Il vizio assurdo della scrittura - Pro
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Il vizio assurdo della scrittura - Pro
Il VIZIO ASSURDO DELLA SCRITTURA riflessioni su STORIE DI POCAPENA , L'arte del suicidio e il suicido dell'arte, di Danilo Laccetti, Leone Editore 2010 Il romanzo di Danilo Laccetti, L'arte di Pocapena (L'arte del suicidio e il suicidio dell'arte) si dichiara in copertina per quello che è un 'romanzo satirico'. E non è frequente vedere in una pubblicazione moderna esplicitato anche il 'genere' in cui la stessa pubblicazione rientra. Tanto che, a ben considerare, può venire immediatamente al lettore il sospetto che in quella esplicitazione di genere- 'romanzo satirico'- vi sia già qualcosa di anomalo, una sorta di vetrina meta-letteraria, dove il satirico ad esempio non sta solo nel contenuto di questa confezione che è il romanzo, ma anche nella modalità aperta e sfacciata dell'etichetta: 'satirico'. Lo stesso chiasmo del sottotitolo, L'arte del suicidio e il suicidio dell'arte, apre a una modalità narrativa 'ludica', dove la tessitura del racconto, quello che dicesi 'significante', conta almeno altrettanto se non più del significato, del plot. Di cosa si parla in questo romanzo?'. Delle avventure o disavventure del trentunenne Victor Pocapena (nomen omen), tormentato scrittore che in una progressiva crisi di vocazione, di ispirazione e di creatività - espressa nella periodica distruzione dei suoi taccuini di appunti secondo un modello kafkiano 'in vita'- prova più volte e con scarso frutto a suicidarsi. I modi per farlo, almeno virtualmente, sono tanti, dai più tradizionali come il taglio delle vene, la corda, il gas, i barbiturici, fino ai più grotteschi: come nell'episodio in cui una improvvisa crisi lassativa anticipa il treno che doveva passare sui binari e sul suo corpo stesso. Modalità suggeritagli da una compagna di corso in una scuola di preparazione al suicidio, con tanto di seminario frequentato da depressi soggetti metropolitani. E il suicidio dell'arte? Be', qui Laccetti ci racconta non solo un suicidio nell'arte della scrittura psicologicamente ed esistenzialmente 1 incarnato nella scarsa capacità di tollerare dolore e pena creativa in Victor Pocapena, ma anche un contesto funebre, grottesco, apocalittico -quello in cui Victor vive- che presenta tutte le caratteristiche di un teatro tragico-comico che dell'arte della scrittura, e di ogni arte in genere, sembra celebrare i funerali. Mondanità dei vernissage, esibizionismo, narcisismo, ipocrisia, ambizione, rivalità, e pacchiana appariscenza, sono i colori di un palcoscenico in cui tutti appaiono attori buffi e nessuno si salva. Ne nasce una galleria di mostri, un bestiario dipinto a tinte graffianti e impietose: è il mondo dell'apparenza, del kitsch estetico, della più crassa e patetica mondanità salottiera. E' un po' come dire che i tentativi di suicidio di Victor trovano giusto nutrimento, se non giustificazione, in un ambiente letterario in cui l'arte si ammazza già da sola, e brucia come falene coloro che si vorrebbero salvare. Tant'è che l'alternativa al suicidio, per uno scrittore fiaccato come Pocapena, sta proprio nel tornare alla vita senza la parola, senza la scrittura, oltre l'incenerimento kafkiano dei suoi taccuini. Si arriva al punto in cui, fallita la scuola del suicidio, si passa alla terapia per la disintossicazione allo scrivere: come se i modelli da seguire diventassero quelli di una pubblicità che intima 'digli di smettere!'. Laccetti fustiga con feroce sarcasmo il mondo letterario attuale. Sarà proprio all'interno di un lussuoso e clownesco vernissage letterario che il guru della serata, un facoltoso architetto presentatogli dall'amico Erman- non avrà niente di meglio da proporre al giovane Victor che infognarlo in un posto di lavoro serale entro una ditta di spedizioni. Anche questo lavoro, come quello in una mensa aziendale che lo sperduto protagonista già espleta come un sonnambulo, ha insieme - per lo scrittore in via di fallimento- una funzione di auto-punizione e di stordimento. Tutto serve a Pocapena per liberarsi dalla dipendenza della scrittura e dai suoi mitici modelli, anche il gesto un po' infantile e apotropaico di lordare masturbandosi l'immagine di James Joyce. Oppure la 2 consegna dei propri libri più preziosi al figliolo tele-dipendente della padrona di casa, quel tondo Matteuccio che ne utilizza i fogli ad uno ad uno per appallottolarli e scagliarli contro lo schermo della tv. La tendenza autodistruttiva di Victor in realtà è tutt'uno con il suo rifiuto dello stesso humus che dovrebbe nutrirlo, il grottesco teatro-bestiario della vita culturale odierna. E' solo per questo che la scrittura diventa un vizio -un vizio assurdo, per dirla con Pavese- da combattere con ogni forza: inizialmente a prezzo della vita, in seguito a prezzo della scrittura stessa e del senso che garantisce. Storia di Pocapena è un romanzo non lontano dal romanzo-saggio, con inserzioni dirette dell'autore, digressioni, interludi, e un pressoché continuo dialogo autore implicito-lettore, come accade nel citato Tristram Shandy di Sterne. Dunque un racconto scanzonato e trasgressivo, che ara e dissoda la materia con un linguaggio corrosivo, dirompente, provocatorio e fortemente connotativo, ai limiti dello sperimentalismo espressionistico. La parodia si avvale del linguaggio di volta in volta aulico-barocco e di un deragliamento in rivoli di rappresentazione dissacrante, fino a certe modulazioni metaboliche o 'digestive' memori di Gadda o Joyce, anche quando nel nome Pocapena si allude alla stitichezza emotiva del protagonista o alla sua 'gastrica' noncuranza: tipica di chi preferisce passare immediatamente all'esperienza escretoria che a quella digestiva. Laccetti lavora sul linguaggio, anch'esso spesso viscerale-escretorio, e non si accontenta mai di descrivere semplicemente cose e azioni: interviene a piene mani, unghie e denti, sul racconto, in chiave di postilla, commento, e dunque di meta-narrazione. All'impulso parodistico-grottesco, si aggiunge in questo romanzo, specie alla fine, una componente visionaria, dantesca, apocalittica, che decreta una divertita ma anche amara bocciatura sulle incallite illusioni, coltivate da quel mortale animale che è l'artista, di lasciare traccia di sé nel tempo, se non nei secoli, e vincere la morte E proprio attraverso la scrittura. Anch'essa alla ricerca di un riconoscimento fornito da tribunali-bestiario, da organizzazioni di potere teatrale che hanno la fatale necessità degli organi di 3 digestione- appunto- e ti possono assorbire, inghiottire, digerire e poi defecare in poco tempo. Proprio come accade a Victor Pocapena alla fine della sua frustrante peripezia: dopo aver provato e riprovato il suicidio, per non saper rinunziare al vizio di scrivere, viene scaraventato fuori dai tribunali del potere letterario-mondano (il Palazzo della gloria celebrata e negata), dopo che la sua stessa Musa lo ha apertamente liquidato. E neanche può essere di consolazione il fatto che la Musa, anch'essa evidentemente collusa con il pantano di quel Potere, si presenti dinanzi al condannato Victor sotto forma di un orripilante e nudo "vecchio barbuto, sugli ottanta o sui cento o alche oltre". E' l'ombra di Victor (l'eterno perdente) a bocciare Victor. Per liberarlo forse per la vita, chi sa, come una Scuola dove non hai saputo farti Informare dalla dottrina degli altri e che ora ti scodella lì, sula strada, costringendoti a sopravvivere da solo, a reinventare te stesso. Roberto Caracci 4