My Own Secret Ceremonials

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My Own Secret Ceremonials
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Non appena poso il piede al di fuori della stazione, il sole mi accoglie nella nuova città col più
radioso dei suoi sorrisi. Rome è stupenda. Gli edifici sono interamente rivestiti di marmo
bianco, sembrano atterrati sulle piazze e sui cortili direttamente dalle nuvole, e poi c’è così
tanta gente, così tanti volti nuovi…
Mi volto alla ricerca di Marcus. Lo vedo uscire sotto il cielo terso poco dopo di me, lo sguardo
abbassato su un giornale appena comprato.
«Non è bellissima?» chiedo.
«Che?» risponde, senza staccare gli occhi dalla prima pagina.
«Rome!»
«Io la trovo un po’ malinconica, con tutte queste rovine…»
Irritante come sempre. Non importa, oggi ho altro per la testa. Finalmente siamo arrivati alla
Capitale Ancestrale, papà e tutti gli altri sono vicinissimi, lo sento. Se chiudo gli mi sembra
quasi di udire le loro voci in lontananza che mi chiamano.
Sto arrivando.
«Il giornale non dice niente di nuovo» commenta Marcus, probabilmente rivolto a se stesso
«Durante il periodo della nostra gita per i boschi la frequenza delle sparizioni si è mantenuta
pressoché costante, e gli investigatori brancolano ancora nel buio. È un sollievo. Pensa se
dopo tutta questa fatica fossimo arrivati qui solo per scoprire che il caso era già stato risolto
da un paio di giorni.»
«Trovare la mia famiglia sana e salva ad aspettarmi a braccia aperte? Non sia mai! Sarebbe un
colpo basso per l’ego del gran mago reale Marcus.» lo rimbecco acida.
«Almeno abbiamo la possibilità di fare un po’ gli eroi. Guarda.» finalmente il ragazzo decide di
alzare la testa. Ha un’espressione strana, indecifrabile «A pagina tre c’è una foto del tuo
villaggio.»
All’improvviso è come se una palla di ferro mi fosse scivolata giù per la gola e mi si fosse
bloccata nello stomaco. L’ultima cosa che vorrei in questo momento sarebbe mettermi a fare
scenate in mezzo a questa folla. Scuoto la testa con energia.
Il sadico bastardo fa spallucce.
«Come preferisci, leggerò io l’articolo con calma mentre saremo in viaggio.»
«Viaggio? Andremo al palazzo in carrozza?»
«Meglio.» un’altra faccia strana, questa volta molto più sorniona.
Guardandomi di sottecchi, il mago estrae la stilografica e inizia a scarabocchiare qualcosa
direttamente sul giornale. Le uniche parole che riesco a leggere da sopra le sue spalle sono
vocaboli come pelliccia oppure coda. Per qualche motivo tutto questo mi inquieta.
Di punto in bianco le poche righe scritte a mano rizzano la testa, animate di vita propria, e si
contorcono a mezz’aria sinuosamente. A meno di un passo da me sono comparse dal nulla due
creature enormi, delle dimensioni di orsi adulti.
Sono tondeggianti, ricoperti interamente da fitti peli color mattone, hanno occhi sporgenti e
nerissimi grandi come pugni, musi da topo con lunghi baffi e, infine, una lunghissima e soffice
coda. Insomma, sono…
«Scoiattoli?»
Molti passanti si fermano ad osservarci. I più spudorati addirittura battono le mani, forse
pensano che Marcus sia una specie di saltimbanco. Un buffone esibizionista lo è di sicuro.
Cosa ci dovremmo fare con due roditori formato famiglia?
Uno dei due bestioni mi si avvicina annusandomi con curiosità. In infondo non sono poi così
male, anzi quasi quasi mi vene voglia di fargli una carezza.
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La creatura si alza in piedi sovrastandomi di un metro buono, con le zampe anteriori mi sfila
delicatamente la custodia del violino vecchio dalla spalla e, con tutta l’innocenza del mondo, se
lo infila in bocca. Rimango perplessa, mi ci vuole qualche secondo per capire quello che sta
succedendo. Oddio.
«MARCUS! LA TUA LURIDA BESTIACCIA SI E’ MANGIATA IL MIO VIOLINO! SPUTALO BRUTTO MOSTRO!» inizio a
tempestare l’animale di calci e pugni, ma i miei colpi si limitano a rimbalzare sulla pelle
morbidosa.
All’apice della disperazione, una mano calda mi si posa sulla spalla. Mi volto ancora furente.
«Calma, Angelica» sussurra il ragazzo serafico «Qui nessuno si è mangiato niente, osserva.»
Detto questo fa aprire la bocca al roditore, vi infila dentro il braccio intero e, dopo una breve
ispezione, lo estrae reggendo il mio amato strumento.
Abbraccio la custodia di cuoio consunto per accertarmi che sia vera. È proprio lei e non è
nemmeno troppo sbavata!
«Gli scoiattoli, come del resto la maggior parte dei roditori» illustra il mio compagno con un
tono accademico, evidentemente soddisfatto del colpo che mi ha fatto prendere «Sono
provvisti di tasche guanciali che utilizzano per trasportare grandi quantità di cibo, oppure, nel
nostro caso specifico, bagagli.»
Nonostante la spiegazione, mi fa comunque uno strano effetto vedere le valige e i due violini
sparire fra le fauci delle bestiole, che ora, a causa dei rigonfiamenti sproporzionati ai lati del
capo, sembrano davvero mostri deformi.
«Ora possiamo partire?» chiedo.
«Certo. Monta su.»
«Su cosa?» La mia domanda è del tutto inutile: intorno a noi c’è una sola cavalcatura
disponibile. «Stai scherzando vero?»
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A quanto pare non sta scherzando, visto che mi afferra per la vita e mi issa su uno dei due
scoiattoli, senza darmi il tempo di protestare.
«Non avrai pensato di andare a piedi? Il castello è parecchio lontano da qui.» dice, prendendo
il suo posto a bordo.
I due scarabocchi di Marcus schizzano via, a velocità folle, e noi con loro. Il capannello di
curiosi urla e batte le mani più forte mentre ci vede allontanarci.
All’inizio tento un’elegante postura da amazzone, ma in brevissimo tempo realizzo che
probabilmente le amazzoni, ai loro tempi, non avevano mai provato a montare roditori
giganti. La loro andatura non assomiglia neanche lontanamente a quella dei cavalli. Invece che
galoppare procedono a balzi enormi, che scavalcano i passanti.
Mi stringo alla pelliccia rossa fino a farmi sbiancare le nocche e vi affondo dentro la faccia per
non guardare. Gli scossoni sono tremendi e mi si ripercuotono per tutto il corpo.
In un istante di particolare coraggio, apro le palpebre in una fessura sottilissima. Ciò che vedo
non mi piace affatto.
«Ci schiantiamo contro un muro!» la voce mi si spezza in gola e viene portata via dal vento.
Di fronte a noi si parano le porte e le finestre di un edificio terribilmente concreto. Ci stiamo
per schiantare. Che morte del cavolo.
All’ultimissimo secondo il mio destriero si stacca da terra elegantemente, puntando dritto
verso il cielo, le sue unghie fanno presa sul muro e inizia una rapidissima scalata in verticale.
Non saprei se essere sollevata per il mancato pericolo o atterrita dalla visione della superficie
terrestre alle mie spalle.
Comunque il peggio deve ancora arrivare. Terminata l’arrampicata, il mio corridore peloso
non si ferma. Raggiunge il tetto, lo percorre in un lampo e vola oltre.
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L’attrito dell’aria quasi mi stacca dalla sua schiena ed io mi ritrovo sospesa nel vuoto con lo
stomaco risalito fino alla gola a farmi compagnia. Ora sì che recupero la mia voce e do libero
sfogo ad un acuto spaccatimpani.
L’atterraggio sul secondo tetto è violentissimo e il contraccolpo quasi mi scardina il collo.
Anche per quelli seguenti non è esattamente come cadere sulla bambagia.
Almeno potrò avere l’occasione di cogliere la faccia di Marcus spaventata, nemmeno lui può
restare impassibile a questo viaggio verso l’inferno.
Lo cerco con lo sguardo e lo trovo sul mio fianco sinistro, poco più indietro di me. Si tiene
attaccato solo con le gambe e la testa è nascosta dietro il giornale. Quando si accorge che lo sto
osservando abbassa le pagine e mi domanda pacatamente «Angelica, cara, potresti strepitare
un po’ più civilmente? Mi distrai dalla lettura.»
*
Un tempo il Castello degli Angeli era un mausoleo, la tomba di un imperatore del passato. É
diventato un palazzo vero e proprio solo da pochi secoli, quando il così detto “Papa Senza
Corona” decise di scindere una volta per tutte il potere spirituale da quello temporale,
affidando lo scettro del nuovo regno a niente meno che la sua figlia illegittima, Diamante.
Ora, che un papa mettesse al mondo bambine dai nomi ricercati non era poi troppo
inconsueto a quei tempi, ma che affidasse metà del potere della Chiesa nelle mani di una
ragazzina di una dozzina d’anni era qualcosa di inconcepibile, perfino per la società del tempo.
Non per niente il buon pontefice morì misteriosamente a meno di una settimana dalla
donazione.
Tuttavia il regno di Rome rimase, nonostante le continue rivendicazioni degli ecclesiastici.
Nei primi decenni si arrivò addirittura a guerre civili, ma tutte furono puntualmente vinte da
Diamante, grazie suoi incantesimi e a quelli dell’esercito lasciatogli in eredità dal papà. Infatti
sembra che, per quanto la Chiesa consideri tuttora la magia un tabù demoniaco e ne
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rimproveri l’utilizzo, la nostra novella regina fosse una maga provetta, così come tutta la sua
discendenza fino alla Dama di Corallo Bianco e l’attuale capo di stato Oleander.
Finalmente eccoci qui, al Castello degli angeli. Dopo un viaggio così faticoso, le torri
abbaglianti, che sembrano sfidare in altezza i campanili della città, appaiono quasi irreali,
oniriche.
Con un ultimo scossone, i miei scoiattoli atterrano sul ponte di pietra ornato ai due lati di
statue alate e che conduce al massiccio portone di ingresso, passando sopra il fiume che taglia
in due la città. Smonto in fretta, recupero le valige e poi aiuto anche Angelica, che accetta
senza più un briciolo di orgoglio, tenendosi la testa e ondeggiando vistosamente. Non voglio
che i miei incantesimi sporchino questi bei marmi, quindi ordino ai due roditori giganti di
buttarsi fra le acque che scorrono calme sotto i nostri piedi. In qualche secondo le due
macchie nere sono già state trasportate via dalla corrente.
«Se tenete alle vostre vite, tu ed i tuoi amici del bosco dovrete starmi alla larga per un
pezzo…» mormora la giovane ingrata. Non mi degno nemmeno di risponderle o di ricordarle
del nostro legame vitale, mi limito ad incamminarmi con i bagagli in mano e un ghigno
impercettibile sulla bocca.
Durante la breve strada che ci separa dal palazzo, Angelica non smette di guardarsi intorno
come una bambina in un negozio di dolci: quasi casca all’indietro per ammirare le statue d’oro
che sovrastano le mura e le guglie dell’edificio.
All’ingresso due guardie in costume incrociano le lance per sbarrarci la strada. Il loro
abbigliamento è fuori moda da almeno una mezza dozzina di generazioni, come le loro armi
del resto. Probabilmente la loro funzione è solo scenografica.
«Bene» rispondono, dopo averci identificati come il mago tanto atteso da Medhelan e la sua
giovane assistente «La regina Oleander vi aspetta. Potete lasciare qui le valige, portate con voi
solo il necessario per la magia.»
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Angelica non sembra felice di vedersi sottrarre tutte le sue cose, ma, grazie al cielo, esegue
senza lagne e tiene con se solo il violino nuovo.
A questo punto una delle due guardie ci scorta verso la sala del trono.
Dopo avere attraversato una lunga serie di archi a sesto acuto, raggiungiamo quella che
sembra una sala d’aspetto, con un portone alto almeno cinque metri bene in vista su una
parete.
«La regina è stata informata del vostro arrivo, purtroppo però sta dando udienza ad un’altra
persona. Vi prego di attendere qualche minuto il vostro turno» detto questo, la guardia gira
sui tacchi e si allontana sventolando il buffo mantello scarlatto, senza sprecare una parola in
più del dovuto.
Io decido di abbandonarmi su una lussuosa sedia d’oro con braccioli, mentre Angelica
preferisce rimanere imbambolata al centro della stanza.
«È… incredibile… incredibile» sussurra, precipitandosi a osservare il panorama da una grande
vetrata, poi schizzando ad esaminare da vicino un antico candeliere, poi sfiorando con un dito
il profilo di un busto in marmo.
«Certo, certo, però ti prego: cerca di ricordare quello che ti ho insegnato sul galateo.»
rispondo quando, con orrore, la vedo buttarsi in ginocchio per studiare meglio le fibre
pregiate di un tappeto proveniente da un continente lontano.
Lei apre la bocca per controbattere, ma, purtroppo o per fortuna, non fa in tempo.
L’aria intorno a noi è improvvisamente cambiata: si è fatta più luminosa, più consistente,
luccicante. I bagliori dorati e gli sfrigolii di energia magica sembrano convergere in un punto
poco lontano da Angelica, che balza subito sulla difensiva.
Nel punto in cui, fino a qualche secondo fa, c’era solo un tappeto costoso, si materializzano i
battenti e la minuscola serratura di una porticina molto elaborata, tutta di giallo metallo e
pietre preziose. Quando le due ante finiscono di girare sui cardini, aprendosi, dal passaggio
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emerge una figura minuta, con un cestino della merenda sotto braccio, insieme a molte voci
incomprensibili e all’inconfondibile profumo di mercato.
«Ciao Pietro. Le tue entrate in scena fanno sempre un certo effetto.» saluto cordialmente.
Sul viso del nuovo arrivato si allarga un sorriso stupefatto e due occhi infantili si illuminano
felicità;
«Marcus! Che bello vederti, mi stavo proprio chiedendo che fine avessi fatto! Vuoi assaggiare
uno di questi?» mi piazza nelle mani una mezza dozzina di palline di riso calde estratte dai
meandri del suo cestino «Non ho idea di cosa siano, ma sono squisite! Sono freschissime,
vengono direttamente dal Continente dell’Alba.»
Annuisco gentilmente, tuttavia non mi azzardo a dare nemmeno un morso alla pietanza:
l’ultima volta che ho accettato uno dei misteriosi manicaretti provenienti dai viaggi intorno al
globo di Pietro, mi sono ritrovare a masticare paté di toporagno, come mi è stato spiegato solo
dopo aver mandato giù il boccone.
Pietro è un mago molto giovane e a cui si darebbero almeno cinque anni in meno rispetto alla
sua età reale, tanto che la maggior parte della gente a una prima occhiata lo scambia per un
preadolescente. Le sue guance sono completamente imberbi, gli occhi azzurri e perennemente
sgranati, la pelle liscia e rosea ed i capelli biondissimi, quasi bianchi.
«Pita è venuta con te?» domando.
Il ragazzo sbuffa e indica con un gesto vago il portale mastodontico che dà accesso alla sala
del trono.
«Sì, purtroppo. La megera è di là a leccare i piedi alla regina. Io ho già avuto la mia udienza e,
mentre aspettavo che anche lei finisse, sono andato a comprare qualcosa da mettere sotto i
denti.» accenna alle polpette di riso inviolate fra le mie mani. Improvvisamente il suo tono si
risolleva «Parlami di te, Marcus! A quanto sapevo saresti dovuto arrivare a Rome un bel po’ di
giorni prima di me e Pita, invece ti fai vivo solo ora. Che hai combinato tutto questo tempo?»
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«È una storia lunga, te la racconterò in un altro momento. Nel frattempo, permettimi di
presentarti Angelica, uno dei motivi del mio ritardo.»
La ragazza, impegnata a scrutare con sguardo critico il punto in cui una porta di oro zecchino
è appena comparsa dal nulla per rigurgitare un ragazzetto dai capelli bianchi e poi dissolversi
nuovamente, si irrigidisce in evidente imbarazzo.
«Angelica, questo è Pietro, anche lui è un mago di Medhelan.»
La giovane maga piega leggermente la testa e sfoggia il sorriso che le donne riservano ai bei
bambini.
Pietro, invece, si fa avanti serissimo e si esibisce in un baciamano degno di nobili incipriati di
altri tempi. Poi sussurra le parole fatidiche:
«Mi vuole sposare, madonna Angelica?»
La ragazza boccheggia come una carpa asmatica colta di sorpresa.
«Non fare caso ai suoi scherzi puerili, cara. È solo un ragazzetto sottosviluppato che non sa
quello che dice.» I cardini del portone della sala più importante del castello ruotano di qualche
grado e dalla fessura che si genera esce fuori una donna.
Il suo volto di per sé non è brutto, ma è irrimediabilmente sfigurato da una perenne
espressione arcigna che le arriccia il naso e le aggrotta la fronte. I capelli sono modellati in una
acconciatura severa, come severo è anche il taglio obliquo degli occhi e della bocca.
«Questa, invece, amata Angelica,» dice Pietro «è la maga reale Pita Paciana, anche se tutti
preferiscono chiamarla Pitona, visto che è fredda e velenosa proprio come un serpente.»
Pita Paciana sembra non essere intenzionata a rispondere agli insulti lanciati dal ragazzo,
preferisce invece rivolgersi a me:
«Meglio Tardi che mai, Marcus, iniziavamo a perdere la speranza. Hai passato tutto questo
tempo con la tua…» scaglia un’occhiata raggelante verso Angelica «… amichetta?»
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L’amichetta in questione al momento è troppo confusa per rispondere, la sua testa continua a
rivolgersi prima a Pietro e poi a Pita in cerca del filo del discorso.
«Ciao, Pita Paciana» saluto «È sempre un piacere incontrarti.»
La donna mi ignora con calma e questa volta si rivolge direttamente ad Angelica.
«Non stare a sentire questi maschilisti maleducati, cara, sono sicura che noi due diventeremo
ottime amiche. Pesca una carta.» detto questo, estrae da una tasca segreta del vestito un
mazzo di carte da gioco e lo protende verso la mia compagna.
La ragazza sta quasi per accettare. Faccio appena in tempo a bloccarle il polso
afferrandoglielo con decisione.
Pietro risponde per me al suo sguardo interrogativo:
«Pitona è una veggente, oltre che la donna più maliziosa che conosca. Nel momento esatto in
cui lei, mia cara Angelica, avesse preso quella carta in mano, questa ammaliatrice di terza
classe avrebbe saputo tutto di lei, anche i suoi segreti più intimi.»
Angelica si ritrae spaventata, ma ormai è troppo tardi. Ha mostrato debolezza e inesperienza,
l’errore peggiore che un mago possa commettere.
La bocca di Pita si trasforma in una o di stupore per le terribili accuse. Mai vista
un’espressione tanto falsa.
«Come vi permettete di proferire tali calunnie? Stavo solo cercando di fare amicizia. E
comunque avrei scoperto ben poco se la nostra maghetta è schermata come si deve.»
«Cosa vuol dire schermata come si deve?» riesce a domandare la giovane superando la
vergogna.
Nella stanza cala il gelo. Tutti fanno un passo indietro, perfino Pietro. Oh, cavolo.
«Vuoi dire che non hai idea di cosa sia la schermatura?» percepisco nella mia voce tutta la mia
incredulità. Come ho potuto essere così sciocco da dare per scontato qualcosa di così
essenziale?
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«No.» risponde lei candida.
Ancora una volta è Pietro a dare le spiegazione, in questo momento l’unica cosa che io vorrei
dare alla mia giovane apprendista sarebbe un bel ceffone. «La schermatura è un incantesimo,
in poche parole una protezione contro la divinazione. Esistono maghi che hanno il potere di
spiare le persone, di conoscere il loro passato ed il loro futuro, di vedere luoghi nascosti,
leggere libri proibiti, tutto questo solo guardando in una sfera di cristallo, comodamente
seduti alla loro scrivania. Questi maghi sono i veggenti. L’unico modo che abbiamo per
proteggerci dai loro incantesimi, è appunto la schermatura. È sicura di non averla già addosso,
fonte di ogni gioia? Anche i principianti ne hanno una: è la prassi.»
«Che io sappia no…»
«Perfetto!» mi intrometto con rabbia «Questo vuol dire che fino ad oggi qualunque
fattucchiere con un pendolino a portata di mano avrebbe potuto sapere tutto su te e sui tuoi
spostamenti. Hai messo in pericolo la tua e la mia incolumità. L’intera missione potrebbe
essere stata compromessa!»
Angelica si morde il labbro e abbassa gli occhi.
«Suvvia, Marcus, non c’è bisogno di arrabbiarsi così per una sciocchezza del genere.» il volto
di Pita Paciana ora è cambiato: è diventato l’immagine del trionfo «Voi ora andate a parlare
con la regina, che ormai vi aspetta da troppo tempo. Penserò io a creare una protezione degna
di questo nome per la nostra nuova camerata. Fidatevi di me, in questo campo sono la
migliore. Andate, su!»
Ancora più irritato, mi volto ed entro nella stanza del trono attraverso la sottile apertura
lasciata aperta dalla veggente, seguito a ruota da Angelica, con gli occhi ancora puntati sul
pavimento. Alle mie spalle Pitona sorride, affiancata da un Pietro stranamente infelice.
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Seguo a ruota Marcus nella stanza del trono, mordendomi ancora il labbro inferiore. Perché
non ne faccio mai una giusta? Perché a nessuno è mai venuto in mente di parlarmi di questa
maledetta schermatura?
Il nemico potrebbe già sapere che siamo arrivati nella capitale, che abbiamo intenzione di
correre a cercarlo non appena avremo parlato con Oleander. Se veramente fosse così,
potrebbe avere già distrutto tutti gli indizi, potrebbe essere scappato dall’altra parte del
mondo usando un incantesimo come quello di Pietro…
E se, sentendosi braccato, avesse deciso di eliminare tutti i prigionieri?
NO! Non posso pensarci.
«Accidenti! Ero così arrabbiato che…»
Torno in me richiamata dall’imprecazione di Marcus. Sta guardando con raccapriccio le
strane palline commestibili che tiene in mano, probabilmente si è ricordato solo ora della loro
esistenza.
«Prendile, svelta! Mangiale tutte!»
Faccio appena in tempo ad aprire la bocca per dire no grazie, al momento non ho fame, che
subito ci viene infilato un bocconcino di riso, poi due poi tre… Basta! Soffocherò!
«Le porgo i miei omaggi, Oleander, regina di Rome.» dice Marcus mentre si piega in un grande
inchino.
Anch’io faccio la mia riverenza e gorgoglio qualche parola simile, ma ottengo la disgustosa
conseguenza di farmi uscire un paio di chicchi di riso dal naso. Quando finalmente riesco a
ingoiare il groppo di cibo, sono paonazza per la vergogna e per il principio di soffocamento.
Comunque Oleander non sembra accorgersi di niente oppure, più probabilmente, da buona
rampolla di sangue blu qual è, fa finta di niente e risponde con compostezza al saluto.
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La regnante è molto giovane, non più vecchia di me, ma il suo sguardo è fiero come quello di
una leonessa. I suoi capelli sono biondi, non come quelli tendenti al bianco di Pietro, un
biondo sano del colore del grano maturo, e scendono lunghissimi in grandi boccoli. Il volto
longilineo è sormontato da una corona di platino e diamanti, il corpo, tanto sottile quanto
femminile, è avvolto nella seta bianca più leggera che si possa immaginare.
Il trono su cui è seduta è grandioso: è stato ricavato direttamente dal cristallo vivo, che
sembra emergere dal pavimento come un’esplosione. Gli spuntoni più alti della struttura
trasparente si infilzano nel soffitto alto decine di metri. È impossibile che un’opera del genere
sia stata realizzata senza l’ausilio della magia. Seduta su questo trono, Oleander appare come
il cuore palpitante di una enorme stella di ghiaccio.
«Siamo profondamente dispiaciuti per il ritardo, mia signora. Solo incidenti gravissimi hanno
potuto impedirci dal precipitarci subito alla vostra maestà.»
«L’importante è che stiate bene, mago reale Marcus. La vostra assenza mi ha fatto temere per
la vostra sicurezza. Sono molto felice che siate arrivati sani e salvi.»
La voce è quella della donna potente, e tutta via comprensiva, sagace, sebbene discreta. È la
tipica fanciulla per la quale i bardi farebbero a botte fra loro pur di scriverne le lodi.
«Il nostro viaggio da Medhelan è stato più avventuroso del previsto, oltre che più lungo.» A
questo punto, il mago si dilunga a raccontare la nostra epopea per stazioni ferroviarie e
foreste. Racconta una storia quasi veritiera, il che è sorprendente considerando le abitudini
del mio compagno. L’unico dettaglio importante che tralascia è dire che io sono una degli
abitanti di quel piccolo e miserevole villaggio sperduto fra i boschi in cui il mago reale è stato
obbligato ad intrattenersi. Lascia così intendere che sono invece la sua goffa ma promettente
apprendista che si è unita al viaggio all’ultimo momento e che per questo la regina non è stata
informata. La solita mezza verità e quasi bugia di Marcus.
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Mentre il ragazzo procede nel suo racconto, io sono libera di guardarmi intorno. Anche se il
trono monumentale e la sua occupante sono dotati del dono di attirare gli sguardi dei
visitatori, tutto sommato il resto dell’ambiente non è poi particolarmente interessante
rispetto ad altre aree del palazzo.
«E così la ragazza è sprovvista di schermatura?»
Torno di colpo alla realtà, trafitta dagli occhi da gatto della regina. Non sono azzurri, come
avevo dato per scontato, e neppure marroni. Sono del colore dell’oro fuso, ed enormi, tanto
che perfino da questa distanza posso distinguerne ogni singola screziatura.
Anche Marcus mi osserva, scuotendo la testa.
«Be’, non credo che sia una mancanza troppo disastrosa o irrimediabile.» La voce della regina
è serena quanto mai.
Sia io che il mio compagno restiamo colpiti da questa affermazione.
«Maestà» si fa avanti il ragazzo, con una cautela che non gli avevo mai visto usare «forse voi
non capite… l’intera missione…»
«Non sottovalutarmi, mago di Medhelan.» ribatte lei perfettamente tranquilla «Credi forse
che io, donna al comando di un intero ordine di veggenti, in tutto questo tempo non abbia mai
cercato di rintracciarti? Sapevo fin dall’inizio che eri con Angelica e che questa era priva di
schermatura. Se non ho agito, è solo perché non l’ho ritenuto necessario. Non hai nulla da
rimproverarti, giovane apprendista.»
Il cuore mi fa una capriola in petto, quando riatterra è molto più leggero di prima. La missione
è salva, posso ancora ritrovare la mia famiglia!
«Per dire questo,» azzarda
Marcus «voi dovete già essere in possesso di qualche
informazione segreta riguardo a questa faccenda.»
«Certo» dichiara Oleander. Dall’inizio del colloquio non ha mai cambiato espressione facciale.
La sua bellezza è quella di una statua. «Dopo molti giorni di lavoro, i miei veggenti sono
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riusciti a divinare l’attuale posizione dei rapitori. Siamo certi che si trovino proprio qui, a
Rome.»
Papà e gli altri sono qui? Improvvisamente mi sento un animale in gabbia. Perché me ne sto
ferma, a ciarlare nel bel salone di una regina mentre i miei fratelli sono tenuti prigionieri?
Dovrei essere per le strade a ribaltare la città.
«E c’è di più» continua la donna «collaborando con l’abilissima Pita Paciana, proprio oggi i
miei maghi sono riusciti a circoscrivere due aree dove potrebbe trovarsi la sede di questa
organizzazione. Sono due zone in cui si stanno concentrando strani flussi di magia, e siamo
sicuri che almeno uno di questi conduca al nostro obiettivo. Siete arrivati in ritardo, ma giusto
in tempo per dare una mano con l’azione vera e propria.»
Non potevo sperare di meglio. Che stiamo aspettando? Corriamo a prendere quei bastardi!
Tuttavia Marcus resta scettico:
«I veggenti sono davvero riusciti a ottenere informazioni così dettagliate?» solleva le
sopracciglia «non deve essere un’organizzazione troppo seria se è dotata di schermature così
deboli.»
«O forse i miei maghi sono semplicemente più potenti. Ho piena fiducia in loro.»
Nonostante queste congetture, la fronte del ragazzo resta stolidamente aggrottata. So
benissimo a cosa sta pensando: macchinazioni del tipo sembra tutto troppo facile, ci deve
essere qualche tranello sotto o peggio sembra quasi che vogliano farci sapere la loro posizione,
che vogliano essere trovati.
Sinceramente non m’importa molto di queste ipotesi, ora ho solo bisogno di buttarmi nella
mischia, di essere attiva. È da troppo tempo che non faccio qualcosa di squisitamente concreto
e sto iniziando a stancarmi.
«Appena usciti da qui» ordina la dama bianca «mettetevi d’accordo con i vostri due colleghi
per dividervi in due gruppi e iniziare subito ad investigare. Potete recarvi sul posto
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direttamente, ho già dato disposizione perché i vostri bagagli siano portati nelle camere del
lussuoso albergo che il nostro regno è lieto di mettere a vostra disposizione. Ora andate, avete
la mia gratitudine e la mia benedizione.»
Facciamo per voltarci e lasciare la regina sola.
Mi rendo conto di un piccolo particolare, di qualcosa che non va in questo palazzo. Forse
stordita dal brivido della caccia, mi azzardo ad aprire la bocca, per la prima volta da quando
siamo al cospetto di Oleander:
«Mia signora, mi sono accorta solo in questo momento che in questa stanza non ci sono
guardie, e anche all’esterno ce ne sono pochissime. Sono tempi difficili, ora che anche i
Quattro Scudi d’Argento sono venuti meno. Cosa fareste se veniste attaccata?»
Mentre Marcus si prende la testa fra le mani, per un attimo, solo un attimo, mi pare di vedere
un’ombra correrle sul volto nel sentire il nome dei quattro maghi scomparsi. Poi gli occhi le
tornano subito luminosi, facendomi pensare di essere in preda alle allucinazioni. Quale evento
potrebbe mai turbare l’alabastro del suo viso?
«Io sono considerata da molti un’ottima maga, so difendermi benissimo da sola. In ogni caso,
anch’io ho i miei angeli custodi. Guarda meglio.» risponde.
Inizialmente non capisco e scruto disorientata gli angoli del salone. Poi quasi mi prende un
colpo.
Non siamo soli nella stanza: oltre a noi e Oleander sono presenti altre quattro persone.
Uno di loro è seduto ai piedi dell’immenso trono, è piccolo, appena un bambino. È vestito con
semplice eleganza, ha un ciuffo di capelli castani e occhi azzurri intelligenti, che ci scrutano
con curiosità. Tutto sommato sembrerebbe un normale paggetto, facile da non notare se nella
stanza è presente la splendente regina.
Gli altri tre personaggi passano decisamente meno inosservati. Sono una triade di giovani
donne posizionate poco lontano dal paggio, in gruppo. Indossano indumenti dei colori dei
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boschi, grezzi e scollati, del tutto inadatti alla vita di palazzo, oltre a monili di metallo o osso.
Tuttavia sono le loro capigliature gli elementi più sorprendenti in queste strane creature:
elaborate, ma selvagge, costituite da un armonico insieme di treccine, penne, nastri colorati,
perline, striscioline di cuoio, ossa di piccoli animali, campanellini e svariati altri gingilli
luccicanti.
Evidentemente sulla stanza aleggia un qualche incantesimo in grado di nascondere agli occhi
degli ospiti paggetti, donne dall’aspetto primordiale e chissà che altro, almeno finché la dama
del Castello degli Angeli lo desidera.
«Sono lieta di presentarvi la mia guardia reale» indica con un gesto ampio i quattro individui
apparsi dal nulla «Queste tre signorine provengono dalla tribù degli Elves, nelle Isole del
Nord, dove per i loro poteri sono considerate quasi divinità.» Le Elves ci osservano in silenzio
dalla testa ai piedi, come falchi «Questo fanciullo invece, se possibile, è un mago ancora più
interessante, capace addirittura di leggere nella mente grazie a un incantesimo molto speciale.
Come potete vedere, dispongo di tutta la protezione di cui ho bisogno.»
Io rimango ipnotizzata dall’apparizione. Vorrei fare altre mille domande, chiedere delle Isole
del Nord, chiedere quanti bambini al mondo sono in grado di leggere nella mente… La mano di
Marcus si appoggia con decisione, oltre che irritazione, alla mia spalla. A quanto pare per oggi
sono stata abbastanza indiscreta, e poi ho cose più importanti da fare: devo salvare un
villaggio.
Decido di congedarmi e, con il ragazzo impaziente che continua a sospingermi da dietro
temendo un mio ripensamento, ci avviamo verso l’uscita.
«Vi auguro buona fortuna, Marcus da Medhelan e Angelica da Villaggio. Il destino di Rome è
anche nelle vostre mani.»
Solo dopo qualche passo mi accorgo di una stranezza nel saluto di Oleander. Marcus da
Medhelan e Angelica da Villaggio. Questo significa che la donna sapeva fin dall’inizio da dove
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provengo in realtà. Deve essere più furba, educata, potente ed informata di quanto
immaginassi.
Avverto chiaramente il mio compagno irrigidirsi al mio fianco.
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