pFausto Lincio ocd - Contemplazione sulla strada
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pFausto Lincio ocd - Contemplazione sulla strada
Contemplativi sulle strade p. Fausto Lincio ocd, Incontro con la comunità Casa del Giovane, 13 febbraio 2015 Sono qui questa sera come un neofita tra voi, un po’ anche in soggezione di fronte alla vostra realtà che conosco molto poco, solo per sentito dai racconti di alcuni padri nostri che vi hanno frequentato di più (Giuliano1 su tutti) e di una mia amica pedagogista della Cattolica (Annalisa Borsani) che già più di vent’anni fa mi parlava di voi nelle nostre riunioni di educatori dell’oratorio della nostra parrocchia facendo girare qualche vostro testo. Conosco ancora poco di don Enzo e della riflessione sul suo pensiero e sulla sua opera che voi avete portato avanti in questi anni, quindi questa sera mi permetto alcune considerazioni spero non troppo estemporanee a partire da questo binomio che dai testi che mi sono stati mandati da don Arturo, ho capito è come un po’ il cuore caldo dell’esperienza carmelitano-teresiana che don Enzo ha vissuto ‘da noi’ e ritrasfuso nell’opera della Casa del Giovane, così come poi è andata pian piano formandosi. Mi vorrei fermare questa sera quindi sull’essere contemplativi sulla strada, come don Enzo dice esplicitamente: "Contemplativi sulle strade La nostra realtà di servizio implica una scelta che ha una stretta dipendenza dalla povertà di spirito e si chiama ‘essere contemplativi sulla strada’. In mezzo a tante piccole e grandi difficoltà di ogni giorno, in un contesto di condivisione per amore con i fratelli ultimi e discriminati, noi dobbiamo sentire sempre forte l'urgenza di scoprire il volto di Dio. Il vero servizio esige la ricerca impaziente e appassionata di Dio per diventare dei veri innamorati di Lui, il massimo Bene. La contemplazione sulla strada, condividendo il disagio e le umiliazioni degli oppressi, deve portarci all'uomo come gloria del Dio vivente. La fedeltà e la tenacia alla meditazione ci aiuterà a fare questa singolare esperienza di amore libero e gratuito di Dio e di un impegno promozionale di condivisione, con i fratelli di Comunità prima e con i poveri dopo. Quasi sempre questi due aspetti vanno di pari passo. 1 Fra’ Giuliano Bettati, ocd, è nato a S. Ilario d’Enza (RE) il 3 maggio 1942; ha professato il 29 settembre 1959 nell’Ordine dei Carmelitani Scalzi ed è stato ordinato l’11 marzo 1967. Nel 1970 apre, con alcuni confratelli, il convento Fraternità carmelitana di Lessolo (TO) Nello stesso periodo è cappellano nelle carceri di Ivrea. Nel 1990 viene eletto Provinciale della Provincia lombarda dei Carmelitani Scalzi, incarico in cui viene riconfermato più volte. Successivamente è stato Priore all’Eremo del Carmelo di Cassano Valcuvia (VA), Delegato provinciale per le Monache e Consulente dell’Associazione “Regina Pacis”-Monasteri Carmelitane scalze. E’ morto domenica 18 aprile 2010. Con la Casa del Giovane intesse un rapporto di fraternità e di cammino spirituale condividendo le intuizioni el e scelte di don Enzo che conobbe ancora nel Carmelo negli anni '50 e da cui ereditò il nome religioso. 1 Solo i veri contemplativi e gli uomini di preghiera sanno portare dei veri fermenti di vita nella storia. La consegna che Gesù ci da è questa: pregare sulle strade per imparare a tacere, ad osservare, a riflettere, ad agire. Tacere per capire il piano di Dio, osservare per discernere, riflettere per agire con il cuore di Gesù. Per la nostra vita di servizio e di frontiera, non è sufficiente una vita spirituale qualsiasi, con una preghiera e un rapporto qualsiasi, ma dobbiamo tendere ad una vera contemplazione, che significa un anelito, una sete insaziabile di possedere Gesù. Il nostro sforzo sarà quello di lasciarci possedere della grazia, da Gesù stesso, dal Gesù che camminava sulle strade, tra i poveri e coloro che avevano fame e sete di giustizia. Questa meta di ‘contemplazione sulle strade’ è una vetta alla quale dobbiamo tendere con tutte le nostre forze, per essere dei glorificatori di Dio, per diventare un Vangelo vivente e una speranza verace per gli oppressi. Senza questa tensione di contemplazione nelle situazioni più scomode e disparate, non potremo mai rendere credibile Gesù Cristo e il nostro servizio di amore-condivisione: è la forte vita interiore, preghiera ed unione con il Signore, che ci fa essere perfetta letizia e combattenti silenziosi ed umili per le grandi cause degli emarginati, che dobbiamo amare con la massima delicatezza. La strada della contemplazione passa attraverso il distacco da noi stessi, la meditazione puntigliosa intesa come ricerca di comunione con il Signore e una visibile e gioiosa povertà interiore ed esteriore. Questo è lo stile di colui che vuole donare Gesù Verità, Gesù Giustizia, Gesù Fratellanza universale. Senza questa vibrante e costante contemplazione difficilmente riusciremo a vincere certe insidiose difficoltà, lo scoraggiamento, la solitudine. Per noi il pericolo è lasciarsi sedurre da certe piccole forme di potere; la forza più sicura per vincere questo pericolo è quella della meditazione che porta alla contemplazione. Senza questa dimensione contemplativa è impossibile che la proposta del Vangelo diventi liberante per noi e per i giovani che accogliamo." (Aggiornamento del Direttorio 130-132) Perché ciò non è solo l’indicazione di un terreno della missione, di un luogo specifico (la strada) nel quale vivere il proprio essere contemplativi, ma mi pare indicazione più profonda, più densa, a tutti gli effetti diremmo nel linguaggio tecnico della vita religiosa ‘carismatica’, cioè che ha a che fare con il livello di identità più profondo e ricco del dono che Dio fa alla sua Chiesa attraverso le intuizioni di alcune persone particolari che elaborano un itinerarium in Deum, cioè un modo concreto col quale vivere oggi la pienezza del Vangelo. Da sempre la strada è per l’uomo metafora della vita, cioè di questo ‘cammino’ diciamo noi appunto, che la nostra vita è, come un fiume che continuamente va avanti dalla sua sorgente (la pancia della mamma) alla sua foce (l’abbraccio eterno del Padre). La strada è anzitutto uno dei luoghi di verità dell’uomo, un luogo duro e impegnativo da abitare perché porta in sé il cammino di maturazione personale, l’incontro con l’altro, il rischio di disperdersi. Mi vengono alcune considerazioni a partire da questi due concetti alla base dell’esperienza carismatica di don Enzo strada e casa: - strada e casa: sulla strada ci sta chi non ha casa, chi ha perso la casa, chi da casa propria è stato strappato o chi ne è scappato: sulla strada c’è, per dirla con una parola, il povero. C’è quindi tutta una dialettica tra casa e strada che sarebbe interessante da indagare: la strada come luogo della marginalità/povertà, la casa come luogo dell’ordinarietà/ricchezza. Impostata così la questione rischia però di essere troppo polarizzata (bene = casa; male = strada), è quello a cui assistiamo purtroppo troppo spesso ai nostri giorni: le case, sentite come il luogo proprio di custodia del bene della vita, vengono rese fortini armati come se fossero postazioni militari da difendere con le unghie e con i denti (armi, allarmi, corpo armati di vigilanza) da quelli che potrebbero violarle, dall’umanità (che non è più sentita come tale ma solo come minaccia, nemico) che viene dalla strada, da fuori, che non abita il nostro stesso mondo (e qui il discorso potrebbe allargarsi sull’emergenza che i flussi migratori da cui siamo interessati ormai da anni provocano nella nostra società). La proposta di Boschetti, già solo nel nome Casa del giovane, mi pare che miri a scardinare questa antitesi strada-casa, perché è come se volesse rimettere in connessione i due termini: la necessità per chi sta nella casa di vivere la strada, l’opportunità per chi sta nella strada di vivere la casa. C’è quindi una connessione positiva possibile tra le due realtà, una contaminazione benefica che deve essere costantemente ricercata e vissuta da entrambi i lati (casa e strada). Una prima declinazione di cosa voglia dire essere contemplativi sulla strada mi pare dunque allora che possa essere proprio questa: mostrare un modo nuovo di abitare la strada e la casa, mostrare la possibilità di raccordo tra i due poli, raccordo che apporta beneficio a entrambi (evita alla casa di diventare egoistica; evita alla strada di essere il regno dell’anarchia e della violenza). L’opera di silenzio, osservazione, riflessione e azione che don Enzo vi propone diventa allora il modo concreto e 2 pratico attraverso il quale posso iniziare ad abitare lo spazio della casa in modo nuovo, come uno spazio aperto, osmotico con la strada, non tanto e non solo in una prospettiva sociologica di attenzione e rispetto per l’altro uomo in situazione di svantaggio, ma in una prospettiva squisitamente spirituale: ricerco il volto di Dio nelle cose che ho tra le mani e questo diventa il collante tra strada e casa. La strada è necessaria alla mia stessa vita non tanto perché è il luogo dove faccio ‘la carità’ al povero, magari offrendogli la possibilità di una casa, ma soprattutto perché la strada mi obbliga a stare continuamente nella ricerca nuova e inesausta di questo Dio che mi precede, la strada mi scuote di dosso la tentazione del nido cui invece la casa mi espone. - Movimento e stasi: una seconda polarità, a mio avviso più appropriata, che si instaura tra casa e strada è quella del movimento (la strada) e della stasi (la casa). La casa induce una certa sedentarietà, cioè un certo stare fermi, custodire il posseduto… lo vedo io nei nostri conventi ormai da anni troppo grandi per l’esigua presenza di religiosi che ospitano (costruiti per 30 persone, sono abitati, se va bene, da 5-8 persone…). Spesso ci riduciamo a fare i custodi delle case, impegnati fino all’inverosimile per tentare di tenere in piedi da vari punti di vista (soprattutto economico) queste cattedrali, e tutto questo ha un potere quasi paralizzante, non hai poi più la forza di fare il resto che pur vedi e che sarebbe più proprio della tua scelta di vita. Le nostre case dettano loro, oggi, la nostra agenda, il nostro impegno e quasi ci imprigionano (lo dico esasperando un po’ i toni, per farmi capire, ma non sono credo lontano dal vero). Chi sta nella casa, soprattutto con l’andare del tempo, tende a diventare abitudinario, fermo (nei passi e nelle idee). Chi sta invece sulla strada è invece costretto, all’opposto, a un continuo vagabondaggio, sia per procurarsi di che vivere, sia per trovare riparo, sia perché la panchina è già stata occupata… la strada incita quindi a un continuo movimento. Mi pare che questa polarità movimento-stasi sia più appropriata per dire del rapporto tra casa e strada, tanto che mi viene in mente quel brano del Vangelo in cui si parla del cieco Bar-Timeo (Mc 10,46-52) nel quale si mette bene in luce che la differenza non è tanto tra strada e casa, quanto piuttosto tra stasi (la malattia che poteva portare alla rassegnazione o al semplice lamento; l’essere attaccati ai propri mezzi di sussistenza (mantello); la durezza di cuore del giudizio degli astanti) e movimento (il grido incessante verso Gesù; l’alzarsi; lo seguiva sulla strada finale dopo il miracolo). Nella Chiesa antica questo brano veniva usato durante il cammino di catecumenato, di preparazione al Battesimo, proprio per dire dell’evoluzione che la Grazia del sacramento offre all’uomo peccatore, e la strada era indicazione tecnica per dire della vita cristiana. Contemplativi sulla strada in questa prospettiva diventa quindi non più un ossimoro, (cioè l’insieme di due termini che tra loro non avrebbero nulla a che spartire), quanto piuttosto un’espressione sintetica per dire della verità della vita cristiana che diciamo di voler vivere: solo stando in questo continuo movimento di allontanamento da ciò che ci fa sedere per intraprendere nuovamente il cammino è garantita la nostra vita cristiana. - il movimento della strada, via verso casa: è una ulteriore declinazione che il movimento che si vive sulla strada comporta: ci avvicina a casa, a quella casa definitiva che non è altro dalla strada-vita, ma che è come una conquista sempre più piena di ciò che sono, della strada stessa. Mi colpisce sempre in certe figure particolari, don Enzo è una di queste, ma anche Madre Teresa di Calcutta e Teresa d’Avila, per stare nell’orizzonte carmelitano, come anche Giovanni della Croce, il coraggio di queste persone nell’aver osato ‘bucare’ la loro scelta di vita, cioè di aver continuato a cercare il loro posto nel mondo alla luce dell’esperienza di Dio fatta anche quando tutto ormai sembrava, dall’esterno, essere già definito, stabilito, fatto. Per stare solo nell’orizzonte dei nostri santi carmelitani ‘maggiori’ (quelli che conosco un poco di più), tutti (anche Teresina e la Stein) hanno come ‘bucato’ la loro esperienza di consacrazione cercando un oltre, un di più, e avendo il coraggio di lasciarsi alle spalle le acquisizioni buone già raggiunte (dico tutto questo e penso a don Enzo, alle sue traversie uscito dal Carmelo, allo studio faticoso e disperatissimo – me ne parlava p. Michele Giambelli a Monza – ospitato presso l’Opera Capelli) per accogliere ciò che Dio sollecitava alla loro vita. L’espressione più immediata di questa ricerca inesausta ce la dà Teresa di Lisieux 2 quando scrive: Essere tua sposa, Gesù, essere carmelitana, essere per l'unione con te, madre di anime, dovrebbe bastarmi... non è così... Certo, questi tre privilegi sono pur la mia vocazione, Carmelitana, Sposa e Madre, ma io sento in me altre vocazioni (Manoscritto B 250) 2 Santa Teresa di Gesù bambino (Alençon (Francia), 2/1/1873 - Lisieux, 30/9/1897) vergine e dottore della Chiesa: entrata ancora adolescente nel Carmelo di Lisieux in Francia, divenne per purezza e semplicità di vita maestra di santità in Cristo, insegnando la via dell’infanzia spirituale per giungere alla perfezione cristiana e ponendo ogni mistica sollecitudine al servizio della salvezza delle anime e della crescita della Chiesa. Concluse la sua vita il 30 settembre, all’età di venticinque anni. Don Enzo da ragazzo lesse la sua autobiografia e restandone affascinato scelse di entrare nei Carmelitani scalzi. 3 fino ad arrivare alla casa vera, quella definitiva, che è conquistata e sempre da riconquistare (come il centro del Castello in Teresa d'Avila3): All'orazione i miei desideri mi facevano soffrire un vero e proprio martirio; aprii le epistole di San Paolo per cercare qualche risposta. Mi caddero sotto gli occhi i capitoli XII e XIII della prima lettera ai Corinzi... Nel primo lessi che non tutti possono essere apostoli, profeti, dottori, ecc..., che la Chiesa è composta da diverse membra e che l'occhio non potrebbe essere al tempo stesso la mano. La risposta era chiara ma non appagava i miei desideri, non mi dava la pace... Come la Maddalena chinandosi continuamente sul sepolcro vuoto finì per trovare quello che cercava, così, abbassandosi fino alle profondità del mio nulla mi innalzai tanto in alto che riuscii a raggiungere il mio scopo... Senza scoraggiarmi continuai la lettura e questa frase mi rincuorò: «Cercate con ardore i doni più perfetti, ma io voglio ancora mostrarvi una via più eccellente». E l'Apostolo spiega come tutti i doni più perfetti non sono niente senza l'Amore... Che la Carità è la via eccellente che conduce sicuramente a Dio. Finalmente avevo trovato il riposo. Considerando il corpo mistico della Chiesa, non mi ero riconosciuta in nessuna delle membra descritte da San Paolo, o meglio volevo riconoscermi in tutte... La Carità mi diede la chiave della mia vocazione. Capii che se la Chiesa aveva un corpo, composto da diverse membra, il più necessario, il più nobile di tutti non le mancava, capii che la Chiesa aveva un Cuore, e che questo Cuore era bruciante d'Amore. Capii che solo l'Amore faceva agire le membra della Chiesa, che se l'Amore si spegnesse, gli Apostoli non annuncerebbero più il Vangelo, i Martiri rifiuterebbero di versare il loro sangue... Capii che l'Amore racchiudeva tutte le Vocazioni, che l'Amore era tutto, che abbracciava tutti i tempi e tutti i luoghi... Insomma che è Eterno!... Allora nell'eccesso della mia gioia delirante ho esclamato: O Gesù mio Amore... la mia vocazione l'ho trovata finalmente, la mia vocazione, è l'Amore!... Sì ho trovato il mio posto, nella Chiesa e questo posto, o mio Dio, sei tu che me l'hai dato... nel Cuore della Chiesa, mia Madre, sarò l'Amore... così sarò tutto... così il mio sogno sarà realizzato!!!... (Manoscritto B 253-254) A questo proposito mi pare interessante, andando alla figura di Teresa d’Avila, ritracciare in modo sintetico il cammino che l’ha portata man mano a scoprire la sua vocazione, cioè continuando da contemplativa a camminare sulla strada della sua vita, ad accorgersi in modo sempre più chiaro e preciso di cosa il Signore le stesse chiedendo. Mi pare che nel percorso di maturazione spirituale e vocazionale di Teresa d'Avila si possano individuare tre momenti tra loro consequenziali e distinti: * passaggio dall’indeterminatezza alla consegna È il primo momento, quello originario, direi quasi sorgivo di un cammino contemplativo serio e vero. C’è un background in cui si cresce, si vive, ci si relaziona col Signore anche in modo onesto e autentico (cioè senza infingimenti voluti e consapevoli), che anche ci fa fare un’esperienza di Dio ma come di Uno il cui posto nella mia vita è accanto a quello di tante altre cose altrettanto importanti e utili e buone per me (lo studio, la famiglia, i poveri, gli impegni sociali, la vita della parrocchia, i miei gusti…..). E’ quella che don Enzo chiamerebbe una spiritualità qualsiasi, con una preghiera e un rapporto qualsiasi [col Signore], patrimonio culturale direi io, più che vera e propria esperienza del Dio vivo. Immersa in questo clima Teresa intuisce qualcosa di Dio (tanto che si fa monaca), ma subito dopo lo slancio iniziale si accorge di un suo tentennamento interiore (che esprime con le parole mi davo al mondo, mi davo a Dio), altalena che dura per 20 anni!, con alterni momenti di fervore e di abbandono. Tutto cambia nella quaresima del 1554 quando racconta di due esperienze che l’hanno profondamente segnata: ‘l’incontro’, se così possiamo chiamarlo, con una statua di una Cristo alla colonna, e 3 Santa Teresa di Gesù (Avila, Spagna, 1515 - Alba de Tormes, Spagna, 15/10/1582). Fu donna di eccezionali talenti di mente e di cuore. Fuggendo da casa, entrò a vent'anni nel Carmelo di Avila, in Spagna. Nel Carmelo concepì e attuò la riforma che prese il suo nome. Unì alla più alta contemplazione un'intensa attività come riformatrice dell'Ordine carmelitano. Estese la riforma dell'Ordine anche al ramo maschile. Fedele alla Chiesa, nello spirito del Concilio di Trento, contribuì al rinnovamento dell'intera comunità ecclesiale. Morì a Alba de Tormes (Salamanca) nel 1582. Beatificata nel 1614, venne canonizzata nel 1622. Paolo VI, nel 1970, la proclamò Dottore della Chiesa. Scrisse opere spirituali di altissimo valore tra cui Il Castello Interiore. In esso la vita è descritta come un viaggio verso il centro dell'anima immaginata come un Castello la cui stanza centrale è abitata da Dio stesso. 4 la lettura delle confessioni di Agostino (testo nel quale rivede la sua stessa esperienza umana e spirituale: tolle et lege). Ormai la mia anima si sentiva stanca e voleva riposare, ma le sue perverse abitudini glielo impedivano. Entrando un giorno in oratorio, i miei occhi caddero su una statua che vi era stata messa, in attesa di una solennità che si doveva celebrare in monastero, e per la quale era stata procurata. Raffigurava nostro Signore coperto di piaghe, tanto devota che nel vederla mi sentii tutta commuovere perché rappresentava al vivo quanto Egli aveva sofferto per noi: ebbi tal dolore al pensiero dell'ingratitudine con cui rispondevo a quelle piaghe, che parve mi si spezzasse il cuore. Mi gettai ai suoi piedi in un profluvio di lacrime, supplicandolo a darmi forza per non offenderlo più. (Vita 9,1) Cominciando a leggere le «Confessioni di S. Agostino», mi parve di vedere in esse la mia vita, e mi raccomanda molto a questo santo glorioso. Quando giunsi alla sua conversione e lessi della voce che udì in giardino, ne ebbi una così viva impressione come se l'udissi pur io, e per lungo tempo rimasi a sciogliermi in lacrime con l'anima travagliata da grandissima. lotta. Oh, la libertà che mi rendeva padrona! lo mi stupisco di aver potuto sopravvivere a tanta angoscia! Sia benedetto Colui che mi mantenne in vita per farmi uscire da morte così funesta!... (Vita 9,8) Si ha qui come un primo sbilanciamento della persona, io direi da un atteggiamento attivo nei confronti di se stessi e della vita (sono quello che faccio) a uno passivo (io sono donato a me stesso da colui che mi cerca; è lui che io ricerco per ritrovare me stesso con verità). È il momento di una forte concentrazione personale, della scoperta di questo rapporto intimo e possibile con il Signore. *l’orizzonte comunitario: il secondo passaggio che lo stare su questa strada verso casa comporta è il movimento dal personale al comunitario: non mi basta più la ricchezza dell’esperienza di Dio che ho fatto, ho bisogno di un orizzonte ecclesiale all’interno della quale iscriverla. È la dinamica della fecondità nella quale il Signore ci immette. Per Teresa questa dimensione è altrettanto lacerante che la prima perché le impone, ad un certo punto, di fare una scelta esplicita di vita comunitaria, cioè stabilire quale contenuto pratico dare a queste parole. E, nella sua esperienza, l’intuizione del nuovo stile di vita non è sua!, l’accoglie dalla bocca di un’altra (anche questa è dinamica di passività feconda): Ora avvenne che un giorno, trovandomi in compagnia di più persone, una di esse uscisse a dire che qualora avessimo voluto vivere alla maniera delle Scalze, si sarebbe potuto fondare un monastero. La cosa rispondeva perfettamente ai miei desideri, e cominciai a parlarne con quella vedova mia amica già ricordata. Animata dalle nostre medesime aspirazioni, ella si dette subito d'attorno per procurare rendite al futuro monastero. Ora vedo quanto queste misure fossero imprudenti, ma il grande desiderio che ne avevamo ce le faceva veder buone. Io poi non mi sapevo risolvere, perché ero contenta dove stavo, il monastero mi piaceva e vi avevo una cella di mio gusto. Ciò nonostante decidemmo di raccomandare la cosa al Signore. (Vita 32,10) * il campo che è il mondo: È il terzo passaggio: da un comunitario che è un po’ come un io allargato, ad un orizzonte più ampio, ampio quanto i confini che l’umano può conoscere. Ancora una volta un’operazione di superamento della fase precedente ma solo per arrivare a una verità più piena e completa di quanto già avevo iniziato a vivere. Due sono le occasioni che Teresa ricorda come innesco di questa ulteriore dilatazione: le guerre di religione in Europa e la situazione degli Indios nelle Americhe: Dopo quattro anni, o poco più, venne a trovarmi un religioso francescano, gran servo di Dio, chiamato fra Alfonso [Alonso] Maldonado,4 che aveva i miei stessi desideri per la salute delle anime, ma del quale io avevo grande invidia perché li poteva mettere in pratica. Era tornato da poco dalle Indie, e cominciò a raccontarmi dei molti milioni di anime che laggiù si perdevano per mancanza d'istruzione religiosa. Ci tenne una predica con una esortazione per animarci alla penitenza, e se ne andò. 4 Commissario Generale delle Indie Occidentali (Americhe) nel 1500 e zelante predicatore apostolico. 5 Io rimasi così afflitta per la perdita di tante anime che, non sapendomi più contenere, mi ritirai tutta in lacrime in un romitorio, e là innalzando la mia voce al Signore, lo supplicai di fornirmi di qualche mezzo per contribuire a guadagnarne qualcuna al suo servizio, poiché tante gliene rapiva il demonio, e di darmi la possibilità di far un po' di bene con la preghiera, posto che non sapevo far altro. Invidiavo molto coloro che per amor di Dio potevano darsi all'apostolato, fosse pure a prezzo di mille morti; e mi accade tuttora, leggendo la vita dei santi, di sentire maggior devozione, invidia e tenerezza per le conversioni da essi fatte, che non per i tormenti a cui sono andati soggetti, poiché questa è l'inclinazione che il Signore mi ha dato. Mi pare che Egli apprezzi di più un'anima sola che con le nostre industrie ed orazioni per sua misericordia noi gli guadagniamo, che non qualunque altro servizio che gli possiamo rendere. Stando dunque in questa grandissima pena, una notte, mentre ero in orazione, mi apparve nostro Signore nella maniera che suole, e mostrandomi grande amore mi disse, quasi a consolarmi: «Aspetta un poco, o figlia, e vedrai grandi cose». (Fondazioni 1,7) Contemplativi sulle strade allora mi pare voglia dire, a livello carismatico, la disponibilità interiore in cui ciascuno che segue questa indicazione deve mettersi per passare piano piano e sempre più in profondità dal personale, all’ecclesiale/comunitario, all’universale. Questo lavorio interiore, come instancabilmente ricorda don Enzo, è la qualità della vita cristiana piena, possibile non per la via di una continua introspezione solipsistica ma proprio attraverso l’espropriazione progressiva che la strada impone. 6