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sabato 30 aprile Note di sala ORE 21.00 – ROVERETO SALA FILARMONICA [SPETTACOLI E CONCERTI] IN DUE: VIOLONCELLO E FORTEPIANO Rebeca Ferri, violoncello | Anna Fontana, fortepiano Il duo rappresenta la formazione più idonea a raccontare l’evoluzione delle più intime forme della musica strumentale settecentesca, per descrivere quei particolari repertori musicali pensati per ambienti riservati e per un pubblico raccolto. La musica composta per il duo era sicuramente adatta a ‘stanze private’, come sottolinea il tema dell’edizione 2016 del Festival; era musica dal tono intimistico che già all’epoca della sua composizione fungeva da perfetto contraltare all’emergente produzione per il quartetto d’archi. Se le sinfonie e i concerti solistici potevano adeguarsi perfettamente alle ampie e sfarzose sale da concerto, gli ambienti privati e i salotti, spesso di ascendenza borghese, erano le sedi ideali per l’esecuzione del repertorio da camera. Lì avvenivano appuntamenti periodici di cenacoli artistici ove grandi solisti potevano condividere la scena con dilettanti e amatori. Così, presso l’accademia privata di Pietro Maria Crispi, organista e compositore romano, tutti i venerdì sera si tenevano incontri durante i quali nuove composizioni erano proposte alla cerchia di amici, musicisti ospiti o semplici curiosi. Tra questi vi era anche Charles Burney che nelle pagine del suo Viaggio musicale in Italia riportava la cronaca degli incontri lì avvenuti, tra il settembre e il novembre del 1770. In quelle sale debuttarono le raccolte di quartetti, le sonate e persino le sinfonie strumentali composte da Crispi; egli stesso si cimentava nelle esecuzioni pubbliche, e – sembrerebbe – non sempre con grande successo di critica. In questo contesto, sono le sole voci del violoncello e del fortepiano a mostrare i possibili contrasti espressivi e di carattere che tale repertorio poteva produrre sfruttando forze esigue, come la coppia di strumenti oppure un solista eventualmente accompagnato da un basso continuo. Si tratta, inoltre, di due strumenti la cui effettiva fortuna si stabilizza proprio nel cuore del XVIII secolo, quando la ricerca di nuovi livelli di espressività porta sia ad indagare meglio i registri più gravi e profondi degli strumenti ad arco sia a cercare di ottenere maggiori contrasti cromatici nell’ambito del repertorio per tastiera. Proprio la necessità di controllare con più accuratezza la qualità, la durata e il carattere dei suoni sulla tastiera indusse cembalari quali Bartolomeo Cristofori e Gottfried Silbermann a integrare la tecnologia del clavicembalo con il sistema a martelletti per percuotere le corde metalliche e inventare stratagemmi per attutire il suono diretto e metallico delle corde: da queste sperimentazioni nacque il fortepiano. Per tale strumento Wolfgang Amadeus Mozart compose a Potsdam le Nove variazioni KV 573 (1789) su un minuetto tratto dalla Sonata n. 4 op. 6 per violoncello e basso continuo di Jean-Pierre Duport, celebre violoncellista e maestro di corte del re Federico Guglielmo II di Prussia, che Mozart cercava con veemenza di ingraziarsi. Le variazioni sono concepite con un ordine razionale e applicano nove diverse soluzioni ritmiche al tema del famoso minuetto bipartito: fitte sequenze di semicrome accompagnate da accordi, da eseguire con la mano sinistra e poi con la destra, scritture arpeggiate, variazioni di note ribattute, variazioni su ritmo di terzina e sestina oppure con ottave spezzate. La possibilità di gestire la durata e l’intensità dei suoni attraverso il tocco della mano e l’uso della pedaliera fu sicuramente di incentivo allo sviluppo di una nuova tecnica esecutiva e, nei repertori da camera, indusse la tastiera a diventare uno strumento dialogante e protagonista della scena. La Sonata in La maggiore (1789) di Johann Cristoph Friedrich Bach è per l’appunto composta «per il Cembalo o Piano-Forte et Violoncello obligato». Il rapporto tra i due strumenti è concepito come paritario; le frasi che compongono i due temi dell’Allegro in forma sonata non sono singolarmente esposte ma provengono dalla continua interazione tra le due voci: un dialogo tra due attori che nel corso dei tre movimenti della sonata continuano a imitarsi, completando di volta in volta il disegno lasciato in sospeso dall’altro. Se il fortepiano può considerarsi il più moderno risultato dell’evoluzione tecnologica applicata a uno strumento di tradizione cinquecentesca, diverso è il caso del violoncello. La sua invenzione si colloca nelle botteghe di liuteria lombarda di Gasparo da Salò e Andrea Amati del tardo XVI secolo, quando si rese necessario potenziare gli strumenti gravi del consort di viole da braccio. Il suo utilizzo, che per troppo tempo rimase legato alla funzione di basso continuo in composizioni per strumenti dal registro acuto (violini, flauti e cornetti), cambiò radicalmente già sul finire del XVII secolo, quando si fece necessaria la ricerca di repertori dalle tinte più calde. L’elaborazione di una più sofisticata tecnica della mano sinistra, come la prassi introdotta da Jean Balthasar Tricklir di usare il pollice sulla tastiera per aumentare l’espansione della mano, permise al violoncello di affrancarsi e ottenere un repertorio la cui consistenza gareggiava a pieno titolo con quella delle pagine violinistiche. Infatti, l’ampiezza di registro e le possibilità tecniche dello strumento lo rendevano perfetto per essere insieme voce melodica e accompagnamento. Il capriccio bipartito in Do minore di Joseph Marie Clément Dall’Abaco è concepito in un’evidente prospettiva retrodatante dal sapore primo-settecentesco: presenta un tema predominante dal carattere rigoroso e severo che impegna, attraverso continui salti di ottava, diversi registri dello strumento. A questo si contrappone un’idea musicale appena accennata nella seconda sezione, che somiglia a una variazione melodica del tema centrale. Di gusto decisamente galante sono le quattro variazioni su un Cantabile di Johann Philipp Kirnberger, terzo movimento della sua sonata in Do maggiore. La tastiera è indagata integralmente fin nei registri più acuti – tanto che il compositore ha deciso di notare ben due variazioni in chiave di violino per agevolarne la lettura – lasciando pensare al possibile uso di un violoncello ‘piccolo’, strumento con cui Kirnberger entrò sicuramente in contatto durante gli anni di studio con Johann Sebastian Bach, già autore di una Suite per violoncello piccolo. Ciò che sicuramente emerge da un programma così articolato e tuttavia omogeneo è il tono intimistico della musica che a turno si presenta nelle vesti di un monologo pervasivo dello spazio oppure come un dialogo privato tra due interlocutori che si interrogano vicendevolmente. Valeria Mannoia Un particolare ringraziamento a Stefania Neonato per la gentile concessione del fortepiano.