [mi riferisco, in questo caso, alla legge sul
finanziamento delle Regioni (Comunità Autonome); un altro esempio potrebbe
essere
la
Legge
organica
del
Potere
Giudiziario
atta
a
disciplinare
l’Amministrazione della Giustizia], fondamentali in quanto a struttura e ad
architettura istituzionale, dal momento che con la medesima “si è inteso attivare
un intervento unilaterale dello Stato nell’ambito delle competenze per
raggiungere un grado minimo di omogeneità all’interno del sistema di
finanziamento regionale, eludendo così la difficoltà che sarebbe sorta qualora
tale sistema fosse dipeso esclusivamente dalle decisioni prese nell’iter di
elaborazione di ciascuno Statuto di Autonomia” (STC 68/1996, F.J.9º).
4
Una questione importante, per quanto riguarda al sistema delle fonti
normative del finanziamento regionale, é il rapporto fra Statuto di Autonomia e le
leggi organiche varate dallo Stato per disciplinare l´esercizio delle competenze
finanziarie delle Comunitá Autonome prevedute dall´art.157.3 CE, che delimitano
e condizionano cosí il loro esercizio. Rapporto che non é di gerarchía ma di
competenza.
Ci troviamo cosí con tre norme tutte integranti del blocco della
costituzionalitá: la Costituzione, norma abilitante chi apre la possibilitá alle
Comunitá Autonome, alla sua libera decisione a mezzo dei suoi rispettivi Statuti ,
di assumere delle competenze finanziarie; gli Statuti di Autonomía, norme a
mezzo i quali e con fondamento nella previsione costituzionale [art.148.1.1ª CE]
hanno assumito delle competenze in materia finanziaria: organizzazione del
proprio Erario, finanziamento ...; ed in fine,la LOFCA,che stabilisce la cornice
normativa in cui le Comunitá Autonome devono svolgere le competenze
finanziarie assumite nel suo Statuto, articolando il loro esercizio (illustrativa fra
l`altro, la STC 56/1990,F.J.14º in proposito della LOPJ)
Tale forma singolare di strutturare l’autonomia nell’ambito costituzionale
è un corollario della mancanza di definizione stessa del Titolo VIII in quanto
all’assetto territoriale dello Stato, caratteristica questa nonché maggiore
singolarità della nostra Costituzione (la sua virtù o il suo difetto più grande, a
seconda dei punti di vista).
Infatti, nell’articolare, nel Titolo VIII, “l’indissolubile unità della nazione
spagnola" con il "diritto all’autonomia delle nazionalità e delle regioni che la
costituiscono" di cui all’art. 2, la Costituzione non nomina né definisce lo Stato
che dà forma al nuovo assetto e alla distribuzione territoriale del potere politico; in
un certo qual modo "de-constituzionalizza", utilizzando l’espressione coniata dal
Prof. CRUZ VILLALÓN, l’assetto territoriale dello Stato, nell’affidarla, in forza del
principio dispositivo che presiede il processo di decentramento politico (art.143 e
151 CE), a quanto risulti dagli Statuti di Autonomia e dalle altre leggi organiche
costituenti il cosidetto "blocco della Costituzionalità” nonché alla successiva
dinamica costituzionale (art. 150 CE).
La Costituzione nomina, ma non definisce, le "nazionalità" e non ne
illustra i tratti distintivi né specifica gli elementi che possono fungere da base per
5
una Comunità Autonoma affinché la stessa possa essere dichiarata nazionalità o
regione né attribuisce a tale differenziazione alcuna conseguenza di natura
giuridica esplicita oltre al modo diverso di accesso all’autonomia (art. 151 e art.
143 e disposizioni aggiuntive 1ª, 2ª e 4ª CE).
Tale
indeterminatezza
costituzionale
relativamente
all’assetto
organizzativo dello Stato derivante dalla scelta effettuata nel Titolo VIII della
Costituzione svolse, pur tuttavia, in quel momento storico delle Cortes costituenti
la funzione di formula di transazione (“patto apocrifo”, secondo l’espressione
utilizzata da HERRERO DE MIÑÓN) tra le varie tendenze politiche – unitarie e
plurinazionalistiche – e le loro diverse nonché contrapposte concezioni della
Spagna quale nazione.
Di conseguenza, la nostra Costituzione non definisce né un “sistema”
né un “modello” di finanziamento. Definisce soltanto la cornice in cui sviluppare o
attuare il finanziamento regionale, la cui concretezza viene lasciata a un
processo politico e legislativo successivo (STC 192/2000, F.J.4º). Evidenzio
questo punto, su cui mi soffermerò più avanti, perché sta facendo sì che nel
funzionamento pratico del sistema, i meccanismi di finanziamento regionale
vengano definiti mediante processi di negoziazione politica, di contrattazione,
piuttosto che un finanziamento regionale ordinato secondo norme di natura
legislativa.
La conseguenza di questa scelta costituzionale è un ambito aperto,
dinamico, flessibile talmente difficile da chiudere al pari del medesimo ordine
costituzionale di distribuzione delle competenze tra lo Stato e le Comunità
Autonome di cui agli artt. 148 e 149 CE, che contraddistingue la Costituzione
spagnola per quanto riguarda l’assetto territoriale dello Stato.
3º. Oltre a questo carattere aperto, indeterminato, il sistema di finanziamento
regionale in Spagna è un sistema instabile dal momento che, avendone affidato
la sua articolazione concreta a una legge organica posteriore (la LOFCA), che
manca della rigidità propria delle norme costituzionali, ne consente la continua
rimessa in discussione al riparo del dibattito politico, come evidenziato dal fatto
che l’ultimo modello di finanziamento approvato nel 2001, entrato in vigore nel
2002, denominato allora “definitivo”, è stato riaperto e oggi è di nuovo al centro
del dibattito sulla riforma territoriale a seguito del finanziamento della sanità e,
6
soprattutto, del processo di riforma degli Statuti di Autonomia avviato con
l’approvazione del nuovo Statuto di Autonomia della Catalogna nel luglio del
2006. Ci si potrebbe chiedere se verrà prospettato nuovamente, in futuro, al
riparo, ad esempio, del finanziamento dei costi derivanti dall’immigrazione
clandestina.
Ciò si deve al fatto che la definizione del modello di finanziamento
avviene sulla base del risultato economico di una negoziazione politica che si
traduce negli Accordi di finanziamento tra lo Stato e le Comunità Autonome,
nell’ambito del Consiglio di Politica Fiscale e Finanziaria o nell’ambito delle
Commissioni miste bilaterali Stato-Comunità Autonome.
Il finanziamento si definisce più in base al risultato e in virtù degli accordi
politici che per l’applicazione di norme legislative dibattute e approvate dalle
Cortes Generales, con il conseguente degrado del significato del Diritto, in questo
caso del Diritto che emana dalla Costituzione e dal blocco della costituzionalità.
Norme e principi giuridici della Costituzione finanziaria, aperti e naturalmente
indeterminati, ma pur sempre norme giuridiche, relegate in un piano meramente
strumentale ove la norma giuridica e i criteri di distribuzione delle entrate
finanziarie e dei meccanismi di solidarietà previsti nelle stesse, vengono lasciati
al libero arbitrio e alla libera disposizione delle forze politiche, subordinandoli a
criteri che presiedono la negoziazione politica: la contrattazione sul risultato
economico del finanziamento e il dibattito sull’efficacia o sull’efficienza del calcolo
e l’applicazione delle variabili scelte. Quasi come dire che il Diritto deve cessare
laddove incomincia la politica e la forza [normativa] dei fatti.
(RAMALLO MASSANET- ZORNOZA PÉREZ; ORTÍZ CALLE)
4º. Infine, si tratta di un sistema anche insufficiente, pur se si potrebbero
avanzare certe riserve al riguardo, dal momento che il deficit derivante
dall’accollo delle spese sanitarie [per porre un esempio significativo addotto quale
ragione atta a giustificare l’esigenza di una riforma del sistema di finanziamento
regionale] potrebbe essere ampiamente coperto mediante la soppressione di una
delle varie emittenti televisive regionali in alcune Comunità Autonome.
Puntualizzato quanto sopra, si può parlare, effettivamente, d’insufficienza nel
senso e nella misura in cui il decentramento finanziario attuato tramite il sistema
7
di finanziamento regionale secondo i vari Accordi sui “modelli” di finanziamento
siglati nel tempo, non è andata di pari passo né è stata adattata al processo di
decentramento politico dei trasferimenti e dell’accollo delle competenze da parte
delle Regioni (Comunità Autonome).
Pertanto, l’apertura e l’instabilità del sistema di finanziamento delle
Comunità Autonome è la conseguenza stessa del modello di Stato configurato
nella nostra Costituzione territoriale; del carattere intrinsecamente aperto
dell’ordine costituzionale di distribuzione delle competenze; ed della coesistenza
dei vari sistemi di finanziamento delle Comunità Autonome (sistema di
Convenzione o di Accordo economico per le regioni forales dei Paesi Baschi e
della Navarra; regime fiscale speciale delle Canarie; sistema di regime comune
per il resto delle Comunità Autonome).
Di conseguenza, il risultato è un sistema generale di finanziamento che
oscilla tra un finanziamento poggiante sulla partecipazione alle imposte statali o
ai tributi condivisi che dotino le Comunità Autonome di una certa capacità
normativa e gestionale e di maggiore autonomia tributaria, senza che il modello
di finanziamento abbia privilegiato chiaramente, nel tempo, una delle due
alternative: o tributi condivisi o finanziamento mediante partecipazioni statali, il
che ha trasformato gli Erari regionali, sul piano delle entrate, in Erari di
trasferimenti mentre dal punto di vista funzionale, sono, predominantemente,
Erari di spese. Si è venuta così a creare quell’immagine di Erario regionale
parassita che dipende oltremisura, in termini finanziari, dall’Erario dello Stato.
È opportuno segnalare –per quanto dirò successivamente– che
decentrare i tributi allo scopo di creare o stabilire una corresponsabilità fiscale
delle Comunità Autonome nel finanziamento del proprio volume di spesa,
affinché non siano soltanto Erari di spesa ma anche Erari di entrata, non equivale
a territorializzare il prodotto delle esazioni come è stato fatto nell’ambito dei
meccanismi di finanziamento degli ultimi modelli (IRPF4, IVA., Imposte speciali)
che non è “corresponsabilità fiscale” ma un’altra modalità di partecipazione alle
entrate statali che non contribuisce a migliorare l’autonomia tributaria degli Erari
regionali e a renderli responsabili, finanziariamente e politicamente, del livello di
spesa assunto nel mettere a punto o nel definire le proprie politiche pubbliche.
4
IRPF: Impuesto sobre la Renta de las Personas Físicas. Imposta Sul Redditto delle Persone Fisiche
[NdT].
8
Una valutazione lacunosa di tale differenza può soggiacere alla visione oltremodo
ottimistica dell’evoluzione del finanziamento regionale nella STC 289/2000,
F.J.3º.
§ 2.- Evoluzione e sviluppo del decentramento fiscale in Spagna
Tradizionalmente, il sistema di finanziamento delle Comunità Autonome
a regime comune si è sostenuto sui trasferimenti dell’Erario statale, derivanti in
sostanza, dalla partecipazione alle entrate dello Stato e, recentemente, sulle
imposte statali cedute su cui dispongono di una limitata capacità normativa ed di
gestione.
L’evoluzione del finanziamento regionale nell’arco di questi 25 anni, può
essere suddivisa in varie fasi (Virginia POU):
Prima fase: 1980-1996. Il volume del finanziamento regionale deriva dai
trasferimenti mediante partecipazione alle entrate dello Stato (un trasferimento
incondizionato, calcolato in funzione di una serie di variabili, popolazione,
superficie, insularità, impegno fiscale, ecc., che intendeva coprire le spese della
prestazione dei servizi assunti dalle Comunità Autonome cui si aggiunge
l’esazione delle imposte statali cedute (Imposte sul patrimonio, sulle successioni
e sulle donazioni, sulle trasmissioni patrimoniali e sugli atti giuridici documentati)
nei cui confronti non venivano cedute né la gestione né la capacità normativa, e
le tasse applicate ai servizi ceduti.
Seconda fase: 1997-2001. Il finanziamento s’incentra sulla cessione alle
Comunità Autonome del 15% dell’IRPF, costituente la cosiddetta “quota
regionale” dell’imposta, cui si aggiungeva una partecipazione territorializzata
dell’IRPF, anch’essa pari al 15%. Si mise altresì a punto una garanzia che
assicurava alle Comunità Autonome una crescita minima dell’esazione dell’IRPF
regionale uguale all’incremento del Prodotto Interiore Lordo (PIL) nominale. Tale
finanziamento veniva poi completato dalle “partecipazioni alle entrate dello
Stato”, con il prodotto delle “imposte cedute” e le tasse.
In tale modello del 1997, rimasto in vigore fino al 2001, la Sanità
trasferita veniva finanziata al margine del modello generale di finanziamento delle
competenze regionali. L’ammontare dei trasferimenti condizionati atti a finanziare
le competenze sanitarie veniva determinato annualmente in funzione del bilancio
9
dell’INSALUD5, su scala statale. Dal canto loro, gli stanziamenti di ogni Regione
venivano calcolati mediante coefficienti rappresentanti la popolazione protetta. Il
bilancio
dell’INSALUD
veniva
incrementato
annualmente,
a
sua
volta,
percentualmente in base al PIL nominale nazionale mentre la base applicata a
ogni Regione veniva aumentata mediante aggiunta di fondi atti a coprire le spese
di assistenza a sfollati, docenza nonché per compensare le Comunità Autonome
in cui si era verificato un calo della popolazione.
La terza e ultima fase, attualmente in corso dal 2002, ad approvazione avvenuta
della legge 21/2001 del 27 dicembre, atta a disciplinare il cosiddetto “nuovo e
definitivo sistema di finanziamento” delle Comunità Autonome a regime comune
e delle città a Statuto di Autonomia [Ceuta e Melilla]. il finanziamento delle
Comunità Autonome ivi incluse, in questo caso, le competenze in materia di
istruzione e di sanità, avviene tramite le risorse di cui appresso:
Si cedono il 33% dell’IRPF relativo alla quota o alla tariffa regionale; il
35% dell’IVA.; il 40% delle Imposte speciali su determinati consumi, tabacchi,
idrocarburi, alcool e bevande dissetanti [in sostanza, birra]; la totalità
dell’esazione delle Imposte su determinati mezzi di trasporto [possono far
incrementare l’aliquota d’imposta fissata dallo Stato fino al 15%] e sull’elettricità
[fissare un’aliquota d’imposta regionale fino al 2%]; l’insieme dell’esazione della
nuova imposta, rientrante nell’IVA, sulle vendite al dettaglio di certi prodotti
derivanti da idrocarburi [fino a 4,8 centesimi al litro] (denominato, in alcune
Comunità Autonome, “il centesimo sanitario” sulla benzina e sul gasolio per
l’industria automobilistica) e l’esazione delle imposte cedute. Tale finanziamento
veniva integrato dal “Fondo di sufficienza”, ovvero un trasferimento dello Stato
calcolato in base alla differenza tra il fabbisogno di finanziamento e le entrate
ottenute nel paniere delle imposte, prendendo come punto di riferimento il 1999 e
aggiornato secondo un indice di crescita dei tributi dello Stato. V’erano poi,
naturalmente, i meccanismi di solidarietà interregionale quali il Fondo di
compensazione interterritoriale e gli Stanziamenti di livellamento a carico del
Bilancio Generale dello Stato.
Ben diversa è la Convenzione o l’Accordo economico con le Regioni
forales dei Paesi Baschi e della Navarra che, come anzidetto, è una copia dei
5
INSALUD: Instituto Nacional de Salud [NdT].
10
diritti storici riconosciuti e tutelati dalla Costituzione nella Prima disposizione
aggiuntiva e in cui l’ente Provincia foral dei territori storici gestisce e riscuote gran
parte dei tributi diretti e indiretti dello Stato, costituenti il sistema fiscale.
Di conseguenza le Regioni forales dispongono di un sistema tributario in
pratica proprio e differenziato per finanziare le spese con un’ampia autonomia
tributaria, non fruibile dalle Comunità Autonome a regime comune, dal momento
che potranno “mantenere, stabilire e regolare il regime tributario nell’ambito del
loro territorio” entro i limiti derivanti dalla Costituzione, dall’osservanza
dell’assetto impositivo generale dello Stato e delle norme sul coordinamento e
sull’armonizzazione con il sistema tributario statale e dei Trattati e delle
Convenzioni internazionali, singolarmente le norme del Diritto comunitario.
L’Erario foral versa all’Erario dello Stato una quota (“cupo”), quale contributo al
sostegno degli oneri generali dello Stato, la cui fissazione o calcolo è sempre
stato al di sotto di quanto dovevano effettivamente apportare in base al loro livello
di reddito.
Oltre alla capacità normativa tributaria, diversa e superiore, attribuita dal
regime della Convenzione o dell’Accordo economico alle Regioni forales e il cui
utilizzo da parte dell’ente Provincia foral genera conflitti, tensioni e pregiudizi
nelle Comunità Autonome limitrofe e persino nell’Unione europea, nella misura in
cui tale capacità normativa propria, con un’autonomia per niente raffrontabile a
quella delle Comunità Autonome a regime comune in relazione ai loro tributi, fa sì
che ci sia serviti della Convezione o dell’Accordo per stabilire agevolazioni fiscali
nel proprio territorio, per richiamare investimenti e per lo stabilimento di nuove
imprese oppure per ridurre la tassazione di chi usufruisce della vicinanza a tali
Regioni, il che ha provocato un “effetto frontiera” che si scontra con i principi di
uguaglianza nonché con quelli di libera circolazione, libertà di impresa (libertà di
stabilimento) e libera concorrenza di cui sia alla Costituzione spagnola (artt. 31.1,
38, 138, 139.1 e 2 CE) sia ai Trattati costitutivi dell’Unione europea (art. 52 e art.
92, attualmente art.43 e art.87 TCE), e che si sta esprimendo, pur se ancora in
modo incipiente, in decisioni giurisprudenziali di grande respiro che segneranno il
futuro dello sviluppo e del modo di procedere del regime della Convenzione
economica. Ad esempio, la sentenza della Corte Costituzionale, STC 96 /2002
F.J.7º a 10º, relativamente ad alcuni accorgimenti specifici del regime della
Convenzione della Navarra; la recente ed importante sentenza della Corte
11
Suprema di Cassazione (sezione del contenzioso-amministrativo) del 9 dicembre
2004 sulle norme forales dell’Ente Provincia della Vizcaya, di Guipúzcoa e di
Álava atte a disciplinare l’IS6 oppure le decisioni della Commissione Europea
[Decisione 93/337/CEE del 10 maggio 1993; Decisione1999/718/CEE di 24
febbraio
1999;
Decisione
2000/795/CEE
del
22
dicembre
1999;
Decisione2001/1762 y 1763/CEE ambedue di 11 luglio 2001; e Decisione
2003/192/CEE ] e la giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità
Europee, in materia di ferie fiscali e di riduzioni o sgravi fiscali a favore di alcune
imprese stabilite nel territorio della Comunitá Autonoma (ad esempio, il caso
Ramondín o il caso Daewoo) adottati dall’Ente Provincia dei Paesi Baschi e chi
vengono considerate aiuti di Stato e per ción incompatibili con il Trattato
[Sentenza CGCE di 23 ottobre 2002; Sentenza CGCE di 11 novembre 2004,
assunto Daewoo España S.A. ed Sentenza CGCE di 11 novembre 2004, asunto
Ramondín S.A.; Sentenza della di Primera Istanza delle CE di 6 marzo 2002,
asunto Daewoo España S.A.].
Tuttavia, e non è poco, oltre alle conseguenze derivanti da una capacità
normativa così intensa del regime di Convenzione, il dato più vistoso e rilevante è
il fatto di fornire maggiori risorse alle Regioni forales di quelle fornite dal sistema
LOFCA alle Comunità Autonome a regime comune, per cui le Regioni forales
possono e sono in grado di prestare non solo più servizi ma anche servizi di
qualità superiore. Ad esempio, secondo i dati del 1997 esaminati dal Prof. José
V. SEVILLA SEGURA, Madrid ha avuto a disposizione 240.493,6 pesetas per
abitante, la Catalogna 269.298,1 per abitante e i Paesi Baschi 396.000 pesetas,
vale a dire il 50% di finanziamento in più per abitante. La media nazionale è pari
a 276.143 pesetas per abitante.
L’aspetto saliente di questa evoluzione del finanziamento regionale in
Spagna, malgrado la persistente dipendenza iniziale delle Comunità Autonome a
regime comune dai trasferimenti incondizionati dell’Erario statale e dal modello
che potremmo denominare, volendo, “parassita”, di partecipazione alle entrate
dello Stato o in definitiva di meccanismi di “territorializzazione” dell’esazione delle
grandi imposte generali dello Stato, si è verificato un certo spostamento, pur se
ancora insufficiente, verso una maggiore incidenza sul finanziamento regionale di
6
IS: Impuesto sobre Sociedades. Imposta sul Reddito delle Persone Giuridiche [NdT]
12
quanto ottenuto dalle imposte statali cedute quali, le richiamo, l’imposta sul
patrimonio, sulle successioni e sulle donazioni, sulle trasmissioni patrimoniali e
l’imposta sugli atti giuridici documentati.
In base a dati elaborati da Virginia POU, nel periodo 1992-2003,
l’incidenza delle entrate tributarie sul totale delle entrate non di carattere
finanziario delle Comunità Autonome è aumentata dal 17,8% al 54,5%,
soprattutto dal 1998 in poi, anno in cui nel garantire alle Comunità Autonome una
crescita minima del gettito dell’IRPF uguale all’incremento del PIL nominale, si è
verificato un consolidamento delle imposte dirette quale elemento forte del
finanziamento regionale.
Nel 2002, all’attivazione del “nuovo e definitivo” (sic) sistema di
finanziamento regionale, il trend si è accentuato: le entrate tributarie sono
raddoppiate o quadruplicate rispetto al 2001 grazie alle imposte cedute (IRPF,
IVA, Imposte speciali). Dal canto loro, le entrate derivanti dalle tasse sui servizi
prestati, sebbene abbiano fatto registrare un aumento medio annuo del 5%
coerentemente al processo di assunzione delle competenze, con un’importanza
marginale, tuttavia, nell’ambito del finanziamento regionale.
In conclusione, i vari sistemi o modelli di finanziamento applicati nell’arco
dei venticinque anni di sviluppo dello Stato regionale hanno condotto a un
incremento graduale dell’autonomia finanziaria delle Comunità Autonome in
rapporto alla loro dipendenza dai trasferimenti ricevuti dall’Erario statale.
Malgrado questo rafforzamento apparente dell’autonomia tributaria,
l’incidenza dei trasferimenti dall’Erario statale all’Erario regionale quale elemento
fondamentale del finanziamento è tuttora assai rilevante: il 48,4% nel 2002 e il
44,5% nel 2003 dal momento che alcune Comunità Autonome (quelle a minor
reddito pro capite) presentano tuttora un’elevata dipendenza dai trasferimenti
incondizionati del Fondo di sufficienza nonché dai trasferimenti condizionati del
Fondo di compensazione interterritoriale derivanti dallo Stato.
Il ricorso all’indebitamento delle Comunità Autonome è cresciuto, nel
periodo 1992-2001, a un ritmo medio annuo dell’11% malgrado i limiti quantitativi
e qualitativi imposti dalla LOFCA e dalla legge sulla stabilità di bilancio del 2002
nonché dagli obiettivi di stabilità e di convergenza dell’Unione europea.
In merito alle spese, il tratto distintivo saliente è l’enorme incidenza, circa
il 50%, delle partite relative alle competenze delle Comunità Autonome in fatto di
13
istruzione, sanità e servizi sociali sulle spese complessive del proprio Bilancio,
che condiziona fortemente l’elaborazione budgetaria nonché la messa a punto
delle politiche pubbliche.
Tale eccessiva dipendenza finanziaria dell’Erario regionale (come
avviene anche nel caso dell’Erario degli enti locali) da risorse di finanziamento
derivanti da fonti statali desta preoccupazione e dovrebbe essere corretta per vari
motivi.
Sia per ragioni concernenti la propria autonomia politica e finanziaria che
può ritrovarsi così al centro di un processo di mediatizzazione se non addirittura
compromessa (vid. STC13/1992, F.J.7º e STC 104/2000, F.J.4º), creando
distorsioni ed effetti indesiderabili nel funzionamento globale dell’Erario generale
e nella distribuzione equa delle entrate pubbliche, che per ragioni di uno
stanziamento razionale ed efficiente delle risorse pubbliche (consone ai principi
costituzionali delle spese pubbliche dell’art. 31.2 della Costituzione spagnola).
Infatti, un’Amministrazione cui viene affidato la decisione di provvedere
alla spesa delle risorse pubbliche ma non di provvedere alla loro esazione,
propende più facilmente verso un’espansione non controllata della spesa
pubblica e ad accollarsi impegni e richieste sociali di prestazione di beni e servizi
pubblici che poi non è in grado di finanziare e di adempiere. Tenderà, quindi, a
trasferirli verso quel livello di governo (lo Stato), dotato di fonti di finanziamento. E
un Erario di trasferimenti è propenso a divenire più facilmente un Erario
«parassita» caratterizzato da noncuranza per quanto concerne il controllo dei
contribuenti e la gestione tributaria e la generalizzazione e personalizzazione
nella distribuzione del carico fiscale; dall’irresponsabilità fiscale relativamente alle
decisioni e alle richieste di spesa pubblica nonché un cattivo stanziamento delle
risorse pubbliche; dall’assenza di un rapporto tra l’Erario regionale e i propri
contribuenti, il che inciderà negativamente sull’educazione tributaria dei cittadini e
non farà che rafforzare il sentimento di disapprovazione popolare e di rigetto nei
riguardi delle imposte regionali e locali, già piuttosto forte nell’attualità.
Una stretta correlazione entrata-spesa pubblica è la migliore garanzia dei
cittadini stante la tendenza della burocrazia politica alla crescita incontrollata
delle spese, a un loro scadente stanziamento o al loro scialacquio. Quanto
maggiore è il divario tra la decisione inerente la spesa pubblica e la decisione
inerente il finanziamento, tanto più si rafforzerà la creazione, da parte dei
14
governanti, di illusioni finanziarie e addirittura politiche (A. PUVIANI) nei
contribuenti, nel renderli meno consapevoli del costo dei beni e dei servizi
pubblici di cui usufruiscono. Si rafforza, così, la credenza, falsa ma
profondamente radicata nell’ideologia dello Stato sociale cui è particolarmente
propensa l’opinione pubblica delle nostre società industriali, a forte spirito
corporativo, secondo cui i beni pubblici forniti dalla spesa pubblica di una data
Amministrazione sono gratuiti o privi di costo (una sorta di «diritti sociali
acquisiti»). In verità, in seno all’Erario pubblico, sia sul piano delle entrate che su
quello delle spese, si tratta sempre di giochi a somma zero. In altre parole, il
beneficio o il vantaggio di uno, viene pagato da un altro.
E dietro questo effetto di illusione finanziaria, che adombra l’analisi costobeneficio, è più facile per i politici e governanti delle Comunità Autonome
nascondere i difetti di un’amministrazione e di una gestione scadenti dei servizi
pubblici e dell’aumento della spesa pubblica che ne deriva, dal momento che
sono finanziati, in gran parte, con risorse che i loro contribuenti (ed elettori) né
vedono né versano direttamente alla propria Comunità Autonoma.
Così facendo, la funzione di controllo e di restrizione del potere fiscale e
della spesa pubblica assegnata tradizionalmente, in seno a un Erario
democratico, al sistema politico rappresentativo (qualsiasi Amministrazione, a
prescindere dal proprio livello di governo, risponde politicamente delle proprie
decisioni finanziarie di spesa e di entrata nei riguardi dei propri contribuenti
elettori) dà anch’essa esito negativo. Analogamente a un consumatore che, male
informato, effettuerà sempre acquisti scadenti, neppure la condotta dei
contribuenti-votanti soggetti a illusioni finanziarie, che modificano il calcolo
razionale del costo-beneficio delle decisioni finanziarie degli enti politici
(sopravalutando o sottovalutando la quantità o la qualità dei beni e dei servizi
pubblici o delle imposte), sarà ottimale. Ciò snaturerà il processo di rivelazione
delle preferenze dei consumatori di beni pubblici che avviene mediante il
processo politico democratico (mercato politico / voto), determinante le
dimensioni e la composizione dei beni pubblici «acquistati» con le imposte
nell’ambito di un Erario pubblico democratico.
§ 3.- La prospettiva del federalismo fiscale: possibilità e limiti
15
Un’ultima riflessione. È pur vero che le possibilità delle Comunità
Autonome a regime comune relativamente alla disponibilità di un sistema
tributario proprio sono, certamente, limitate ma non inesistenti; e sono limitate
perché il costituente –a seguito della scelta di partenza, di cui dicevo all’inizio– ha
dato prova di una diffidenza straordinaria nei riguardi dello sviluppo di un sistema
tributario proprio delle Comunità Autonome quale modello di finanziamento. Si
tratta di limiti alquanto rigorosi riportati nella Costituzione (artt. 138, 139, 156.1 e
157.2) e nella LOFCA (artt. 6, 9 e 12): i principi di coordinamento e di solidarietà;
divieto di attuare misure tributarie su beni posti al di fuori del proprio territorio;
divieto di attuare misure tributarie comportanti un ostacolo alla libera circolazione
delle merci e dei servizi; divieto della doppia tassazione e della duplicità
impositiva [non si possono imporre tributi su fatti imponibili gravati dallo Stato; né
su materie riservate agli Enti locali dalla legislazione locale]. Ciò ha determinato
una preminenza dello Stato sulle fonti tributarie di finanziamento [lo Stato detiene
il potere tributario originario (art.133.1 CE) e la competenza esclusiva sull’Erario
generale (art. 149.1.14ª) ], lasciando pochissimo spazio fiscale al potere tributario
proprio delle Regioni (Comunità Autonome).
Ciò
è
stato
altresì
accentuato
dall’interpretazione
della
Corte
Costituzionale relativamente ai limiti costituzionali della doppia imposizione (art.
6.2 e 3 LOFCA) data la sussistenza impositiva tra i vari livelli di governo; è assai
significativa, ad esempio, la dottrina chiaramente restrittiva della sentenza
289/2000,F.J.5 sull’imposta delle Baleari su determinati impianti che incidono
sull’ambiente (una posizione più indulgente al riguardo, nelle SSTC 37/1987,
F.J.14º e 186/1993, F.J.4º sull’imposta regionale su terre sottoutilizzate
rispettivamente dell’Andalusia e dell’Estremadura che prendendo spunto dalla
differenziazione tra fatto imponibile e materia imponibile od oggetto del tributo, ed
anche di una interpretazione litterale del termine “fatto imponibile”, ammette che
“relativamente a una medesima materia impositiva, il legislatore può selezionare
varie circostanze che diano luogo ad altrettanti fatti imponibili, determinanti, a loro
volta, figure tributarie diverse”). Secondo il raggionamento della Corte “l´art.6.2
della LOFCA non ha come finalitá vietare alle Comunitá Autonome stabilire tributi
propri su oggetti materiali o fonti impositive giá gravate per lo Stato, poiché dato
che la realtá económica nelle sue diverse manifestazioni é tutta coperta da tributi
statali, ció porterebbe a negare pratticamente la possibilitá di creare, almeno in
16
momento, nuovi imposte autonomici. Ció che l`art.6.2 vieta nei suoi propri termini
é strettamente la duplicitá di fatti imponibili”. La STC 289/2000, F.J.4º ritiene che
il secondo limite dell’art. 6.3 LOFCA riconduce il divieto di duplicità impositiva alla
“materia imponibile” su cui grava effettivamente il tributo a prescindere del modo
in cui il legislatore articoli il fatto imponibile; conclude con il “divieto [per la
Regione – Comunità Autonoma] di qualsivoglia sovrapposizione, non autorizzata
legalmente in precedenza, tra la fonte di ricchezza su cui grava un tributo locale e
un nuovo tributo regionale”. Si tratta di un’interpretazione piuttosto ampia del
limite di duplicità impositiva, in cui s’identifica la materia imponibile o l’oggetto
imponibile con il fatto imponibile [che impedisce l’imposizione, a cura delle
Comunità Autonome, di tributi sostanzialmente uguali ad un altro di natura
statale, anche se non vi è piena coincidenza sul fatto imponibile] che ha ridotto
ancor più l’ipotetico campo di cui dispongono o potrebbero disporre le Comunità
Autonome ai fini della creazione dei loro tributi. Per quanto il Tribunale avesse già
espresso in una sentenza un po’ datata, la STC 150/1990, F.J.3º, a proposito
della soprattassa del 3% stabilita dalla Regione Madrid sull’IRPF statale, che
“nessuno dei limiti costituzionali condizionanti il potere tributario proprio delle
Comunità Autonome può essere interpretato in modo tale da rendere inattuabile
l’esercizio di quella potestà tributaria”.
Donde le possibilità per le Regioni (Comunità Autonome) di “inventare”
nuove imposte sono straordinariamente limitate, pur se non inesistenti.
Secondo la giurisprudenza costituzionale, l’esistenza di una vera e
propria finalità extrafiscale del tributo regionale (di tutela ambientale o un’altra
finalità) [e non fittizia, come avveniva nel caso della STC 289/2000, F.J.5º], non
meramente di esazione, può fungere da base alla Corte Costituzionale per
negare l’esistenza di una duplicità impositiva in relazione alle imposte statali o
locali presenti, dal momento che il loro oggetto di gravame “non ha carattere
contributivo bensì retributivo”, il che evita eventuali confusioni relativamente a
imposte statali o locali finalizzate all’esazione o alla contribuzione. È questo il
caso della STC 168/2004, a proposito del tributo sugli elementi patrimoniali delle
attività di protezione civile, imposto dalla Comunità Autonoma de Catalogna. A
giudizio della Corte Costituzionale, il tributo autonomico in questo caso aveva un
carattere finalistico – il finanziamento per i soggetti passivi dei servizi di
prottezione civile – non versando piú sui beni patrimoniali o sulle attivitá
17
economiche como accade nei tributi locali in gioco nel caso, dal che nessuna
incompatibilitá puó ravissarsi dal punto di vista costituzionale.
Pertanto, un’interpretazione costituzionale ponderata che, nel chiarire la
propria giurisprudenza, fissi la portata e i limiti del doppio divieto di sussistenza di
cui alla Costituzione e alla LOFCA, si delinea quale interpretazione capitale per
ordinare, in futuro, i rispettivi spazi fiscali dei vari livelli di governo.
È altresì vero che le Comunità Autonome che hanno sempre mantenuta
aperta, sin dall’inizio –a partire dalla STC 150/ 1990 della Corte Costituzionale–
la possibilità di avvalersi del meccanismo delle soprattasse sulle imposte statali,
hanno dato prova, sin dall’inizio, di essere scarsamente o per niente interessate
ad accollarsi il costo politico di tale modalità di copertura delle spese cui hanno
preferito, invece, una comoda negoziazione mediante trasferimenti di entrate
dall’Erario dello Stato che, consentiva loro di fare appello altresì al vittimismo
politico e di addurre incessantemente al bisogno di nuovi e maggiori trasferimenti
delle entrate da parte dello Stato.
È evidente che, nello sviluppo graduale delle Stato delle Autonomie, i limiti
definiti nella LOFCA hanno dato luogo a una notevole asimmetria tra le
competenze materiali assunte gradualmente dalle Comunità Autonome e lo
scarso sviluppo del loro potere tributario, il che genera, in ultima istanza, una
situazione di squilibrio finanziario verticale (Prof. RAMALLO MASSANET).
Pare logico ritenere che ogni decentramento delle competenze materiali
debba essere seguito dal relativo decentramento delle competenze finanziarie e
che, nell’ambito di queste, i tributi rappresentino un ruolo più rilevante, sia per
ragioni di autonomia politica degli enti territoriali che per ragioni di uno
stanziamento razionale ed efficace delle risorse nella produzione di beni pubblici.
Orbene, è altresì chiaro che non tutte le distribuzioni delle materie
imponibili tra i vari livelli di governo sono prudenti e convenienti e che non tutte le
ridistribuzioni dello spazio fiscale trovano spazio nella Costituzione, dal momento
che l’autonomia finanziaria deve svolgersi in ogni caso "conformemente ai
principi di coordinamento con l’Erario statale e il principio di solidarietà tra tutti gli
spagnoli" (art. 156.1 CE.), il che deve necessariamente riflettersi in qualsivoglia
ristrutturazione delle materie imponibili.
L’equilibrio dell’Erario regionale nei suoi due rami, quello delle entrate e
quello delle spese, in modo tale che si facciano carico della loro corresponsabilità
18
fiscale, potrebbe essere affrontato in un prossimo futuro, a partire dalla
trasformazione delle imposte statali cedute in imposte regionali (ribadisco un`idea
giá esposta nel 1985). Bisognerà provvedervi, logicamente, con tutta la prudenza
del caso e nel pieno rispetto dei principi di solidarietà, di coordinamento e di
cooperazione interterritoriale tendendo, comunque, chiaramente verso formule di
distribuzione dei tributi nella linea di un federalismo fiscale ove i tributi sono
distribuiti tra i vari livelli di governo, cosicché ogni Erario pubblico si accolli il
potere e la responsabilità fiscale relativi al grado di sviluppo dei propri servizi e
alle proprie politiche pubbliche di spesa.
Probabilmente ciò richiederebbe la riserva, mediante una legge organica di
armonizzazione, o qualcosa di simile, a favore dello Stato, di competenze mirate
derivanti dall’art. 138 CE che garantisce un equilibrio economico adeguato e
giusto tra le varie parti del territorio spagnolo e dagli artt. 139, 157 e 149.1.1ª, 13ª
e 14ª CE, per armonizzare e coordinare la gestione regionale di tali imposte, sia
per garantire la solidarietà interterritoriale, l’uguaglianza relativamente alle
condizioni fondamentali dei cittadini nell’osservanza dei doveri di cui alla
Costituzione, e singolarmente, del dovere di contribuire, e l’unità e la coerenza
del sistema tributario, elemento indispensabile della politica economica del
Governo; nonché per evitare eventuali o possibili conseguenze sia in termini di
tassazione
eccessiva
o
di
sovratassazione,
che
potrebbe
conculcare
l’interdizione della portata di confisca del sistema tributario (art. 31.1 CE), nonché
- fatto oggi più frequente - della competitività fiscale al ribasso tra le Comunità
Autonome, fenomeno chiaramente riscontrabile nelle imposte statali cedute, quali
l’imposta sul patrimonio, l’imposta sulle successioni e sulle donazioni e, persino,
nella quota regionale dell’imposta sul reddito delle persone fisiche fino
all’estremo, della soppressione dell’imposta [caso dell’imposta sulle successioni e
sulle donazioni] in alcune Comunità Autonome.
Un esercizio simile del potere tributario regionale nel suo spazio fiscale
proprio relativamente alle figure impositive [cedute dallo Stato] che occupanti una
posizione fondamentale nell’ambito del sistema tributario statale desta gravi
interrogativi sia sul piano della prospettiva del principio costituzionale di
uguaglianza tributaria e dell’eguale posizione o condizione fondamentale dei
cittadini stante l’adempimento del dovere costituzionale relativo alla contribuzione
19
(art. 31.1. CE e art. 149.1.1ª CE) che su quello dell’omogeneità fondamentale che
consenta di configurare il regime giuridico dell’assetto dei tributi quale vero
sistema e garantirne l’unità quale esigenza indeclinabile dell’uguaglianza degli
spagnoli, fatto questo non incompatibile con le competenze tributarie delle
Comunità Autonome, tanto per usare le parole della Corte costituzionale nella
STC 19/1987, F.J.4º.
E sebbene una certa disuguaglianza fiscale dei cittadini a seguito del
territorio di residenza o a seguito dei beni servizi pubblici prestati nel medesimo,
sia intrinseca in uno Stato politicamente e finanziariamente decentrato, come
attestato dalla Corte Costituzionale, è ovvio che un’uniformità assoluta nel
trattamento giuridico dei diritti e doveri dei cittadini in ogni tipo di materie e su
tutto il territorio nazionale, sarebbe incompatibile con il principio di autonomia
garantito dalla Costituzione (STC 37/1987,F.J 9º e 10º [sull’imposta sulle terre
sottoutilizzate dell’Andalusia] e STC14/1998, F.J.11º D [sull’imposta relativa alle
riserve cinegetiche della legge sulla caccia in Estremadura]). Tuttavia,
l’autonomia, che non è sovranità, come attestato nella STC 4/1981, deve
conformarsi al principio dell’unità della Nazione ove tale principio raggiunge il suo
vero senso, cosicché da conservare una sostanziale unità di regime dei diritti e
dei doveri fondamentali su tutto il territorio dello Stato. A tale riguardo, appare
piuttosto significativa la dottrina della STC 25/1981, F.J.3º e della STC
76/1983,F.J.13º.
Ecco perché, il grande quesito è: “Quanta disuguaglianza personale e
territoriale dei cittadini nell’adempimento del dovere costituzionale di contribuire è
costituzionalmente tollerabile in seno a uno Stato decentrato qual è il nostro Stato
delle Autonomie?” soprattutto laddove ciò avviene nell’ambito di grandi imposte
generali sul reddito o sul patrimonio costituenti l’ossatura del sistema tributario e
mediante cui si persegue la personalizzazione del gravame e la giusta
distribuzione del carico fiscale in base alla capacità economica (STC 182/1997,
F.J.9º).
In secondo luogo, si potrebbe sviluppare anche un campo –che finora ha
avuto un’incidenza minima sul finanziamento regionale di alcuni servizi o politiche
pubbliche – qual è l’utilizzo delle altre figure tributarie diverse dall’imposta quali i
contributi speciali, le tasse e i prezzi pubblici basati sul principio del beneficio
(costo-beneficio dell’utente o del consumatore di beni e servizi pubblici), dove si
20
possono mettere a punto, altresì, meccanismi di stanziamento delle risorse
pubbliche atte a rendere molto più chiaro e visibile agli occhi dei contribuenti e
dei cittadini, il costo fiscale da loro assunto all’atto dell’espressione del loro voto a
favore di una determinata politica pubblica. Si tratta di entrate tributarie che
trovano nell’ambito regionale e in quello locale, ove l’Amministrazione è più vicina
al cittadino e data la natura stessa dei servizi prestati, il luogo più adeguato per il
loro sviluppo.
Infine, un’ultima riflessione sul finanziamento regionale della Spagna,
trasformatosi oramai nella tela di Penelope. Il risultato privilegiato derivante per il
finanziamento delle Regioni forales dal sistema di Convenzione, come abbiamo
visto, un finanziamento rappresentante –secondo uno studio condotto per conto
della Fundación Alternativas dal Prof. del Valle– il 67% in più rispetto alle Isole
Baleari, la regione più penalizzata dall’odierno sistema di finanziamento. Tale
risultato privilegiato, unito alla tradizionale e ormai secolare tendenza
dell’immodificabilità o petrificazione della quota (“cupo”) e, pertanto, al
congelamento delle somme versate dalle Regioni forales a sostegno degli oneri
generali dello Stato e alla solidarietà interregionale, naturalmente inferiore a
quanto dovrebbero effettivamente versare dato il loro livello di reddito,
contravviene a quanto stabilito apertamente dall’art. 138.2 della Costituzione
secondo cui “le differenze tra gli Statuti di Autonomia non possono comportare, in
nessun caso, privilegi economici o sociali”.
Pertanto, non è la Convenzione di per sé, quale derivato del diritto
storico al fuero, tutelato e riconosciuto dalla Costituzione, bensì il risultato
dell’applicazione del regime di Convenzione, sia per quanto riguarda il calcolo e
la fissazione della quota (“cupo”) (opacità e mancata trasparenza degli elementi
tecnici utilizzati a tal fine) che per quanto concerne la modalità d’impiego della
potestà normativa oppure la capacità normativa di alcune imposte nello stabilire
“effetti frontiera” o agevolazioni fiscali che si cimentano con la libera concorrenza,
con la libertà d’impresa, con l’uguaglianza, ecc., a costituire un fattore
d’ingiustizia comparativa che avvelena il dibattito sul finanziamento regionale e
che genera pretese di accordo finanziario da parte delle altre Regioni come
evidenziato, in larga misura, nell’ambito del falso confronto che ha interessato
l’iter di elaborazione e di approvazione dello Statuto di Autonomia della
Catalogna, relativamente alle bilance fiscali territoriali, volto a misurare i flussi
21
fiscali rispondendo a due quesiti: “Come imputare regionalmente le entrate
dell’Erario dello Stato?” e “Come imputarne regionalmente le spese?
Si tratta di un falso dibattito dal momento che le “bilance fiscali”, risultato
del rilevamento dei flussi fiscali mediante un sistema di entrate e uscite [proventi
e spese] e l’elemento risultante – surplus o deficit fiscale – sono, come attestato
dal Prof. SUREDA CARRIÓN “concetti economici vuoti che gli esperti iniziano a
colmare di contenuto quando procedono al compito complesso di definire quali
flussi fiscali registreranno nella partita delle entrate della bilancia e quali nella
partita delle uscite” e “la pubblicazione di questi dati servirà soltanto a dar vita a
un dibattito tra definizioni, di rilevanza accademica alquanto dubbiosa e dal nullo
interesse pratico”. Infatti, le conclusioni cui si può giungere sono valide soltanto
entro i limiti della singolare metodologia scelta da ogni gruppo di studio (i vari
studi condotti in Spagna, partendo da quelli di Antoni Castells e di López
Casanovas fino all’ultimo studio curato da Ezequiel Uriel Sánchez, evidenziano la
disparità dei risultati e la mancata omogeneità risultante dalle metodologie
proprie di ognuno).
Tuttavia, il fatto più negativo del dibattito sulle bilance fiscali territoriali è il
suo utilizzo interessato al servizio di una concezione inconfessata [quella dei
nazionalisti periferici] sulla Nazione spagnola e sullo Stato, apertamente
incompatibile con la Costituzione spagnola e con i cardini stessi su cui essa
poggia. Soprattutto perché travia completamente il senso della problematica
centrale di ogni Erario democratico: la distribuzione, giusta e bilanciata, dei tributi
e delle spese pubbliche tra i cittadini e la funzione ridistributiva del reddito e delle
ricchezze affidata all’Erario pubblico in uno Stato sociale e democratico di Diritto
come proclamato dall’art. 1 della Costituzione, allo scopo di rendere reale e
possibile una società più egualitaria e più giusta. Inoltre, viene tralasciato il
significato dei principi costituzionali di uguaglianza, di solidarietà economica,
politica e sociale, sia personale che interterritoriale, sulla cui base viene imposto
a tutti il dovere costituzionale e civico di contribuire al sostegno della spesa
pubblica (art. 31.1 della Costituzione).
Le imposte non vengono versate dai territori delle Comunità Autonome
bensì dalle persone conformemente alla loro capacità economica, al loro reddito,
al patrimonio e alle spese o ai consumi dichiarati. Il fatto che ciò determini un
trasferimento di risorse o di reddito da una regione più ricca ad un’altra più
22
povera è semplicemente la conseguenza logica di un sistema fiscale moderno
nell’ambito di un Erario democratico come quello previsto dalla Costituzione.
D’altro canto, sia i criteri elementari di razionalità economica che il
rispetto dei principi costituzionali fondamentali (unità dell’ordine economico, unità
di mercato, unità fiscale e di solidarietà interregionale, coordinamento e
cooperazione interterritoriale) rendono impossibile l’ipotesi di frammentazione del
regime tributario in funzione del territorio, estendendo a tutte o a varie Comunità
Autonome il regime di Convenzione economica attualmente in vigore, per ragioni
storiche, alle Regioni forales, in modo tale che ogni territorio provveda al gettito e
gestisca tutte le imposte all’interno del proprio e versi [negozi] all’Erario statale
soltanto una somma o una quota globale per coprire la parte proporzionale
spettante a ogni territorio sia per il sostegno dei servizi generali dello Stato che
per l’osservanza del principio di solidarietà interterritoriale. Ciò comporterebbe,
molto semplicemente, la bancarotta finanziaria dell’Erario statale nonché la
negazione dei principi e delle funzioni attribuite a tale Erario dalla Costituzione.
Sarebbe come ritornare mutatis mutandis al sistema fiscale dei “redditi
provinciali” del vecchio regime, precedente all’unità fiscale della Spagna che
prende avvio con la riforma fiscale di Alejandro Mon – Ramón de Santillán del
1845.
§ 4.- Riflessione finale. Il finanziamento autonomico e lo Statuto della
Catalogna.
Il sistema di finanziamento regionale, di cui abbiamo tracciato, per sommi
capi, i tratti distintivi e l’evoluzione, è stato sostanzialmente modificato dal nuovo
Statuto di Autonomia della Catalogna varato il 19 luglio dalla Legge Organica
6/2006, in cui, prendendo spunto dal principio di bilateralità dei rapporti Stato–
Comunità Autonoma della Catalogna, si introducono nuovi criteri di finanziamento
regionale cui viene attribuita una funzione particolarmente rilevante, quasi
determinante, nella definizione e nella concretezza del sistema generale di
finanziamento regionale della Catalogna a tal punto che le norme della LOFCA e
quelle riportate nello Statuto “verranno interpretate armonicamente” (14ª
Disposizione aggiuntiva). Tale fatto può rivelare una grande complessità data la
disparità esistente tra di loro nonché spezzare la necessaria omogeneità del
23
sistema di finanziamento regionale non appena tali criteri verranno estesi e diffusi
alle altre Comunità Autonome a regime comune.
Una questione previa che dev`essere chiaramente stabilita é appunto il
rapporto fra le leggi organiche integranti del blocco della costituzionalitá, per
derivarsi direttamente dalla Costituzione (art.157.3), e gli Statuti di Autonomía.
Ovviamente si tratta di norme de diversa natura, contenuto e portata,
come diversa é anche la procedura per la loro approvazione; tuttavía l`elemento
della loro articolazione no é mai la gerarchía ma bensí la competenza.
Giá abbiamo detto prima che la funzione della LOFCA – parimenti a
quanto accade con le altre leggi organiche prevedute nella Costituzione – é
delimitare l`autonomía e l´esercizio delle competenze finanziarie assumite per le
Comunitá Autonome disciplinando ed condizionando l`esercizio di queste
competenze; per ció, le loro disposizioni non possono essere contravvenite o
semplicemente ignorate dalla Comunitá Autonoma, nemenno per il loro Statuto di
Autonomía. Appunto perché la ragione di essere e la funzione della LOFCA é
proprio il disegno di un sistema di finanziamento regionale dotato di coerenza
interna e di omogeneitá in modo che sia applicabile a tutte le Comunitá
Autonome a regime comune, “eludendo che tale sistema fosse lasciato
esclusivamente a quello che fosse deciso da ciascun Statuto di Autonomía”, per
dirlo con le stesse parole della STC 68/1996,F.J.9º. Appunto per ció la LOFCA
costituisce parametro di costituzionalitá.
Lo Statuto di Autonomia di ogni Comunitá puó, senz`altro, contenere
delle norme e principi riferite al loro finanziamento che complementino ed
svolgano la assai breve regolazione costituzionale dell`Erario regionale (art. 156
a 158 CE), ma sempre che quella regolazione sia integrabile nel insieme del
sistema i cuoi elementi strutturali vengono definiti dalla LOFCA e che soltanto allo
Stato compie fissare (art.156 CE e art.149.1.14ª CE). Vale a dire, sempre che
siano riconducibili all´ unitá del sistema di finanziamento autonomico. Questa
unitá del sistema é un corolario dei principi di solidarietá e di coordinamento che
reggono il decentramento politico e finanziario che la Costituzione spagnola
stabilisce.
Ció significa che le norme dello Statuto e quelle della LOFCA devono
essere suscettibili (ed oggeto) di una interprettazione integrale, armonica (vide. la
STC 85/1984,F.J.3º) senza che, in caso di conflitto, devanno necessariamente
24
prevalere quelle statutarie, anzi al contrario, prevalgono quelle della Legge
organica statale che delimita e regolamenta le competenze autonomiche in
materia, cui esercizio si accomoderá
allo stabilito in quest`ultima, come
corretamente si diceva nello Statuto catalano di 1979 [D.A.7ª].
É partendo da tali premesse come devono venire valutati gli elementi di
bilateralitá nella regolazione del finanziamento regionale che si contengono nel
Titolo VI dello Statuto della Catalogna, come sono : la Commisione mista per gli
Affari Economici e Fiscali Stato-Generalitá; la Agenzía Tributaria di Catalogna; la
fissazione dei percentuali della partecipazione negli imposte statali ceduti od i
criteri per il finanziamento della Catalogna.
Bisogna avvertire, dinanzitutto, che la bilateralitá e l`asimmetría non
sono,in linea di massima e per se stessi, contrari alla Costituzione od
incompattibili con essa ed i suoi principii di organizzazione territoriale, in
particolare quelli del`Erario regionale. Anzi, fin dai primi momenti del andamento
dello Stato Autonomico e della messa in atto del sistema di finanziamento hanno
coesistito sempre, in tutte le Comunitá Autonome, nei suoi rapporti finanziarie
con lo Stato elementi di bilateralitá e di asimmetria (ad. es. i accordi o patti sul
finanziamento nelle Commissioni Miste paritarie di ogni Comunitá
Autonoma
sugli imposte statali ceduti o sulla partecippazione nell`entrate dello Stato; e cosí,
l`Accordo sul modello di finanziamento per il quinquennio 1997-2001 é stato
respinto dalla Andalusía, Castiglia- La Mancia ed Estremadura) al insieme che
elementi di multilateralitá (Accordi nel seno del Consiglio di Política Fiscale e
Finanziaria delle Comunitá Autonome).Senza che ció significhi fare meno delle
competenze esclusive dello Stato ”sull`Erario Generale” (art.149.1.14ª CE) per
conformare, a mezzo la Legge Organica cui si riferisce l`art.157.3 CE, il sistema
di finanziamento autonomico e per preservare l`unitá e coerenza del sistema
fiscale nel suo complesso (STC 192/2000,F.J.4º).
Gli elementi di bilateralitá e di asimmetria, anche in materia di
finanziamento autonomico, sono a gran misura il corolario o conseguenza del
modello stesso di decentramento politico tracciato dal Titolo VIII della
Costituzione poggiante sul cosidetto “principio dispositivo”, sommariamente
riferito al incominciare questa esposizione. E per ció, difficilmente evittabili;
ancorché dopo piú di 25 anni di svolgimento dello Stato Autonomico (sopratutto
dopo i Patti Autonomici dal 1992) abbiano primato nei rapporti Stato-Comunitá
25
Autonome – oltre gli elementi di omogeneitá e di uglianza competenziale – i
meccanismi di multilateralitá (il Consiglio di Politica Fiscale e Finanziaria delle
Comunitá Autonome) a mezzo i quali si ha voluto cercare una omogeneitá negli
accordi di finanziamento; meccanismi di multilateralitá, fra l`altro, sempre
incompiuti a mancanza della precisa e necessaria riforma del Senato per
ricondurlo, in maniera effetiva,alla funzione di Camera di Rappresentanza
Territoriale che la Costituzione li ha assegnato (art.69.2 CE).
Peró conviene,anche, avvertire che questa bilateralitá nei rapporti
finanziarie Stato-Comunitá Autonome, possibilitata dalla Costituzione e dalla
LOFCA, non ha nulla a che vedere con i sogni nazionalisti che vorrebero
associarla ad una sorte di “sovranitá compartita”, di rapporti finanziarie fra uguali,
senza sottordinazione gerárchica e “sotto un coordinamento fiscale (europeo)
unico” (G.LÓPEZ CASASNOVAS); oppure che “finisce con il attuale soggezione
dello Statuto alla LOFCA ed vieni a porre entrambi norme nello stesso piano”
(Miquel ICETA), concezzione che é radicalmente incompattibile con la
Costituzione. Poiché come ha dichiarato la Corte Costituzionale “non si puó
discutere la posizione di superioritá che costituzionalmente corrisponde allo Stato
come conseguenza del principio di unitá e del supremo interesse della Nazione”
(STC 76/1983,F.J. 13º).
Per tutto ció,le norme della LOFCA e le norme contenute nello Statuto
“devono essere interpretati armonicamente”,senz`altro (Disposizione Aggiuntiva
14ª dello Statuto di Catalogna e Disposizione finale della LOFCA), peró avvendo
sempre presente la rispettiva posizione di ambedue norme nel ordine
costituzionale di distribuzione di competenze.
Armónica integrazione normativa che, al di lá della lógica, puó rivelarsi
un compito assai difficile e di grande complessitá data la disparitá di filosofia di
ambedue testi legali; siccome la disparitá di criteri di finanziamento in cui si
fondano, che puó spezzare l`equilibrio e la necessaria omogeneitá del sistema di
finanziamento regionale non appena tali criteri verrano estesi e diffusi alle altre
Comunitá Autonome a regime comune (se ció risulta possibile).
Nella prima reunione del Consiglio di Política Fiscale e Finanziaria avuta
nel mese di settembre, dopo la approvazione dello Statuto della Catalogna, si
hanno rivelato in modo palese le difficoltá di un simile finanziamento a libera
richiesta di ogni Comunitá (a la carta),al estendere a tutt`esse il criterio del
26
percentuale del PIL regionale in investimenti statali che si é varato
per la
Catalogna nel suo Statuto [il 18,8% nel 2006], per la inviabilitá e per la
insolidarietá in esso portante. Lo stesso Ministro delle Finanze, Pedro Solbes, in
occasione della presentazione in Parlamento del disegno di Bilancio dello Stato
per il 2007,
é stato costretto ad avvertire che “il sudoku [del bilancio] puó
complicarsi fin al infinito” (sic) per la difficoltá di quadrare i conti pubbliche se tali
criteri di investimento statale si generalizzassero”
Il nuovo Statuto della Catalogna prende spunto dal modello di
finanziamento definito dalla LOFCA, nelle sue varie riforme e nelle Delibere del
Consiglio di Politica Fiscale e Finanziaria che, come abbiamo visto, combinava,
con intensità varia, le risorse finanziarie derivanti dalla partecipazione alle entrate
dello Stato, dalle imposte statali cedute, in toto o in parte, e dagli stessi tributi.
Tuttavia, fa un passo in più e configura un modello basato su una maggiore e più
ampia cessione delle imposte statali, con il riconoscimento, inoltre, della capacità
normativa sulle medesime affiancata dalla gestione tributaria da parte del
Governo (Generalidad) catalano; non soltanto su tali imposte ma anche sulle
altre imposte statali riscosse in Catalogna per il tramite di un Consorzio con
l’Agenzia tributaria dello Stato, cosicché l’Agenzia tributaria della Catalogna potrà
trasformarsi in Amministrazione tributaria ordinaria (unica) in Catalogna; fino al
estremo che la Generalitá di Catalogna assume le competenze in materia di
revisione in via amministrativa degli atti di gestione tributaria della Agenzia
Tributaria di Catalogna, riducendosi le competenze della Amministrazione
generale dello Stato (Tribunali Economico-Amministrativo Regionale e quello
Centrale) a la semplice “unificazione della dottrina” [amministrativa]:
-
il 50% dell’IRPF, con un aumento delle competenze normative su tale
scaglione
dell’imposta
(imposizione
dell’aliquota
impositiva,
delle
esenzioni, delle detrazioni e delle agevolazioni sull’imponibile o sulla
quota);
-
il 50% del gettito dell’IVA, determinato in funzione dei consumi sul
territorio regionale, con cessione delle competenze normative nelle
operazioni al dettaglio;
-
il 58% della rendita delle imposte speciali: sugli idrocarburi, sulle attività
del tabacco, sull’alcool e sulle bevande derivate, sulla birra, sul vino e
sulle bevande fermentate e imposte sui prodotti intermedi, con la
27
cessione delle competenze normative nel regime tributario al dettaglio
dei prodotti su cui gravano imposte speciali di fabbricazione.
ha ribadito la Corte Costituzionale, “gli Statuti di Autonomia, nonostante la
sua
forma
di
legge
organica,
non
sono
strumenti
ne
utili
ne
costituzionalmente adeguati, per la sua natura e modo di approvazione La
portata e condizioni della cessione verrano stabilite dalla Comissione mista
di Affari Economici e Fiscali Stato-Generalitá, organo bilaterale di
composizione paritaria per i rapporti con lo Stato in questa materia. Il
Governo tramitterá la delibera della Comissione come un disegno di legge
(Disposizione Aggiuntiva 12ª). Siamo di fronte ad una specie di “accordi
normativi” di effeto vincolante per le parti.
Ma é alquanto dubbio che lo Statuto (come fa la sudetta D.A.) possa fissare
il percentuale della cessione degli imposte statali sui quali non ne ha la
competenza, predeterminando il contenuto di decisioni statali ed imponendo
un mandato al potere legislativo dello Stato sul contenuto della Legge di
Cessione dei Tributi. Nemmeno il carattere “pattato od concordato” che di
solito si attribuisce alla norma statutaria o la suggerenza di che quello che si
predetermina é soltanto il contenuto di un futuro dissegno di legge cui
elaborazione spetta al Governo della Nazione, consentono, al mio avviso,
sollevare questa obbiezione. La ragione é ben chiara e ha a che vedere con
il rapporto fra norme integranti del blocco della costituzionalitá in presenza
in questa materia e che abbiamo rilevato prima. Come chiaramente, per
compiere trasferimenti o deleghe di competenze di una materia de titolaritá
statale consentite dall`art.150.2 della Costituzione”.... poi “lo Statuto é il
paradigma degli strumenti giuridici di autorganizzazione, il trasferimento e la
delega entrano invece nell`ambito della heterorganizzazione” (STC
56/1990,F.J.5º).
Inoltre, in tanto si tratta di una questione chi riguarda al sistema di
finanziamento regionale nel suo insieme (multilateralitá) dev`essere
accordata per lo Stato a mezzo di una apposita legge generale e con il
dibattito di tutte le Comunitá Autonome. A meno che si affermi (e non é
mancato chi lo abbia fatto) che nella Costituzione spagnola non c`é [e non si
impone] nessuna concezione dell`Erario come un Erario di coordinamento,
oppure che non fa parte consostanziale del contenuto costituzionale della
28
LOFCA la determinazione dei percentuali della cessione dei tributi statali
alle Comunitá Autonome.
Nello
Statuto
della
Catalogna
vengono
fissati
alcuni
criteri
che
determineranno e condizioneranno, inevitabilmente, il sistema di finanziamento
delle Comunità Autonome. Infatti si stabilisce che:
-
gli investimenti dello Stato in infrastrutture nella Catalogna,escluso il
Fondo di Compensazione Interterritoriale(!!), in un lasso di tempo di 7
anni, si equipareranno al PIL della Catalogna in relazione alla Spagna
presa nel suo insieme (6ª Disposizione aggiuntiva). Un vero privilegio
per la Catalogna che urta in modo palese con i principi di coordinamento
e di solidarietá interterritoriale della Costituzione e della LOFCA; criterio
fra l`altro di molto difficile, e forse impossibile, generalizzazione alle
restanti Comunitá Autonome, poiché favorisce particolarmente a quelle
regioni
piú ricche; appunto per ció la Andalusia si é disposto
fretturosamente ad domandare (nel suo Statuto adesso a dibattito nelle
Camere) che il criterio applicabile nel suo caso sia quello del equivalente
al peso della popolazione sul totale complessivo della Spagna.
-
il livello delle risorse finanziarie disponibili per la Catalogna si fisserà
secondo criteri di “fabbisogno di spesa” [determinato in funzione della
popolazione, rettificato in base ai costi differenziali e alla demografia;
della densità di popolazione, della popolazione immigrante e della
densità dei centri abitati], della “capacità fiscale” e dello “impegno o
sforzo fiscale”.
Il modello si chiude con una nuova formula di articolazione della solidarietà
e della compensazione finanziaria interterritoriale, che tiene conto dell’apporto
finanziario della Catalogna ai servizi generali prestati dallo Stato nel territorio, che
pur non equiparato al regime di Convenzione economica, intende avvicinarsi in
quanto ai risultati. È significativa l’istituzione di un aggiornamento quinquennale
del sistema di finanziamento a cura di una Commissione mista per gli Affari
economici e fiscali Stato-Governo catalano (Generalitat) (art. 212).
Infatti, nell’ambito dello Statuto della Catalogna vengono messi a punto
nuovi criteri inerenti l’applicazione dei meccanismi di conguaglio finanziario o di
29
livellamento con cui s’intende attuare – come non poteva essere altrimenti - al
mandato costituzionale di solidarietà interregionale di cui agli artt. 138 e 139 CE.
Tuttavia, in seguito s’introducono limiti alquanto chiari e precisi alla funzione di
ridistribuzione territoriale del reddito e della ricchezza derivante dall’applicazione
del sistema tributario e dell’odierno sistema di finanziamento regionale dato che:
-
il contributo ai meccanismi di livellamento e di solidarietà avverrà
conformemente al principio di trasparenza e si valuterà a cadenza
quinquennale;
-
il finanziamento non deve comportare effetti discriminatori per la
Catalogna nei riguardi delle altre Comunità Autonome;
-
il livello delle risorse finanziarie della Catalogna (determinati in base ai
criteri suddetti) potrà essere “regolato” affinché il sistema generale di
finanziamento disponga di risorse sufficienti a garantire il livellamento e
la solidarietà con le altre Comunità Autonome, vale a dire che i servizi
relativi all’istruzione, alla sanità e altri servizi sociali essenziali dello
Welfare State (Stato assistenziale) prestati dai vari governi regionali
possano raggiungere livelli analoghi nell’insieme dello Stato, pur tuttavia
con una restrizione importante: “purché [i vari governi regionali]
effettuino uno sforzo fiscale anch’esso analogo” a quello della
Catalogna. Ma ¿cos`é uno sforzo fiscale analogo, come si definisce e
come si fa a calcolarlo, date le ben note differenze esistenti, sia in
reddito che in richezza, fra le Comunitá Autonome?.
-
Lo Stato garantirà che l’applicazione dei meccanismi di livellamento non
alteri
in
alcun
caso
la
posizione
della
Catalogna
nell’ambito
dell’ordinamento dei redditi pro capite tra le Comunità Autonome prima
del livellamento (art. 208.5). É il cosidetto “principio di ordinalitá”, come
limite generico alla solidarietá interterritoriale, che é stato presso dal
Diritto
tedesco
ed
in
particolare
dalla
Sentenza
della
Corte
Costituzionale Federale (Bundesverfassungsgericht) del 11 novembre
1999
in
proposito
della
Legge
di
Compensazione
Finanziaria
[Finanzausgleichgesetz] fra la Federazione ed i Länder. Principio
assolutamente novedoso ed strano ai criteri e principi del sistema
disegnato dalla LOFCA, ma che in ogni modo non compie stabilire
unilateralmente allo Statuto di una Comunitá Autonoma ma corrisponde
30
esclusivamente allo Stato mediante una apposita modifica della LOFCA,
in quanto affeta a tutte le Comunitá a regime comune.
Si tratta di limitazioni con cui s’intende “equilibrare” la sua bilancia fiscale: cioé,
quanto apportato dalla Catalogna alle entrate fiscali dello Stato e le risorse
finanziarie corrispondentemente ricevute. Un’idea che, come segnalato in
precedenza, è profondamente regressiva e per niente solidale e che sovverte i
principi e la configurazione dell’Erario pubblico di cui alla nostra Costituzione.
I criteri di finanziamento stabiliti dal nuovo Statuto della Catalogna
privilegiano chiaramente a questa Comunitá ed a altre regioni ricche, a maggior
reddito ed economie più dinamiche contrariamente a quanto avviene per le
regioni meno abbienti e meno sviluppate, il che unito ai massimali previsti per la
ridistribuzione interterritoriale del reddito via il sistema fiscale e per la solidarietà,
è destinato a provocare aggravi comparativi e fortissime tensioni politiche con
altre Comunità Autonome nonché gravi problemi di legittimità costituzionale data
la mancanza di solidarietà implicita.
L’effetto ridistributivo derivante dall’odierno sistema di finanziamento
regionale – che fa sì che le risorse apportate dalle Comunità Autonome alle
entrate fiscali dello Stato sia direttamente proporzionale al loro livello di reddito e
di ricchezza mentre quanto ricevuto dalle entrate generate dallo Stato nel suo
insieme sia inversamente proporzionale al loro livello di reddito o di ricchezza –
illustra chiaramente la gravità e la portata delle conseguenze.
Naturalmente la LOFCA prevede eventualmente un canale legale di
correzione delle disuguaglianze finanziarie tra le Comunità Autonome, sia
mediante il Fondo di compensazione interterritoriale che mediante il Fondo di
sufficienza finanziaria, oppure mediante gli appositi stanziamenti nel Bilancio
generale dello Stato. Tuttavia, i problemi derivanti da un sistema di finanziamento
regionale basato sui principi e sui criteri di cui allo Statuto della Catalogna, non
appena interesseranno tutte le Comunità Autonome a regime comune,
riguarderanno
non
soltanto
la
legitimitá
costituzionale
e
la
solidarietá
interterritoriale ma anche la sostenibilità e l’equilibrio del modello.
Infatti, lo Statuto della Catalogna suppone un forte assottigliamento del
muscolo finanziario dello Stato nelle sue fonti delle entrate che, pur se nel
momento attuale di prosperità e di crescita economica, non sembra pregiudicare
l’attuabilità del sistema, nelle fasi di depressione del ciclo, caratterizzate da
31
un’accusata contrazione dell’attività economica, da disoccupazione e da
dissavanzo del bilancio, potrebbe intaccare seriamente la capacità fiscale dello
Stato e l’equilibrio dei conti pubblici, con il rischio di compromettere la funzione
che allo Stato spetta nella correzione degli squilibri economici regionali e nel far
effettivo il principio costituzionale della solidarietá.
D’altro canto, è motivo di preoccupazione il fatto che l’ormai tradizionale
tendenza degli Erari territoriali a cercare in fonti esogene di finanziamento la
copertura della propria spesa pubblica – già più volte denunciata dalla dottrina
accademica – non soltanto non viene corretta nel modello dello Statuto della
Catalogna ma viene rafforzata fino all’estremo di svuotare le fonti delle entrate
del’Erario dello Stato.
L’assottigliamento finanziario dello Stato può pregiudicare in futuro – con
congiunture economiche meno favorevoli e la prevedibile riduzione dei
trasferimenti dei fondi strutturali dell’Unione europea, man mano che la Spagna
converge verso la media del reddito dell’Unione – la capacità di finanziamento dei
programmi statali di spesa destinati a politiche nazionali o infrastrutturali
d’interesse comune per tutti gli spagnoli, qualunque sia il loro territorio di
residenza.
Per quanto riguarda la spesa pubblica, lo Statuto di Autonomia della
Catalogna introduce una norma di valenza e di portata tutt’altro che trascurabili.
Lo Stato ha usufruito sempre di un potere di spesa (spending power) da
imputare al Bilancio generale e il cui esercizio ha suscitato numerosi conflitti con
le Comunità Autonome quando veniva esercitato su materie o nell’ambito di
competenze assunte dalle Regioni nei
loro Statuti. La giurisprudenza
costituzionale è stata copiosa e ha espresso chiaramente tale conflittualità finché
la STC 13/1992 [relativa alla Legge di Bilancio dello Stato] e la STC 79/1992
[relativa ai Fondi strutturali FEOGA7 dell’Unione europea] ha cercato di risolverla
con una dottrina equilibrata, conciliando il principio di sovranità finanziaria (di
spesa) dello Stato nella sua azione di sovvenzione [che le consente di porre il
suo potere di spesa al servizio di una politica di equilibrio sociale in settori che ne
abbiano bisogno, quale attuazione dei mandati o delle clausole costituzionali
7
FEOGA: Fondo Europeo de Orientación y de Garantía Agrícola [NdT].
32
generiche, come quelle del Capitolo III del Titolo I, il cui espletamento spetta, in
via prioritaria, a chi dispone di una maggiore capacità di spesa (STC
13/1992,F.J.7º)] e l’ordine statutario di distribuzione delle competenze, evitando
lo spiazzamento di quelle competenze decentrate a favore delle Comunità
Autonome.
Non si verifica, dunque, una perdita assoluta di potere da parte dello Stato
per eventuali interventi in tali materie –ad esempio, l’Assistenza sociale–
attribuite esclusivamente dagli Statuti di Autonomia alle Comunità Autonome, dal
momento che lo Stato può detenere competenze concorrenti in forza di titoli
riconosciuti dalla Costituzione, finalizzati all’attuazione di politiche sociali atte a
garantire:
a) le condizioni fondamentali dell’uguaglianza nell’esercizio o nel godimento
dei diritti costituzionali (singolarmente, per quanto interessa in questo momento, i
diritti sociali del Capitolo III del Titolo I) (art. 149.1.1ª CE);
b) l’attuazione dei mandati costituzionali relativi all’uguaglianza degli
spagnoli ovunque sul territorio dello Stato (art. 139.1 CE);
c) la solidarietà interterritoriale e la coesione sociale su tutto il territorio
nazionale (artt. 2 e 138.1; artt. 156.1 e 158.2 CE).
Funzioni spettanti allo Stato, intrinseche alla sua natura di Stato sociale e
democratico di Diritto propugnato dall’art. 1.1 CE.
Di conseguenza, in molti casi (sebbene non in tutti), la Corte Costituzionale
ha dichiarato la territorializzazione dei fondi statali di modo che possano essere
gestiti, in forma decentrata, dalle Comunità Autonome competenti in materia
(STC 13/1992, F,J. 9º).
Or bene, il nuovo Statuto della Catalogna fa un passo in più per riuscire a
ottenere (benché parzialmente) quanto non ottenuto in precedenza dalla Corte
Costituzionale, vale a dire la totale territorializzazione dei fondi budgetari in azioni
d’incentivazione settoriale espletate nel territorio della Catalogna; “il Parlamento
catalano
(Generalitat)
partecipa
alla
determinazione
del
carattere
non
territorializzabile delle sovvenzioni statali e comunitarie. Partecipa, altresì, nei
termini fissati dallo Stato, alla loro gestione e formalità” (art. 114.5 Statuto della
Catalogna). In altre parole, precisamente quelle che la STC 13/1992 (v.gr. le
partite budgetarie del Bilancio Generale dello Stato dello 0,52% del gettito
33
dell’IRPF destinati ad altri fini d’interesse sociale) e la STC 79/1992 (fondi del
FEOGA)
avevano
dichiarato
che
non
potevano
essere
oggetto
di
territorializzazione e che spettavano allo Stato, mediante la gestione centralizzata
dei fondi da parte di organismi dell’Amministrazione generale, quando ciò fosse
imprescindibile per garantire la piena effettività delle misure nell’ambito
dell’ordinamento di base del settore; le medesime possibilità di acquisizione e di
godimento da parte degli eventuali destinatari su tutto il territorio nazionale o per
evitare il superamento della somma complessiva dei fondi statali destinati al
settore.
Cioè che era in precedenza competenza esclusiva dello Stato diviene ora
competenza condivisa non perché così lo disponga la Costituzione ma perché lo
prevede lo Statuto di Autonomia.
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