Corso Bioetica - Movimento Celestiniano L`Aquila
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Corso Bioetica - Movimento Celestiniano L`Aquila
Corso Bioetica Padre Quirino è frate francescano, come vedete anche dalla divisa, dall'abito o dalla seconda pelle come molti frati amano chiamare il saio. E' stato ordinato sacerdote quasi una cinquantina di anni fa'. Fra cinque anni festeggerà le nozze d'oro della sua ordinazione sacerdotale. Ha conseguito la licenza in teologia presso l'Ateneo Lateranense di Roma. E' della comunità francescana dei frati minori dell'Aquila. Ci sarebbero altre cose da dire, ma mi limito a citarne alcune che presentano, con alcuni titoli, quello che il Padre ci dirà. E' giornalista pubblicista, è Direttore della rivista "La Perdonanza" periodico di storia, spiritualità e attualità del Centro Internazionale Studi Celestiniani (al suo 20° anno di vita), è membro della Commissione "Giustizia, Pace e Integrità del Creato" dell'Ordine dei Frati Minori, è conferenziere e relatore in diversi convegni nazionali e internazionali. Nel 1986 Padre Quirino ha rappresentato i cattolici europei con i Capi delle religioni presso il Palazzo di Vetro dell'ONU. Un incontro propedeutico all'incontro stesso di Giovanni Paolo II con i Capi delle religioni ad Assisi. Normalmente, non certo voi, si pensa alla bioetica come quella scienza fluida che ha a che fare con il malato, la malattia, l'eutanasia, l'aborto, diciamo con l'aspetto clinico della vita dell'uomo. Ebbene non è così, la bioetica ha a che fare con il bio-regno, quindi con l'uomo in quanto tale, come creatura in riferimento al creato, quindi nei confronti di se stesso, nei confronti degli altri, nei confronti degli animali e nei confronti dell'ambiente. Il libro della Genesi sottolinea che il Signore ha fatto ogni cosa buona e bella, ha messo l'uomo nel "Giardino dell'Eden" e gli ha dato la responsabilità di curare il giardino che il Signore stesso ha messo nelle sue mani. Ebbene, cogliamo anche la sfida che il Padre eterno ha dato all'uomo di essere responsabile della "madre" terra. Se vive lei viviamo anche noi. Oggi, purtroppo, si sono invertite le parti, stiamo vivendo in una situazione particolare in cui l'uomo da "custode del giardino" è diventato un "creatore di deserti". Mi fermo qui, ringraziamo Padre Quirino per avere accettato l'invito e ascoltiamo quello che ci può suggerire e su cui poi riflettere. LA MADRE TERRA E' MADRE O MATRIGNA? L'UOMO E' FIGLIO O FIGLIASTRO? Grazie per questa lusinghiera presentazione, ora vediamo se riusciamo a dare una piega di meditazione, addirittura di preghiera a quello che andiamo dicendo. Ci suggeriamo a vicenda dei motivi che possono creare delle consapevolezze, soprattutto spunti di riflessione su dove siamo posti, come, quando, cosa fu prima, cosa sarà dopo di noi. E' un gioco che facciamo con la nostra mente, senza appesantirla di chissà quale livello di conoscenze o di responsabilità. Iniziamo il gioco in una maniera che ci è congeniale: non intendo parlare a nome mio o a nome vostro, vi parlo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, fonte di ogni sapienza, di ogni bene e di ogni benessere. Il tema che mi avete assegnato si inserisce nell'ambito della ricerca, tra le culture dominanti e le cattedre, tra le aspettative di senso del vivere e le molteplici delusioni. Figli o figliastri? La domanda non si pone, e neanche il dubbio, figli soltanto. Sull'ombra del figliastri, assistiti dallo Spirito Santo, speriamo di poter gettare un raggio di luce. Il termine terra lo consideriamo nell'accezione più ampia della percezione del nostro habitat, dove evolve e si esprime la nostra vita. Per terra intendiamo una parte per il tutto, termine di sintesi che riguarda la creazione e quindi la vita. Da questo punto si irradia ogni nostro pensiero, ogni nostra ricerca, soprattutto, da questo punto parte tutta la nostra speranza. Nella cultura mesopotamica, quindi riflessa anche nei testi sacri del popolo eletto, terra e carne spesso significavano la stessa cosa. L'uomo carne-terra, quindi, l'uomo come principe creaturale; carne come luogo il più ravvicinato allo spirito. Carne abitata dallo spirito. Spirito di vita. Nella intenzione di facilitare, spero di non complicare la nostra riflessione. Non consideriamo la terra come semplice elemento materiale, ma la intendiamo come simbolo della creazione abitata dallo spirito. L'uomo è il simbolo della terra in quanto è carne abitata dallo spirito. La riflessione sulla vita la dispieghiamo su questa consapevolezza, sull'unità di natura visibile-invisibile, spirito e materia, realtà ferita dal dualismo manicheo che separava l'una e l'altra cosa. La scienza oggi potrebbe aiutarci a rivedere questa scucitura, quando riconosce di non sapere dove finisca l'uno e cominci l'altra. La creazione e la redenzione sono due termini che indicano la fatica del vivere, che significa riunire, rimettere insieme, armonizzare. Perché la creazione essendo stata amata è già redenta e ha bisogno che ne siamo consapevoli per esserne felici. La vita non può prescindere né dalla terra né dallo spirito che la abita. La coscienza del "sé" e del "non sé", del "altro da sé", l'abbiamo soltanto con l'esperienza della terra. Meraviglia è vederci "un po' di terra" e non soltanto terra. E' da qui che inizia tutta l'evoluzione di pensiero che poi sarà illuminato e sorretto dalla fede. E' tutta la voglia che la vita ha di proiettarsi nell'armonia del visibile e dell'invisibile. Progetto funzionale. Percezione della bellezza e desiderio di gioia. Bisogno insopprimibile, necessità antropologica. Secondo il pensiero dei filosofi la materia veniva chiamata res estensa mentre noi, viventi razionali, saremmo la res cogitans. Ma se la nostra mente non possedesse quel minimo di una molecola che le permette di funzionare saremmo talmente scemi, che non ci sarebbe permesso assolutamente di capire niente. Questo ricadere nella polvere e questo riemergere continuo, questa risurrezione, questa transfigurazione, in fondo è tutta la dinamica della vita. La scienza può rendere un buon servizio alla causa della visione contemplativa del creato. Intanto, lo scienziato, il fisico, il chimico ci fanno intravedere, su questa corteccia della terra, meraviglie inaudite e che a noi, per questa nostra riflessione servono per farci chiedere: questa meraviglia è soltanto lì, nella carne o è anche nello spirito? Fino a che punto è della carne e non è dello spirito? Fino a che punto è dello spirito e non appartiene alla carne? Oggi si ritiene che l'universo in cui viviamo sia nato da una esplosione intorno a 13,7 miliardi di anni fa, in un punto infinitesimo del presunto vuoto assoluto e non vi sia alcuna regione dello spazio-tempo priva di campi fisici, di energia oscura, di materia oscura o virtuale. Termini ancora più misteriosi di quanto comunemente ci è dato di capire. A confronto con questa enigmatica materia oscura, la materia che conosciamo, quella che osserviamo, quella fatta cioè di atomi, sarebbe non di più del 5%. Il 95% della materia non fa parte della nostra percezione. Ed io mi chiedo: Se questa materia composta di atomi rappresenta un 5% della materia esistente, siamo immersi soltanto nella terra o anche nella materia invisibile?. Quando gli scienziati ci parlano di quel Big-bang creativo se non ci fosse stato il pre-tempo e il pre-spazio (dico semplicemente qualche dato, non intendo approfondire questo che dovrebbe essere un argomento specifico), se non fosse stato quel numero 10 a meno 40 come forza negativa, esponente alla quarantesima potenza segno meno, contrapposto alla matrice della vita che è il numero 10 alla quarantesima potenza segno positivo, non avremmo l'equilibrio esistenziale, non comparirebbe niente. Quale "mente" aveva voluto una materia che si offrisse alla nostra osservazione? E noi, gli umani, creature, nella stessa materia, attrezzati di organi appropriati semplicemente per quel 5%? Nessuna attrezzatura, nessuna coscienza proporzionata e compatibile con l'altro 95% di materia invisibile? Mistero! La scienza con queste misurazioni rende un buon servizio ma non è certo questo risultato che in qualche modo illumina il mistero. Lo dilata per esprimerne la grandezza incommensurabile. Attraverso questa briciola di terra, per misericordia, ci è dato di alludere a tutto l'altro creato, oltre l'universo, oltre il cosmo. Soltanto duemila e quattrocento anni fa, nella Grecia di Democrito si era pensato che l'atomo fosse il limite ultimo della materia, ma alla fine dell'Ottocento, abbiamo scoperto l'elettrone e si è andata gradualmente precisando la struttura interna dell'atomo di cui anche la vita è fisicamente composta. Ma la vita non può essere ridotta a materia. Quando parlo di un mistero dell'atomo e dico che è infinitesimamente grande, è un "cosmo" già di per sé. E se lo dico soltanto a riguardo di quel 5% della materia visibile, cioè misurabile, si intuisce facilmente il perché di quel mistero che comincia ad allargarsi con altre proporzioni. Oggi sappiamo che l'atomo stesso è praticamente vuoto essendo la sua massa concentrata quasi tutta in un nucleo più piccolo centomila volte della sua corteccia elettronica. Sono distanze stellari nel microcosmo, di cui noi siamo fatti. Gli elettroni, a loro volta, descrivendo un orbita intorno al nucleo, emanano costantemente energia e quindi si avvicinerebbero sempre più al nucleo se l'energia dell'orbita, dal vuoto quantistico, non compensasse quella perduta nell'attrito, nel moto orbitale. Gli elettroni sarebbero rischiacciati verso il nucleo, eppure mantengono costante la specifica distanza. Nella fase intermedia non ci sono forze, ma ci sono segnali, cioè comunicazioni non riducibili all'energia, ad elettromagnetismi, ma informazioni riguardanti il DNA. Come fa un elettrone a decidere con quale frequenza vibrare quando passa da uno stato stazionario all'altro? Sembra che si debba supporre che l'elettrone sappia in partenza dove andrà a finire. E' Ernest Rutherford a farlo notare a Niels Bohr nel lontano 1913, chiedendogli con sottile ironia, se per caso non gli fosse sfuggito. Il DNA della corteccia del nucleo di atomo possiede informazioni capaci di cambiare il proprio DNA, la sua essenza chimica, in tempo reale. Per informazioni e non per trasmissioni. Non per impulso o per energia, ma per informazioni. E' nient'altro che il grande discorso attuale sul DNA. La scienza pensava di avere conosciuto tutto del DNA, gli scienziati pensavano di avere in mano la chiave della vita, ma avevano conosciuto "qualcosa" del DNA. La catena del DNA pareva conosciuta per un 10%, adesso pare conosciuta soltanto per un 2%. Il restante 98% rimane ancora assolutamente mistero indecifrabile, non misurabile perché non riguarda più il flusso di energia, ma riguarda l'informazione. Pensate che le nostre proteine del DNA perdono cinquemila caratteri ogni giorno e vengono puntualmente reintegrate, riscritte e ricorrette assicurando la continuità della vita. Tutto questo non essendo misurabile ed essendo in una relazione continua, cioè non ci sono tempi di reazione, è tutto istantaneo, contemporaneo e in tempo reale. Ogni volta che l'osservazione di laboratorio, quella fisico-matematica, quindi teorica, tenta di fare questa indagine, la cellula che analizza deve strapparla dai miliardi di relazioni che ha con il tessuto vivente, relazione, messaggi, reazioni che si intersecano senza annullarsi e senza interferire. Relazioni e informazioni pulite, nitide. Una volta che la cellula viene staccata e tolta dalla sua relazione vitale, quella cellula non è più quella che rappresenta la vita. Ricordo che nell'incontro dello scorso anno facemmo questo esempio: è come se uno volesse gustare un canto della Divina Commedia da un mucchio di lettere che in passato utilizzavano i tipografi. È come se uno, guardando come sono fatte le note musicali, pretendesse di ascoltare le sinfonie di Beethoven. E così, lo scienziato, prendendo e analizzando delle cellule forse aveva presunto di capire il mistero della vita. Faccio altri esempi, sempre per motivare la nostra meraviglia e per aprire il cuore al senso delle cose. Ci sono molti uccelli che possono viaggiare anche di notte, a cielo coperto, indipendentemente dalle condizioni atmosferiche, perché hanno un orientamento tale da sfidare tutti i campi magnetici che attraversano (pensate ai fili dell'alta tensione). Ultimamente sono stati fatti degli esperimenti con il famoso piccione viaggiatore (mezzo utilizzato fin dall'antichità per veicolare messaggi). Hanno provato a mettere un micro-cip alla zampetta del piccione, ma il piccione non è ritornato alla base di partenza. C'è una tale interferenza di campo magnetico con la bussola inscritta nel loro DNA, e il "guasto" procurato dal micro-cip è talmente alto da fare perdere l'orizzonte al povero colombo. Non ritorna perché non riesce più a rintracciare la strada. Colombi della stessa famiglia, senza il cip, ritornano alla base di partenza. Il cip, quindi, rappresenta il "guasto" di campo magnetico. E' pur sempre un' ipotesi, ma questa interferenza esiste e il disorientamento è un fatto. Ancora, l'esperimento delle anguille, che dall'Europa partono e ritornano nel luogo di nascita senza mai sbagliare la strada. Lo stesso esperimento del colombo viaggiatore è stato riproposto ad una qualità di farfalle che dopo essere venute al mondo durante l'estate in due lontane località del Nord-America, tornano alla fine di agosto a svernare in una ristretta zona montana ad ovest di città del Messico. Analizzata la farfalla morta, la scienza non trova niente. Non sappiamo come sia fatta questa misteriosa bussola, eppure c'è e funziona con estrema precisione. Sono proprio tanti gli esempi di processi biologici infinitesimali. I mitocondri, sono minuscoli elementi ancestrali, potremmo definirli la centrale elettrica di ogni cellula umana, degli animali, delle piante, dei funghi, dei protozoi. Fanno parte di tutto il rifornimento elettronico della vita umana, quindi delle cellule viventi dell'uomo, dell'animale, delle piante. La loro densità elettronica è stata stimata intorno a (dieci alla sedicesima potenza) elettroni per centimetro cubo. Questo non impedisce alla catena respiratoria della loro membrana, nell'ultimo tratto del suo percorso, di governare singolarmente il trasporto di ciascun elettrone verso l'accettore finale, l'ossigeno molecolare. C'è questa membrana nei mitocondri, una centrale elettronica, e il suo nucleo che reagisce con l'ossigeno. In queste reazioni chimiche della membrana non c'è nessuna interferenza. E' come se da questo laboratorio partisse un satellite senza disturbare il microfono, senza interferire con altre reazioni ed altre informazioni con l'ossigeno esterno, processi necessari a tutte le forme di vita. Analogamente, le lucciole, insetti particolarmente noti per la loro caratteristica luminescenza, sono animaletti dotati di speciali organi addominali nei quali avviene una reazione chimica organica con la sintetizzazione di un enzima chiamato luciferasi. Emettono un quanto di luce per ciascuna molecola. Il colore della luce, della sua lunghezza d'onda, è determinato, nelle diverse specie di lucciole, dalla composizione chimica dell'enzima. E' il meccanismo che regola la retina del nostro occhio, infatti, anche nella retina dell'occhio umano sono singoli fotoni ad avviare le prodigiose reazioni a catena, funzionali per la nostra percezione visiva. In un nostro sguardo miliardi di reazioni chimiche attivano un procedimento elettronico a catena, in un tempo reale; in milionesimi di secondo si ha una reazione chimica e un adattamento tale da rendere acuta la vista, cioè la messa a fuoco. I bastoncelli retinici, molecole proteiche, assorbono un fotone di luce e riescono a modificarsi fino al totale cambiamento della loro intera configurazione chimica. Di fronte ad un minimo pericolo, per esempio di fronte ad una luce più forte o nel passaggio dall'oscuro alla luce, cambiano il loro DNA chimico e non la forma. Noi vediamo soltanto esternamente questa lente, ma all'interno, nei bastoncelli retinici si ha un processo chimico-fisico-morfologico-informativo sorprendente. Al cervello viene trasmesso in tempo reale cosa sta accadendo. La nostra retina quando stentiamo a vedere nella semi-oscurità, diventa un frenetico laboratorio di faticoso adattamento per offrire la possibilità di vedere. Oggi attribuiamo un grande potere alla genetica chimica, ma piante e insetti, aggrediti chimicamente, riescono spesso a mutare il loro corredo genetico. E' questo che non ancora conosciamo della vita che è azione continua. Tante le definizioni della vita: luce, corrente, energia ... tutti hanno capito che la vita è movimento. Certo, farebbe più comodo alla ricerca e alla metodologia empirica se la si potesse ridurre a fissità, bella, ferma e piatta per assoggettarla al totale dominio della scienza, ma poi non sarebbe più vita, sarebbe cadavere, cioè quello che è rimasto del senza vita. Per fare un altro esempio: quando diciamo che piante e insetti diventano resistenti ai veleni a cui sono esposti o parliamo di resistenza dei microrganismi agli antibiotici siamo di fronte ad un chiaro esempio di straordinario adattamento genetico. L'esigenza di laboratorio, abbiamo detto, incatena nella fissità il concetto di vita. Invece il nostro organismo può vivere solo in un continuo scambio molecolare con l'esterno. Il rifornimento molecolare avviene essenzialmente attraverso la superficie respiratoria, polmonare e quella intestinale, alimentare. E' vero che ogni organismo vivente reagisce, ha questa qualità di adattamento, ma oggi è sottoposto ad una sfida di adattamento che va verso l'inverosimile. Una parola su questo argomento mi sembra doverosa per incoraggiare un'appassionata riscossa di coscienza, visto che si è tentati, anzi addestrati ed istruiti a dire che nessuno possa farci niente. Io penso che questo dipenda da un assopimento proprio della forza reattiva della nostra consapevolezza, della nostra coscienza perché non è possibile che la vita possa adagiarsi sul sistema di morte. Vediamo che la vita reagisce sempre. Da "vivi" dobbiamo reagire alla mortificazione culturale mimetizzata nell'arte di addormentare le coscienze, per evitare che la logica della morte prevalga sulla logica della vita. Penso che sia questo l'argomento determinante per verificare se siamo o non siamo responsabili, e se la responsabilità investe pienamente il vivere dell'uomo su questo pianeta. Tutto il creato ci si presenta come una meraviglia. La meraviglia non presuppone necessariamente una grande conoscenza teorica. Non dalla scienza teorica proviene, se non come possibilità, la capacità di meravigliarsi, la capacità dello stupore, il gusto, il godimento contemplativo, l'estasi. Nel nostro tempo diciamo di essere progrediti, ma non certo in questo campo e in questa direzione. Siamo piuttosto sotto anestesia, per cui i bisogni sono bisogni indotti, sono quelli funzionali alla produzione e ai consumi. La terra ne fa le spese. La terra che non è più natura, è pattumiera. E' chiaro che intendo scuotere e vivacizzare la nostra riflessione. La parola "natura" significa nascita o meglio "nascita della luce". Luce allo stato nascente. E la natura, è luce allo stato nascente - (Ur significa luce - è un termine semitico, è stato ereditato nella Bibbia, come in tutta la cultura mesopotamica "la "Ur dei Caldei, l'est dei Caldei" - lì, da dove viene la luce, diremmo il nostro oriente). Se la nat-ur-a - ha questa radice, la terra non è estranea al processo della luce. Uno degli ultimi risultati della scienza, molto sorprendente, è stato che la materia se viene sottoposta alla velocità della luce diventa luce, cioè perde la sua materialità. E' bastata questa affermazione, questo dato scientifico ad avviare in me una riflessione affascinante. Ve ne faccio partecipi. E se tutto l'invisibile fosse materia ad alta velocità divenuta luce? Se la materia fosse vista nella possibilità di prendere velocità e diventare luce? Qual è il punto discriminante tra il prima di essere luce e il dopo diventata luce? E la materia diventata luce che cos'è? Dove è andata la materia se proprio nell'atto dell'annichilazione non esistono più gli elementi che la caratterizzano? Se la materia che corre come luce si annichilisce e l'annichilazione non è che emissione di luce, allora la luce stessa non è che materia che corre come luce. Se annichilita dalla velocità la materia diventa luce, la natura va verso la luce. San Paolo dirà: "tutto il creato anela a diventare luce". E non era uno scienziato! Quando lo spirito di Gesù, quell'uomo di Nazaret, si rivolge al suo pubblico dirà: "Io sono la luce del mondo". Sul monte Tabor Gesù prende forma di luce . Altra cosa che a me affascina tanto, è lo studio della sindone. Dopo essere stata più volte sottoposta a sofisticatissime analisi, studiata nei minimi particolari, la scienza ha concluso che su quel telo non ci sono elementi aggiuntivi, (colori, tinte o altro....) l'ipotesi più universalmente accreditata è che sia presente una impressione fotografica. Fenomeno luminoso, quindi. E se il Signore da quel sepolcro, risorgendo,nella sua esplosione di luce, i suoi vestiti fossero rimasti impressi fotograficamente? Tante persone hanno raccontato l'esperienza della morte, quando si erano sentiti più di là che di qua, tutte hanno parlato della grande luce dove si erano come affacciate. Personalmente come cappellano nell'Ospedale Psichiatrico di L'Aquila e della Casa di Riposo per Anziani, ho assistito tanti in punto di morte, posso testimoniare infiniti segnali di luce negli occhi e sul volto dei morenti. Quanti hanno riso per l'assurda contraddittorietà della madre di Gesù "vergine". Ultimamente ho assisto ad un intervento chirurgico con raggi laser ed è stato impressionante vedere come si può andare a colpire un tessuto interno senza ledere l'esterno. Senza toccare la pelle si può disintegrare un calcolo. Una meraviglia, stavo per dire, un miracolo. E se quell'incarnazione del Signore fosse stata "luce", lasciando intatti i tessuti di Maria? Se quella sua nascita, quel "venire alla luce" fosse stata questa "uscita di luce"? Sono realtà che riguardano la terra, la carne... Il mio spirito riguarda la mia carne, non è fuori e non ne è estraneo. La resurrezione sarà un fatto di luce, visto che la materia va verso la luce. Un insigne quanto umile scienziato, vivente, Aldo Sacchetti, ateo praticante convertito alla fede, afferma perentoriamente, con l'autorità che gli è consentita da una vita spesa nella ricerca scientifica ed ora nella testimonianza coerente di una coscienza illuminata dalla fede: "noi siamo un grumo di luce". Mi si è illuminato il senso del Natale. Ora saluto con maggiore consapevolezza il "Verbo", luce che si incarna. E canto con più entusiasmo "Veniva nel mondo la luce vera"; quella che illumina ogni uomo". L'Uomo è chiamato ad essere luce. L' uomo sulla terra, che lo sappia o no, è un figlio della luce. La bella notizia del Vangelo è questa: "voi siete figli della luce". E' ancora lecito pensare questa materia così distante dalla sua luce? Lo scienziato mi aiuta a pensare che basterebbe trasportare la materia alla velocità stessa della luce per diventare luce. "Chi segue me non cammina nelle tenebre"..., sono parole vuote o sono anticipazioni profetiche capaci di supplire la nostra cecità e il nostro limite conoscitivo? Noi non eravamo stati chiamati a capire come erano fatte queste meraviglie della natura. Eravamo chiamati a coglierne il significato e a goderne. Sono sicuro che a nessuno fa problema se non sa come funzionano i suoi organi, ma non per questo non può godere di ottima salute. Allora, alla domanda che mi ponete se siamo "figli o figliastri" del creato, rispondo che siamo figli e basta, perché anche la nostra materia porta l'impronta digitale del Creatore e del Padre. Un esempio: chi ha comandato ad ogni cellula di essere così solidale l'una verso l'altra? Esse stanno eseguendo un ordine iscritto, un'obbedienza che genera salute, ordine, bellezza, e se qualcosa si "inceppa" è malattia, è disagio. Pensate ad un'ape, ad una formica, ad un uccello dell'aria, ad un pesce del mare, alle stelle, ai pianeti... il Signore ha stabilito un'obbedienza per questo preciso ordine e loro stanno ancora obbedendo. All'uomo è stato chiesto di condividere quest'armonia, attraverso il suo "sì". Se non facciamo la trasposizione di una lezione applicata alla concreta consapevolezza del vivere, certamente non possiamo ritenerci "figli" "... resteremmo nelle tenebre", ne siamo stati avvertiti : "veniva nel mondo la luce vera ... i suoi non l'hanno accolta", hanno preferito le tenebre. C'è la possibilità, pur di rispettare l'uomo nella sua libertà, che egli dica di no a questa condivisione obbediente. L'ulteriore riflessione, allora, qual'è? La dico brevemente: La terra è rapportata all'uomo non semplicemente come qualcosa di estraneo. In latino c'erano due aggettivi, alius (alieno)e alter (un altro, un secondo), in italiano ne abbiamo uno solo che traduce tutti e due: "altro". Noi quando parliamo di altro speso intendiamo l'altro come "altro da me", ma conosciamo anche la parola "alieno" "alienato" "estraneo". La terra non è un'altra cosa , ma è l'alter, l'altro me. Dire ad una persona che deve rispettare la terra significa che la terra già è considerata altra cosa da sé. Io non dirò mai ad una persona: "devi rispettare la mia mano" perché la mia mano è un altro me, è parte di me. Le leggi stesse dovrebbero educare al rispetto della terra, ma non ci arriveremo mai a rispettarla se prima non capiamo che tutto quello che siamo, è tutto quello che la terra ci ha dato. Dei nostri elementi costitutivi non ne esiste uno che non sia venuto dalla nostra terra. Quindi dire carne o terra è la stessa cosa. Sarebbe opportuno rimeditare l'intuizione profetica di S. Francesco D'Assisi, il creato come il riflesso del volto del Padre, tutte le creature imparentate, coerenti, relazionate interindipendenti. Non diciamo soltanto che la terra ci sostiene, è la nostra ossatura, stiamo su piedi consolidati di terra, siamo figli della terra, elementi della terra, "terra nutrice". Fin dall'antichità, l'iconografia della terra era rappresentata come una donna con migliaia di seni: allattamento primordiale, universale alimentazione della vita. Noi siamo gli allattati dalla terra. L'insediamento umano è sempre avvenuto dove c'era la possibilità di poter mangiare. Questo vale per tutti, animali e uomini. L'abitare non è distaccato dal mangiare, dal nutrirsi; sia l'abitare che il nutrimento fanno riferimento alla maternità. Il rapporto di prossimità tra uomo e uomo non sarà mai riconosciuto se non attraverso la maternità della terra, che avviene molto prima del rapporto tra genitori e figli, perché prima di essere genitori si è stati figli. Si è stati allattati. Ecco allora l'universalità della postura del problema. Il rapporto tra l'uomo e la natura, il più antico, può dischiudersi come rapporto significativo e assiologicamente denso soltanto nel quadro del rapporto inter-umano. Come nella maternità la famiglia viene ricomposta nella gioia se i figli si riconoscono fratelli. La gioia di una madre non è solo quella di vedere il riconoscimento dei singoli figli verso di lei, ma che i figli siano uniti come fratelli, perchè la maternità, nella sua completezza, vuole l'irradiazione d'amore in maniera famigliare. Pertanto, il rapporto tra la maternità della terra con il singolo non si stabilisce se non c'è il rapporto inter-umano in quanto tutti figli di una stessa madre. Per esemplificare: il cibo prima di essere quello che serve al mio bisogno è quello che un altro mi da, mostrandomi in tal modo di avere cura di me, di accogliere la mia presenza come cosa che lo riguarda, che gli è cara. Questo è quanto fa la "madre" terra. Il Signore ha preparato prima il grano poi la nostra fame. C'era prima quell'acqua, poi la nostra sete. Questo rapporto non ha bisogno di rispetto; il rispetto lo posso avere per l'estraneità. Qui si tratta di consanguineità. E' questione di maternità e figliolanza. Se tutto questo non è percepito... se questa terra non è ripensata come maternità di Dio, il nostro sforzo di riannunciare la fraternità tra gli uomini è vano. Siccome la terra è un accadimento gratuito ha tutte le caratteristiche dell'amore. La prossimità dell'altro nei miei confronti, quindi, è lo stesso accadimento gratuito della prossimità della natura nei confronti del mio desiderio, in rapporto alla mia fame, alla mia sete. E' come il neonato che, anche se non se ne rende ragione, ha un accadimento gratuito nel latte della madre, nelle braccia della madre, ancora prima che venga la riflessione, prima ancora di essere capace di dire grazie. Di qui il fondamento di tutta la norma morale e quindi del rispetto e della vera rappresentazione della spiritualità che anima la materia. Se la materia umana non dovesse essere animata da questo riconoscimento, se l'uomo non entra in contatto con la sua terra, con la sua carne, come maternità e figliolanza, sarà difficile ogni altro discorso. L'uomo è questa materia abitata dallo spirito. Le antiche forme di paganesimo e di panteismo (ogni cosa è dio, ogni cosa è bella, ogni cosa potrebbe rappresenta un mito, una credenza ecc.), andrebbero ripensate, in fondo, come insegnamenti importanti di fronte alla nostra barbarie ecologica. Non so cosa avessero in mente pensando all'acqua, ma presso una sorgente erano capaci di ritrovarsi tutti a bere. Sapevano compiere anche delle abluzioni, forse in risposta alle grandi aspirazioni ancestrali di pulizia interiore, dato il grande rispetto per l'acqua, ritenuta sacra quando scendeva dal cielo e quando scorreva sulla terra. L'esperienza, aiutata dal cristianesimo, ci insegna a scorgere la sorprendente soggezione della terra al bisogno dell'uomo. Il segno di una "intenzione benevola"; intenzione di Qualcuno che le ha ordinato di fare così. Una visione che può illuminare tutto il discorso. E' un accadimento gratuito. Non è legato al merito o al demerito. Noi stiamo vedendo che questa terra fa di tutto per dimostrarci amore premuroso. Quando calpestiamo un filo d'erba esso si raddrizza per dire: "eccomi qua, sono per te, di nuovo!". L'uomo, prima di camminare con le proprie gambe è portato in braccio, una corrispondenza della terra al suo bisogno. Da sempre l'uomo, nel cammino della propria vita, è anticipato da una presenza, da una iniziativa gratuita. L'uomo, a mano a mano che vive, si accorge che tutto quello che desidera già c'era. Tutti noi abbiamo conosciuto amore, ma non ce lo siamo preparato. Ci siamo incontrati con persone, che erano accadimenti indipendentemente dalla nostra volontà. Erano già pre-costituite. Sono stati altri sguardi, altre braccia, che ci hanno accolto. Già c'era un'intenzione benevola, che di volta in volta sperimentiamo. Dico una parola a proposito del peccato originale che ci ha fatto rigirare contro la terra; la terra vista come difficoltà esistenziale. Uno strano racconto di quella prima disobbedienza che perdura purtroppo come disobbedienza fisica ..., disobbedienza chimica che genera violenza, guaio, dolore, sofferenza, malattia. La nostra salute è perché tutto in noi collabora in un progetto che è eseguito e obbedito. Obbedienza che si fa salute, armonia, bellezza, benessere. Provate, ad esempio, a pensare se il freno della vostra macchina potesse dirvi di no ad arrestare la vostra corsa in discesa. Si ridacchia, oggi, sul racconto naif della creazione, dove è raffigurato l'albero, la mela, la disobbedienza. Il senso di quel peccato originale, è tutto quello che ci portiamo dentro come tendenza alla disobbedienza. E' il pesante dramma della nostra libertà, possibilità di rifiutarsi ad essere vincolata dall'amore e dalla verità. Come se la nostra ragione potesse essere svincolata dalla logica! Però siamo stati riabilitati tutti in un'altra madre, altra terra, in Maria che ha detto il suo sì per raddrizzare il corso della storia dell'umanità. Questa è la risposta ad ogni tipo di indagine filosofica, teologica e scientifica. Tanta letteratura denigratoria tratta la tragedia del peccato originale parlandone come argomento da salotto, come se Dio avesse proibito di vedere, di toccare, irridendo così la pesante sofferenza dell'umanità. Dio non aveva proibito di godere della bellezza dell'albero della conoscenza del bene e del male, ma aveva indicato di "non mangiare". Il mangiare significava diventare come... significava assimilare l'albero della conoscenza del bene e del male in rivalità con Dio, in rivolta contro Dio, per delirio di onnipotenza. Desiderare di essere come Dio, onnipotenti, fu peccato. Quando, però, Dio si rivelò in Gesù di Nazaret come Amore e per di più crocifisso, solo allora fummo autorizzati diventare come Dio. Nell'Eden Adamo ed Eva cominciano a trattare il problema dell'albero, Dio viene messo in disparte perché la loro intenzione nasce dal rapporto con quell'albero. Il dialogo non avviene più con Dio. Il dialogo è di "materia", e rovina la relazione, risultata avvelenata di paura e di vergogna. Il rapporto con il luogo di residenza, pur paradisiaco, conoscerà l'amarezza del distacco, dell'esodo, dell'esilio. Ferita sempre aperta nella storia dei popoli. A proposito, voglio narrarvi la storia di un incontro avvenuto nel 1854 tra il grande capo bianco di Waschington, Franklin Pierce, e il capo indiano Seattle. Il Capo Bianco si offrì di acquistare una parte del territorio indiano e promise di istituire una "riserva" per quel popolo. La risposta del Capo Indiano, che qui cito in sintesi, è stata descritta come la più bella e profonda dichiarazione mai fatta per la terra e l'ambiente. " Come potete acquistare o vendere il cielo, il calore della terra? L'idea ci sembra strana. Se noi non possediamo la freschezza dell'aria, lo scintillio dell'acqua, come potete voi acquistarli? Ogni parte di questa terra è sacra per il mio popolo. Ogni ago lucente di pino, ogni riva sabbiosa, ogni lembo di bruma dei boschi ombrosi, ogni radura ed ogni ronzio di insetti è sacro nel ricordo e nella esperienza del mio popolo. La linfa che cola negli alberi porta con sé il ricordo dell'uomo rosso. I morti dell'uomo bianco dimenticano il loro paese natale quando vanno a passeggiare nelle stelle. I nostri morti non dimenticano mai questa terra meravigliosa, perché essa è la madre dell'uomo rosso. Noi siamo una parte della terra, e la terra fa parte di noi. I fiori profumati sono nostri fratelli, il cervo, il cavallo, la grande aquila sono nostri fratelli; le coste rocciose, il verde dei prati, il calore dei pony e l'uomo appartengono alla stessa famiglia. Per questo, quando il grande capo bianco di Washington ci manda a dire che vuole acquistare la nostra terra, ci chiede una grossa parte di noi. Il grande capo ci manda a dire che ci riserverà uno spazio per muoverci, affinché possiamo vivere confortevolmente tra di noi. Egli sarà nostro padre e noi saremo suoi figli. Prenderemo dunque in considerazione questa vostra offerta, ma non sarà facile accoglierla. Questa terra per noi è sacra. Quest'acqua scintillante che scorre nei torrenti e nei fiumi non è solamente acqua; per noi è qualcosa immensamente più significativo: é il sangue dei nostri padri. Se vi vendiamo le nostre terre. dovrete ricordarvi che esse sono sacre, dovrete insegnare ai vostri figli che è terra sacra e che ogni riflesso nell'acqua chiara dei laghi parla di avvenimenti e di ricordi della vita del mio popolo. Il mormorio dell'acqua è la voce dei padri di mio padre. I fiumi sono nostri fratelli, ci dissetano quando abbiamo sete... I fiumi sostengono le nostre canoe, sfamano i nostri figli. Se vendiamo le nostre terre, dovrete ricordarvi - ed insegnarlo ai vostri figli - che i fiumi sono i nostri e vostri i fratelli e dovrete dimostrare per i fiumi lo stesso affetto che dimostrereste ad un fratello. Sappiamo che l'uomo bianco non comprende i nostri costumi, per lui una parte della terra è uguale all'altra, perché è come uno straniero che arriva di notte e alloggia nel posto che più gli conviene. La terra non è sua amica, la considera nemica e quando l'ha conquistata va oltre. Abbandona la tomba dei suoi avi e ciò non lo turba. Toglie la terra ai suoi figli e ciò non lo turba. La tomba dei suoi avi, il patrimonio dei suoi figli cadono nell'oblio. Tratta sua madre, la terra, e suo fratello, il cielo, come se fossero semplicemente delle cose da acquistare, prendere e vendere, come si fa con le pecore e con le pietre preziose. La sua bramosia divorerà tutta la terra e a lui non resterà che il deserto. Io non so. I nostri costumi sono diversi dai vostri. La vista delle vostre città fa male agli occhi dell'uomo rosso. Ma forse ciò é perché l'uomo rosso è selvaggio e non può capire! Non esiste un posto tranquillo nella città dell'uomo bianco. Non esiste un luogo per udire le gemme schiudersi in primavera o ascoltare il fruscio di ali di un insetto. Ma forse ciò avviene perché io sono un selvaggio e non posso comprendere. Sembra che il rumore offenda solo le orecchie. E che gusto c'è a vivere se l'uomo non può ascoltare il grido solitario del caprimulgo o il chiacchierio delle rane di notte, attorno ad uno stagno? Io sono un uomo rosso e non comprende! L'indiano preferisce il suono dolce del vento che si slancia come una freccia al di sopra dello specchio di uno stagno, e l'odore del vento stesso reso terso dalla pioggia meridiana e profumata dal pino. L'aria è preziosa per l'uomo rosso, giacché tutte le cose respirano la stessa aria. L'uomo bianco non sembra far caso all'aria che respira. Come un uomo per più giorni in agonia, egli è insensibile al fetore. Ma se vi vendiamo le nostra terre le dovete ricordare che l'aria per noi è preziosa, che l'aria partecipa il suo soffio con tutto ciò che essa fa vivere. Il vento che ha dato il primo alito al nostro avo è lo stesso che ha raccolto il suo ultimo respiro. E se vi vendiamo le nostre terre voi dovete custodirle in modo tutto particolare, e tenerle per sacre, e considerarle come un luogo dove anche l'uomo bianco può andare a godersi il vento che reca le fragranze del prato, reso dolce dai fiori. Considereremo la vostra offerta di acquistare le nostre terre. Ma se decidiamo di accettare la proposta io porrò una condizione: l'uomo bianco dovrà rispettare gli animali che vivono in questa terra come se fossero suoi fratelli. Io sono un selvaggio e non conosco altro modo di vivere. Ho visto un migliaio di bisonti imputridire sulla prateria, abbandonati dall'uomo bianco dopo che erano stati abbattuti da un treno in corsa. Io sono un selvaggio e non comprendo come il "cavallo di ferro" fumante possa essere più importante dei bisonti, quando noi li uccidiamo solo per sopravvivere. Che cos'è l'uomo senza gli animali? Se tutti gli animali sparissero, l'uomo morirebbe in una grande solitudine. Poiché ciò che accade agli animali prima o poi accade all'uomo, Tutte le cose sono connesse tra loro. Dovete insegnare ai vostri figli che il suolo che essi calpestano è fatto delle ceneri dei nostri padri. Affinché i vostri figli rispettino questa terra, dite loro che essa è arricchita dalle vite della nostra gente. Insegnate ai vostri figli ciò che noi abbiamo insegnato ai nostri: che la terra è la madre di tutti noi. Tutto ciò che di buono arriva alla terra arriva anche ai figli della terra. Se gli uomini sputano sul suolo, sputano su se stessi. Noi sappiamo almeno questo: non è la terra che appartiene all'uomo, ma è l'uomo che appartiene alla terra. Questo noi lo sappiamo. Tutte le cose sono connesse come i membri di una famiglia sono connessi da un medesimo sangue. Tutte le cose sono connesse. Tutto ciò che accade alla terra, accade anche ai figli. Non è l'uomo che ha tessuto la trama della vita: egli ne ha soltanto il filo. Tutto ciò che egli fa alla trama, lo fa a se stesso. Lo stesso uomo bianco, con il quale il suo Dio si accompagna e parla con lui come due amici insieme, non può sottrarsi al destino comune. Dopo tutto, forse, noi siamo fratelli. Vedremo. C'è una cosa che noi sappiamo e che forse l'uomo bianco scoprirà presto: il nostro Dio è il suo stesso Dio. Voi forse pensate che adesso lo possedete come volete possedere le nostre terre: ma non lo potete. Egli è il Dio degli uomini e la pietà che è uguale per tutti: tanto per l'uomo bianco, tanto per quello rosso. Questa terra per Lui è preziosa, nuocere alla terra è come disprezzare il suo creatore. Anche i bianchi spariranno, forse prima di tutte le altre tribù. Contaminate il vostro letto e una notte vi troverete soffocati dai vostri stessi rifiuti. Dov' é finito il bosco? E' scomparso. Dov'é finita l'aquila? E' scomparsa. E' la fine della vita e l'inizio della sopravvivenza!" Ho riferito un fatto vero, già riportato nella rivista "La Perdonanza" ( Periodico del Centro Internazionale Studi Celestiniani ) alcuni anni fa, in occasione di una presa di posizione circa il problema ecologico nella città di L'Aquila. Per quanto riguarda, invece, il peccato, perché di questo si tratta, tutto è relegato nel "mondo dell'inconscio". Appena c'è qualcuno che manifesta qualche disagio, comunemente inteso come "sofferenza psichica", deve andare dallo psicologo e si sente rispondere: ti porti nel tuo inconscio dei problemi. Questo inconscio meriterebbe una trattazione molto adeguata perché altro non è che un modo per sfuggire agli obblighi della coscienza; non è una guarigione, ma è uno scarica barile. Come ci si può accontentare di parlare di rimozione, là dove avviene una rimozione della rimozione per cancellare ogni senso di responsabilità? Quale futuro per un deresponsabilizzato e per coloro che dovranno relazionarsi con lui? Cosa accade in questo meccanismo? Una cosa molto semplice. Siamo addestrati, dalla grande maestra che dirige la scuola dei media, ad evitare di addebitare la responsabilità ad alcuno, ma ognuno si adoperi a scaricarla sugli altri. Allora cosa avviene? Si va dallo psicologo per manifestare il proprio disagio e lo psicologo, per aiutare, la prima cosa che fa è quella di cercare di scaricare la colpa del disagio su qualche altra persona. Pensate, ad esempio, a quelle tribune elettorali, quando se qualcuno ha omesso atti d'ufficio oppure non ha mantenuto la parola data ... la colpa ricade sempre su qualcun altro. Le responsabilità vengono sempre attribuite agli "altri". Anche nella mentalità comune, e qui sta il punto, si è smarrito il concetto di peccato sociale. Così fanno tutti, io che posso farci!? L'allentamento del senso di colpa ha portato all'allontanamento dalla confessione, perché per confessarmi devo assumermi la mia responsabilità. E' più facile indulgere al pensiero che siccome sono gli altri che hanno sbagliato, gli altri devono confessarsi, non io. Meccanismo perverso. Se qui siamo ottanta persone, e settantanove dicono che la colpa è mia, su di me pesa l'accusa di settantanove persone, e il meccanismo esige che, a giro, su ciascuno di voi pesi la condanna degli altri settantanove. Altro che guarire! In questo modo si aggrava la sofferenza e il disagio e si crea una situazione scoraggiante e patologica. Constato che le cose non funzionano: disamore, mancanza di responsabilità, ipocrisia, perché ci sono dei guasti e nessuno è colpevole ... intanto il danno c'è. Immaginate tutto questo riportato nella regola e nel patto della vita sociale! Viene diluita la forza del rimorso e quindi della coscienza, che è l'unica forza che caratterizza la creatura umana. Non ci possono essere forze coercitive capaci di farci compiere il bene, di farci distinguere cosa è giusto e cosa giusto non è. Trascurando la forza della ragione finiamo col credere alla ragione della forza. Gli eserciti, le polizie, le armi non potranno assicurare che ci possa essere più concordia e amore tra la gente. Una volta scartata la responsabilità individuale, ognuno si pone nella società non più come eventuale colpevole, ma sempre come vittima. Se tutti quanti ci poniamo come vittime e nessuno si prende la responsabilità dell'essere colpevole, mi dite voi cosa sarebbe venuto a fare il Signore su questa terra? A scontare sulla croce i peccati di nessuno! E' dal riconoscersi veri uomini che si deve ripartire, così come ha indicato e pagato di persona quell'uomo di Nazaret che lo crediamo vero Dio e vero Uomo. Non essendo l'uomo capace di assumersi le responsabilità di quello che sa, di quello che vuole, di quello che decide, di quello che è, il discorso si inceppa. Se manca questo fondamento terrestre, cioè che siamo fatti dalla terra, figli della terra, destinati ad essere materia-luce, se manca la concezione fondamentale che ogni materia porta in sé l'impronta digitale del Creatore, rischiamo di rimanere estranei al processo del divenire figli. L'ansia di perfezione, l'anelito la indica autorevolmente S.Agostino: "il nostro cuore è inquieto fin quando non riposa in te", il cuore dell'uomo, pur fatto di terra, è così esigente che tutta la terra non lo appagherà più. Ecco, allora, il richiamo ad una responsabilità, ad una coscienza, ad una consapevolezza. La dignità della persona umana non è minacciata dalla possibile distruzione nucleare, ma da quella culturale; quella che pretende di ridurre l'uomo a processi chimici incoscienti. Ben altra promessa illumina il destino dell'umanità. Domanda: tutte queste belle descrizioni presuppongono una creazione, quindi un creatore, le pongo una domanda: visto che esistono diverse forme religiose Lei si schiera coi creazionisti? E' una curiosità, se vuole può non rispondere. Vedendo tutti gli esempi che lei ha fatto mi fa pensare che lei sia una persona che crede letteralmente e non metaforicamente in ciò che è scritto nella Bibbia. Lei crede all'evoluzione? Può, quindi, pensare che il nostro occhio da lei stesso descritto così perfetto, possa derivare da tante altre forme di vita molto più semplici? Ad esempio quando parlava del big-bang e diceva che dal vuoto è avvenuta un'esplosione, io direi, invece, che la materia era talmente concentrata che ad un certo punto è avvenuta un'esplosione. C'è, addirittura, chi sostiene che dopo questa fase di espansione dell'universo in cui ci troviamo probabilmente arriverà una implosione, pensiamo ai buchi neri, tanto per dare un'idea, per cui si può pensare ad un big-bang ... , allo stesso modo si può pensare non ad un solo universo, ma a tanti universi, a pluriuniversi. Risposta: Se mi schiero o no coi creazionisti, se posso o non posso rispondere alla domanda. Non credo mi metta in imbarazzo, caso mai potevate darmi proprio questo tema per il mio intervento. Ne avrei approfittato per dare un corretto riferimento del pensiero e della dottrina della chiesa cattolica, pensiero spesso non conosciuto, banalizzato e poi criticato come tale. Sono un creazionista, ma ben inteso. E' la mia scelta culturale, attentamente valutata. Il dato scientifico non appaga la mia sete di conoscenza, ho bisogno di altro. L'empirico crede nella conoscenza illimitata e s'illude che, conoscendo sempre più cose, possa arrivare a conoscere tutto. Ma poi gli sfugge l'essenziale, Dio, che essendo tutto, chi lo ignora, ignora tutto. Se non riconosciamo il Creatore, tanto meno riconosceremo che cosa è il creato in cui viviamo e neppure noi stessi, sue creature. Nel mito della Sfinge, all'indovinello: "Quale animale all'alba cammina con quattro gambe, a mezzogiorno con due e alla sera con tre?" Edipo risponde: "L'uomo", azzecca l'indovinello, ma Edipo non spiega affatto chi è l'uomo, rivela semplicemente che l'animale enigmatico è l'uomo. L'uomo è il vero enigma. Ora però se ti chiedo chi è l'uomo? Certo non mi risponderai " un animale che all'alba cammina con quattro gambe ecc". Cosa che puntualmente accade per la conoscenza empirica e scientifica, quando il come delle cose non esaurisce il loro perché. La scienza e la fede cercate di non continuare a ritenerle in opposizione. La parola rivelata non disturba il processo conoscitivo, lo aiuta, lo potenzia, lo illumina, lo prolunga. Non è contro ma è oltre, molto oltre. Il dato scientifico ha tante cose da chiedere alla religione, e giustamente. Ma sulla domanda di senso, la scienza non creda di risolvere negando. S. Francesco non è uno scienziato, è molto di più. Nella mia modestissima relazione ho cercato di offrire qualche spunto di riflessione attraverso il gusto della meraviglia, dello stupore. La metodologia, appunto, di Francesco. Francesco d'Assisi non è assillato dalla ricerca scientifica, ma direttamente attinge alla fruizione intuitiva di un ordine, di una bellezza che lo fa trasalire di gioia e risalire alla sorgente, per attrazione. Nei nostri dibattiti siamo soliti usare le stesse logiche di convincimento e di raziocinio, ma quando c'è da far salire il livello esigito dai grandi perché, il linguaggio si fa sempre più inadeguato e chiede aiuto al "terzo occhio", quello contemplativo, quello che scorge il senso e le connessioni e quindi compatibile con la meditazione, la contemplazione, anche ad occhi chiusi. Perché la vista non è semplicemente questa degli occhi. Dio non ci ha proposto dei rompicapi da capire, ma ci ha dato l'opportunità di godere delle sue anticipazioni, delle sue promesse. Anticipare un'esperienza che sappiamo essere bellissima e positiva è anticipazione offerta alla nostra libera adesione, attinta per amore fiducioso e non per risultato logico, così come spesso pretendiamo che sia. Ho qui fra gli appunti documenti recenti scritti da uomini di scienza riferiti alla misteriosa realtà della luce, intendendo per luce non soltanto quello che appare ai nostri occhi. Quando diciamo "mi si è accesa una luce" intendiamo riferirlo a "quando ho capito qualcosa" "quando mi si apre un orizzonte". L'essere richiamati per fascino e l'essere richiamati per bisogno non è sottoposto ad una logica, in quanto Dio è "il senza perché". Se avesse un perché non sarebbe più Dio. L'esperienza di Dio, purtroppo, lo dico sia per me che per voi, è come voler partecipare ad altri o descrivere un luogo dove non siamo stati. Mi fido molto più dei miei silenzi. Quello che io ho appreso come uomo, prima ancora che come frate, l'ho appreso da uomini di esperienza mistica i quali non sprecano parole, si pensi ad un Carlo Carretto. Avrei preferito che fosse qui lui a rispondere alle vostre domande, forse vi avrebbe risposto: "ama e capirai". Oppure Raimon Panikkar, filosofo e teologo che dall'alto dei suoi novant'anni, rappresenta la sintesi vivente tra la scienza e la fede, l'azione e la contemplazione, la preghiera e l'impegno politico (è stato membro dell'UNESCO e del Tribunale Permanente dei Popoli). Sono stato presso di lui e nei nostri dialoghi, interviste e letture dei suoi scritti, anch'io lo tempestavo di domande, ma lui frenava subito la mia impertinenza e mi sentivo rispondere: " prima di farla un'esperienza tu vuoi conoscerla?" L'esperienza di Dio non è il racconto che un altro mi fa di Dio, come l'esperienza della vita non è quella che un altro può raccontarmi. L' esperienza è sempre personale, anche se può essere, in qualche modo, aiutata, orientata od ostacolata, per buon esempio o per scandalo. L'esperienza di Dio, richiede il massimo della umiltà, meglio diffidare di chi crede di poter rispondere a tutto. E potete diffidare di me, se ostentassi di sapervi dare risposte certe e definitive. Sarei solo presuntuoso. Non so rispondervi, anche perché non conosco il vostro vero desiderio profondo, la vostra intima esigenza. Forse può essere utile quello che accadde un pomeriggio a Cafarnao quando due discepoli chiesero a Gesù dove abitasse. Gesù rispose loro: "venite a vedere". Questi andarono, erano circa le tre del pomeriggio. Uno di loro, Andrea, incontra suo fratello Pietro e lo conduce da Gesù. Lo conduce da Gesù, non gli parla di Lui, non glielo descrive, non dà nessun riferimento, un giudizio, una caratteristica ( è alto, è basso, è bruno, è biondo ), niente. Lo conduce da Gesù. Consideratemi un piccolo povero Andrea. Grazie ! di Quirino Salomone