Le Avanguardie del primo Novecento

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Le Avanguardie del primo Novecento
Scuola Secondaria di I grado Pio X Artigianelli – Firenze Arte e Immagine – Prof. Fortunato Rao Animati dalla fede nel progresso, in una nuova generazione di creatori e di amatori dell’arte, chiamiamo a raccolta la gioventù e, come giovani che recano in sé il futuro, vogliamo conquistarci libertà di azione e di vita, di fronte alle vecchie forze così difficili da sradicare. Accogliamo tutti coloro che, direttamente e sinceramente, riproducono il loro impulso creativo. Ernst Ludwig Kirchner “Cronaca dell’Unione artistica «Die Brücke»” -­ 1906 Le Avanguardie del primo Novecento L’arte che ha caratterizzato tutto il XIX secolo con un andamento lineare (pittura classica-­‐
storica, romanticismo, realismo, impressionismo, post-­‐impressionismo, simbolismo, secessioni) nel primo Novecento diventa il frutto di una sperimentazione instancabile in tutti i campi d’azione dell’arte -­‐ dagli stili alle tecniche, fino alle poetiche. Il frutto di tutto il fermento introdotto dalle Secessioni di fine Ottocento, conduce nei primi decenni del nuovo secolo alle Avanguardie. A queste spetta il ruolo di essersi poste come assoluta rottura rispetto al passato, il termine stesso, di memoria militare, individua la “prima linea” di un agguerrito spirito di novità rispetto alla situazione accettata dalla maggioranza della cultura, un’arte che esca da musei ed accademie per incidere sulla società contemporanea. Le Avanguardie sono sostenute e trovano impulso nell’assoluta fede nel progresso e nelle capacità dell’uomo di incidere sulla realtà, trasformandola e migliorandola. Le Avanguardie cercano un costante rapporto con la vita, propongono un’arte che agisca sul piano etico (cioè che sottolinei una morale di comportamento) oltre che su un piano estetico; che vada all’attacco della società con lo scopo di stravolgere i modi consueti per rimodellare una “nuova società”. I movimenti principali di questi decenni, che condurranno all’arte contemporanea, sono quelli appartenenti all’Espressionismo tedesco (Die Brücke – 1905; Der Blaue Reiter – 1911) ed al Futurismo – 1909; determinanti in questo percorso furono anche i Fauves (Parigi 1905) ed il Cubismo (dal 1908). L’accadere della I Guerra Mondiale mise in discussione tali fermenti per la forza distruttrice del conflitto che mette in forte dubbio la fiducia incondizionata nel progresso. Le seconde Avanguardie, quelle del primo dopoguerra, sono quelle che scoprono la totale sfiducia nei valori che erano alla base della società occidentale all’inizio del secolo, e sono: il Secondo Futurismo, l’Astrattismo ed il Costruttivismo, che cercano nuovi punti di riferimento in luogo di quelli spazzati via dalla guerra – il Dadaismo, trionfo del “caso”, ed il Surrealismo che vuole superare l’aspetto “razionale” della realtà per indagare la sua profondità e l’inconscio. Espressionismo tedesco Il termine Espressionismo, coniato ad inizio del ‘900 per indicare generalmente i movimenti innovatori di inizio secolo, è passato, nella storia dell’arte, ad indicare un modo artistico che privilegia l’interpretazione intensamente drammatica e soggettiva della realtà, che si esprime con una pittura fortemente cromatica, con segni molto incisivi e deformanti. L’immagine nella pittura Espressionista è la comunicazione dello stato d’animo e del “giudizio” che l’artista dà al reale. Tale comunicazione si attua in tutti gli ambiti artistici, dalla pittura all’architettura, ai manifesti, alla letteratura, al teatro ed al cinema. La prima apparizione del termine “Espressionismo” è in una monografia di Paul Fechter nel 1914, dedicata al gruppo “Die Brücke” (Il Ponte) di Dresda, ed al gruppo “Der Blaue Reiter” (Il 1 Scuola Secondaria di I grado Pio X Artigianelli – Firenze Arte e Immagine – Prof. Fortunato Rao Cavaliere Azzurro) di Monaco che, insieme ad un terzo gruppo francese, i “Fauves” possono essere considerate a tutti gli effetti le tre grandi scuole dell’Espressionismo. A tali gruppi, per completare il panorama del movimento individuato con tale nome, si affiancano due pittori austriaci, Oskar Kokoschka ed Egon Schiele. “Die Brücke” (Il Ponte), nasce a Dresda nel 1905 ad opera di tre giovani studenti che abbandonano gli studi alla facoltà di architettura per dedicarsi alla pittura: Ernst Ludwig Kirchner, che ne fu il teorico, Erich Heckel, Karl Schmidt-­‐Rottluff. A loro si aggiunsero, nel 1906, Max Pechstein ed Emil Nolde (che li abbandonerà l’anno seguente). Il nome del gruppo lascia chiaramente intendere lo scopo della loro attività che apre la cosiddetta età delle avanguardie artistiche. La loro attività continuerà fino al 1913, anno dello scioglimento. Il loro modo di lavorare, gomito a gomito in uno studio comune, coinvolgendosi con tutti gli aspetti della vita (estetico, politico, sociale) sottolineano una caratteristica comune a tutte le successive espressioni delle avanguardie: lo stretto rapporto arte-­‐vita. In tutti i movimenti di avanguardia il fattore “ideale” precede, affianca e predomina lo stile, perciò nelle espressioni artistiche delle avanguardie non è possibile trovare una omogeneità nello stile dei vari artisti anche se la poetica ideale è unica (il tragico e forte grido di rifiuto e dolore rispetto al mondo contemporaneo, al moralismo della società borghese, alle nuove classi dirigenziali). Per gli Espressionisti la tela diventa il luogo dove proiettare i sentimenti e gli stati d’animo e, per questo, non possono utilizzare le convenzioni linguistiche come la prospettiva ed il chiaroscuro ma accentuano il ruolo dei colori che comunicano la tensione: il giallo, il rosso, il blu, il viola, diventano come il veicolo dell’intensità e dell’espressione che erano stati ereditati da Van Gogh e, soprattutto, da Munch, vero precursore dell’Espressionismo tedesco. La pittura espressionista diventa un monito (un invito) esistenziale, si contrappone agli artisti accademici, mostrando una natura primitiva, aspra e selvaggia oppure si avvale dell’ambientazione urbana, luogo dell’attività frenetica, della solitudine, dell’angoscia. Altro soggetto tipico della pittura espressionista è il ritratto: volti pensosi, malinconici, oppure esaltazione dell’individualismo attraverso l’autoritratto (dipingere se stesso per capirsi meglio, per scoprire la propria personalità). L’avvento della I GM, alla quale presero parte molti artisti, era ritenuta dagli stessi “la guerra che avrebbe posto fine a tutte le guerre”. Con la tragica sconfitta tedesca del 1918 il senso patriottico, l’entusiasmo e la dedizione ai nuovi ideali, lasciano il posto alla delusione, al cinismo disfattista, ed all’opposizione al metodo “avanguardista” della guerra, come testimoniano le opere di Otto Dix, artista protagonista dell’espressionismo tedesco tra le due guerre, in particolare con l’opera “Der Krieg” (la guerra) che racconta, in cinquanta incisioni, basate su schizzi eseguiti al fronte, il dramma della guerra, documentando in modo particolareggiato le vittime, i paesaggi desolati, la distruzione. Il “Cavaliere Azzurro” è la storia di una amicizia, in particolare tra Franz Marc e Vasilij Kandinskij. Il nome è il titolo dell’almanacco che fu il loro manifesto teorico basato tutto sul principio “della necessità interiore”. Da tale principio nasce la loro definizione di forma che è “esteriormente, limitazione; interiormente, espressione esteriore dell’interiorità. La forma è molto in quanto mezzo ma, allo stesso tempo è nulla”. Nasce a Monaco nel 1912 e fa fiorire una serie di iniziative tra cui mostre collettive e vacanze trascorse insieme a lavorare. Tali momenti sono fondamentali nello sviluppo della loro attività in quanto possibilità di incontro e convivenza per artisti di nazionalità e provenienza diverse (oltre a Marc e Kandinskij, Paul Klee, Gabriele Munter ed altri). Non vivono e non lavorano nella stessa città perciò tali momenti, quelle vacanze, sono le occasioni per lavorare insieme al rinnovamento dell’arte che ritengono necessario: l’abbandono del razionalismo a favore dell’irrazionalismo. Lo stile e gli interessi di ognuno di loro sono diversi e vari ma sono accomunati dal voler 2 Scuola Secondaria di I grado Pio X Artigianelli – Firenze Arte e Immagine – Prof. Fortunato Rao esprimere verità spirituali attraverso l’arte; credono fermamente nel rapporto con la musica e nel valore simbolico del colore. Mostrano grande interesse per l’arte popolare e per quella medievale ed il nome del gruppo nasce probabilmente dall’amore di Marc per i cavalli e dal valore che Kandinskij dà all’azzurro che “rivela l’umano desiderio dell’eterno”. Il gruppo si scioglie nel 1914 a causa dello scoppio della guerra e del ritorno in Russia di Kandinskij. La loro riflessione ed il loro lavoro fu alla base delle altre avanguardie del Novecento. I Fauves. (Henri Matisse 1869 -­‐ 1954) «Allora i nostri quadri diventano purificazioni, i gradini di una certa demolizione, parlano immediatamente col bel blu, col bel rosso, col bel giallo, con sostanze elementari che frugano l’anima nel suo profondo. È questo il punto di partenza del Fauvisme: il coraggio di ritrovare la purezza dei mezzi». (Henri Matisse) Nel 1905 al Salone d’Autunno di Parigi, un gruppo di artisti suscita un grande clamore nella critica e nei visitatori per la violenza nell’uso del colore. Vengono definiti, per tale motivo ed in termini assolutamente dispregiativi, fauves (belve). Gli artisti in questione sono: Henri Matisse, André Derain, Maurice de Vlaminck, Albert Marquet. Questi accolgono con benevolenza il termine con cui la critica li ha definiti, ritrovando in esso il carattere fondamentale della loro pittura: il prevalere del colore su ogni altro mezzo d’espressione. Punti di riferimento per i Fauves sono Van Gogh, per il colore denso ed arbitrario, Cézanne, per la struttura e l’energia delle campiture di colore, Gauguin, per il colore puro, le stesure piatte, il culto del primitivismo. I Fauves prediligono l’uso del colore steso in toni puri, con tinte accese, violente, non in relazione ad una impressione ma al sentire interiore. Per essi la pittura è espressione istintiva ed immediata dello stato d’animo di fronte alla realtà. Esemplificativa di ciò è “la ballerina del Rat Mort” di de Vlaminck (il più “bestiale” del gruppo) che, al proposito, dice: «mi sforzo di dipingere con il cuore e con le reni, senza preoccuparmi dello stile… perché alla base dell’arte c’è l’istinto.» I colori sono usati con violenza nel contrasto tra i complementari ed i primari, in pennellate piene di passione, che derivano direttamente da Van Gogh. Scrive Matisse: «Allora i nostri quadri diventano purificazioni, i gradini di una certa demolizione, parlano immediatamente col bel blu, col bel rosso, col bel giallo, con sostanze elementari che frugano l’anima nel suo profondo. È questo il punto di partenza del Fauvisme: il coraggio di ritrovare la purezza dei mezzi». A differenza dell’Espressionismo tedesco, il movimento francese non rivolge l’attenzione alle problematiche sociali e non ha interesse particolare per l’unione tra arte e vita. L’attenzione è invece puntata esclusivamente sulla pittura e sul suo linguaggio, perciò ha un ambito puramente artistico, come rivela Matisse stesso: «Per me l’espressività non consiste nella passione che può apparire su un viso e che potrebbe essere espressa con un movimento vivace. Essa risulta piuttosto dall’intera impostazione del mio quadro: il posto occupato dai corpi, gli spazi vuoti circostanti, le proporzioni. La composizione è l’arte di accostare nel modo più appropriato tutti i diversi elementi di cui il pittore dispone per esprimere i propri sentimenti. Un’opera deve essere armoniosa nel suo insieme». Nel corso degli anni la pittura di Matisse si intensifica di due elementi, le linee ritmiche e l’ornamento, in particolare la svolta della sua pittura è determinata da un viaggio in Algeria nel 1906 dove Matisse rimane colpito ed affascinato dalle forme e dalle decorazioni. Se il gruppo dei Fauves inizia il suo periodo di declino, Matisse, al contrario, inizia ad 3 Scuola Secondaria di I grado Pio X Artigianelli – Firenze Arte e Immagine – Prof. Fortunato Rao accrescere la sua fama artistica mettendo a punto un modo di dipingere essenziale, fondato sulla composizione e dulla semplificazione della forma e del colore. «Ciò che sogno è un’arte di equilibrio, di purezza e di tranquillità, senza soggetti inquietanti e preoccupanti». Alle grandi tele del suo periodo corrispondente ai primi decenni del secolo, si susseguono opere più piccole alle quali è costretto dall’età e dallo stato di salute che lo obbliga a vivere su una sedia a rotelle; si dedica così ai papiers decoupés (carte dipinte e poi ritagliate per essere incollate su una tela o su un foglio). A questo periodo appartiene l’Icaro, del 1943, incluso in un libro di illustrazioni realizzate da Matisse con carte colorate a tempera e ritagliate con cui viene realizzato un libro stampato a mano in tiratura limitata a 250 copie. Matisse così lo descrive: «Queste immagini dai colori vivaci e violenti sono emerse dalla cristallizzazione di ricordi del circo, di racconti popolari o di viaggi». Il Cubismo. (Pablo Picasso 1881 -­‐ 1973) «La pittura è una professione da cieco: uno non dipinge ciò che vede, ma ciò che sente, ciò che dice a se stesso riguardo a ciò che ha visto». (Pablo Picasso) Pablo Picasso prende la sua passione per l’arte dal padre, professore alla Scuola delle Arti e Conservatore del Museo di Malaga, sua città natale. Mostra fin da giovane le sue notevoli capacità e doti artistiche nel disegno e nella pittura. A 19 anni si reca per la prima volta a Parigi. Vi si recherà più volte fino a 24 anni quando vi si stabilisce definitivamente. L’atteggiamento di Picasso nei confronti alla pittura cambia in riferimento alla realtà ed alle sue sollecitazioni: «Esprimo ciò che vedo. Quando dipingo, il mio scopo è mostrare ciò che ho trovato e non quello che stavo cercando». Nel 1901 la morte del suo più caro amico Casagemas apre il cosiddetto “Periodo Blu” (1901-­‐1904). Le opere di questo periodo sono caratterizzate dalla grande tristezza e malinconia, popolate da figure con lo sguardo basso e spento, descrittive di un’umanità ferita ed il colore blu, freddo, amplifica il senso di tristezza delle opere. L’opera principale di tale periodo è “La Vita”, in un ambiente indefinito e spoglio, sono presenti due gruppi di persone con lo sguardo assente, un uomo ed una donna abbracciati, una mamma con un bambino in braccio che dorme, stanno di fronte ma tra loro non c’è alcun rapporto . Tra loro, sulla parete due dipinti, uno in basso che raffigura un uomo accovacciato con la testa tra le ginocchia, quello più in alto è quasi una sua variante, una coppia rannicchiata in un abbraccio. La tela racconta con varie rappresentazioni e tecniche, gli avvenimenti della sua vita (la figura maschile ha il volto del suo amico Casagemas) ma non si limita ad un ambito biografico bensì coinvolge l’osservatore nella misteriosità della vita. Dal 1904 al 1906 la pittura di Picasso passa al “Periodo Rosa” in cui viene abbandonata la monocromia dei colori freddi, sostituita dai colori caldi delle tonalità rosa e rosso. I soggetti di questa seconda fase sono artisti del circo, giocolieri, pagliacci, equilibristi dai quali emerge un forte senso di solitudine e mestizia, un universo disincantato e precario. Successivamente inizia il periodo in cui le figure si semplificano nella geometria della forma, guardando a Cézanne ed all’arte africana -­‐ alla quale Picasso è introdotto da Matisse – ed al primitivismo di Gauguin e dei Fauves. L’Autoritratto del 1906 si pone sulla soglia del Cubismo cui Picasso giungerà nel 1907. 4 Scuola Secondaria di I grado Pio X Artigianelli – Firenze Arte e Immagine – Prof. Fortunato Rao Diversamente dagli altri movimenti d’avanguardia il Cubismo non ha un intento programmatico, non ha un orientameno artistico ideale. Nasce come ipotesi di lavoro di alcuni artisti tra cui Picasso e Georges Braque. La prima fase del Cubismo è caratterizzata dalla semplificazione dei volumi e dello spazio che li contiene. La prospettiva viene scompaginata, i colori vengono ridotti a due o tre toni fondamentali, tendenti sempre più al cupo, la natura viene trattata secondo “il cono, il cilindro, la sfera”. La seconda fase del Cubismo è detta “analitica”; le figure, gli oggetti, vengono rappresentati secondo vari punti di vista; le forme – prima semplificate – perdono la superficie riconoscibile. Tale percorso di Picasso e Braque, portando all’estremo la lezione di Cézanne sui volumi e sulla luce, li fa presto rendere conto che nelle loro opere si sta perdendo il rapporto con il soggetto che, comunque, è ancora necessario alla rappresentazione pittorica. Nel 1911, dopo aver sfiorato e provato l’Astrattismo, reagiscono a tale modo di dipingere cercando di ristabilire il rapporto con il soggetto, rendendolo – seppur scomposto – riconoscibile ed identificabile. Introducono nel dipinto elementi grafici, allusivi di un ambiente o di un oggetto, indizi che permettono di riconoscere ed identificare mentalmente il referente dell’opera, il soggetto. Un secondo elemento necessario a non perdere il nesso con il soggetto è costituito dall’imitazione di materiali veri e diversi dal colore (legno, carta di giornale, metallo) con la tecnica del collage. L’oggetto, così, non viene più rappresentato in quanto tale ma viene soltanto “citato”, la realtà di cui hanno rifiutato la rappresentazione, entra fisicamente nel quadro. Tale modo di dipingere porta al periodo “sintetico”, ultima fase del Cubismo, in cui la geometria, l’ordine a priori, l’architettura dell’opera, sono la forza compositiva dell’insieme. Da qui inizia per Picasso un periodo che pone la sua arte tra le più complesse e sfuggenti a qualsiasi definizione. Dal 1917 inizia il cosiddetto “periodo neoclassico” in cui l’anatomia dei soggetti, nella sua totalità o nei particolari, viene esagerata (Flauto di Pan del 1923). Nel 1925 ha già intrapreso un’altra strada, si avvicina al surrealismo, partecipando a Parigi alla prima mostra surrealista. Di questi non apprezza i “paesaggi interiori” cercando di mantenere una sua originalità ed indipendenza (Bagnante sulla riva del mare del 1932). Tra il 1932 ed il 1936 con riferimenti autobiografici delle sue origini, in particolare con riferimento alla corrida, Picasso dà vita ad una interpretazione personale della storia del Minotauro. La figura del toro si ritrova anche nell’opera che Picasso definì come “l’unica mia opera simbolica” Guernica del 1937. Eseguita su commissione del governo spagnolo per il padiglione nazionale all’Esposizione Internazionale di Parigi del 1937. Su questa immensa tela (350 x 777), Picasso raffigura e ricorda il bombardamento dell’omonima cittadina spagnola ad opera degli aerei tedeschi, rappresentando la brutalità dell’azione contro la popolazione inerme, fatta soprattutto di donne e bambini, a voler ricordare come una “strage degli innocenti”. Picasso realizza la tela dopo moltissimi studi preliminari; nella parte sinistra è rappresentata una sorta di corrida alla rovescia, il toro, icona della brutalità e della forza, trionfa sull’uomo, rappresentato dalla testa e dal braccio, frammenti di una scultura. È evidente lo strazio, rappresentato da una donna disperata con in braccio il corpo morto del figlio (subito sotto la testa del toro). Un cavallo trafitto a morte, simbolo del popolo, si contorce e sembra urlare dal dolore; al centro, in basso, una mano tiene una spada spezzata, impugnata inutilmente come a cercare di difendersi da un nemico più forte. Nella parte destra del quadro una donna urlante con il vestito in fiamme, si precipita fuori dalla sua casa ed a sinistra di quest’ultima, due figure femminili sembrano implorare verso la luce, posta al centro in alto, affinché col sacrificio della vita (la mano che tiene la spada spezzata sembra suggerire la resistenza tenace della vita contro la morte) possa esserci la vittoria, possa rinascere la vita stessa, simboleggiata dal fiore, soltanto disegnato (non ancora materializzato) che sboccia nella mano al posto della spada spezzata. Altra novità di tale opera è la rappresentazione mediante i soli bianco, grigio e nero; il 5 Scuola Secondaria di I grado Pio X Artigianelli – Firenze Arte e Immagine – Prof. Fortunato Rao colore è del tutto assente, così come è assente il volume nelle figure straziate e deformate dal dolore. Picasso elimina volutamente colore e volume, i due elementi della realtà vivente, affinché “la morte sia nel quadro”; l’opera diventa il simbolo del grido umano contro tutte le guerre. «La pittura è una professione da cieco: uno non dipinge ciò che vede, ma ciò che sente, ciò che dice a se stesso riguardo a ciò che ha visto». Lo scopo della pittura, per Picasso, non è la rappresentazione ma la conoscenza della realtà. Il Futurismo. «Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido, il mondo si è arricchito di una bellezza nuova: la bellezza della velocità». (Filippo Tommaso Marinetti) A Milano, nel 1910, muove i primi passi il Futurismo. Ne è ispiratore Tommaso Marinetti che scrive il “Manifesto del Futurismo”: «Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido, il mondo si è arricchito di una bellezza nuova: la bellezza della velocità». Tra gli esponenti più significativi Umberto Boccioni e Giacomo Balla. In una realtà sempre più segnata dal progresso tecnologico, dalle macchine, dai motori, dalla frenesia delle città, dal lavoro, i Futuristi rifiutano la pittura tradizionale e la sua “staticità”. Vogliono ricreare, nelle loro opere, il dinamismo delle forme in movimento, vogliono rappresentare il cambiamento, vogliono rappresentare la velocità. I Futuristi vogliono affermare il progresso come mezzo principale del cambiamento della società e della cultura; in quest’ottica guardano anche alla guerra – ormai imminente – come possibilità di accelerare questo cambiamento; i Futuristi – perciò – si dichiarano sempre, come gli Espressionisti tedeschi, “interventisti”, favorevoli alla guerra alla quale aspirano e partecipano. Umberto Boccioni nasce a Reggio Calabria nel 1881, studia a Roma dove conosce Gino Severini e Giacomo Balla ed aderisce al Movimento Futurista. nel 1907 si trasferisce, dopo aver compiuto numerosi viaggi di studio a Mosca, Vienna e Parigi, a Milano dove conosce Filippo Tommaso Marinetti insieme al quale scrive (unitamente ad altri pittori ed artisti) il Manifesto Futurista, pubblicato nel 1910. La città di Milano, la più importante città italiana per i flussi europei e per le prime importanti installazioni industriali, diventa fonte di ispirazione principale per Boccioni che nelle sue opere vuole rappresentare e descrivere gli aspetti del progresso che caratterizzano la città e la vita. Milano, in quegli anni, è un continuo cantiere, in crescita, una macchina che produce, a sua volta, altre macchine. Studia la compenetrazione delle forme e la rappresentazione del movimento che non è solo il susseguirsi di spostamenti ma “la dinamica potenziale di ogni oggetto”. Boccioni muore prematuramente, a soli 34 anni, nel corso della I GM. Giacomo Balla nasce a Torino nel 1871, vi studia all’Accademia delle Belle Arti. Nel 1895 si trasferisce a Roma dove incontra Umberto Boccioni. Nel 1912 una serie di opere improntate al dinamismo, lo introducono nel Movimento Futurista. Prova a fissare sulla tela il movimento e la velocità delle automobili, dell’aria e del rumore del motore. Dopo la I GM continua il suo lavoro aderendo al Secondo Futurismo sulla Aeropittura e l’Arte Meccanica, con Fortunato Depero (1892-­‐1960) ed Enrico Prampolini (1894-­‐1956). Viene esaltata l’arte visionaria del volo. La poetica futurista si affievolisce e la morte di Tommaso Marinetti, avvenuta nel 1944, segna il definitivo scioglimento del movimento. 6 Scuola Secondaria di I grado Pio X Artigianelli – Firenze Arte e Immagine – Prof. Fortunato Rao Opere da guardare: ESPRESSIONISMO TEDESCO E. L. Kirchner -­‐ “I pittori della Brücke” – 1925, olio su tela, 125x167, Wallraf-­‐Richartz Museum, Colonia. E. L. Kirchner -­‐ “Scena di strada berlinese” – 1913, olio su tela, 121x95, Brücke Museum, Berlino. E. L. Kirchner -­‐ “Autoritratto da soldato” – 1915, olio su tela, 70x61, AllenMemoriaArtMuseum, OberlinOhio. O. Kokoschka -­‐ “Ritratto di Adolf Loos” – 1909, olio su tela, 74x91, Nationalgalerie Staatliche, Berlino. O. Kokoschka -­‐ “La sposa del vento (la tempesta)” – 1914, olio su tela, 181x220, Kunst-­‐museum, Basilea. E. Schiele -­‐ “La famiglia”– 1918, olio su tela, 153x163, Österreichische Galerie, Vienna. V. Kandinskij -­‐ “Studio per la copertina dell’Almanacco del Cavaliere Azzurro”– 1911, china e acquerelli, 29x21, Collezione privata. F. Marc -­‐ “Cavalli e aquila”– 1912, olio su tela, 74x98, Sprengel Museum, Hannover. F. Marc -­‐ “Grandi cavalli azzurri”– 1911, olio su tela, 103x171, The Art Museum, Chicago. V. Kandinskij -­‐ “Piazza del mercato a Murnau”– 1908, olio su tela, 65x60, Museo Thyssen-­‐Bornemisza, Madrid. FAUVES H. Matisse -­‐ “Finestra aperta, Collioure” – 1905, olio su tela, National Gallery of Art, Washington. H. Matisse -­‐ “La danza” – 1909-­‐10, olio su tela, 260x191, Hermitage, San Pietroburgo. H. Matisse -­‐ “Icaro” – 1943, papiers dcoupées, 42x32, Parigi. A. Derain -­‐ “L’Estaque” – 1906, olio su tela, 38x55, Musée des Beaux Arts, Chaux-­‐de-­‐Fonds. M. de Vlaminck -­‐ “Paesaggio con alberi rossi” – 1906, olio su tela, 65x81, Centre Pompidou, Parigi. M. de Vlaminck -­‐ “La bellerina del Rat Mort” – 1906, olio su tela, 73x64, Collezione Privata, Parigi. M. de Vlaminck -­‐ “La Senna a Chatou” – 1906, olio su tela, 74x92, Collezione Privata, Parigi. CUBISMO P. Picasso “La vita” – 1903, olio su tela, 197x129, Museum of Art, Cleeveland. P. Picasso “I saltimbanchi” – 1905, olio su tela, 219x230, National Gallery of Art, Washington. P. Picasso -­‐ “Autoritratto” – 1906, olio su tela, 65x54, Musée Picasso, Parigi. G. Braque -­‐ “Piano e mandola” – 1909-­‐10, olio su tela, 92x43, Solomon Guggenheim, New York. P. Picasso -­‐ “Ritratto di Ambroise Vollard” – 1910, olio su tela, 93x66, Puskin Museum, Mosca. P. Picasso -­‐ “Il violino” – 1913-­‐14, cartone, collage, carboncino e gesso su cartone, 52x30x4, Musée Picasso, Parigi. P. Picasso -­‐ “Il Flauto di Pan” – 1923, olio su tela, 205x175, Musée Picasso, Parigi. P. Picasso -­‐ “Bagnante sulla riva del mare” – 1932, olio su tela, 147x115, Museum of Modern Art, New York. P. Picasso -­‐ “Minotauro e cavalla morta con giovane donna velata” – 1936, acquerello e inchiostro su carte, 50x61, Musée Picasso, Parigi. P. Picasso -­‐ “Guernica” – 1937, olio su tela, 350x777, Museo Nacional, Centro de Arte Reina Sofia, Madrid. FUTURISMO U. Boccioni “Materia” – 1912, olio su tela, 225x150, Collezione privata, Milano. U. Boccioni “Carica di lancieri” – 1915, tempera, china carboncino e collage su carta, 32x50, Pinacoteca di Brera, Milano. U. Boccioni “Stati d’animo, II-­‐ Gli addii” – 1911, olio su tela, 71x97, Museum of Modern Art, New York. U. Boccioni “Dinamismo di un calciatore” – 1913, olio su tela, 194x201, Museum of Modern Art, New York. G. Balla “Bambino che corre sul balcone” – 1912, olio su tela, 125x125, Galleria d’Arte Moderna, Milano. G. Balla “Dinamismo di un cane al guinzaglio” – 1912, olio su tela, 91x110, Albright-­‐Knox Art Gallery, Buffalo. G. Balla “Velocità di motocicletta” – 1913, olio su tela, 68x97, Collezione privata, Lugano. 7