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Pubblichiamo la traduzione di un’intervista al compagno Stathis Kouvelakis del Comitato Centrale di Syriza e
rappresentante della Piattaforma di Sinistra del partito. L’intervista è apparsa sul mensile statunitense
Jacobin, che l’ha gentilmente concessa per la traduzione. L’intervista risale all’inizio di gennaio, quindi prima
della vittoria elettorale di Syriza.
Crediamo che, per quanto lunga, l’intervista vada letta nella sua interezza. Sono espressi giudizi molto duri
sia su Syriza sia su altre organizzazioni, giudizi che vanno inseriti nel contesto dell’intera intervista senza
essere estrapolati in maniera arbitraria o strumentale.
Grecia: fase uno
Syriza è la migliore possibilità di successo per la sinistra in una generazione. Ma per una prospettiva
socialista il difficile inizia il giorno dopo le elezioni
Con Syriza che si avvicina al potere in Grecia, Internet si è riempita di analisi, opinioni, dichiarazioni di
sostegno e di denuncia. In questa intervista con Stathis Kouvelakis, condotta all’inizio di gennaio, stabiliamo
una distanza critica per capire l’origine, la traiettoria e le possibili sfide di questa formazione politica.
Per fare questo, non bisogna esitare a immergersi nelle complessità interne della sinistra radicale greca.
Kouvelakis inoltre ci parla anche di alcune delle sfide immediate e concrete che dovrà affrontare il partito
una volta arrivato al potere.
Kouvelakis è membro del Comitato Centrale di Syriza ed è un dirigente della sua Piattaforma di Sinistra.
Insegna teoria politica al King’s College di Londra ed è autore di “Philosphy and Revolution from Kant to
Marx” e co-curatore di “Lenin Reloaded” e “Critical Companion to Contemporary Marxism”. È stato
intervistato per la rivista Jacobin da Sebastian Budgen, curatore della casa editrice Verso Books e membri
della redazione della rivista Historical Materialism.
LA NASCITA DI SYRIZA
Parlaci di Syriza, come e quando questa coalizione di sinistra radicale è nata?
Syriza è stata creata da diverse organizzazioni nel 2004 come alleanza elettorale. L’elemento più grande era
il partito di Alexis Tsipras, il Synaspismos (inizialmente Coalizione della Sinistra e dei Progressisti, poi
rinominata Coalizione della Sinistra e dei Movimenti) che esisteva come partito a se stante sin dal 1991.
Proviene da una serie di scissioni all’interno del movimento comunista.
D’altra parte, Syriza comprende anche formazioni più piccole. Alcune vengono dalla vecchia sinistra estrema
greca, in particolare l’Organizzazione Comunista di Grecia (KOE), uno dei principali gruppi maoisti del paese.
Questa organizzazione ottenne tre parlamentari alle elezioni del Maggio 2012. Lo stesso per la Sinistra
Internazionalista Operaia (DEA), di tradizione trotzkista, e per altri gruppi principalmente di retroterra
comunista. Per esempio, la Sinistra Comunista Ecologista Innovatrice (AKOA) che proviene dal vecchio
Partito Comunista dell’Interno.
La coalizione Syriza è stata fondata nel 2004 e all’inizio ebbe quello che potremmo chiamare un successo
relativamente modesto. Comunque è riuscita a entrare in Parlamento superando la soglia di sbarramento
del 3%. Per farla breve, Syriza è il risultato di un complesso processo di ricomposizione della sinistra radicale
greca.
Dal 1998 la sinistra radicale è stata divisa in due poli. Il primo era il Partito Comunista di Grecia (KKE) che
subì due scissioni: la prima, nel 1968, durante la dittatura dei colonnelli, che diede vita al KKE dell’Interno, di
tendenza “eurocomunista”, la seconda nel 1991, dopo il collasso dell’Unione Sovietica.
Il partito eurocomunista ebbe due scissioni nel 1987. Una della sua destra che costituì Sinistra Greca (EAR) e
aderì al Synaspismos, una dalla sua sinistra che si riformò nell’AKOA.
Il KKE risultante da queste scissioni era particolarmente tradizionalista, incline a un’inquadratura stalinista
che divenne considerabilmente più rigida dopo la scissione del 1991. Il partito fu ricostruito su basi sia
combattive sia settarie, riuscendo a guadagnare una base relativamente rilevante tra gli strati operai e
popolari e anche nella gioventù, particolarmente nelle università.
L’altro polo, il Synaspismos, si aprì nel 2004 con la creazione di Syriza che a sua volta si formò con la
confluenza delle due precedenti scissioni del KKE. Il Synaspismos è cambiato considerevolmente nel corso
del tempo. All’inizio degli anni ’90 era il tipo di partito che poteva votare per il Trattato di Maastricht ed era
principalmente di tendenze di sinistra moderata.
Era, però, anche un partito eterogeneo, composto da varie correnti distinte. Lotte interne molto dure hanno
opposto l’ala di sinistra a quella di destra, che perse gradualmente il controllo. La fondazione di Syriza segnò
la svolta a sinistra del Synaspismos.
Qual è l’influenza della tradizione comunista nel Synaspismos?
La matrice comunista è chiaramente percepibile nella cultura di maggioranza del partito. In parte proviene
dalla tendenza eurocomunista che dagli anni ’70 si aprì ai nuovi movimenti sociali e fu quindi in grado di
rinnovare i propri punti di riferimento teorici e organizzativi, includendo nell’inquadratura comunista già
esistente le tradizioni delle nuove forme di radicalismo.
È un partito che è a suo agio tra i movimenti femministi, le mobilitazioni giovanili, gli alter globalisti, i
movimenti antirazzisti e le correnti LGBT, mentre continuare a produrre un intervento notevole nel
movimento sindacale.
Un’altra parte proviene dai gruppi di quadri e militanti che abbandonarono il KKE nel 1991, in gran parte
diventati membri della Corrente di Sinistra, ma vengono da quelle fila anche molti membri del gruppo di
maggioranza nella dirigenza e nei quadri.
Bisogna notare che è un partito i cui quadri e attivisti sono principalmente salariati istruiti, gente con una
laurea. È un elettorato molto urbano, un partito con solide radici tra gli intellettuali. Fino a poco tempo fa il
Synaspismos aveva la maggioranza assoluta nel sindacato dell’università, a differenze del KKE che ha perso
ogni influenza dalle scissioni del 1991, insieme a ogni relazione privilegiata con i circoli intellettuali.
Anche la leadership del partito mantiene uno stampo comunista. Non bisogna farsi ingannare dall’età di
Tsipras: anche lui ha iniziato l’attivismo nella giovanile del KKE, all’inizio degli anni ’90. Molti dei quadri più
anziani e dei dirigenti hanno combattuto fianco a fianco durante la clandestinità e sono passati attraverso la
prigione e i campi di deportazione.
Proprio per questo c’è un’atmosfera fratricida nella sinistra radicale greca, anche se adesso è il KKE che la
perpetua, considerando il Synaspismos e quindi Syriza come “traditori” che quindi rappresentano il “nemico
principale”. Per questo quando Syriza ha avviato colloqui bilaterali con quasi tutti i gruppi parlamentari dopo
le elezioni del Maggio 2012, quando ebbe il diritto di provare a formare un governo, il KKE si rifiutò anche
solo di incontrarsi.
SYRIZA È ANTICAPITALISTA?
E come definiresti la linea di Syriza? Diresti che questa coalizione segue una linea anticapitalista o che la
sua attività è parte di un approccio più graduale, riformista?
In termini di programma e d’identità ideologica, Syriza ha una forte linea anticapitalista e si è separata in
modo netto dalla socialdemocrazia. Questo è ancora più importante se pensiamo alla storia delle battaglie
dentro al Synaspismos che opponevano tendenze favorevoli alle alleanze coi socialdemocratici a correnti
ostili ad ogni tipo di accordo a coalizione, anche a livello locale o nell’attività sindacale.
L’ala “socialdemocratica” del Synaspismos ha definitivamente perso il controllo del partito nel 2006 quando
Alekos Alavanos fu eletto presidente. L’ala destra, guidata da Fotis Kouvelis, quasi interamente proveniente
dalla destra eurocomunista di EAR, lasciò infine il Synaspismos e fondò un altro partito chiamato Sinistra
Democratica (Dimar): una formazione che dichiara di essere una sorta di terra di mezzo tra il Pasok [il
partito socialista, NdT] e la sinistra radicale.
Quindi, Syriza è una coalizione anticapitalista che affronta la questione della presa del potere enfatizzando
la dialettica tra alleanze e successo nelle urne con la lotta e le mobilitazioni dal basso. Syriza e il
Synsaspismos si vedono come partiti della lotta di classe, come formazioni che rappresentano specifici
interessi di classe.
Quello che vogliono è far avanzare un antagonismo radicale contro l’attuale Sistema. Per questo si chiama
Syriza: cioè “coalizione della sinistra radicale”. Quest’affermazione di radicalismo è molto importante
nell’identità del partito.
Quali sono i rapporti di forza tra gli attivisti di Syriza? Quante persone aderiscono alle formazioni che
compongono la coalizione?
Nel 2012 il Synaspismos aveva circa 16mila membri. I maoisti del KOE erano circa 1000-1500 attivisti e circa
lo stesso numero per AKIA. La forma organizzativa e le pratiche del Synaspismos si sono sviluppate insieme
alle posizioni ideologiche. Tradizionalmente non era un partito di attivisti, aveva invece molti grandi
personaggi e un orientamento essenzialmente elettorale. La sostanza organizzativa e l’attivismo del partito
sono cambiati considerevolmente, ad almeno due livelli diversi.
Primo, un’organizzazione giovanile molto dinamica si è sviluppata con i movimenti alter-mondialisti e
antirazzisti. Questo ha permesso al partito di rafforzare la sua presenza tra i giovani, in particolare tra gli
studenti, un’area in cui era tradizionalmente in difficoltà. L’organizzazione giovanile ora ha molte migliaia di
membri. Infatti, una buona parte dell’entourage di Tsipras è composta di quadri che vengono dalla giovanile.
Sono caratterizzati da un vero radicalismo ideologico e s’identificano col marxismo, specialmente di tipo
althusseriano.
Secondo, i sindacalisti hanno assunto molti ruoli nel Synaspismos durante gli anni 2000, diventando l’ancora
dell’ala sinistra del partito. In larga parte proveniente dal KKE, quest’ala sinistra è composta da elementi
operai con posizione relativamente tradizionali di lotta di classe ed è molto critica nei confronti dell’Unione
Europea.
Questo non vuol dire che non ci siano più moderati nel partito. In particolare basti pensare al principale
portavoce economico Yannis Dragasakis e ad alcuni quadri che furono vicini a Fotis Kouvelis, ma si
rifiutarono di uscire dal partito e confluire in Dimar.
Hai detto che fino a un certo punto Syriza ha avuto una base elettorale e di attivisti essenzialmente
urbana. Questo è cambiato con lo sfondamento elettorale nel Maggio 2012, quando divenne il secondo
partito greco battendo il Pasok col 16,7% dei voti?
Assolutamente sì. Capire la composizione sociale del voto a Syriza del 2012 è d’importanza decisiva. La
trasformazione qualitativa è tanto dirompente quanto la differenza quantitativa. È relativamente facile
capire cos’è successo tra Maggio e Giungo 2012, è stato essenzialmente un voto di classe. Gli elettori operai
e salariati dei principali centri urbani, che votavano principalmente Pasok, sono passati improvvisamente a
Syriza.
Syriza è arrivata prima nella città metropolitana di Atene, dove vive circa un terzo dei greci, come anche nei
maggiori centri urbani, ora controlla anche i “consigli regionali” eletti alle elezioni locali di Maggio. Ha
raggiunto i maggiori risultati nei distretti popolari e operai che erano roccaforti del Pasok, e del KKE.
Il declino del KKE è iniziato in questi distretti e andrà peggio [in realtà, alle elezioni del 2015 il KKE ha
marcato un miglioramento proprio in questi distretti, NdT]. Abbiamo visto elettori del KKE andare verso
Syriza, è un voto operaio, ma anche d’impiegati istruiti, un voto di gente attiva nel mercato del lavoro. Il
risultato di Syriza nelle fasce d’età 18-24 e 24-30 è stato vicino alla media nazionale, ma nelle fasce che
formano il cuore della popolazione attiva (30 e più) ha fatto meglio della media.
Il risultato più debole è stato tra la popolazione inattiva, la popolazione rurale (inclusi i contadini), I
pensionati, le casalinghe, i lavoratori autonomi. Quindi la dinamica del sostegno a Syriza è basata sul voto
dei salariati (inclusi gli strati più alti), settori popolari e disoccupati delle grandi città.
In che misura il sostegno a Syriza è basato sui dipendenti pubblici?
La sociologia elettorale del voto del Giugno 2012 mostra che ha votato Syriza il 33% dei dipendenti pubblici
e il 34% di quelli privati: risultati all'incirca simili con un po’ più di sostegno dai pubblici se consideriamo
l’evoluzione del voto tra Giugno 2012 e le ultime elezioni europee di Maggio *2014+. I risultati migliori
vengono però nella seconda circoscrizione del Pireo, un distretto industriale e operaio, così come nella
provincia di Xanthi nel nord della Grecia, con una popolazione in maggioranza musulmana e turcofona. Due
membri di Syriza della minoranza turcofona musulmana sono stati eletti in quest’area *alle elezioni del
2012].
COME SPIEGHI IL SUCCESSO DI SYRIZA?
Come spieghi l’improvviso successo elettorale di Syriza nel 2012
Ci sono tre fattori da considerare. Il primo è la violenza della crisi sociale ed economica in Grecia e il suo
sviluppo dal 2012, con le purghe di austerità inflitte con gli infami memorandum di intesa (gli accordi siglati
dal governo greco con la troika per assicurare la capacità del paese di ripagare i debiti).
Il secondo risiede nel fatto che la Grecia, e ora anche la Spagna, è l'unico Paesei in cui la crisi economica e
sociale si è trasformata anche in crisi politica. Il vecchio sistema politico, basato su un bipartitismo stabile, è
collassato.
Il terzo fattore è la mobilitazione popolare. Non è una coincidenza che i due paesi europei dove la sinistra
radicale ha preso il volo sono la Grecia e la Spagna, cioè i paesi che hanno visto le mobilitazioni popolari più
forti negli ultimi anni. In Spagna hanno avuto il movimento degli indignados mentre in Grecia c’è stato un
movimento diverso e più profondo.
Molte delle forze che si sono liberate dai legami delle forme tradizionali di rappresentanza politica si sono
rivolte alla sinistra radicale, mentre parte della società è rimasta fuori da questa dinamica e si rivolta
all’astensione, significativamente cresciuta dall’inizio delle crisi, o verso l’estrema destra, ciò al partito neo
nazista Alba Dorata.
Il successo elettorale e politico di Syriza è spiegato più precisamente dal fatto che il partito si è opposto ai
memorandum e le cure shock di austerità fin dall’inizio. Questo perché dopo lunghi dibattiti, specie dentro
al Synaspismos, Syriza ha rigettato l’idea di alleanze col Pasok sin dalla sua creazione come coalizione.
Data la sua sensibilità movimentista, si è dimostrata concretamente e praticamente capace di dedicarsi ai
movimenti sociali e alle azioni collettive avvenute in Grecia negli anni recenti. L’ha fatto rispettando
l’autonomia dei movimenti, incluse le forme di mobilitazione più nuove e spontanee. Per esempio ha
sostenuto i movimenti di occupazione delle piazze cittadine nel 2011 mentre il KKE li ha denunciati come
“anti politici” e li ha accusati di essere dominati dalla piccola borghesia e da elementi anticomunisti.
È un partito che ha anche lavorato molto alle reti di solidarietà a livello locale per affrontare gli effetti
traumatici della crisi sociale sulla vita quotidiana delle persone. È anche una formazione che ha abbastanza
visibilità nelle istituzioni per apparire in grado di cambiare l’equilibrio delle forze nella vita politica
nazionale.
Detto ciò, Syriza è decollata nei sondaggi solo nelle ultime settimane della campagna elettorale del 2012. Il
vero cambio di marcia è arrivato quando Tsipras ha concentrato il suo discorso sulla costruzione di un
“governo anti austerità della sinistra”, presentato come una proposta di alleanza diretta al KKE, all’estrema
sinistra, alla sinistra parlamentare e ai piccoli gruppi di dissidenti del Pasok.
È stato questo a cambiare il corso della campagna elettorale, stabilendo una nuova agenda. È stato allora
che abbiamo cominciato a sentire il clamore (era qualcosa di quasi fisico) e i sondaggi di Syriza sono
cresciuti. Da quel momento in avanti gli altri partiti hanno dovuto reagire alla proposta di Syriza, emersa
come una prospettiva politica concreta, a portata, per permettere alla Grecia di scrollarsi di dosso il giogo
dei memorandum e della troika.
È un approccio molto ecumenico, per la sinistra.
Sì, è vero. Syriza è una forza particolarmente credibile per questa proposta a causa della sua pratica nei
movimenti ma anche per la sua composizione interna. Cioè, questo è un fronte politico e all’interno di
Syriza c’è un approccio pratico che permette la coesistenza di differenti culture politiche. Direi che Syriza è
un partito ibrido, un partito di sintesi, con un piede nella tradizione del movimento comunista greco e l’altro
nelle nuove forme di radicalismo emerse nel nuovo periodo.
Pensi che i movimenti sociali che abbiamo visto durante l’occupazione delle piazze in Grecia siano
connessi all’avanzamento elettorale di Syriza?
Assolutamente sì. Alcuni hanno creduto che questi movimenti fossero non solo non spontanei ma anche
anti politici, che stessero fuori e contro la politica. Mentre rifiutavano i politici che avevano di fronte, erano
anche alla ricerca di qualcosa differente. L’esperienza di Podemos in Spagna, come quella di Syriza in Grecia,
dimostra che se la sinistra radicale fa proposte adatte, allora può arrivare a comprendersi con quei
movimenti e fornire una credibile “condensazione” delle loro richieste.
Quali sono le esperienze concrete di Syriza nei governi locali e regionali dal 2012?
Dagli anni ’90-’00 la sinistra radicale s’è opposta a ogni alleanza col Pasok, e per questo né Syriza né il KKE
sono stati coinvolti nei governi regionali, e solo in pochi governi locali, fino ai tempi recenti. Ora c’è un
contrasto tra l’avanzata di Syriza al livello nazionale ed europeo e il suo radicamento locale.
Il partito ha ottenuto meno voti alle elezioni locali e regionali, il 25 maggio 2014, di quanto abbia preso alle
elezioni nazionali ed europee: 18% invece del 27%. Nonostante questo ha fatto grandi avanzamenti,
vincendo in due regioni, inclusa l’Attica, dove vive circa il 40% dei greci.
Com’è visto Alexis Tsipras in Grecia?
L’aspetto principale dell’immagine di Tsipras è la sua età: è un uomo giovane, dopotutto. Ma i quadri della
sinistra radicale greca continuano a essere dominati da una generazione che si avvicina ai sessant’anni, o
persone ancora più anziane che hanno il prestigio di aver preso parte nella lotta contro la dittatura dei
colonnelli.
Alekos Alavanos, ex presidente del Synaspismos, ha organizzato il passaggio di consegne a Tsipras per
rompere con questo tipo di sclerosi generazionale. È stato un grande atto di volontà politica. Tsipras è
popolare perché anche prima di essere eletto alla guida del Synaspismos, aveva guidato le liste del partito
alle elezioni municipali di Atene.
Non è esattamente un tribuno carismatico. Non è neanche un pessimo comiziante, ma certamente non ha il
talento oratorio di George Galloway o di Jean Luc Melenchon. Ha anche commesso alcuni errori: in
particolare lui, come gran parte della sinistra radicale greca, ha inizialmente sottostimato la profondità della
crisi e quanto a fondo la questione del debito pubblico sarebbe stata usata per giustificare l’attuazione delle
misure di austerità.
Nel 2010 e all’inizio del 2011 sembrava fosse indietro rispetto agli eventi. Poi ha sviluppato uno stile
combattivo nei suoi interventi parlamentari, in particolare contro il governo del Pasok e del primo ministro
George Papandreou. In questo modo ha migliorato il profilo come tribuno popolare. E la sua proposta di un
governo che unisse la sinistra e le forze anti-austerità (fatta prima delle elezioni del Maggio 2012) ha
assicurato l’avanzata elettorale.
Ha cambiato l’immagine della sinistra radicale greca, che fino ad ora era considerata una parte notevole,
importante o utile dei movimenti sociali ma non come una forza pronta ad assumere la responsabilità
storica di offrire una via d’uscita dalla crisi. Questo è un vero punto di svolta per una sinistra radicale ancora
traumatizzata dalla sconfitta del comunismo del ventesimo secolo che oggi si vuole lasciare dietro il ruolo di
eterna minoranza, il ruolo di una forza destinata perpetuamente solo a “resistere”.
QUALI SONO LE DINAMICHE DENTRO IL PARTITO?
Potresti aggiornarci sui dati in tuo possesso riguardo alla forza di Syriza in termini di adesioni e di peso
sociale fino al 2012, e poi approfondire le dinamiche interne di Syriza, la piattaforma di sinistra e i suoi
elementi costituenti? E anche riguardo al lato opposto, il centro e la destra?
Immediatamente dopo le elezioni del 2012 è iniziato il processo di unificazione di ciò che era stato fino al
momento una coalizione di partiti. Prima con una conferenza nazionale che ha eletto per la prima volta un
gruppo dirigente e poi con il congresso di fondazione di Syriza nel Luglio 2013. Penso che alcune importanti
decisioni riguardo alla struttura del partito, e riguardo quello che potremmo chiamare forma-partito, siano
state prese in quella fase, ma la priorità era la rapidità del processo, il che non ha lasciato tempo per una
vera discussione politica in profondità.
Allo stesso tempo, è stato un processo di aperture, ma un processo di aperture senza che ci si rivolgesse a
specifici settori sociali o strati popolari coinvolti nei movimenti popolari. Quindi è stato un processo teso più
a un partito di membri che a un partito di attivisti o di membri attivi, un parti d’adhérents piuttosto che un
parti de militants. Questo ha reso anche Syriza un’organizzazione in una certa misura permeabile a
pratiche, se non clientelari, quantomeno alle tradizionali pratiche di rete del potere locale che sono ancora
molto forti nella società greca.
I partiti della classe dirigente sono stati de-strutturati al livello nazionale. Non esistono più, o lo fanno a
malapena, come partiti centralizzati. Il Pasok è stato completamente disintegrato ed era di gran lunga la
macchina partitica più forte in Grecia. Anche Nuova Democrazia, che era un’organizzazione di massa di
destra, è molto indebolita. Le reti legate a questi due partiti sono però ancora molto forti a livello locale.
L’abbiamo visto nelle ultime elezioni amministrative, per esempio, in cui la differenza tra l’influenza
elettorale nazionale di Syriza e la capacità di vincere nei parlamenti locali è ancora molto molto significativa.
L’altra caratteristica negativa della nuova struttura è che Syriza è chiaramente diventata un partito
accentrato sul leader e questo è accentuato dal fatto che le strutture interne sono molte, disfunzionali e
tendono a funzionare sempre meno come centri reali di produzione politica e di decisione. L’intero processo
decisionale è diventato molto più centralizzato, più opaco, con un ruolo cruciale per il leader, combinato con
vari circoli informali della leadership, piuttosto che per una guida collettiva o anche solo per un gruppo
ristretto di dirigenti.
Credo che uno degli scopi perseguiti dalla dirigenza del partito fosse di marginalizzare le tendenze di sinistra
dentro Syriza. Hanno pensato molto seriamente che noi fossimo relativamente forti nella vecchia Syriza
(prima del 2012), che era organizzata come un patto, una costellazione di vari partiti, ma che con l’influsso
di nuovi membri il nostro peso relativo sarebbe drasticamente diminuito dentro il partito.
Faccio un esempio che riguarda nello specifico la componente largamente maggioritaria, quella del
Synaspismos: all’ultimo congresso del Partito, quello in cui uscì Dimar, la corrente di sinistra guidata da
Alavanos prese circa il 25% dei voti.
Quando la Piattaforma di Sinistra ottenne circa il 25% alla conferenza inaugurale di Syriza nel Novembre
2012, fu una grande sorpresa per la leadership. Fu una sorpresa ancora più grande per loro quando la
Piattaforma di Sinistra ha aumentato il suo peso relativo al 30% al congresso di fondazione di Syriza.
Nel mezzo, il tesseramento di Syriza è quasi raddoppiato e rimane stabile attorno a questi dati: un aumento
da circa 17-18mila membri a circa 35-36mila. Si è sviluppato geograficamente in maniera significativa, ma il
margine tra l’influenza elettorale e la forza organizzativa è ancora grande. Il legame tra il partito e il nocciolo
del suo elettorato (essenzialmente, i lavoratori urbani) rimane debole.
Syriza rimane dominata principalmente da settori intellettuali: dipendenti pubblici ad alta specializzazione e
istruzione. Anche l’età è abbastanza problematica: il peso relativo degli strati più giovani rimane limitato.
C’è un’organizzazione giovanile?
Sì, c’è un’organizzazione giovanile specifica che è la risultante dell’unificazione delle giovanili di tutte le
componenti di Syriza, ma rimane relativamente piccola se comparata all’influenza elettorale del partito in
questi strati. Il risultato più incoraggiante è probabilmente che il peso relativo di Syriza nei sindacati è
aumentato, più o meno raddoppiato, ma partendo da un livello molto basso. Questo significa che,
complessivamente, la forza di Syriza nel movimento sindacale e particolarmente nel settore privato rimane
inferiore a quella del KKE.
Qualitativamente, ovviamente, c’è una differenza perché, e questo è interessante, anche se il Partito
Comunista resta ancora oggi una forza più organizzata e coerente, le sue roccaforti tendono a essere
localizzate nei settori meno dinamici del movimento sindacale, o anche in aree che non sono state molto
attive nelle recenti mobilitazioni per varie ragioni (principalmente perché è successo molto poco nel settore
privato).
Nei sindacati più dinamici, dove le mobilitazioni sono state importanti, non solo Syriza è più forte (e in realtà
lo era già prima), ma è proprio in questi settori che si è sviluppata di più. Per esempio, ora è la forza che
guida il sindacato nazionale degli insegnanti delle scuole superiori, una categoria chiave del sindacato greco.
È anche indicativo che, in questi settori, il peso relativo della sinistra estrema è aumentato, come anche
forme specifiche di fronti sindacali dove si possono trovare membri sia di Syriza sia di Antarsya [Fronte della
Sinistra Anticapitalista, NdT].
C’è un settore radicale che si è sviluppato nel sindacato in quest’ultimo periodo, anche nelle università dove
la sinistra radicale ha migliorato la sua posizione (con un leggero miglioramento del KKE) e la sinistra
estrema ancora di più. Mentre Syriza nelle università è rimasta stabile (l’affluenza alle elezioni studentesche
è significativa, sono quindi un indicatore rilevante) è interessante che l’ambiente degli studenti di sinistra
radicalizzati tenda a votare in università liste che hanno i militanti di Antarsya come colonna portante
mentre tendono a votare Syriza al di fuori dell’università, nelle elezioni politiche nazionali.
Abbiamo conferme di questa espressione duale anche in altre elezioni, nello specifico in quelle locali e nella
differenza tra le elezioni regionali e le elezioni europee. Alle regionali le liste di Antarsya, la coalizione di
estrema sinistra, hanno guadagnato circa il 2% a livello nazionale mentre a quelle europee di una settimana
dopo, solo lo 0,72%.
È abbastanza chiaro che certi settori molto coinvolti nelle mobilitazioni e nei movimenti sociali, a livello
locale o nel sindacato, tendono a sostenere o a raggrupparsi attorno a iniziative o strutture guidate dagli
attivisti della sinistra estrema. Quando invece si parla di rappresentanza politica, allora è Syriza che gioca il
ruolo di rappresentante politico di questa costellazione di forze.
Il risultato, una delle evoluzioni più importanti dell’ultimo periodo, è che la divisione nella sinistra radicale
greca è ora tra un KKE molto radicato, molto settario e molto isolato da una parte e tutto il resto (Syriza,
Antarsya etc.) dall’altra.
Potresti dirci qualcosa di più sullo sviluppo della Piattaforma di Sinistra dal 2012: le sue componenti, la
sua crescita, il suo grado coesione e così via?
La Piattaforma di Sinistra ha due componenti. La Corrente di Sinistra, che è una corrente comunista
tradizionale principalmente costituita da sindacalisti e che controlla la maggior parte dei settori sindacali di
Syriza. Queste persone vengono principalmente dal KKE, sono coloro che hanno partecipato alla scissione
del 1991. Poi c’è la componente trotskista (DEA e KOKKOINO, recentemente unificati).
La Piattaforma di Sinistra è stata messa sotto grande pressione dalla dirigenza del partito ma anche dalla
maniera di funzionare e da come la struttura del partito si è sviluppata durante il processo di unificazione.
Questa pressione della maggioranza del partito si combina con ragioni più strutturali: l’evoluzione della
forma-partito e il declino dei movimenti e delle mobilitazioni nell’ultimo periodo.
Tutti questi fattori hanno avuto un’influenza negativa, o potrebbero aver avuto un’influenza negativa, sul
peso relativo della Piattaforma di Sinistra. La Piattaforma di Sinistra ha però resistito abbastanza bene a
queste pressioni. La sua relativa diversità ha funzionato come una forza. In questo senso potremmo dire che
nonostante la Piattaforma di Sinistra sia costituita da due differenti culture politiche, la sua coesione interna
è molto più forte di quella del blocco di maggioranza del partito che un raggruppamento di culture politiche
molto più eterogenee.
Nella maggioranza si possono trovare per esempio persone provenienti dalla socialdemocrazia tanto quanto
attivisti vicini alla sinistra estrema e movimentisti orientate ai cosiddetti nuovi movimenti sociali insieme,
figure dalla tradizione riformista provenienti sia dall’eurocomunismo o dal KKE, oppure nazionalisti di
sinistra (generalmente provenienti dal Pasok) e le forme più estreme di anti-nazionalismo (quasi una forma
greca del fenomeno anti-Deutsch).
Per non parlare dei maoisti (KOE)!
Ovviamente I maoisti sono più vicini al polo della sinistra nazionalista, diciamo. In definitiva il livello di
eterogeneità è molto più grande dal lato della maggioranza.
Penso che quello che la Piattaforma di Sinistra sia riuscita a fare nel periodo tra le elezioni del 2012 e il
congresso di fondazione è stato aver attratto uno strato più largo di attivisti che non s’identificano né nella
Corrente di Sinistra né con i trotzkisti e cui non importa realmente di queste distinzioni.
Ciò che importa loro è il sostegno a un’opposizione interna di sinistra o a una prospettiva di sinistra, una
prospettiva di sinistra più chiara all’interno di Syriza. Per questo le tattiche manipolative della maggioranza
durante il congresso di fondazione hanno rinculato e hanno finito per rafforzare il peso della Piattaforma di
Sinistra anche durante gli stessi giorni del congresso.
Abbiamo finito per ottenere più del 30% dei delegati, e va tenuto conto che eravamo sottorappresentati nel
corpo dei delegati in confronto ai voti nel partito. E si può anche aggiungere un 1,5% di voti alla cosiddetta
Piattaforma Comunista (formata dai seguaci di Alan Woods e della Tendenza Marxista Internazionale [gli
omologhi greci di FalceMartello, NdT]).
L’evoluzione dal congresso di fondazione è stata positiva non solo per la Piattaforma di Sinistra ma anche
per l’equilibrio delle forze dentro Syriza, dato che la maggioranza del partito si è divisa durante il periodo
delle ultime elezioni locali/regionali ed europee. Per essere più precisi, la parte sinistra della maggioranza
(composta principalmente da movimenti e da fuoriusciti dalla corrente di Tsipras nel Synaspismos: Unità
della Sinistra) si è smarcata dal resto. In stile tipicamente greco, il risultato di questo processo è che ora
abbiamo Unità della Sinistra-Sinistra (sic) e Unità della Sinistra-Destra (sic) radunata attorno a Tsipras.
La sinistra della maggioranza si è radunata attorno alla Piattaforma dei cinquantatré, formata da
cinquantatré membri del comitato centrale da alcuni parlamentari nel Giugno 2014, appena dopo le
elezioni europee. Hanno criticato fortemente Tsipras per il tentativo di attrarre politici dell’establishment,
per aver condotto una campagna che non ha dato abbastanza spazio alle mobilitazioni sociali e ai
movimenti, per aver sviluppato una campagna molto incentrata su di lui come persona e attorno tecniche e
trucchi da PR, e anche per aver smussato alcuni punti programmatici cruciali (nello specifico su questioni
come il debito, la nazionalizzazione delle banche e così via).
Quindi la Piattaforma di Sinistra ha avuto il 30% al congresso di fondazione (più il 30% dei seguaci di
Woods), c’è qualche maniera per misurare l’influenza che ha nel partito? E a quanto stimeresti la
dimensione di Unità della Sinistra?
Bene, la mia sensazione è che (e questo si riflette almeno a livello del comitato centrale) la Piattaforma di
Sinistra e l’ala sinistra della maggioranza siano in realtà la maggioranza all’interno del partito e questo
l’abbiamo visto nell’ultimo periodo, per esempio sulla questione cruciale delle alleanze. La dirigenza ha
spinto molto per un’alleanza con Dimar, ma questo non è successo. Non è successo per via della reazione
travolgente interna al partito, e il motore di quella reazione sono state queste due componenti di sinistra.
Nonostante la questione dell’euro continui a impedire un atteggiamento più coeso in quella che noi ora
chiamiamo la sinistra larga del partito, lo spazio di manovra per la dirigenza si è fatto molto più limitato.
Sfortunatamente la maggioranza del partito si è autonomizzata ancora di più dal partito e ne ha disatteso le
decisioni. Non sto parlando di alcune semplici divisioni tra la base e la dirigenza, intendo autonomia totale
dal partito. E questo è, ovviamente, un grande rischio per il futuro.
Il comitato centrale è stato convocato molto di rado e sempre più spesso le decisioni cruciali sono prese in
maniera opaca, come risultato di una contrattazione costante tra vari gruppi di pressione che cercano di
imporre le loro visioni, e così via.
Quanto credi che sia solida la Piattaforma di Sinistra? Intendo: sanno a cosa si oppongono (la
maggioranza) ma in che misura sono uniti e per cosa? Specie in una situazione in cui il governo è in vista e
c’è quindi la possibilità che siano offerte cariche, posti di governo e così via?
Come ho già detto il livello di coesione, non solo in opposizione ma anche propositivo, della Piattaforma di
Sinistra è molto superiore a quello della maggioranza del partito. Anche in termini d’intervento
programmatico, è molto più coeso e coerente. Sotto questo punto di vista è stato cruciale il ruolo di Costas
Lapavitsas e dei suoi interventi sul fronte economico, fornendo conoscenze specifiche su un grande numero
di questioni economiche.
Una particolarità della maggioranza è che le loro visioni non sono molto coerenti. Alcuni, per fare un
esempio, sono molto duri sulla questione del debito. Sono persuasi che il default dovrebbe essere una
possibilità e che bisognerebbe essere fermi nella richiesta di cancellazione della maggior parte del debito.
Quando però uno chiede: “Va bene, ma cosa facciamo dopo il default?” e come sia possibile seguire questa
via senza uscire dall’euro (una conseguenza quasi immediata, non una scelta tra le tante) tendono a rifiutare
di rispondere e aggirare la domanda dicendo che dipenderà dai rapporti di forza in Europa. La Piattaforma
di Sinistra, invece, ha risposte molto più precise.
La principale fonte di divisioni dentro la Piattaforma di Sinistra (ed è una conseguenza quasi automatica o
naturale o inevitabile della coesistenza delle due culture politiche) è il disaccordo sulle questioni
geopolitiche, sulla politica estera. La Corrente di Sinistra ha una visione della politica mondiale e della
politica più tradizionalmente comunista ed anti imperialista. Non è ostile, o meglio è favorevole, a
riferimenti nazionali, o meglio alla combinazione del riferimento di classe a quello nazionale.
Al contrario, DEA ha un tipo di cultura più internazionalista (o ciò che crede essere più internazionalista).
Questo significa per esempio che sulla questione di Cipro o sulle relazioni con la Turchia, o sull’Ucraina e
altre questioni di quel tipo, ci sono differenze, con motivi diversi a seconda della questione specifica.
Che cosa pensa la Piattaforma di Sinistra della potenziale vittoria di Syriza? C’è una linea comune sul non
far parte del governo, non accettare ministeri, o in quale tipo di mobilitazioni (extraparlamentari o
sociali) potrebbe essere coinvolta?
Penso che la caratteristica non solo della Piattaforma di Sinistra ma anche della sinistra larga dentro Syriza,
che include anche una parte sostanziale del blocco di maggioranza, sia vedere la prospettiva di accedere al
potere di governo come un mezzo per innescare mobilitazioni sociali. E lo si intende veramente, perché si è
immersi in un tipo di pratica orientata alla mobilitazione.
La stessa idea che si ha del partito e del processo politico è orientata all’attivismo, per farla breve. È
abbastanza chiaro che l’approccio proposto da Tsipras e dalla maggioranza della dirigenza nell’ultimo
periodo tende a dare un ruolo più limitato ai movimenti e alle mobilitazioni.
Solo per fare un esempio, nel 2012 Tsipras ha sottolineato fortemente che la prospettiva non era solo di un
governo di Syriza, ma di un governo di tutta la sinistra anti austerità. Continua a essere la linea ma ormai
non significa molto, dato che è chiaro che la sinistra estrema o il KKE non accetteranno mai questo tipo di
collaborazione.
Inoltre, e almeno altrettanto importante, sarebbe dovuto essere il governo della sinistra anti austerità e dei
movimenti sociali. All’epoca Tsipras faceva riferimento all’esperienza della Bolivia e una delle iniziative più
significative di Syriza, tra le elezioni di maggio e giugno 2012, fu la convocazione di una sorta di assemblea
generale dei movimenti in cui hanno dialogato con la dirigenza di Syriza. È stato un evento assolutamente
straordinario.
La partecipazione di dirigenti di campagne, di sindacati e simili, in dialogo con Tsipras e altri membri della
dirigenza, ha dato una forte immagine del tipo di prospettiva politica e sociale assunta da Syriza all’epoca.
Non c’è stato nulla di simile nell’ultimo periodo.
D’altra parte si deve anche dire che l’atmosfera in Grecia è drammaticamente cambiata da allora: c’è stato
un declino dei movimenti sociali combinato a un’atmosfera di generale demoralizzazione e passività,
nonostante, ovviamente, importanti lotte settoriali.
Con tutti i distinguo del caso, l’atmosfera nel paese è molto diversa dal 2012, marcata in special modo dal
declino della mobilitazione sociale, quindi la linea di Syriza in questa prospettiva è anche un adattamento
alla tendenza dominante.
Quindi il modello per la Piattaforme di Sinistra sarebbe qualcosa con il Fronte Popolare in Francia, dove il
governo di sinistra è la leva per mobilitare la lotta di classe e i movimenti sociali che a loro volta mettono
pressione al governo? Quindi un piede dentro e uno fuori?
È difficile da predire. Fai riferimento al governo del Fronte Popolare, ma la situazione allora era che le
richieste dei movimenti sociali erano completamente diverse dal programma molto limitato del Fronte
Popolare stesso. Le vittorie, le conquiste, i successi del Fronte Popolare erano risultati immediati della
pressione dei movimenti di massa.
Nel caso di Syriza oggi, penso che sarebbe più adeguato vedere la vittoria di Syriza come un innesco, perché
darebbe sicurezza e romperebbe l’atmosfera di rassegnazione dell’ultimo periodo, ma anche perché
prenderebbe misure per aprire spazi alle mobilitazioni sociali. Per quest’ultima questione, penso che la
misura più importante sia la proposta di riportare lo stipendio minimo ai livelli pre-memorandum e, forse
ancora più importante, il ripristino del sistema di contratti collettivi e del diritto del lavoro che è stato
completato massacrato in questi quattro anni.
Questo darebbe spazio non solo alle lotte, ma anche alla ricostruzione del movimento sindacale che è in
una condizione terribile nella Grecia odierna.
Ma sulla questione dei ministeri e sul giocare un ruolo nel governo non c’è una linea comune? I singoli
decideranno quando sarà il momento?
No, assolutamente no. Penso che la Piattaforma di Sinistra sia molto chiara, che il suo livello di
coinvolgimento a livello puramente governativo dipenda dalla linea che prevarrà nelle scelte strategiche del
governo. Questa è la maniera in cui si approccia alla questione, non altre.
E credo che questo sia forse l’indicatore di quanto siamo diversi, nella pratica politica, da altri: non poniamo
la questione dei ministri per prima, poniamo la questione della linea e delle decisioni strategiche immediate
che saranno prese dal governo. Tutto dipende da quale linea prevarrà. Nel momento in cui parliamo, non
tutto è chiaro, sai? Per dirla in maniera gentile: ci sono molte cose che devono essere chiarite sul
programma di Syriza.
In generale, la nostra linea è la seguente: dovremmo restare coerenti agli impegni fondamentali di Syriza
così come sono stati presi.
Ti riferisci al programma attuale o a quello del 2012?
Intendo il programma attuale. Anche la piattaforma minima presentata al congresso di Tessalonica e
recentemente aggiornata da Tsipras, anche restare fedeli a quello significa andare verso un grande scontro e
significa ovviamente da un lato essere sostenuti dalle mobilitazioni popolari e stimolarle, dall’altra
mobilitare il partito e tutti gli altri soggetti politici e sociali nel processo politico.
Penso che questo sia il ruolo della Piattaforma di Sinistra: essere il catalizzatore di questo tipo di dialettica
cosa avverrà a livello governativo e cosa accadrà a livello sociale. Questo è il compito, il compito storico se
va bene, della Piattaforma di Sinistra. Abbiamo una forza più coesa all’interno del partito che può agire da
catalizzatore delle energie ed evitare che si apra un divario tra le mobilitazioni dal basso e il governo.
Come sai perfettamente, la manovra classica è offrire il ministero del lavoro e il ministero dello sport e
cultura alla sinistra e mantenere i ministeri chiave per l’ala destra del partito. [Nel governo Tsipras la
Piattaforma di Sinistra ha poi avuto il ministro delle politiche industriali e dell’energia (Lafazanis), il ministro
supplente degli affari europei (Hountis) e il ministro supplente della sicurezza sociale (Statoulis), NdT]
Sì, ma non è questo il rischio, ora. Penso che il rischio sia precisamente che non succeda questo. Offriranno
alcuni ministeri strategici, ma senza forse essere chiari sulla linea politica. Significherebbe legarci le mani in
anticipo.
Penso che la questione cruciale è se prevarrà la linea di assumere la responsabilità di un approccio
conflittuale, sia interno sia ovviamente con l’UE e le forze europee. Se si va in questa direzione, la battaglia
non può essere vinta senza un serio chiarimento all’interno di Syriza e della sinistra greca in senso più largo.
La mia speranza (credo realistica) è che questa prospettiva provocherà anche un riallineamento dietro Syriza
e che i settori che ora restano scettici o esitanti rispetto a Syriza, in quel tipo di congiuntura, dovranno
prendere posizione. Io penso che allora avremmo qualcosa come un fronte unito.
Puoi dirci qualcosa di Panagiotis Lafazanis, il principale portavoce della Piattaforma di Sinistra?
Sì, è veramente la figura chiave, e questo è sia una forza sia una debolezza. Syriza è un partito molto
accentrato sul leader, o tende a esserlo, temo che anche la Piattaforma di Sinistra, e in particolare la
Corrente di Sinistra che è la componente maggiore, sia un’organizzazione accentrata su una persona.
Ovviamente anche Antonis Davanellos (DEA) ha una certa importanza ma a livello di politica nazionale
Lafazanis gioca un ruolo cruciale.
Lafazanis rappresenta una generazione di attivisti arrivati in prima linea durante la lotta contro la dittatura. È
uno dei pochi quadri della Gioventù Comunista (meno di dieci in tutta la Grecia) a essere scampati
all’arresto durante tutta la dittatura. È di quella generazione.
Ha scalato la gerarchia del KKE tra gli anni ’70 e ’80 ed è diventato un membro dell’ufficio politico del
partito, è stato particolarmente vicino allo storico segretario generale del KKE dal 1973 al 1989, Harilaos
Florakis. Ha lasciato il partito insieme a molti dirigenti con la scissione del 1991, di cui è stato una figura
centrale.
La caratteristica di Lafazanis è che mentre gli altri si sono generalmente spostati a destra finendo per
abbandonate il Synaspismos o Syriza, o restando ma spostandosi nell’ala destra (come Dragasakis), Lafazanis
è rimasto convintamente marxista e coerente, seppure rompendo decisamente con lo stalinismo (dobbiamo
anche dire che era uno di quelli che, nelle segrete stanze della dirigenza del KKE, era già molto critico
dell’URSS tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80).
All’epoca molti, all’interno del KKE, sospettavano che fosse un cripto-eurocomunista; era conosciuto per
aver letto Gramsci in profondità e così via, ma ovviamente tutto questo rimaneva confidenziale, era risaputo
nelle cerchie più interne del partito, mentre pubblicamente manteneva la linea.
Lafazanis ora è identificato e bersagliato dai media greci perché è visto come l’intransigente. È la figura
all’interno di Syriza che i media e, ovviamente, la destra e le forze pro-sistema amano odiare e stigmatizzare
di continuo. È presentato come il Signor No Euro e il Signor Andiamocene Dall’UE di Syriza. Per fare solo un
esempio recente, immediatamente dopo la rottura delle trattative tra Syriza e Dimar, il principale giornale
greco (Ta Nea) ha pubblicato un editoriale strillato in prima pagina, senza firma, che diceva: “Attenzione,
greci: votate per Tsipras ma è Lafazanis a dirigere realmente il partito”.
Bisogna capire che una delle ragioni principali per cui i media, le elites politiche e le classi dominanti sono
ostili a Syriza è che al suo interno ci sono correnti di sinistra molto forti. Tsipras ne deve tenere conto e per
questo i titoli dei giornali dicono: “Tsipras, fai come Papandreou!”, cioè sbarazzati dell’opposizione interna e
sii un vero leader, liberati di questi pazzi di sinistra intransigenti, e così via.
Dato che abbiamo menzionato il KKE, trattiamolo velocemente. Molti sono curiosi. Pensi che la sua linea
abbia una razionalità, e fino a che punto? Oppure è semplicemente suicida?
Entrambe le cose, credo che l’unica preoccupazione del KKE sia mantenere il partito in funzione, farlo
galleggiare. È chiaro che il sogno del KKE sarebbe di tornare alla situazione pre-2009, quando era la forza
dominante della sinistra radicale. È quello che il KKE realmente vuole. Vuole essere un partito col 7-8%
dell’elettorato, gestire determinati settori e così via.
È un apparato molto conservativo e questo crea una discrepanza tra la natura interna del KKE e la retorica
da terzo periodo che il KKE usa in pubblico. Nel suo discorso ci sono continui riferimenti alla retorica
rivoluzionaria, al socialismo, alla classe operaia, al potere operaio e così via ma in realtà il KKE è rimasto
veramente passivo in questi anni.
È stato coerentemente ostile alle mobilitazioni dal basso. Ha condannato in maniera folle le occupazioni
delle piazze (primavera 2011) descrivendole come parte di un complotto anticomunista. È un partito molto
conservativo, che non ama i grandi cambiamenti.
Ma è una visione organica? Non è imposta in maniera autoritaria dalla dirigenza?
È imposta, ma hanno un apparato molto forte e hanno costruito un partito molto coeso. In questi anni
hanno determinatamente eliminato tutte le opposizioni e sono riusciti a mantenere il controllo del partito.
Sospetto che i pessimi risultati che otterranno alle prossime elezioni [in realtà hanno poi avuto una crescita
dell’1%, NdT+ avranno delle conseguenze.
All’ultimo congresso del KKE, nell’aprile 2013, ci sono stati numerosi dissidi interni, ma la dirigenza è riuscita
a liberarsi della maggior parte dei dissidenti e credo che tutto dipenda da come si svilupperà la situazione.
La prospettiva del KKE e di parte dell’estrema sinistra è scommettere sul fallimento e sul tradimento di
Syriza, lo invocano e in questo c’è un elemento di profezia che si auto avvera.
Quest’atteggiamento ha giocato un ruolo e dobbiamo analizzarlo, e non lo sto dicendo come scusa per la
dirigenza di Syriza rispetto alle sue responsabilità. Il fatto che queste forze abbiano fatto tutto il possibile
per isolare Syriza dalle altre forze della sinistra radicale ha certamente facilitato i tentativi di moderare la
linea e l’approccio del partito.
La scommessa è precisamente che un imminente fallimento di Syriza porterà alla radicalizzazione delle
masse e le libererà dalle illusioni riformiste, ma questo è categoricamente rifiutato da crescenti settori della
società greca che la vedono per ciò che è, cioè una linea completamente irresponsabile e con tratti di follia.
Il risultato è uno spreco di forze e potrebbe cambiare solo se la situazione si riscaldasse nel prossimo
periodo.
Per la prima volta dal secondo dopoguerra, un partito della sinistra radicale ha sconfitto i
socialdemocratici alle urne. Syriza ha sorpassato il Pasok grazie alla sua crescita ma anche grazio al
collasso del voto per la socialdemocrazia. Pensi che questa predominanza possa durare?
La terapia shock applicata in Grecia ha avuto gli stessi risultati politici che ci sono stati in altri paesi del sud
del mondo in cui era stata applicata. Il vecchio sistema politico è collassato, ed è la prima volta che succede
in un paese dell’Europa occidentale nel dopoguerra.
I due partiti principali sono stati travolti: il Pasok, certo, ma anche, in misura minore, Nuova Democrazia. Nel
2012 ha perso il 20% dei suoi consensi, ottenendo il peggiore risultato della destra da quando la Grecia è
uno stato indipendente.
Il collasso qualitativo del Pasok è ancora più serio di quanto farebbero pensare i soli numeri a livello
nazionale. Nelle grandi città il Pasok è arrivato al sesto o al settimo posto. Nella maggior parte dei distretti
operai in cui era dominante, è stato battuto dai neo nazisti di Alba Dorata. Nella fascia d’età 18-24 prende
appena il 2,6% e la maggior parte del suo elettorato (per un totale del 13,4% [alle elezioni del 2012, NdT]) è
composto da pensionati e abitanti delle aree rurali e dei piccoli centri di provincia.
Potremmo dire che agli occhi dei greci il Pasok è completamente screditato.
Il partito è stato totalmente distrutto. Tutto ciò che è rimasto del Pasok, è il residuo della sua vecchia rete
clientelare da stato-partito. I due partiti che si sono succeduti al potere dopo la caduta della dittatura dei
colonnelli erano partiti di massa, ma anche partiti di stato, cioè partiti molto legati allo stato e alla
distribuzione di lavoro e risorse controllate grazie alla presa sugli apparati statali.
Pasok e Nuova Democrazia hanno funzionato attraverso le reti di clientela, non solo i favori vecchio stile tra
le elites, ma anche un clientelismo basato sui grandi apparati burocratici, incluso il movimento sindacale.
Nuova Democrazia era realmente un “partito popolare della destra”, un volkspartei paragonabile alla
Democrazia Cristiana Tedesca, e poteva contare su una corrente sindacale di un certo peso.
Oggi non c’è nessuna relazione tra Syriza e il Pasok.
Fuori dalla Grecia è difficile immaginare la distanza che separa il Pasok non solo dalla sinistra radicale ma
anche dalla stessa società greca. Dagli anni ’90 per quanto riguarda il KKE, dalla metà degli anni 2000 per
quanto riguarda Syriza, non esiste nessuna alleanza possibile o desiderabile tra il Pasok e la sinistra radicale,
a tutti i livelli.
Quindi la ragione per cui c’è un cordone sanitario attorno al Pasok è che il resto della sinistra greca non lo
considera più un partito della sinistra.
Bisogna capire una cosa a proposito del linguaggio della sinistra greca. Fino al 1974 non c’era un partito
socialista in Grecia, nel nostro lessico politico dire “sono di sinistra” significa “sono alla sinistra del Pasok”. Il
Pasok non è mai stato considerato un partito di sinistra nel termine greco della parola. In Grecia la sinistra è
connessa alla tradizione comunista, nel senso ampio del termine, e questo esclude i socialdemocratici come
il Pasok.
COME SI È EVOLUTO IL PROGRAMMA DI SYRIZA?
Parliamo della nuova messa a fuoco della linea di Syriza nell’ultimo anno. Cos’è successo?
Essenzialmente, quello di cui parliamo dicendo “nuova messa a fuoco” del partito è che il discorso del
partito è diventato un discorso a doppio, o triplo, livello. Tsipras e la dirigenza del partito hanno sviluppato
molti livelli di discorso.
I due principali economisti del partito (rappresentanti dell’ala più a destra di Syriza), Giannis Dragasakis e
George Stathakis, più apertamente Stathakis, più a livello di manovra tattica Dragasakis, hanno sviluppato
propri approcci peculiari alle questioni economiche, sistematicamente diversi dalle decisioni ufficiali dei
congressi e dalle posizioni ufficiali del partito.
Spesso Tsipras è dovuto intervenire per ristabilire un qualche equilibrio: questo processo finisce però per
ammorbidire la posizione iniziale, quella del congresso del 2013. Dragasakis e Stathakis, per esempio, hanno
dichiarato che il governo di Syriza non si muoverebbe unilateralmente sul debito, ma il congresso del partito
ha stabilito esplicitamente che tutte le opzioni sono sul tavolo e che nulla può essere escluso nel caso Syriza
fosse ricattata dai debitori.
I due a volte sono stati poco chiari, a seconda l’interlocutore o del pubblico che avevano di fronte, anche
sulla questione della cancellazione del memorandum o se Syriza avrebbe richiesto la cancellazione di tutto o
parte del debito.
Inoltre, Tsipras ha viaggiato molto nell’ultimo periodo. È stato necessario dato che guida un partito che fino
a poco tempo fa aveva il 5% e non aveva nessuna credibilità come capo di stato. Ha dovuto migliorare la sua
credibilità, per non parlare della sua conoscenza della scena internazionale.
Quindi ha visitato posti o istituzioni patrocinate dal mainstream o addirittura dalle oligarchie economiche
come il Forum Ambrosetti [il “meeting di Cernobbio”, NdT+. Questi sono dei club molto esclusivi in cui
personaggi importanti degli affari e della finanza s’incontrano a discutere. L’impressione è che in questi
incontri Tsipras abbia presentato una versione molto moderata del programma del partito.
Per esempio, quando è andato a New York per parlare al Brooking Institute ha ripetutamente fatto
riferimento al New Deal e a Franklin Roosevelt. Ad Austin, Texas, ha detto che Syriza non avrebbe mai
abbandonato l’euro, mentre la posizione del partito (ribadita successivamente da Tsipras stesso in altri
contesti) è che non staremo incondizionatamente nell’euro, senza garanzie e così via.
Tutto questo ha creato l’impressione che sulle questioni strategiche Syriza non sia completamente chiara e
che abbia diversi livelli di discorso, provocando scetticismo sulle reali intenzioni di Syriza e su quanto sia
determinata a resistere alle pressioni che ogni persona sensata sa che dovrà affrontare una volta al governo.
Questo ha innescato costantemente cicli di dibattiti interni e polemiche dentro il partito, a volte dolorose,
ma che hanno portato ad alcuni risultati. Penso sia stato necessario, per quanto a volte doloroso. Ci sono
stati dei costi da pagare, ma almeno Syriza non ha rinnegato pubblicamente i suoi impegni fondamentali.
Lo vediamo ora. Anche se c’è una mancanza di chiarezza sui mezzi per tenere fede a questi impegni, è ormai
chiaro per tutti che ciò che Syriza sta portando avanti non ha nulla a che fare coi programmi di nessun
partito socialdemocratico europeo odierno. È un’agenda di reale rottura con il neoliberismo e l’austerità.
Syriza appare portatrice di una cultura politica connessa a un radicalismo sociale, politico ed anche
ideologico che è inciso nel profondo del DNA del partito.
Ciò non significa che non possano accadere sorprese, ciò non significa che abbiamo una specie di garanzia
che le cose non andranno male. Significa che c’è la possibilità di un cambiamento decisivo nei rapporti di
forza tra le classi. In Grecia c’è la consapevolezza, ora diffusa su un ampio spettro di forze, che questa è la
sola reale possibilità e che, se sarà sconfitta, sarà una sconfitta che durerà per tutto il periodo storico a
seguire.
Ci sono state delle fuoriuscite da questo processo nell’ultimo periodo? John Milios è conosciuto nel
mondo anglofono per i suoi libri e per la sua intervista al Guardian. Ora pare che abbia preso le distanze
dalla dirigenza.
Finora Milios non ha avuto nessuna posizione strategica specifica sull’economia (Dragasakis e Stathakis
hanno condotto le danze). Il suo ruolo è stato quello di fornire delle specie di argomenti marxisti contro
coloro che richiedevano una rottura, o una rottura più chiara, con l’UE e, più nello specifico, una rottura
sulla questione dell’euro.
Milios ha portato molti argomenti marxisti e radicali, dicendo che rompere con l’euro avrebbe significato la
svalutazione del lavoro e una regressione a posizioni nazionaliste. Ha accusato (attraverso mezzi teorici
sviluppati da lui nel corso di decadi) chi parlava di rottura dell’euro di riciclare il vecchio approccio
“sviluppista” centro contro periferia in voga negli anni ’70, sostenendo che il loro vero progetto fosse lo
sviluppo di un capitalismo nazionale greco.
Secondo questa visione, si presume, evitare la rottura con l’euro a ogni costo rappresenta quasi una
garanzia in sé per una prospettiva internazionalista e socialista. In termini di scelte concrete, Milios ha
difeso le posizioni timidamente riformiste di Dragasakis e Stathakis.
Milios ha cominciato a prendere le distanze su due livelli. In primis, sulla questione delle alleanze ha reso
chiaro, con molte ragioni, di non volere aperture a persone provenienti dal Pasok o vecchi elementi
dell’establishment. Inoltre ha contrastato l’alleggerimento degli elementi anti-neoliberisti del programma e
penso sia rimasto molto deluso dal fatto che Syriza alla fine non abbia un’elaborazione specifica sulla
questione della riforma fiscale (che era uno dei suoi temi principali), per esempio politiche redistributive
audaci, tassazione dei ricchi e così via.
Non è molto chiaro cosa farà Syriza con le banche, e cosa farà sulle privatizzazioni. Sicuramente cancellerà
alcuni dei casi più scandalosi di svendita di beni pubblici a prezzi completamente ridicoli. Le recenti
dichiarazioni di Dragasakis e Stathakis sulle banche e le privatizzazioni, però, non sono incoraggianti, sono
chiaramente una ritirata dalle decisioni e dagli impegni presi ai congressi.
Ci sono delle questioni molto importanti che il governo di Syriza dovrà affrontare, non nel lungo o medio
periodo, immediatamente.
Potresti dirci qualcosa della serie di candidature designate dalla maggioranza prima delle prossime
elezioni?
Penso che anche questo sia un vero problema dentro il partito. Al livello delle sezioni del partito, e anche a
livello regionale, sono falliti quasi tutti i tentativi d’infiltrazione da parte di personaggi delle vecchie elites
politiche (nazionali e locali). Sono stati rifiutati da maggioranze schiaccianti e anche questo è un indicatore
che la Piattaforma di Sinistra e la “sinistra larga” del partito non sono settori isolati, ma sono realmente
capaci di imporre le proprie visioni su questioni cruciali.
La reazione di Tsipras e della dirigenza del partito è stata prima di ritardare sistematicamente le riunioni del
comitato centrale, paralizzando questo livello decisionale. Poi la dirigenza è riuscita ad ottenere carta bianca
per cinquanta su 450 candidati totali (ci sono 300 posti in parlamento, ma 450 candidati), significa che solo
ora siamo riusciti a conoscere la composizione finale delle liste.
L’idea di collaborare con Dimar è fallita grazie alla reazione suscitata. Molti candidati a livello locale sono
stati rifiutati dalle federazioni e dalle sezioni. Ora c’è una disputa su delle persone che saranno paracadutate
dall’alto.
D’altra parte, il fatto che Costas Lapavitsas sia stato accettato come candidato è uno sviluppo importante. Si
era già discussa la sua candidatura alle elezioni europee e alla fine era stata rigettata dalla maggioranza
della dirigenza.
Questo è molto importante perché Lapavitsas non è solo un individuo, è un simbolo di una maniera
specifica e determinata di approcciarsi alla crisi, all’Europa, al debito e a tutte le questioni europee. Averlo
nelle liste e come parlamentare rende più credibile Syriza quando dice “davvero, tutte le possibilità sono sul
tavolo”. Vuol dire che lo intende davvero.
SYRIZA PUÒ FORMARE UN GOVERNO?
Se Syriza arrivasse prima alle elezioni parlamentari, avrà bisogno di formare una maggioranza
parlamentare. È possibile? Come?
Non escluderei una vittoria totale di Syriza. I sondaggi la danno al 35%, quindi non è lontana dalla
maggioranza assoluta dato che la legge elettorale greca assegna un premio di maggioranza di 50 seggi al
primo partito. Quindi è possibile e anche probabile che Syriza abbia una maggioranza assoluta.
È vero che non ha alleati naturali: il KKE ha escluso ogni alleanza mentre Dimar, che ha fatto parte del
governo di grande coalizione fino all’anno scorso, è stata spazzata via. È una delle difficoltà che dovranno
essere affrontate, ma non dobbiamo dimenticare che in un certo senso questo evidenzia un punto politico
cruciale: il tentativo di qualcuno di moderare le posizioni di Syriza basandosi sulle concessioni che si
dovranno fare per costruire le alleanze.
L’elettorato greco lo sa, e potrebbe dare a Syriza la maggioranza assoluta per applicare il proprio programma
senza dover fare concessioni per ottenere una maggioranza parlamentare. [Syriza ha poi ottenuto 149 seggi
su 300, da cui l’alleanza coi Greci Indipendenti, NdT+
Che cosa pensi dell’atteggiamento di Nuova Democrazia che gioca sulla “minaccia rossa” e la paura del
caos se dovesse vincere Syriza?
Bisogna capire che dopo quattro anni di memorandum non solo la destra ma anche il centro sinistra, o quel
che ne rimane, sono ormai formazioni molto autoritarie, sostenitrici di una politica del pugno di ferro.
L’attuale primo ministro, Antonis Samaras di Nuova Democrazia, viene dall’ala nazionalista del partito ed è
circondato da un entourage proveniente dall’estrema destra. Quest’ala di destra dura gioca sui sentimenti
profondamente anti comunisti di una parte della popolazione greca.
Il governo usa la retorica della paura, non ha altri argomenti, fa parte della sua visione autoritaria e
“muscolare” della politica. Se Syriza fallisse, allora le prospettive per il paese sarebbero reazionarie e
autoritarie.
LE PRIORITÀ DI SYRIZA AL POTERE
Quali sono le priorità di Syriza per la Grecia?
Ci sono quattro temi principali su cui lavorare, e non li metto in un ordine particolare. Prima di tutto le
misure d’emergenza per affrontare gli aspetti più pesanti dei disastri recenti: riallacciare all’elettricità tutte
le case, mense scolastiche per i bambini e ripristinare un sistema di sanità pubblica degno di questo nome.
Oggi un terzo della popolazione è escluso dall’assistenza medica.
Secondo: smantellare il nocciolo duro dei memorandum. Cioè riportare il salario minimo ai livelli pre-2010,
ripristinare i contratti collettivi e la legislazione sociale che è stata completamente distrutta. Questo
aprirebbe spazi d’azione per i lavoratori e darebbe miglioramenti immediati. Dobbiamo anche liberarci delle
assurde tasse sulla proprietà che lo stato ha estorto alla popolazione per molti anni. Questo non è
negoziabile.
Terzo: il debito, e qua ci saranno dei negoziati. Non c’è via d’uscita per la Grecia se la restituzione del debito
come previsto dai memorandum continua a soffocare il paese.
Per creare avanzi di bilancio e poter ripagare il debito è stato fatto un massacro di tagli di spesa pubblica e
sociale. Questo è impraticabile. L’avanzo di bilancio non sarà mai abbastanza alto da coprire gli interessi del
debito, il cui peso cresce al crollo del PIL, arrivando ora al 177%.
Bisogna trovare una soluzione a ciò. Syriza insisterà su una soluzione come quella del caso tedesco nel 1953,
cioè cancellare la maggior parte del debito e restituire il resto entro i termini delle clausole di crescita.
Ma cosa faremo nel caso gli europei rifiutassero? Ancora una volta tutte le scelte sono sul tavolo, Syriza non
si ritirerà e non si farà ricattare come fece Anastassiades, il presidente di destra a Cipro, fino a quando nella
primavera del 2013 il parlamento cipriota ha rifiutato il piano di salvataggio proposto dall’UE.
Quarto: lavorare al riavvio dell’economia, che è stata distrutta, per affrontare la disoccupazione di massa
(26%, 50% tra i giovani) in cui la Grecia si trova. Solo gli investimenti pubblici possono davvero avviare
questo. È una faccenda molto complessa ma abbiamo bisogno di rilanciare l’economia in modo da
rispondere alle necessità sociali e ambientali, a differenza di ciò che è stato fatto in passato.
COME AFFRONTARE IL DEBITO E L’EURO.
Immaginiamo che ci siano state le elezioni, che Syriza abbia vinto la maggioranza assoluta e non abbia
bisogno di appoggiarsi ad alleati inaffidabili. Una vittoria totale. Come sai, Paul Mason ha scritto un
articolo sui pericoli per Syriza nelle prime settimane dopo un evento del genere e sulle enormi pressioni
cui sarebbe sottoposta sia dai mercati sia dall’UE.
Al momento la linea di Tsipras è di scoprire il bluff dell’UE e scommettere che ciò sia sufficiente, che la
crisi che la Grecia potrebbe causare all’eurozona potrebbe essere sufficiente a calmare tutto. Come
percepisci questa strategia? Quanto è preparata Syriza a queste pressioni?
Innanzitutto non si capisce quanto violenti siano il clima politico e le campagne elettorali in Grecia. Nel
2012, onestamente, è stata una campagna elettorale più simile a quella di un paese
sudamericano che a un paese europeo.
L’approccio, la retorica e i discorsi sia del governo in carica sia dei media nei confronti di Syriza la dipingono
come una forza fondamentalmente illegittima. Dicono che quando Syriza arriverà al potere ci sarà uno
scenario totalmente apocalittico, che la Grecia sarà espulsa dall’eurozona e i supermercati saranno vuoti.
Stanno addirittura facendo dei fotomontaggi di scaffali vuoti, o supposti vuoti, in Venezuela e Argentina con
la scritta: “Questo succederà in Grecia”.
In un certo senso, queste intimidazioni sono state d’aiuto, in particolare le molte dichiarazioni di ufficiali
dell’UE nell’ultimo periodo. Tutte molto ostili a Syriza, tutte contenenti forme di intimidazione. Syriza deve
confrontarsi con questa situazione. L’approccio corrente è che non riconsidereremo le nostre richieste, non
le annacqueremo.
D’altro canto Syriza vuole rassicurare l’elettorato che ci sono persone e forze in Europa più aperte alla
contrattazione e ad alcune concessioni. Tsipras ha scritto per esempio uno spiacevole articolo in cui
suggerisce che i governi di Francia e Italia starebbero prendendo le distanze dall’austerità.
Vengono sottolineate alcune dichiarazioni dei socialdemocratici tedeschi e un articolo di Bloomberg in cui la
Grexit *“greek exit”, l’uscita dall’euro, NdT+ è giudicata impossibile, uno scenario impercorribile che nessuno
considera. Il punto centrale è che la maniera in cui i media europei dominanti presentano Syriza è cambiata
nelle ultime settimane e giorni.
Qual è il significato di questo cambiamento? Prima dicevano: “Questi sono estremisti di sinistra, sono una
minaccia e dovremmo affrontarli e sconfiggerli”. Ostilità esplicita. Ora il tono è: “In realtà sono più
ragionevoli di quanto sembri e in ogni caso non cambieranno di molto le cose”.
La morale è che qualunque cosa tu faccia dovrai sempre rimanere all’interno del quadro attuale. Qualcuno
sta facendo il poliziotto buono e qualcun altro il poliziotto cattivo, la realtà è che le sbarre di ferro sono
ancora lì e non c’è un reale spazio di manovra.
Penso che le posizioni moderate dentro il partito siano comprensibili fino a un certo punto, una specie di
discorso difensivo può essere necessario in certe circostanze, ma il problema è che non si prepara la società
a ciò che succederà inevitabilmente in caso di vittoria di Syriza. Ovvero che la decisione di attuare
completamente il programma sarà molto conflittuale, sia nel paese sia nell’Unione Europea.
Penso che anche durante la campagna elettorale la sinistra di Syriza abbia un ruolo da giocare, in maniera
leale, rimanendo fedele al programma ma sottolineando che le cose non saranno facili, che dobbiamo
prepararci a scontri seri. Queste cose le dobbiamo enfatizzare a seconda dei momenti e delle debolezze
delle posizioni della maggioranza.
Ma anche Tsipras fa questo discorso a volte. Quindi c’è un gioco costante di bilanciamento tra queste
contraddizioni. Se osserviamo le cose dall’esterno, la contraddizione giace nella situazione in sé, nel senso
che sarebbe stato difficile non avere queste contraddizioni nella situazione esistente.
Parliamo di una situazione in cui il livello di mobilitazione sociale è stato molto basso per un periodo
abbastanza lungo, il contesto è elettorale, non insurrezionale. L’equilibrio delle forze internazionali è in
svantaggio per Syriza, nonostante i recenti sviluppi in Spagna. In generale, in Europa, è chiaro che il governo
di Syriza sarà abbastanza isolato.
Quindi queste esitazioni, ambiguità e oscillazioni sono parzialmente inevitabili, a patto che si sia lucidi sul
fatto che ciò che ci attende è una scelta tra andare avanti verso lo scontro o arrendersi. Non penso che ci
siano opzioni intermedie tra la resa e lo scontro.
Affrontiamo le questioni del debito e dell’euro, che sono i principali punti di discussione e divisione nella
sinistra
radicale.
Sono,
in
parte,
riprese
dalla
Piattaforma
di
Sinistra
e
da
Antarsya.
Sono questioni chiave che la maggioranza non affronta adeguatamente, evita o cerca di sviare. Puoi dirci
qualcosa sull’importanza simbolica e, più concretamente, sull’importanza strategica, alla luce di una
possibile vittoria di Syriza?
Questa domanda ne contiene molte. Partiamo dal livello simbolico: credo che l’egemonia ideologica della
classe dominante in Grecia sia stata basata sul progetto europeo, sull’idea che aderendo al processo
d’integrazione la Grecia sarebbe diventata un paese moderno, un “paese europeo sviluppato”, e sarebbe
definitivamente e irreversibilmente entrata nel club delle società europee occidentali più sviluppate e
avanzate.
Io credo che sia una specie di fantasia di longue durée della Grecia come nazione indipendente: diventare
una parte accettata dell’Europa occidentale. Nel primo decennio dopo l’entrata dell’euro è sembrato che
questa fantasia fosse diventata realtà.
Ovviamente non va sottovalutata la forza simbolica dell’euro: possiamo pensare all’analisi di Marx sul ruolo
della moneta e della valuta e a tutti i valori simbolici che vi stanno dietro. E ha funzionato. Tutti sanno che
prima della crisi, prima del memorandum, la Grecia, come gli altri paesi della periferia europea, deteneva i
livelli più alti di consenso sia per il progetto europeo sia per la valuta comune.
Penso che sia una tipica mentalità da paese subalterno. Ovviamente questi livelli di sostegno sono calati
drasticamente durante la crisi, in ogni caso la realtà è molto più ambigua: da un lato non ci si fida dell’UE
perché ha imposto i memorandum e il governo della troika.
Dall’altro, sembra che in una condizione di disperazione le persone si attacchino alle ultime vestigia dei
vecchi status simbolici. Molti sono disperati all'idea di perdere il loro status, o il loro supposto status, di
membri a pieno titolo del club dei paesi europei più avanzati. Le cose quindi sono molto complesse a livello
di senso comune.
Parlando delle strategie politiche, le correnti dentro Syriza, in particolare quelle che vengono da un terreno
eurocomunista (o, in maniera minore, chi viene dal movimentismo) mostrano un forte sostegno al progetto
europeo in sé. Al contrario, le correnti provenienti dalla sinistra del KKE (essenzialmente, la Corrente di
Sinistra) sono tradizionalmente più ostili all’integrazione europea e hanno mantenuto un atteggiamento più
negativo fin dall’inizio della crisi nei confronti dell’euro e dell’UE come istituzione o come gruppo
d’istituzioni.
Ma non da una prospettiva nazionalista di sinistra?
Penso che sia un errore dire che le correnti che arrivano dal KKE siano correnti di sinistra nazionalista. C’è
una tradizione di patriottismo di sinistra, connessa all’eredità dell’antifascismo, diciamo. Ma se si prende,
per esempio, il conflitto con la Macedonia o le relazioni con la Turchia, il KKE e le persone che arrivano dalla
matrice del KKE hanno posizioni molto miti nei confronti della Turchia. Nel caso della Macedonia il KKE è
stato l’unico partito a non essere contrario, all’inizio degli anni ’90, al riconoscimento dello stato della
Macedonia.
Dentro Syriza, le forze della Piattaforma di Sinistra hanno sviluppato una critica di principio all’UE in sé che
vede la presenza della Grecia nell’eurozona come uno dei punti del problema. Se non si è pronti alla rottura
con l’eurozona, nel caso che quella sia l’unica opzione per la sinistra come nel caso del ricatto a Cipro, allora
le mani sono legate in partenza.
La maggioranza di Syriza ha fortemente contrastato quest’approccio e ha sostenuto degli argomenti che in
superficie sembrano molto di sinistra, sostenendo che quest’approccio porterebbe a ritirarsi dentro
soluzioni nazionali. Criticano la mancanza d’internazionalismo ma anche la mancanza di anticapitalismo
perché, sostengono loro, queste soluzioni sottenderebbero un ritorno al capitalismo nazionale. Questo è in
linea con ciò che dice il resto della sinistra radicale europea.
Sotto l’influenza di Antonio Negri e posizioni del genere?
Per quanto riguarda la maggioranza di Syriza, penso che non sia Negri. Lui potrebbe aver giocato un ruolo
per quanto riguarda le componenti movimentiste, ma per quanto riguarda la maggioranza di Syriza penso
che il ruolo chiave sia stato di Die Linke e della Fondazione Rosa Luxemburg. Hanno un ruolo nella diffusione
di molti temi e di programmi per la riforma interna dell’UE, sulla comprensione della crisi e sulle vie d’uscita
intese essenzialmente come un problema di redistribuzione.
Dietro a questo c’è l’idea che dobbiamo cambiare i rapporti di forza direttamente a livello dell’UE evitando
ogni mossa unilaterale a livello nazionale. Qualunque altra strategia, dicono, porterebbe a una regressione
perché dimostrerebbe nostalgia per i vecchi stati nazionali e così via. Questi sono i termini di discussione,
l’euro è diventato un punto divisivo.
L’altra questione, altrettanto importante, è quella del debito. La geometria dei termini del dibattito non è la
stessa. C’è chi non è favorevole alla rottura con l’euro ma è per un atteggiamento radicale sul debito.
Considerano seriamente il default come un’arma nelle negoziazioni sulla ristrutturazione del debito greco.
L’approccio della maggioranza di Syriza è ancora quello per cui si possono distinguere le due questioni e
cominciare dalla discussione del debito. Secondo questa logica, dato che la rottura con l’austerità e con i
memorandum non è negoziabile, si è in una posizione di ricatto invertito, il debole contro il forte. Tu rompi
l’austerità in maniera unilaterale, poi Merkel e gli altri non avranno altra scelta se non accettare una
ristrutturazione del debito a favore dei paesi debitori.
Credo che questi termini di discussione siano in qualche maniera circolari. La vera questione è la seguente:
tutti sono d’accordo che la rottura dell’austerità e la rottura unilaterale sui memorandum siano l’unica via
d’uscita dalla situazione corrente. Su questo terreno possiamo avere il sostegno della maggioranza della
società greca, quindi è un aspetto decisivo.
Allora la domanda è se questo può accadere dentro l’eurozona oppure no. Questa, io penso, è ancora una
domanda aperta e solo la pratica ci darà la risposta.
Secondo me, e secondo la Piattaforma di Sinistra, questi temi non possono essere risolti senza affrontare
questa domanda. I temi del debito e dei memorandum sono la prova del nove dell’approccio della
maggioranza di Syriza.
D’altra parte, l’atteggiamento del KKE è diventato velocemente, quasi in maniera immediata: “questa è una
discussione sbagliata, non ci importa della valuta”. Lo slogan ufficiale è “Né euro né dracma, se restiamo nel
capitalismo, non importa se siamo pro o contro l’UE.” Secondo loro chi chiede l’uscita dall’euro è il nemico
più pericoloso, dato che distrae dai reali obiettivi della lotta di classe e così via
Né Dracma né euro, ma rublo e socialismo internazionale!
Beh, ora si può togliere il rublo dall’equazione, ma sì, si riferiscono a una specie di potere operaio mitico.
Questo diventa immediatamente una linea di demarcazione tra riformisti e rivoluzionari, finendo per 1)
sottovalutare completamente i rapporti di forza nella società greca e il ruolo della sinistra radicale
propriamente detta e 2) confondere obiettivi strategici con obiettivi e richieste di transizione.
Questo ultimatismo, che antepone queste questioni come un prerequisito per ogni tipo di approccio politico
comune, è stato decisamente rigettato nella congiuntura attuale. Il momento della verità arriverà molto
presto. Sapremo se sarà possibile rompere con l’austerità rimanendo nell’eurozona. Finora tutto indica il
contrario.
Questo è il messaggio dei ricatti a cui sono stati sottoposti Irlanda e Cipro e dei governi europei che dicono
“Va bene, forse possiamo evitare la Grexit a patto voi stiate dentro il quadro attuale. Forse non siete così
pericolosi e minacciosi come sembravate o facevate finte di essere. Quindi farete velocemente lo stesso
percorso degli altri governi di sinistra del passato recente in vari paesi europei, a partire dalla Francia”.
Quindi io penso che la Piattaforma sarà vendicata dagli eventi a venire, ma la giusta maniera di approcciarsi
alla questione non è solo indicare l’euro come un prerequisito, ma anche rigettare decisamente l’idea che
dovremmo accettare sacrifici o concessioni per restare nell’eurozona.
Ma questo, in un certo senso, non riduce le differenze tra la maggioranza e la Piattaforma di Sinistra a una
falsa scelta? La divisione non sembra così importante e riguarda principalmente le dichiarazioni
pubbliche, che sono in parte strumentali: bluffare, scontarsi, chiamare Merkel e compagnia a scoprire il
proprio bluff. Non sembra molto di sostanza.
Penso che ci sia molta più sostanza rispetto a come lo descrivi. Sulla carta puoi avere un testo che riflette
questo tipo di compresso: “Non accetteremo sacrifici per l’euro”, “tutte le opzioni sono aperte, ma la nostra
scelta non è l’uscita dall’euro in sé” e sono effettivamente le formule che si trovano nei documenti chiave
del partito. Ma è un compromesso instabile e ciò che è successo lo rivela.
C’è quindi una posizione, da una parte, per cui “dovremmo restare nell’euro” e un’altra per cui “dovremmo
prepararci a tutte le iniziative e gli obiettivi”. Il risultato concreto è che Syriza è impreparata. Non c’è il piano
B, non c’è preparazione politica nel partito, nella società greca, nel popolo. E questo è usato per ricattare la
popolazione greca, e sarà indubbiamente usato in futuro per ricattare il governo guidato da Syriza.
Per essere chiari: parliamo di uscita, o potenziale uscita, dall’eurozona e non dall’Unione Europea. Dentro
Syriza non c’è nessuno che proponga l’uscita dall’UE.
Non è del tutto vero, almeno la Corrente di Sinistra è ostile all’UE in sé.
Ma è possibile immaginare che le Grecia resti un membro dell’UE senza essere nell’eurozona?
Beh, sì, ma questo solleva molte questioni sui trattati europei e su quanto siano compatibili con un qualsiasi
percorso di alternativa. Riguardo questo si può dire che è interessante la posizione di disobbedienza ai
trattati assunta dal Front de Gauche in Francia, almeno sulla carta. Sennonché, come abbiamo visto alle
recenti elezioni, questa posizione era scritta sul programma ma non è mai stata sostenuta, sviluppata e
difesa in pubblico.
Lo stato del dibattito è molto più avanzato in Grecia perché queste sono diventate questioni dibattute nella
società e non in circoli ristretti di attivisti o intellettuali. Penso che ci siano preziose lezioni da trarre per
l’intera sinistra in Europa.
In tutto questo, come si relaziona la NATO?
Credo che l’opposizione alla NATO sia saldamente parte del codice genetico della sinistra radicale greca.
Dall’inizio della crisi, però, l’opposizione al governo della Troika ha sostituito tutto il resto. C’è anche il fatto
che ormai gli USA con Obama siano percepiti da molti, anche a sinistra, come più benevoli della Germania
della Merkel.
Penso che ci sia un pezzo di Syriza che probabilmente vede gli USA come un contrappeso all’UE dominata da
Merkel. Non concordo e penso che ci sia un grande prezzo da pagare per questo tipo di visione. Chi dice
questo tipo di cose in Grecia è incline a sostenere le linee di politica estera dello stato greco e delle sue
elites politiche, cioè un’alleanza con Israele da giocare nei rapporti con la Turchia, invertendo quindi il
tradizionale asse tra la Grecia e il mondo Arabo, o almeno una sua parte.
Non sono d’accordo con tutto questo, alla radice, ma si deve riconoscere la percezione diffusa che la
contraddizione principale sia quella con la Germania e l’Europa, scalzando così di posto la questione
dell’imperialismo americano.
Quindi l’uscita dalla NATO non fa parte del programma?
Anche questo è un punto di dibattito dentro Syriza. La Piattaforma di Sinistra è molto a favore di un’uscita
unilaterale dalla NATO ma la formula dominante dentro la sinistra radicale è la “dissoluzione della NATO”. È
come per il debito, lo rinegozieremo, ma cosa succede se le altre parti non accettano le nostre proposte?
Che cosa significa “dissolvere la NATO”? Veramente, non lo so.
Comunque, concordo che questa non sia la priorità numero uno del governo greco. Non si possono aprire
tutti i fronti insieme e ora il fronte principale da aprire è certamente quello della Troika e dei poteri
dominanti in Unione Europea.
A proposito del debito, correggimi se sbaglio, ma ho l’impressione che la Piattaforma di Sinistra, o almeno
l’ultimo scritto di Heiner Flassbeck e Lapavitsas parli di cancellazione di una parte del debito e minimizzi
l’aspetto dell’audit del debito fatta dai cittadini. Quest’idea era diventata molto popolare grazie ad Attac
e a quello che è successo in Ecuador, un processo in cui la popolazione poteva leggere i conti dello stato e
comprendere la corruzione e la cattiva distribuzione e poteva riappropriarsi del controllo delle finanze
dello stato. Ora non sembra particolarmente centrale. Non è visto come un processo politico da operare a
livello di massa, giusto?
Ci sono molte questioni. L’audit del debito è una delle richieste approvate dal congresso di Syriza ed è
contenuta nel documento finale. Ma è stata una decisione difficile ed è poi stata messa sotto silenzio dalla
maggioranza. Quel che è più preoccupante è che, anche se era stata iniziata una campagna su questo
durante i primi due anni di crisi, c’è stato un declino molto serio per quanto riguarda queste richieste e non
sembrano punti centrali del dibattito pubblico.I testi di Lapavitsas danno grande rilevanza a questa
questione. Quando i testi sono firmati insieme a Flassbeck, Lapavitsas deve seguire una linea che metta
d’accordo entrambi e deve certamente mettere da parte alcuni temi, tra cui questo. Questa è una delle
questioni che possono essere positivamente portate avanti in una campagna internazionale dato che
potenzialmente può mobilitare un largo spettro di forze. Ma non si può fare nessuna seria discussione sul
debito finché non si risponde alla domanda: “Cosa fare se gli altri rispondono di no?” Molte discussioni fatte
dal 2012 in poi tendono a offuscare la domanda dando per scontato che le concessioni della controparte
saranno in qualche modo inevitabili. Ma questo semplicemente non è vero.
COME POTREBBE ESSERE LA GRECIA NEL 2015?
Immaginiamo che a Luglio 2015 Syriza abbia vinto le elezioni generali, le elaborazioni della Piattaforma di
Sinistra sono state confermate, la Grecia esce dall’eurozona, i memorandum sono cancellati, c’è una
nazionalizzazione almeno parziale del Sistema bancario, è stata posta fine alle privatizzazioni e così via.
Come sarà la società greca nel Luglio 2015?
Sappiamo che il socialismo in un solo paese non funziona. Fino a che punto un governo socialista di
sinistra in un paese europeo povero, arretrato, senza accesso al credito internazionale, escluso
dall’eurozona, potrebbe essere in grado di cambiare le cose? Come sarebbe una società del genere?
Prima di tutto, data la situazione che descrivi, l’estate del 2015 sarebbe l’inizio del default greco, perché sarà
durante quell’estate che la Grecia dovrà fare alcuni grandi pagamenti sul suo debito. In una situazione di
default e di uscita, o espulsione, dall’eurozona, ci sarebbero molte difficoltà da affrontare.
Tutti gli esperimenti di trasformazione sociale nella storia sono successi in un clima internazionale ostile.
Qui la nozione di tempo e di temporalità è assolutamente cruciale. La politica è essenzialmente intervenire
in un particolare momento, disfarsi della temporalità dominante e inventarne una nuova. Ovviamente,
strategicamente, il socialismo in un solo paese non è sostenibile. La trasformazione sociale in Europa ci sarà
solo se ci sarà una dinamica espansiva attorno a quella greca.
Quindi la mia risposta è: sarà sicuramente dura per la Grecia, ma sarà fattibile se ci sarà un forte sostegno
sociale per gli obiettivi posti dal governo.
La Grecia, con un governo di sinistra che si muova in quella direzione, provocherà una grande ondata di
sostegno da larghi settori dell’opinione pubblica europea e darà forza in maniera inimmaginabile alle
sinistre radicali, dove c’è il potenziale per un loro forte intervento.
La Spagna è il candidato più ovvio per l’estensione di uno scenario di tipo greco. Io penso però, anche se ora
sembra un po’ improbabile, che anche la Francia sia un potenziale anello debole dell’UE, se il vento del sud
dovesse soffiare abbastanza forte.
Abbiamo l’esperienza di una società [il Venezuela, NdT] che, come la Grecia, è una formazione sociale
capitalista con una borghesia privata, con un governo riformista radicale o addirittura rivoluzionario e con
anche un grande vantaggio su cui poter contare (le riserve petrolifere) e che è stato in grado di
appoggiare su un certo sostegno dal resto del continente, con governi benevoli o addirittura a favore di
Chavez.
La situazione in Grecia è molto peggiore rispetto a quella della Rivoluziona Bolivariana. Meno vantaggi e
meno sostegno internazionale. E la situazione non è un granché neanche in Venezuela, oggi. Quindi, su
quali basi possiamo confidare che la situazione in Grecia si evolverà per il meglio?
Prima di tutto, in Venezuela c’è un esperimento di trasformazione sociale che dura da quindici anni. Non
c’era una tradizione forte di sinistra radicale, nessuna tradizione di lotte sociali comparabile a quella della
Grecia o del resto dell’America Latina. Il Venezuela era visto come una specie di Dubai o di Emirato latino
americano. Basta leggere I Passi Perduti di Alejo Carpentier per avere coscienza della trasformazione
avvenuta in quella società in un periodo straordinariamente breve di tempo, di quello che succede in una
società arretrata quando si muove velocemente verso qualcosa come gli Emirati o l’Arabia Saudita.
Politicamente, socialmente ed economicamente la Grecia è una società capitalista molto più avanzata del
Venezuela: le sue strutture sociali, la sua tradizione politica, la costituzione, la configurazione delle classi
sociali e delle forze sociali sono molto più vicine a quelle della media di un paese dell’Europa occidentale.
Ma con una piccola borghesia molto grande…
Va bene, una piccola borghesia grande, ma certamente non paragonabile a quella del Venezuela, dove
l’economia informale coinvolge qualcosa come il 50% della popolazione, specialmente dopo le riforme
neoliberali. Inoltre, le riserve petrolifere sono state un’arma potente ma hanno anche prevenuto ogni
trasformazione della struttura economica del Venezuela, quindi sono state una specie di arma a doppio
taglio.
Quindi la mia visione sulla Grecia è che (a) se avessimo un periodo di 15 anni senza successi qualitativi ma
con trasformazione sociale, sarebbe ottimo; (b) la Grecia è ovviamente periferia, ma è periferia interna al
centro, questo vuol dire che il potenziale destabilizzante dell’esperimento greco è forse più ampio per il
sistema capitalista di quello del Venezuela; (c) l’esperienza politica accumulata dalle forze sociali e politiche
in Grecia (senza per questo voler sminuire la grandissima importanza di quello che è successo in Venezuela)
è assolutamente incomparabile.
La Grecia ha una ricca tradizione di lotte sociali. Ciò che differenzia la solidarietà con la Grecia dalle
precedenti forme di solidarietà è che ora non si tratta di esprimere solidarietà a paesi geograficamente
molto distanti e molto differenti come strutture sociali e livello di sviluppo.
La Grecia è una periferia, se vuoi, ma è una periferia dell’Europa. I processi sociali in corso in Grecia hanno
una capacità espansiva superiore e più diretta per questa parte del mondo di quelli dell’America Latina,
perché la crisi Greca è parte della più generale crisi del capitalismo europeo. E l’Europa, nonostante la sua
posizione attuale, diversa da quella tenuta in passato, è ancora degli dei maggiori centri del sistema
capitalista mondiale.
SYRIZA POTREBBE AFFRONTARE UN COLPO DI STATO?
Che cosa dici dell’opposizione interna? È credibile uno scenario cileno se la pressione dell’UE fosse
insufficiente?
Recentemente ho letto molto sul Cile, tra le altre il meraviglioso libro di Franck Gaudichaid sulle lotte
operaie e i movimenti sociali durante il periodo di Unidad Popular.
La grande differenza è che in Cile c’era chiaramente un movimento operaio in ascesa e dei forti partiti della
sinistra socialista e comunista radicati nelle masse popolari. Non abbiamo soggetti politici e sociali di questo
tipo in Grecia e Syriza non è certo un partito di massa con collegamenti alla classe operaia e alle masse
rurali comparabili a quelli dei partiti di Unidad Popular e dell’estrema sinistra in Cile dell’epoca.
Dall’altra parte, gli avversari sono altrettanto feroci. Il sabotaggio economico è ovviamente un’opzione per
strangolare il governo di sinistra in Grecia. Un’altra possibilità è certamente la strategia della tensione.
Queste cose devono essere prese sul serio.
Il pericolo maggiore non viene dall’esercito. Eventi recenti hanno mostrato che fin ora non ci sono reti
interne all’esercito che possano essere mobilitate nel breve periodo per azioni golpiste. Al contrario, ci sono
reti di questo tipo nella polizia, in settori della magistratura e in quello che chiamiamo lo “stato profondo”.
Ovviamente, è stata Alba Dorata a rivelarlo. Non dobbiamo dimenticare che quando fu arrestata la dirigenza
di Alba Dorata, furono arrestati per legami con l’organizzazione anche due alti ufficiali della polizia e un
membro dei servizi segreti.
Penso che questa sia la maggiore minaccia per Syriza. Questa e i media. È chiaro che i media greci sono
l’equivalente di quelli venezuelani. Attraverso il tipo di retorica che usano, la loro straordinaria aggressività
nei confronti di Syriza e la violenza verbale e simbolica stanno preparando il terreno per qualcosa di più
violento e concreto.
Puoi dirci qualcosa sulla possibile dialettica negativa tra queste forze dello stato e gli anarchici o gli
autonomi o gli elementi di ultra-sinistra? Sulla possibilità che le azioni di forze extraparlamentari,
infiltrabili da agenti provocatori e così via, possano essere usate come scusa per aumentare la pressione e
la forza della polizia e poi provocare quel tipo di eventi su cui potrebbero marciare?
Ovviamente non lo possiamo escludere, è uno scenario molto opaco. Comunque devo dire che l’ambiente
anarchico è una corrente molto concreta in Grecia. Rappresenta davvero certi settori, specie nella gioventù.
Ovviamente è una costellazione di cose molto differenti e molte sono allo stato embrionale, difficile parlare
di correnti, tendenze etc.
Una parte significativa di quell’ambiente è abbastanza positiva nei confronti di Syriza, che ha preso delle
buone posizioni contro l’autoritarismo e ha spesso difeso gli anarchici e gli arrestati, ha difeso i diritti di
persone sotto processo per scontri con la polizia e così via.
C’è una struttura specifica, vicina al partito, la Rete per i Diritti Sociale e Politici, molto attiva nella difesa di
persone perseguitate dalla polizia, inclusi membri del gruppo armato 17 Novembre o anarchici coinvolti in
casi di guerriglia urbana. Molti membri del partito vanno in tribunale a testimoniare a favore degli accusati.
Questo significa che almeno la parte più politicamente cosciente (e comunque significativa numericamente)
degli ambienti anarchici ha un buon rapporto con Syriza. Quello che è successo con Nikos Romanos è
significativo. Syriza ha assunto una posizione molto chiara, molto positiva. Lo stesso Tsipras è intervenuto
con forza affinché ci fosse una conclusione positiva allo sciopero della fame. Battaglie di questo tipo devono
essere vinte a livello propriamente politico e dobbiamo trovare un terreno su cui poterci relazionare
politicamente con quegli ambienti.
Tutte le persone che abbiamo nominato sono uomini. Qual è la politica di genere in Syriza?
Quanto a cultura politica, Syriza è l’ambiente politico meno machista che ci sia in Grecia. È lo spazio politico
con più contatti storici con i movimenti femministi e LGBT ed è regolarmente stigmatizzata come il partito
degli omosessuali o il difensore delle minoranze.
Ci sono un paio di figure femminili molto forti, probabilmente la più importante è Zoe Konstantopoulou,
un’importante avvocatessa che credo avrà un ruolo nel futuro governo nel settore della giustizia e che è
costantemente attaccata dalla destra in una maniera incredibilmente sessista. È molto carismatica. [In
seguito è stata eletta presidente del Parlamento, NdT]
C’è anche Nadia Valavani, un’altra figura storica della lotta contro la dittatura, membro della Gioventù
Comunista di allora, ora molto attiva in politica estera. O Rena Dourou, eletta alla guida della regione
dell’Attica. Il gruppo parlamentare di Syriza è di gran lunga il gruppo col miglior equilibrio di genere in
parlamento, e penso che sarà così anche nel prossimo parlamento.
In ogni caso, c’è ancora una notevole differenza tra i generi e c’è ancora molto da fare. Ci sono delle quote
per gli organi interni di Syriza, il 35 o il 40% per il comitato centrale. A livello di candidature alle elezioni c’è
un forte impegno per avvicinarsi alla parità di genere. Quindi c’è un costante impegno a tutti i livelli
C’è una differenza tra questo impegno e quello che si ottiene in termini di chi è realmente eletto, ma voglio
davvero sottolineare il fatto che in termini di cultura politica Syriza, su questioni come il genere, diritti delle
minoranze, diritti LGBT, rappresenta qualcosa di culturalmente distintivo, qualcosa di opposto al resto della
politica greca.
CHE AIUTO PUÒ DARE LA SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE?
A proposito della solidarietà internazionale, molto dipenderà dalla misura in cui Syriza riuscirà ad andare
oltre i canali tradizionali. Quali forme dovrà prendere in concreto, dato che al momento la sinistra
radicale non è al potere in nessun paese europeo? E cos’è possibile fare in termini di solidarietà, oltre alla
costruzione della lotta di classe, non solo in Europa ma anche negli USA (dove è pubblicato Jacobin)?
Bisogna trattare tre cose. Primo, abbiamo bisogno della solidarietà dei movimenti. Nell’ipotesi di un
governo di Syriza dopo il 25 Gennaio, è necessario un vasto movimento di solidarietà per rompere
l’isolamento di Syriza e prevenire per quanto possibile i ricatti degli altri governi europei. Abbiamo bisogno
di sostegno sulle questioni concrete del debito, sulla rottura delle misure di austerità e così via. Questa è la
prima cosa.
Quindi qualcosa di simile all’idea di Bourdieu di un’assemblea europea dei movimenti sociali?
Ci sto arrivando. Il secondo livello è che c’è un bisogno cruciale di rompere l’isolamento politico in sé, quindi
la miglior solidarietà con la Grecia è ottenere successo politico nel proprio Paese e cambiare i rapporti di
forza. Ovviamente ci sono molte speranze, forse troppe, sulla Grecia su questo fronte, ma senza questi
eccessi non si riesce a creare mobilitazione e a catturare l’immaginario popolare.
Quindi, questa è un’altra dimensione, innescare un successo politico reale. L’ascesa di Podemos è la miglior
notizia possibile per Syriza. Il solo fatto che il panorama politico in Spagna stia cambiando rapidamente, che
si stia aprendo una situazione paragonabile a quella greca nel breve termine, è una boccata d’aria fresca per
noi.
Terzo, sono d’accordo con te, abbiamo bisogno di nuovi strumenti politici a livello internazionale. C’è il
Partito della Sinistra Europea, ci sono campagne o strutture a ombrello come l’Alter Summit, c’è quel che
rimane dei forum sociali. Meglio di niente, ovviamente, ma ancora molto insufficiente, molto al di sotto di
quello che ci serve ora.
Quella di cui abbiamo bisogno è una specie di nuova internazionale, qualcosa di più solido di una rete.
Senza essere megalomane e greco-centrico, penso che con un governo di Syriza Atene possa diventare un
centro per un processo politico a livello europeo e internazionale. Ciò di cui abbiamo bisogno nel caso di un
governo Syriza è un grande raduno politico ad Atene, non solo per sostenere Syriza ma anche per discutere
seriamente di strumenti politici e costruire qualcosa di meglio di ciò che abbiamo, che non è molto.
E la costruzione di Syriza come partito internazionale? Al momento mi sembra che le sue diramazioni
internazionali siano principalmente dirette dalla diaspora greca in altri paesi.
Beh, non vedo Syriza come un modello unico per tutto. Ci sono sezioni all’estero perché i greci sono
relativamente dispersi, queste strutture possono avere un ruolo qua e là ma essenzialmente abbiamo
bisogno di connettere le frammentate forze della sinistra radicale in ogni paese e fare progressi su questioni
programmatiche e strategiche.
L’ultima domanda è più teorica. Viviamo in uno strano periodo in cui molte delle idee e delle teorie dei
pensatori radicali che abbiamo letto e discusso per anni (in dibattiti principalmente astratti, nei libri e
nelle riviste) stanno diventando forze vive.
Abbiamo avuto un periodo in cui le idee di Negri e Holloway sono diventate vive (il movimento alterglobalista) e possiamo giudicare se siano state un fallimento o un successo. Ora viviamo in un periodo in
cui ci sono due importanti forze politiche del sud dell’Europa di cui penso di poter dire che corrispondano
grosso modo al modello di Laclau in Grecia e al modello di Poulantzas in Grecia. Prima di tutto, sei
d’accordo? Cosa mi puoi dire di questa situazione? Secondo, cosa puoi dire delle formazioni politiche
poulantzas-iste e laclau-iste C’è un terzo termine?
Prima di tutto, sono d’accordo, è esattamente questo il caso. A un livello più personale, posso dire che, in
questi quattro anni, sono tornato a leggere molto di ciò che è stato alla base della mia cultura politica fin
dall’inizio: Gramsci e Poulantzas. Sto leggendo molto Gramsci per capire le specificità della crisi in Grecia, in
che maniera la crisi economica è diventa una crisi politica a tutto campo (una crisi “organica”, per usare i
termini gramsciani) e per capire il ruolo del livello propriamente politico in quello che è sembrata fin
dall’inizio una crisi molto aperta, ma anche molto caotica. È stato anche utile pensare alle differenze tra la
situazione greca e il tipico approccio gramsciano di “guerra di posizione”.
Da una parte vediamo una conferma dell’opzione “Gramsci-Poulantzas”: presa del potere attraverso le
elezioni combinata con le mobilitazioni sociali e rottura con la nozione del dualismo di potere come attacco
insurrezionale allo stato dall’esterno. Lo stato deve essere preso dall’alto e dal basso.
Dall’altra parte, ciò che manca della tradizionale “guerra di posizione” è che non abbiamo le casematte nel
senso gramsciano, organizzazioni delle classi subalterne forti e stabili da poter impiegare nella lotta in una
situazione di scontro prolungato. Il movimento sindacale è ora molto debole in Grecia ed è stato
disarticolato dalla crisi; gli stessi partiti di sinistra, Syriza inclusa, non sono paragonabili alle formazioni di
massa del movimento operaio del ‘900. Non abbiamo forti blocchi organizzati su cui poterci muovere e
costruire contro-egemonia.
La situazione è molto più fluida sul fronte dello scontro sociale. Abbiamo avuto grandi esplosioni, al limite
della situazione insurrezionale, specie nel periodo tra giugno e ottobre 2011. Chi però sperava in una specie
di Piazza Tahrir in Grecia ha velocemente compreso che le cose non sarebbero andate in quel modo. Il
livello politico e anche quello elettorale rimanevano strategici. Ed è per questo che la proposta di un
governo anti austerità di Syriza ha intercettato gli umori.
Ma ho anche riletto molto di Poulantzas, in particolare il suo ultimo periodo, non solo sulla questione
strategica della “via democratica al socialismo”, ma anche per capire nello specifico i rischi dell’evoluzione di
Syriza come partito e in particolare la necessità di evitare che Syriza diventi un “partito di stato”. Il rischio di
una strategia di questo tipo è che, prima di raggiungere il potere o appena dopo averlo preso, tu sia stato
già completamente assorbito dallo stato. Ovviamente, sappiamo che lo stato non è neutrale, che riproduce i
rapporti di potere del capitalismo e così via.
Quindi sto leggendo molto per pensare strategicamente la situazione. Ho combinato queste letture con
quelle di Daniel Bensaid a proposito del riorientamento del pensiero strategico della sinistra.
La domanda che fai è molto importante, perché sembra davvero che la situazione spagnola sia simile alla
Grecia. Per citare Bensaid, gli spagnoli hanno capito che gli Indignados non erano una proposta
autosufficiente, che era un’illusione sociale pensare che si potesse cambiare la situazione solo col
movimento degli Indignati. D’altra parte, Podemos è davvero sui generis, in maniera molto autoconsapevole sta attuando un approccio populista sulla falsariga di Laclau.
La mia percezione è che per quanto Laclau venga cronologicamente dopo Poulantzas, sia venuto in un
tempo in cui le questioni sollevate avevano abbandonato le tematiche della transizione al socialismo e della
presa del potere statale sollevate da Poulantzas. In sostanza, penso che Poulantzas sia più avanzato di
Laclau.
Ciò che intendo, semplicemente, è che i problemi che Podemos dovrà affrontare come partito sono solo
all’inizio. Come organizzazione, come tipo di intervento e di strategia, a livello politico, a livello di
programma, a livello di partito, di rapporto con lo stato e con le realtà internazionali. Tutto. Sono solo
all’inizio. In un certo senso, le cose serie, le cose fastidiose, sono davanti a loro.
La mia percezione è che dovrà andare oltre Laclau per farcela. Per essere un po’ meno ottimisti, se Syriza
fallisse, se non fosse in grado di sostenere la pressione, non sarei molto ottimista sulle possibilità di
qualcosa di meno strutturato (come Podemos) di resistere a pressioni simili.