Istituto MEME: Il traffico illecito di organi e tessuti

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Istituto MEME: Il traffico illecito di organi e tessuti
Istituto MEME
associato a
Université Européenne
Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
Il TRAFFICO ILLECITO DI ORGANI E TESSUTI
Scuola di Specializzazione: Scienze Criminologiche
Relatore: Dott.ssa Roberta Frison
Contesto di Project Work: Il traffico illecito di organi e tessuti
Tesista Specializzando: Tomassina Polverari
Anno di corso:
Secondo
Modena: 14 giugno 2015
Anno Accademico: 2014 - 2015
ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES
Tomassina Polverari – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche (II anno) A.A. 2014 - 2015
Indice dei Contenuti
1. Introduzione .................................................................................................................. 3
2. Cos’è un trapianto ......................................................................................................... 5
3. Perché un traffico illecito ............................................................................................. 7
4. Vivo o morto? ............................................................................................................. 10
5. Cosa si compera da chi e come................................................................................... 12
6. Una voce fuori dal coro .............................................................................................. 16
7. Dove vanno gli italiani ............................................................................................... 20
8. Ucraina - America ....................................................................................................... 24
9. Kossovo ...................................................................................................................... 28
10. La legge nel mondo .................................................................................................. 32
11. La legge in Italia ....................................................................................................... 37
12. Ho comprato un rene in Nepal .................................................................................. 57
13. Un caso italiano ........................................................................................................ 72
14. Vaccino infetto a bambini di cui non si hanno notizie .............................................. 86
15. Conclusioni ............................................................................................................... 87
16. Bibliografia ............................................................................................................... 88
17. Sitografia .................................................................................................................. 89
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1. Introduzione
Scrivere una tesi sul traffico d’organi e tessuti non è stato certamente un compito
facile, in quanto il materiale a disposizione è scarsissimo, sia cartaceo che sul
web.
Le forze politiche e i governi in generale, solo ultimamente stanno prendendo
coscienza della realtà del problema, e va considerato il fatto che la
globalizzazione può far sì che un italiano comperi un rene in India, che la Cina
offra organi ad un Iraniano e via dicendo, cosi che sì le forze da mettere in campo
debbano essere non in competizione tra loro, ma lavorare sinergicamente, e per
attuare questo è necessaria la cooperazione tra nazioni diverse, che non sempre
hanno facilità a collaborare.
A complicare il quadro c’è il fatto che molti dei paesi in cui questi traffici
vengono maggiormente perpetrati sono appena usciti da una guerra, quindi con
governi instabili e con ben altri problemi da affrontare quali la lotta al traffico
d’armi e di esseri umani ecc., o ancora in mano a dittatori o governi scarsamente
collaborativi, se non addirittura complici di questo reato o gravati da un alto tasso
di povertà ed analfabetizzazione.
Fortissima è la reticenza da parte di tutti a parlarne, forse perché l’idea di
impossessarsi illegalmente di qualcosa che si trova all’interno del corpo, è
considerato un tabù anche per i delinquenti più incalliti, prendere qualcosa che si
trova all’interno non è come vendere armi o rubare un quadro, è un po’ come
rubare l’anima. Prova ne è il fatto che il traffico, ad esempio di sangue o di
tessuto cutaneo, crea meno imbarazzo di quello, di un rene, anche se sempre di
traffico illecito si tratta. Fino a pochi anni fa questo reato sembrava così assurdo
e lontano dal credibile, che addirittura si pensava che si trattasse di leggende
metropolitane, fatti inventati.
Ad allontanare dall’idea che un traffico simile fosse possibile, oltre
all’immaginario ripugnante di appropriarsi illecitamente di una cosa che alloggia
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all’interno di qualcuno, è anche il ragionare obbiettivamente sulla difficoltà e
sulle attenzioni che richiedono il trapianto stesso; la necessità di attrezzature
sofisticate, personale specializzato, esami pre-operatori, controlli post operatori,
fa sì che la cosa possa sembrare una fantasticheria.
Il mio interesse a questo argomento deriva dal fatto che sono un chirurgo
generale che si è specializzato proprio presso una facoltà che si occupava di
trapianti, in particolare mi sono occupata personalmente di trapianti di fegato in
fase sperimentale e poi su vivente, ed ho anche assistito a diversi trapianti di rene
su vivente presso la clinica chirurgica seconda dell’ospedale Sant’Orsola di
Bologna dal 1984 al 1991, guidata dal Prof. Gozzetti.
Le mie conoscenze tecniche e la consapevolezza delle difficoltà da affrontare
affinché un trapianto venga effettuato in condizione che
attecchisca e in
sicurezza, hanno fatto si che restassi allibita di fronte nel momento in cui sono
venuta a conoscenza di questo traffico.
Chi non è del settore può pensare che la difficoltà del trapianto stia nell’atto di
per se, che avviene in sala operatoria, in parte è vero, più per alcuni organi che
per altri, es. fegato e cuore, ma esiste tutto un contorno di difficoltà in fase pre e
post trapianto che non possono essere trascurate.
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2. Cos’è un trapianto
Per trapianto si intende il trasferimento di un organo o tessuto da un soggetto
vivente o no ad un altro soggetto vivente.
Incontriamo già le prime difficoltà, perché se anche chi non è del campo medico
sa bene che un rene è un organo, probabilmente però non sa che il sangue è
catalogato dai più come un tessuto, ma da eminenti professori di istologia anche
come un organo, per cui, già nella classificazione ci sono alcune incertezze ne,
che si ripercuoteranno poi in campo legislativo.
Comunemente per organo si intende: un'unità definibile morfologicamente,
costituita dall'associazione di tessuti diversi che svolgono funzioni tra loro
integrate. Rappresentano parti spazialmente definite nel corpo, formano delle
unità di lavoro specializzate e presentano rapporti, struttura e funzioni
caratteristiche e un tessuto invece è: una struttura fatta di cellule che si aggregano
per svolgere le loro funzioni. I tipi di tessuto nel corpo umano sono quattro:
tessuto nervoso, tessuto muscolare, tessuto epiteliale e tessuto connettivale.
Per capire una delle maggiori difficoltà nell’attecchimento di un trapianto occorre
fare una premessa; ogni organismo è dotato di un sistema immunitario (linfociti,
macrofagi,immunoglobuline) che serve al riconoscimento ed al mantenimento
del “SE”, e che gli consente di difendersi da eventuali agenti esterni patogeni, es.
virus e batteri, e da tutto ciò che potrebbe invadere fisicamente l’organismo. Chi
almeno una volta si è punto con la spina di una rosa, rimasta infilzata sotto la
pelle per giorni, avrà notato come l’organismo cerchi di circoscriverla,
distruggerla ed eliminarla, e, se questo non è possibile, bloccarla costruendole
addosso una sorta di capsula che “separi”, “confini” l’agente estraneo
dall’organismo affinché questa possa limitare il suo danno.
La stessa cosa avviene quando immettiamo un organo od un tessuto in un
organismo “ospite” o “ricevente”; il sistema immunitario riconosce che l’organo
non fa parte di “SE” e cerca di espellerlo, attaccandolo, isolandolo, non
rendendolo più funzionante (rigetto).
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Da qui si evince il primo problema, cioè la compatibilità tra donatore e ricevente.
Prima di poter impiantare un organo occorre verificare che il donatore ed il
ricevente siano compatibili geneticamente, cioè che abbiano in comune alcune
parti del codice genetico al fine di ridurre il più possibile il rischio di
“incompatibilità tra organismo ricevente e organo donato, e quindi il rigetto.
Per verificare la compatibilità occorrono esami in laboratori specializzati, ecco
perché, quando è possibile, si ricorre alla donazione tra consanguinei, perché è
più probabile che si abbia una parte di patrimonio genetico simile, e comunque
anche in caso di forte compatibilità, che avviene solo tra gemelli omonzigoti,
saranno necessarie, per il ricevente, cure immunodepressive che richiedono
controlli serrati, aggiustamenti della posologia, e che danno comunque gravi
effetti collaterali, che vanno curati, tanto che il paziente necessita di essere
seguito costantemente. Chi riceve un trapianto non riceve una nuova vita, non
ricomincia da capo senza problemi, riceve un’altra possibilità di vita migliore,
ma comunque complicata, per lo meno i primi anni post intervento.
È da tenere presente, inoltre, che il paziente candidato al trapianto è spesso in
fase terminale, cioè è un paziente gravemente ammalato sia perché, gli organi
donati sono pochi, per cui si attendono anni per un trapianto e la malattia di base
si aggrava, sia perché per, esempio nel caso del rene, in attesa del trapianto
possono essere necessarie terapie e trattamenti (es. dialisi) che di per se portano
ad altri problemi, ad esempio il paziente può essere fortemente scoagulato,
diabetico, quindi cardiopatico, per cui mi chiedo come e da chi viene seguito
nelle fasi preliminari al trapianto?
Considerate queste premesse mi sono chiesta: come dove e chi verifica la
compatibilità tra donatore e ricevente? Come dove e chi segue il donatore una
volta effettuato il trapianto?1
1
http://it.wikipedia.org/wiki/Organo
http://glossario.paginemediche.it/it/glossario_popup/glossario/search.aspx?text=Tessuto&ispopup=1
(18 gennaio 2015).
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3. Perché un traffico illecito
Le prime voci di traffico di organi emergono, intorno alla metà degli anni 1980
ma occorrerà aspettare una decina d’anni prima che si prenda in mano la
situazione. Il 13 settembre 1993, l'eurodeputato Léon Schwartzenberg, noto
cancerologo francese, nel presentare al Parlamento Europeo un’importante
mozione sull’interdizione del commercio degli organi, accusava la camorra
napoletana di controllare un traffico di bambini in America Latina, al solo fine di
prelevare loro organi per, poi, rivenderli e il trafficante di bambini Luca Di
Nuzzo di aver fatto venire dal Brasile 4000 bambini perché fossero adottati.
Mille bambini furono ritrovati, degli altri nessuna traccia. Lo stesso anno,
spuntavano in Polonia e in Ungheria agenzie, che proponevano organi umani a
ospedali tedeschi e svizzeri.
Come tutti sappiamo la chirurgia dei trapianti ha tecnicamente fatto passi da
gigante, cioè spostare un organo o un tessuto da un soggetto ad un altro è ormai
tecnicamente fattibile per quasi tutti gli organi. Questo ha fatto si che
nell’immaginario collettivo si sia fatta strada la convinzione che se un “pezzetto”
non funziona si sostituisce con un altro.
Questo cambio di mentalità ha aumentato la richiesta di organi, la quale
purtroppo non ha coinciso con un aumento della loro disponibilità in fatto di
numeri.
Nel nostro organismo esistono organi pari es. rene ed organi dispari es. fegato e
cuore, la legge italiana consente la donazione di organi pari e dispari da cadavere,
da parte dei familiari del de cuius e la donazione di parti di organi dispari es.
fegato o organi pari tra consanguinei. La donazione da cadavere, invece, può
avvenire, su concessione dei familiari, solo dopo che sia stata diagnosticata la
morte cerebrale, cioè tre elettroencefalogramma piatti per un certo tempo), ma
affinché gli organi da espiantare restino in buono stato occorre che la perfusione
sia efficace, per cui la pompa cardiaca deve funzionare per più tempo possibile
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prima dell’espianto e questo in termini pratici significa che quando si trapianta
un organo pari il donatore deve essere morto da poco, e quindi deve essere anche
relativamente vicino o raggiungibile in breve tempo, per gli organi dispari può
essere anche vivo, ma comunque non distante o facilmente raggiungibile.
In poche parole, gli organi da reimpiantare, oltre che ad essere prelevati in
maniera tecnicamente corretta e soprattutto sterile, hanno bisogno di essere
ossigenati per rimanere integri per cui in caso di arresto cardiaco (es. incidente)
occorre che ci sia un equipe specializzata in grado di prelevare l’organo in
maniera corretta e nel più breve tempo possibile per poi reimpiantarlo in maniera
corretta e nel più breve tempo possibile.
Qui si pone l’ulteriore problema: tempo + equipe specializzata. Ecco perché
molti organi vengono sprecati.
Si aggiunga la questione morale, dovuta alla morte cerebrale; staccare una spina
ad un cuore che batte e chiedere ad un genitore di donare gli organi del proprio
figlio, apre tutto un dibattito morale e, in alcuni casi religioso, che esula da
questo trattato, ma rende chiaramente comprensibile come si difficile reperire
organi da trapiantare.
Inoltre, veti di carattere religioso, stimolano la ricerca di organi in territori più
laici, ad esempio i residenti del Golfo si recano in Europa dell’est o in India per i
reni, poiché il fondamentalismo islamico consente il trapianto, ma paradossalmente limita la donazione, i giapponesi si recano in Nord America, perché in
Giappone la definizione di morte clinica è accettata con molta riluttanza.
Fino al 1994, quando la pratica venne condannata dall’associazione medica
mondiale, i pazienti asiatici andavano a Taiwan ad acquistare organi dei
prigionieri giustiziati.
La difficoltà a reperire organi da espiantare e la sempre crescente richiesta di
organi da impiantare, anche da parte di soggetti che trenta anni fa a 60 anni si
consideravano a “fine corsa” e che oggi, a ragione, si sentono di avere tutta una
vita davanti, negli stati uniti esistono 100.000 persone in attesa del trapianto di
rene e con le più rosee aspettative neanche il 10% potrà essere soddisfatto, senza
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contare che per quello di cuore, fegato e polmone la donazione si abbassa
drasticamente al 4 %.2
2
http://www.ildialogo.org/inchieste/indice_1326211621.htm (4 gennaio 2012).
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4. Vivo o morto?
Christian Barnard, cardiochirurgo antesiniano nella chirurgia del trapianto di
cuore scrive:
“Vi sono due stati organici: vivo e morto. “Morto “ è quando il cuore cessa di
battere e gli organi si decompongono. ”Morte celebrale” non vuol dire morto. È
ancora vivo. I medici lo sanno bene, e dovrebbero confessare la verità alle
famiglie a se stessi. Ad esempio potrebbero rivolgersi alle famiglie dicendo: ”il
vostro caro è oltre ogni speranza di recupero. Ci permettete di spegnere le
macchine che lo tengono in uno stato liminale a metà tra la vita e la morte, così
da poter prelevare gli organi per salvare la vita di un’altra persona?”. Questo
sarebbe etico, questo sarebbe una transazione onesta.
Il fatto che la morte cerebrale anticipi la morte somatica ha sempre creato un
grande conflitto tra medici, la stessa definizione di morte cerebrale ha provocato
accesi dibattiti tra addetti ai lavori, tanto che si diceva che i tre famosi test
dell’apnea, di per se fossero dannosi tanto da provocare lesioni definitive al
cervello e quindi eticamente insostenibili.
Inoltre il corpo può essere considerato clinicamente morto per uno scopo, ma non
per l’affettività parentale che considera la morte cerebrale eventualmente come
una morte “sociale” ma non biologica. La reticenza a donare il corpo è presente
da secoli, non per niente la scienza ha avuto sempre difficoltà a reperire questo
tipo di materiale anche a scopo di studio, se non cadaveri di reietti della società,
non reclamati da nessuno, considerati “spazzatura” e naturalmente prelevati negli
ambienti più poveri di società del terzo mondo. Nel XVI e XVII secolo, ai
chirurgi (o meglio barbieri o cerusici, la chirurgia come branca medica non era
neanche contemplata, tanto che nel giuramento di Ippocrate si giura di non
professare arte cerusica), venivano dati, per studio, corpi di gente mandata al
patibolo.
La realtà, ad oggi non è molto cambiata, nei paesi del terzo mondo, o in quelli in
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guerra, o con governi totalitari, c’è ancora uno spostamento d’organi dal ricco al
povero, dal reietto della società al più abbiente, da paesi poveri a stati ricchi.
Questo vale anche per le banche d’organi ufficiali, di tessuti, di cornee, i
laboratori americani tengono le cornee migliori per il mercato autoctono, e le
cornee di qualità minore per i mercati del terzo mondo.3
3
https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=2&cad=rja&uact=8&ved
=0CCgQFjAB&url=http%3A%2F%2Fwww.ecologiasociale.org%2Fpg%2Fdum_trap_scheperh
ugues.html&ei=BA1TVbbgH8GhyAOr44DYDA&usg=AFQjCNFO6UGJ3SCepUO6zMXFEC
cRJIMbeQ&bvm=bv.93112503,d.bGQ (21 febbraio 2015).
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5. Cosa si compera da chi e come
Si possono acquistare organi e tessuti.
I tessuti sono il sangue, sperma, tendini, cornee, ossa, cute, possono essere
acquistati da vivente o da cadavere. Nel settore dei tessuti umani si sviluppa un
altro tipo di attività commerciali che, se tollerate da certi Stati, non sembrano
meno contestabili. Infatti, contrariamente agli organi, che debbono essere,
imperativamente, trapiantati nelle quarantotto ore, i tessuti umani possono essere
conservati, molto più a lungo, in banche, specializzate nella raccolta, la
conservazione e il trattamento dei tessuti. Ne esistono due tipi: le banche dei
tessuti senza fini lucrativi e le società commerciali. Le prime si limitano a
fatturare il lavoro di preparazione e di conservazione dei tessuti al prezzo di
costo. Per loro, il no-profit è la regola. Le seconde, per la maggior parte di
origine nord-americana, partono dal principio che ogni servizio meriti una
parcella e traggono importanti benefici dal trattamento dei tessuti. Una volta di
più, la legge del profitto si scontra con l’etica di una medicina egualitaria e basata
sulla solidarietà e la generosità.
Per quanto riguarda il sangue non sono lontani i tempi dello scandalo dell’ex
ministro della salute Poggiolini il quale, sotto lauta ricompensa, autorizzò
l’utilizzo di sangue di provenienza da mercati esteri, non controllato dal punto di
vista infettivo, che provocò l’infezione di migliaia di individui con epatite c ed
HIV. Questo tipo di prelievo viene fatto su vivente, non sempre consenziente, in
America latina, Brasile e paesi asiatici c’è chi lo vende in maniera consenziente
ma ci sono state anche molte denunce di soggetti che dicono di essere stati
derubati del sangue contro la loro volontà.
Per quanto riguarda i tendini, le ossa e la cute, vengono prelevati illecitamente
dagli obitori, con la connivenza del personale medico e paramedico, operatori del
pronto soccorso, autisti di ambulanze, manager di banche degli occhi e del
sangue, coordinatori di trapianti. In alcuni paesi, Cina, ex Jugoslavia, fino a pochi
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anni fa la cosa avveniva, pur se illegale, alla luce del sole, nel senso che si faceva
di routine. Gli acquirenti sono le case farmaceutiche, grosse multinazionali, che
ritirano i tessuti, li lavorano per poi reimmetterli sul mercato legalizzato. Chi di
voi non ha mai sentito parlare della polvere d’osso usata dai dentisti?
Per quanto riguarda gli organi le cose sono più complicate e variegate, si può
comperare un organo pari da un venditore consenziente, che resterà in vita,
mentre l’organo dispari si acquista da un mediatore che in un modo o in un altro
lo preleverà da un cadavere.
Le case di cura private cinesi, brasiliane, indiane, nepalesi, kossovare ecc. o gli
ospedali delle stesse nazioni che possono operare anche in regime privato hanno
una sorta di patto con lo stato per cui gli organi dei condannati a morte o di certi
prigionieri vengono acquistati per il mercato libero professionale. In Cina
addirittura, le condanne di morte pare siano implementate proprio per
incrementare questo traffico. Nelle stesse zone ci sono state diverse denunce
anche da parte di pazienti che venivano persuasi, senza reale necessità a farsi
operare, ad esempio, di appendicectomia, per poi accorgersi dopo anni, in seguito
a controlli occasionali, che gli era stato prelevato anche un rene.
Infatti, in questi paesi, dove il fenomeno è molto ben conosciuto dalla
popolazione locale, esiste una certa reticenza ad andare negli ospedali a farsi
operare proprio per questo tipo di timore. Frequenti sono anche le denunce dei
famigliari di vittime di incidenti nell’ex Jugoslavia che denunciano il fatto che gli
siano stati restituiti cadaveri di parenti, non immediatamente, ma dopo diversi
giorni dalla morte e soprattutto con cicatrici a livello renale o gastriche che niente
avevano a che vedere con l’incidente, stessa cosa nel caso di familiari morti in
carcere.
L’acquisto e la vendita di organi pari, anche se vietata, spesso avviene tra soggetti
consenzienti. Diversi sono i soggetti, che in tutto il mondo, si propongono come
venditore di organi, Basta andare su Internet per vedere, anche in Italia, quanta
gente disperata si propone come venditore, anche se la polizia postale sta facendo
di tutto per arginare il problema, ma con scarsi risultati. Disperati che in Italia
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chiedono 100.000, 150.000 euro per un rene, sono equiparabili a indiani o
nepalesi che lo vendono per 1000 euro. All’estero l’acquisto avviene sempre
tramite un intermediario che promette che l’organo richiesto sia proviene da un
soggetto sano, preferibilmente giovane, che spesso viene fatto incontrare con
l’acquirente stesso. Esistono testimonianze, anche di giornalisti che hanno finto
di dover comperare un rene, come ad esempio testimonia Alessandro Gilioli nel
libro “Premiata macelleria delle indie” ai quali viene praticamente venduto un
ragazzino, al quale, si garantisce, vengono fatti gli esami infettivi preliminari, ed
a garanzia di ciò l’acquirente ed il mediatore accompagnano assieme il bambino
al laboratorio analisi, che, nei giorni precedenti l’intervento, vivrà in albergo a
stretto contatto con l’acquirente, fino al momento di recarsi in clinica per
l’espianto.
La figura del mediatore è molto importante, a volte, raramente, è un ex donatore,
comunque una figura che si sa muovere molto bene nell’ambito dei sobborghi
urbani, dell’ospedale, coi medici e con la burocrazia. Esiste addirittura una
quotazione in stellette dei mediatori, riferita al fatto che abbia avuto clienti più o
meno “IN” nel senso che gli occidentale, in particolar modo i tedeschi, gli inglesi
e gli svizzeri, sono considerati clienti top da esibire come conferma di qualità di
servizio. Il costo totale dell’intervento, nei paesi del terzo mondo asiatici, si
aggira attorno agli 8.000 euro, di cui 1.000 vanno al donatore, 1.000 al
mediatore, il resto in corruzione dei burocrati, clinica e medici. Di questi neanche
una parte resterà per le cure post operatorie del donatore il quale viene
immediatamente abbandonato a se stesso sia dal punto di vista sanitario che
economico. Va fatto notare che la maggior parte dei donatori, non solo non
risolvono i loro problemi economici, ma le mutilazioni li rendono invalidi
peggiorando ancora di più le loro condizioni generali. Anche dal punto di vista
morale, spesso vengono additati, ad esempio, durante la guerra del Kossovo, per
sollevarsi dalla miseria le donne si prostituivano e gli uomini vendevano gli
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organi, a causa di ciò venivano appellati anch’essi come “prostituti”.4
4
http://www.ildialogo.org/inchieste/indice_1326211621.htm (3 febbraio 2015).
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6. Una voce fuori dal coro
Ha suscitato grande scalpore la proposta lanciata da un premio Nobel per
l’economia, Gary Becker, di favorire la nascita di un mercato legale degli organi
umani – in particolare reni – per offrire «un chiaro rimedio alla crescente carenza
di donatori». L’idea, è bene precisarlo, non è particolarmente nuova. Tanto da
esserci già un menù con i vari prezzi à la carte. Nell’Iran “campione di
democrazia” – come ricorda lo stesso autore nell’articolo scritto a quattro mani
col collega Julio Elias e pubblicato sul Wall Street Journal –, ad esempio,
comprare un rene costa circa 4000 dollari e (si precisa con una vena di
soddisfazione) i tempi di attesa per ottenere un trapianto sono stati in gran parte
eliminati.
Ma la Repubblica islamica non è l’unico caso virtuoso. Com’è possibile leggere
in un recente rapporto del Comitato italiano per la bioetica sul traffico illegale di
organi umani tra viventi, attualmente «i Paesi che hanno legalizzato e gestito la
compravendita degli organi umani sono l’Iran (1988), limitatamente al rene e ai
soli cittadini iraniani, e Singapore (2009) che consente l’acquisto anche ai
cittadini stranieri».
È significativo che in questa ristrettissima cerchia compaia la città stato asiatica,
considerata un paradiso per la libera impresa e posizionata infatti al secondo
posto al mondo per libertà economica nella classifica stilata annualmente dallo
stesso Wall Street Journal insieme alla Heritage Foundation. Propugnando la sua
idea sulle pagine del più importante quotidiano economico al mondo, Becker non
ha infatti fatto altro che continuare con coerenza il suo percorso: dottorato con il
neoliberista per antonomasia Milton Friedman, è stato poi premiato nel 1992 col
Nobel proprio per «aver esteso il dominio dell’analisi microeconomica a un
ampio raggio di comportamenti e interazioni umane, incluso il comportamento
non legato al mercato». Come la donazione degli organi, appunto.
Ad onor del vero idee analoghe non sono diffuse soltanto all’interno delle elite
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del turboliberismo. La proposta originaria di Herman Daly per raggiungere
un’economia di stato stazionario prevedeva ad esempio l’istituzione di licenze di
nascita trasferibili, aprendo la vita umana al mercato. Per mantenere sotto
controllo una crescita delle nascite che all’epoca sembrava inarrestabile (era il
1977), il grande economista ecologico propose di assegnare a ogni donna 2
licenze di nascita (o 1 a individuo), vendibili sul mercato suddivise in decimali.
«Così – scriveva Daly – l’equità distributiva è ottenuta nella distribuzione
originaria e l’efficienza allocativa è conseguente alla ridistribuzione di mercato».
Questa è solo una dimostrazione di come nell’economia ecologica sia presente la
dimensione di mercato, più di quanto molti si aspetterebbero (o sarebbero
disposti ad ammettere), ma il contesto in cui la proposta di Daly si muoveva era
profondamente diverso da quello di Becker. Il primo caso è quello di una
soluzione estrema (ma necessariamente condivisa per poter funzionare) per
garantire un futuro sostenibile all’umanità nel suo insieme – e soprattutto la sua
parte più svantaggiata –, l’altro è certamente tragico ma con evidenti vantaggi per
la fetta più ricca della popolazione.
Chi si pensa, infatti, sarebbe disposto a presentarsi a un ospedale per chiedere che
gli venga asportato un rene, dietro il magro corrispettivo di 15.000 dollari (circa
11.000 euro), come proposto da Becker & C.? Di certo non chi di quei soldi può
fare benissimo a meno. Il premio Nobel se ne rende benissimo conto ma,
approfondendo la sua posizione, sembra non preoccuparsene più di tanto: si tratta
semplicemente della legge di domanda e offerta, dopotutto.
Becker parte da difficoltà oggettive. Si stima che il 10% circa dei trapianti di reni
al mondo attinga oggi dal traffico illegale. Al contempo, nei soli Usa 4.500
persone sono morte nel solo 2012 aspettando un trapianto di rene che non è
arrivato in tempo per salvarle. Ma allungare la lista dei “donatori” di organi
andando a pescare tra quella crescente dei disoccupati nei centri per l’impiego
non sembra la soluzione migliore. Certamente non la più equa, andando a
infierire in modo macabro su un modello di distribuzione della ricchezza che è la
fonte di crescenti problemi (economici, sociali e ambientali, e di fatto
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avvallandolo). La proposta di Becker non è quella di un mostro, ma è
perfettamente coerente all’interno di questo modello; chi respinge la prima
dovrebbe rifiutare anche tutto il secondo, anziché cullarsi all’interno di un
ribrezzo ipocrita.
La risposta per una soluzione alternativa potrebbe invece arrivare proprio dalla
garanzia di maggiore uguaglianza come cemento per una più profonda coesione
sociale e, dunque, un maggiore altruismo. Pionieristici studi di economia
comportamentali sembrano confermare da tempo questa ipotesi: «Richard
Titmuss (1970), il celebre sociologo inglese, è stato il primo – ricorda ad esempio
l’economista Stefano Zamagni – a portare all’attenzione degli scienziati sociali il
fatto che la promessa di un pagamento per la donazione di sangue diminuiva il
numero delle donazioni e riduceva la qualità del sangue donato. Fortunatamente
la nostra stessa natura umana non sembra favorire questo tipo di scambi. Trattare
il corpo umano come negozio per i pezzi di ricambio non è dunque utile alla
causa. Può andar bene per l’asettico “homo aeconomicus” dei classici libri di
economia, ma non per un essere umano in carne, ossa, organi e tessuti. Perché,
allora, la vendita di organi è così eticamente sbagliata? Perché è molto peggio di
quella del seme o degli ovuli, operazioni consentite e addirittura reclamizzate? In
effetti, secondo alcuni, la commercializzazione del seme o degli ovuli è più
discutibile della vendita di organi, perché da queste cellule può derivare un essere
umano interamente nuovo. È ovvio, comunque, che la vendita di sangue o di
seme è molto meno traumatica della vendita di organi non rimpiazzabili come il
rene, che richiede per la sua rimozione una complessa operazione chirurgica,
l'anestesia totale, rischi immediati e deficit futuri. A. S. Daar, professore di Etica
applicata e di biotecnologie all'Università di Toronto (Canada), ha affermato:
"Secondo la Società Americana per i Trapianti l'acquisto e la vendita di organi
sono sbagliati, bisogna basare i trapianti sull'altruismo, è necessario promuovere
una legislazione che proibisca il commercio di organi, e ogni membro che
partecipi all'acquisto o alla vendita di organi sarà radiato dalla Società. Ma questa
posizione da sé totalmente inutile e non aiuta a fermare gli acquisti e le vendite di
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organi". Secondo i professori E. A. Friedman, dell'Università di Stato di New
York, e A. L. Friedman, dell'Università di Yale, l'introduzione di una legislazione
appropriata per regolamentare e gestire la vendita di reni attraverso un organismo
centrale potrebbe favorire il miglioramento di tutto il sistema. Il denaro
risparmiato grazie alla diminuzione del ricorso alla dialisi potrebbe finanziare un
maggior numero di trapianti. Secondo i due docenti, qualcosa bisogna fare:
attualmente la situazione è di stallo. Il dibattere una simile opportunità è un
dovere scientifico ed etico, ed è molto meglio che lamentarsi dei difetti e delle
insufficienze dell'attuale sistema. È prevedibile, tuttavia, che la domanda di
organi da parte di pazienti nei Paesi ricchi, anche nel caso di un ipotizzato
sistema pubblico di garanzie, non farebbe che attrarre aspiranti donatori dai Paesi
poveri in una sorta di "globalizzazione del trapianto", la quale andrebbe ancora
una volta a danno di persone svantaggiate in paesi poveri, ulteriormente sfruttate
da una prevedibile "corsa" alla ricerca del donatore da parte di "cacciatori" senza
scrupoli.5
5
http://www.greenreport.it/news/economia-ecologica/limpietoso-vademecum-delleconomista-
che-compra-i-reni-al-mercato-degli-organi/#prettyPhoto (20 aprile 2015).
https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&cad=rja&uact=8&ved=
0CCEQFjAA&url=http%3A%2F%2Fwww.saverianibrescia.com%2Fmissione_oggi.php%3Fce
ntro_missionario%3Darchivio_rivista%26rivista%3D200703%26id_r%3D49%26sezione%3Dlopinione%26articolo%3Dla_compravendita_di_organi_orr
ore_morale_o_via_percorribile%26id_a%3D1412&ei=Aw9TVY27LMefsAHi1oDoBA&usg=A
FQjCNFQzHdZ-YbbXhMJJcNOIvKpJ1mlow&bvm=bv.93112503,d.bGQ (20 aprile 2015).
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7. Dove vanno gli italiani
Bagdad è stata per molto tempo ed è la capitale del traffico d’organi, per lo meno
il maggiore dal 1970 ad oggi.
Il più grande Eldorado del traffico di organi è stata l'Irak di Saddam Hussein,
nonostante l'embargo internazionale. Con cinquanta milioni di lire, in sonanti
dollari americani, si può acquistare un rene da un altro essere umano, che
solitamente lo vende per un decimo della cifra pattuita direttamente con le
cliniche specializzate di Bagdad. Gli italiani, però, non hanno ancora scoperto il
nuovo mercato, e nel corso degli anni, almeno 2.500 ammalati sono andati a
comprarsi un rene da vivente all'estero, in paesi come India, Israele e Turchia.
Un'inchiesta del New York Times sul traffico di organi ha rivelato come il
vituperato Irak offra "trapianti di reni eseguiti da eccellenti chirurghi, con un
controllo accurato della compatibilità del donatore, un'ottima terapia post
intervento e una percentuale di successo allo stesso livello dei migliori ospedali
americani". La conferma arriva da Michael Friedlaender, nefrologo dell'ospedale
dell'università Hadassah di Gerusalemme, che ha curato almeno trecento pazienti
trapiantati all'estero con un rene non da cadavere.
Il costo dell'intervento a Bagdad si aggira sui ventimila dollari, che vengono
consegnati nell'ufficio "trapianti stranieri" delle cliniche nella capitale irachena.
Secondo Sami, un paziente palestinese proveniente dalla striscia di Gaza, sono
sei i centri specializzati in questo genere di interventi. Ufficialmente l'acquisto di
organi in Irak è illegale, ma Sami ha addirittura incontrato e fatto amicizia con il
suo donatore, Essam, un ventiquattrenne profugo palestinese in Giordania. Essam
veniva da una famiglia povera e voleva sposarsi, ma non aveva denaro, così ha
deciso di vendere un rene per soli duemila dollari. La clinica dove è stato operato
Sami, che dopo sei settimane è tornato a casa in perfetta salute, eseguirebbe un
centinaio di interventi del genere all'anno. I pazienti arrivano via terra dalla
Giordania e sono soprattutto libanesi, turchi, algerini, libici e marocchini attratti
dai costi contenuti.
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Difatti sembra che non esista mediazione e si contratti il prezzo direttamente con
le cliniche. Friedlaender, il nefrologo di Gerusalemme intervistato dal New York
Times non ha dubbi: "Dopo avere visto i risultati devo ammettere che se
qualcuno decide di intraprendere questa strada, dovrebbe andare in Irak". Gli
italiani, alla disperata ricerca di un rene, hanno scelto fino ad oggi altri lidi;
Secondo i dati raccolti dall'Aned, l'associazione nazionale emodializzati con sede
a Milano, i trapianti all'estero, dal 1969, sono stati cinquemila, ma si tratta in
gran parte di interventi eseguiti in Francia, Belgio, Austria e Usa con l'organo di
cadaveri.' I casi accertati di acquisto di un rene da vivente sono circa 250, ma
potrebbe trattarsi solo della punta di un iceberg. L'anima dell'Aned, (associazione
nazionale emodializzati e trapiantati) Franca Pellini, elenca un intervento di
trapianto di rene in Colombia, un altro in Brasile, due in Egitto, uno in Iran,
cinque in Israele, almeno duecento in India e cinque o sei in Turchia negli ultimi
anni.
Tutto cominciò in Israele verso il 1984, ma poi ci furono problemi con le autorità
locali. Agli inizi degli anni novanta si scopri l'India, ma solo il 50% dei trapianti
andarono a buon fine, mentre nel resto dei casi i pazienti sono morti o ritornati in
dialisi. Le carenze professionali e delle strutture sanitarie nelle cliniche di
Bombay e Calcutta comportavano problemi di rigetto e infezioni talvolta
sconosciute. Un paziente campano che aveva acquistato un rene in India è morto
addirittura di lebbra, altri due hanno contratto l'Aids, compresa una signora di
Roma di 45 anni ritornata in dialisi e poi deceduta. Un farmacista di Salerno è
rientrato in Italia con una grave infezione, che gli ha intaccato il cervello
uccidendolo in tre mesi. Infine è spuntata la Turchia, ma negli ultimi tempi il
fenomeno si è per fortuna affievolito. I malati hanno preso coscienza che
l'avventura all'estero comporta dei rischi molto alti e comunque l'attività di
trapianto in Italia, pur non soddisfacendo completamente le richieste, rappresenta
una speranza concreta.
Difatti sono 40.200 le persone attualmente in dialisi nel nostro paese, ovvero
costrette per tutta la vita a "lavarsi il sangue", ogni 48 ore, con una macchina. Di
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queste, 6.980 rimangono in lista d'attesa per il trapianto di rene e lo scorso anno
ne sono stati effettuati 1.311 da cadaveri e 88 da familiari viventi. Qualcuno sta
aspettando da dieci e addirittura vent'anni. Per questo calvario è passato anche
Giuseppe, un impiegato pubblico romano, che oggi sta bene e a quarant'anni ha
due figli. La sua storia, è iniziata a undici anni, quando per una semplice
tonsillite curata male, un'infezione gli distrugge i reni. "La dialisi ti consuma
lentamente, non ce la facevo più“ - racconta Giuseppe -. Un altro paziente con
dei by-pass al cuore, per questo escluso da un trapianto in Italia, andò in India e
mi passò il contatto". Il 15 settembre del 1994 Giuseppe sbarca a Bombay:
"Non avrei mai pensato di fare una cosa del genere, ma alla fine mi hanno trovato
un ragazzo di 29 anni, che vendeva un rene perché aveva bisogno di soldi per
aprire un'attività e garantire una minima dote alla sorella. Non me la sentivo di
incontrarlo e allora gli ho fatto portare un orologio, a cui tenevo molto, dai miei
genitori. Mi hanno detto che era contento del regalo e soprattutto dei quattro
milioni di lire, in dollari, per la vendita del rene". La spesa totale è stata di
settanta milioni raccolti in parte con una colletta dei colleghi di lavoro. I donatori
si fanno incerottare i soldi alla pelle, sotto i vestiti, perché spesso vengono
derubati, una volta dimessi dall'ospedale, da criminali che evidentemente sanno
degli interventi e magari lavorano proprio presso l’ospedale "Le condizioni
sanitarie erano da terzo mondo e altri due italiani ricoverati nello stesso periodo
sono morti pochi mesi dopo essere tornati in Italia, a causa di terribili infezioni”
– dice Giuseppe - ”Mi reputo fortunato, perché dopo il trapianto ho ricominciato
a vivere. Quando incontro qualche vecchio amico, ancora in dialisi, e vedo come
è ridotto mi metto a piangere". La legislazione indiana è diventata ben più
restrittiva facendo arenare, almeno in parte, il mercato. Il traffico è rispuntato in
Turchia dove il chirurgo Yusuf Sonmez, soprannominato "l'avvoltoio", continua a
operare, pur con qualche inchiesta sulle spalle. Sotto i suoi ferri, a Istanbul, è
finito l'italiano M. R. che nell'agosto 1997 si ritrova a bordo di un aereo privato
all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, assieme a tre israeliani. La destinazione era
Istanbul dove un mediatore aveva organizzato gli interventi conclusi con tre
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successi e un fallimento. Moshe Tati, l'israeliano al quale era stato trapiantato un
rene andato in necrosi, ha rivelato al New York Times di avere pagato ben
145mila dollari (oltre trecento milioni di lire).
In Italia, invece, M. R. ha cominciato a mandare fax e messaggi di posta
elettronica in giro proponendosi come collegamento con Istanbul. Probabilmente
lo faceva solo per motivi umanitari, ma quando gli è stato fatto presente che stava
compiendo un reato ha smesso. Pochi mesi fa è stata condannata a Roma
Rosanna Piermatteo, che ai tempi dell'India organizzava viaggi della speranza per
due o tre pazienti alla volta. Il pacchetto completo, comprensivo del rene nuovo,
si aggirava sui 35 milioni di lire. Nel 1999 finì in trappola a Roma l'americano
Jim Cohan attirato in Italia da un chirurgo, che si spacciava per un acquirente di
organi. Dopo cinque mesi di carcere venne scarcerato per non avere commesso
alcun reato, ma oggi da Los Angeles continua a definirsi "un coordinatore
internazionale di trapianti", che ha aiutato trecento americani a trovarsi un rene.
"Il traffico di organi è ignobile, non possiamo accettare che qualsiasi cosa sia
venduta e comprata” - sottolinea Franca Pellini - “Quando un paziente è
disperato e mi viene a chiedere dove può acquistare un rene, cerco di aiutarlo con
liste d'attesa in Italia o indirizzarlo in Belgio o in Francia dove, però, è diventato
molto difficile farsi operare".6
6
Da Il Giornale - lunedì 25 giugno 2001.
http://www.italianiliberi.it/bioetica/trafficoorgani0601.htm (3 marzo 2015).
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8. Ucraina - America
Il 24 febbraio scorso la polizia ucraina ha fatto irruzione in un laboratorio medico
di Nikoalev, una città della Ucraina, nel sud del paese che si affaccia sul Mar
Nero, e ha scoperto che alcuni addetti stavano caricando in un furgone delle celle
frigorifere che contenevano ossa e tessuti umani con sopra l’etichetta “Made in
Germany”.
Il sito americano NBC NEWS ha pubblicato un’inchiesta del Consorzio
Internazionale dei Giornalisti Investigativi (un ente privato che sovvenziona
inchieste contro la corruzione e gli abusi di potere) che ha denunciato il
commercio illegale di tessuti umani prelevati sui cadaveri, all’insaputa dei
familiari e senza che il defunto avesse lasciato per iscritto la volontà di donare gli
organi. Secondo le indagini e le ricostruzioni dietro al commercio illegale ci
sarebbe RTI Biologics, una grande azienda americana che vende prodotti medici
realizzati nei propri laboratori ai centri che ricostruiscono impianti dentali e
centri di chirurgia estetica. L’inchiesta denuncia che i prodotti terapeutici sono
realizzati con i tessuti di cadaveri umani.
Gli investigatori ucraini hanno trovato tra i resti di corpi umani documenti
relativi alle autopsie fatte nel laboratorio e scritti in lingua inglese. Questo e altri
elementi hanno rivelato un commercio internazionale di organi e tessuti rivenduti
a centri chirurgici medici ed estetici, che parte dall’Ucraina, passa in Germania
per la lavorazione dei tessuti e arriva negli Stati Uniti, nelle mani di RTI che poi
rivende “il prodotto” finito in tutto il mondo per essere impiantato. Per ogni
cadavere trafugato gli Ucraini si possono guadagnare fino a 10 mila dollari
tramite i contatti in ospedali, obitori e camere mortuarie. Anche le aziende di
pompe funebri hanno collaborato al prelievo di parti e tessuti.
I tessuti di un uomo ucraino di 35 anni, Oleksandr Frolov, erano nel furgone
fermato il 24 febbraio. L’uomo era morto a causa di un attacco epilettico e la
madre ha detto che nel recuperare le parti del corpo «non è stata rispettata la
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legge né la sua volontà» e che l’altra sua figlia, toccando i piedi dell’uomo, «ha
notato che il piede sembrava vuoto». Eppure nell’elenco degli organi di cui la
famiglia aveva autorizzato il prelievo non comparivano le parti del piede che
mancavano.
Tra il 2005 e il 2008 c’è stata in Ucraina un’indagine sulla filiale tedesca di RTI.
Secondo l’accusa più di mille parti di tessuto sono state vendute ogni mese,
esportandole illegalmente. Il giudice aveva confermato la tesi dell’accusa che ai
familiari dei defunti venissero offerti dei soldi per dare il consenso all’espianto e
che in altri casi le firme fossero state falsificate. L’indagine si è conclusa quando
è morto il principale sospettato, un medico ucraino. Altre accuse di commercio
internazionale di organi ci sono state in Repubblica Ceca nel 2002 e in Lettonia
nel 2003: la polizia aveva indagato un fornitore di Tutogen, la filiale tedesca di
RTI Biologics, per il prelievo di tessuti da 400 corpi senza il consenso dei
familiari.
Oltre ai tessuti scoperti il 24 febbraio, altri corpi in passato sarebbero stati
saccheggiati per il riutilizzo dei tessuti negli istituti di medicina legale ucraini.
RTI Biologics non ha voluto rispondere alle domande fatte da NBC, né ha voluto
commentare l’inchiesta del Consorzio dei giornalisti. Ha pubblicato un
comunicato in cui sostiene che «la società ha sempre rispettato le regole delle
donazioni degli organi con lo scopo di utilizzare i tessuti per aiutare il maggior
numero di pazienti». RTI ha sede in Florida ed è quotata alla Borsa di New York.
Nel 2011 ha fatturato 169 milioni di dollari producendo dai 500 mila ai 600 mila
impianti. Il 90% dei prodotti della società sono costituiti da tessuti umani, mentre
il restante 10% proviene da mucche e maiali allevati nel suo stabilimento in
Germania.
Faccio presente che alcuni tessuti derivati da maiali non sono considerati pregiati
in quanto fortemente allergenici, mentre quelli di derivazione bovina hanno
subito un grande gap dopo l’inizio della patologia definita “mucca pazza”
potenzialmente trasmissibile all’uomo (stessa cosa dicasi per materiale derivante
da pollame a causa dell’aviaria).
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Il Consorzio di giornalisti investigativi ha denunciato però che il livello di
sicurezza sul trattamento dei tessuti è «insufficiente e rischia di provocare
infezioni dopo essere impiantati nei pazienti». Molti dei medici americani
intervistati hanno detto di essere preoccupati del fatto che i tessuti possano
trasmettere l’epatite o il virus dell’Hiv ai pazienti. La Food and Drug
Administration (FDA), l’ente governativo statunitense che si occupa della
regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, ha documentato che dal
2001 ci sono state negli Stati Uniti 1.352 infezioni a causa dei trapianti, ma non
ha specificato se trattasi di infezioni portate dal donatore o causate da quello che
in gergo si chiama “malpractice”.
La legge federale degli Stati Uniti vieta qualsiasi commercio di organi e tessuti. È
previsto soltanto un incentivo economico di rimborso per le spese che le famiglie
del donatore defunto o vivente, sostengono. Il pagamento di questa cifra però
nasconde, secondo gli investigatori, «un’effettiva operazione di compravendita di
organi». A rendere tutto più complicato è il commercio illecito internazionale di
prodotti che si spostano da un paese all’altro senza controlli.
A regolare il settore dei tessuti degli organi negli Stati Uniti è l’American
Association of Tissue Banks che
ha pubblicato un comunicato con cui ha
respinto le accuse degli investigatori di «tenere segrete le banche dati dei tessuti
registrati». Il dottor Matthew Kuehnert del Centro per la Prevenzione e il
Controllo dei Malati degli Stati Uniti ha detto di «essere preoccupato sulla
provenienza dei tessuti».
Malgrado le regole e i controlli sui polmoni e il cuore trapiantati, le autorità
americane hanno ammesso che non ci sono invece norme specifiche sul
commercio internazionale dei tessuti. I funzionari dell’agenzia hanno spiegato
che le imprese che si occupano dei tessuti umani hanno l’obbligo di segnalare
soltanto i casi più gravi d’infezione che scoprono. Inoltre i medici non sono
obbligati a dire ai pazienti che subiscono trapianti che i tessuti provengono da un
cadavere.
Gli Stati Uniti sono il più grande fornitore di tessuti umani, con circa due milioni
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di pezzi venduti ogni anno. E la cifra è raddoppiata negli ultimi dieci anni. Le
aziende del settore, oltre a vendere ad altri centri i tessuti, promuovono anche
direttamente dei trattamenti, ad esempio trapianti di cornee per ipovedenti o la
ricostruzione di tendini per chi si rompe un ginocchio. Si vendono circa 2 milioni
di prodotti derivati da tessuti umani ogni anno.7
7
http://www.ilpost.it/2012/07/19/il-traffico-mondiale-dei-tessuti-umani/ (3 marzo 2015).
27
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9. Kossovo
La Serbia è la provincia che costituiva la zona meno sviluppata, più povera ed
impaurita del Kossowo. Zona in cui i capi delle milizie locali sono totalmente
corrotti, dove nel 1999 i serbi intrapresero la pulizia etnica della popolazione
albanese, dove una fiumana di gente si versava verso le frontiere, dove venivano
confiscate le carte d’identità e i pochi beni che riuscivano a portarsi dietro, In
seguito alle accuse di traffico di organi in Kosovo avanzate da Carla Del Ponte,
ex-procuratore presso il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja per l’exJugoslavia, nel suo libro, “La caccia: Io e i criminali di guerra”, nel 2008, la
Commissione degli Affari Legali e dei Diritti Umani nell’Assemblea
Parlamentare del Consiglio d’Europa nominava Dick Marty, come suo incaricato
per avviare un’inchiesta. Indagine che lo portava ad accusare il Primo Ministro
kosovaro Hashim Thaci di aver gestito un traffico di organi per molti anni,
ricavandone ingenti guadagni e mutilando, senza ritegno, prigionieri serbi e
cittadini kosovari, accusati di tradimento. Un ruolo fondamentale avrebbe avuto
in tutta la vicenda Shaip Muja, anch’egli ex-comandante dell’UCK.
La Del Ponte scrive che i rapporti che arrivavano su presunti crimini dell’UCK a
questo proposito, e su cui indagare, erano moltissimi. All’ufficio della procura
aveva ricevuto notizie secondo le quali, nel 1998 e 99 i soldati dell’UCK
avevano sequestrato centinaia di serbi, albanesi rom, e membri di altri gruppi
etnici, “alcuni di questi prigionieri erano detenuti in campi di fortuna, alcuni
confinati nelle stalle del bestiame, alcuni picchiati, altri stuprati, altri torturati,
giustiziati, e in fine alcuni semplicemente sparivano.”
Alcuni dei prigionieri più giovani e più in forma fisicamente, che venivano
nutriti, visitati dai medici e non venivano mai picchiati, erano stati trasferiti in
alcune strutture di detenzione in Burrel e dintorni una dei quali era una baracca
dietro una casa gialla. Una stanza dentro questa casa gialla, riferivano i
giornalisti, era stata sistemata come una sala operatoria di fortuna; e qui i
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chirurghi espiantavano organi ai prigionieri. Questi organi, poi, stando alle fonti,
venivano inviati attraverso l’aereoporto di Rinas presso Tirana, a cliniche
chirurgiche all’estero per essere impiantati in pazienti paganti: uno degli
informatori
aveva
effettuato
personalmente
una
di
queste
consegne
all’aereoporto.
Le vittime, private di un rene, venivano chiuse nuovamente nella baracca fino al
momento in cui venivano uccise per altri organi vitali, in questo modo, gli altri
prigionieri nella baracca, erano consapevoli della sorte che toccava anche a loro;
e secondo la relazione, scongiuravano di essere uccisi immediatamente anche
loro.
Tra i prigionieri che sarebbero stati portati in questa baracca, c’erano donne
provenienti da Kosovo, dall’Albania, dalla Russia e da altri paesi Slavi, e due
delle fonti dicevano che aiutavano a seppellire i morti intorno alla casa gialla e in
un cimitero vicino.
Secondo le fonti, le operazioni di contrabbando degli organi avveniva con la
conoscenza e il coinvolgimento attivo degli ufficiali intermedi e superiori
dell’UCK. Gli investigatori del tribunale dell’Aia scoprirono che, se le
informazione dei giornalisti e di alcuni funzionari erano lacunose, i dettagli erano
coerenti tra loro e confermavano le informazioni raccolte direttamente dal
tribunali.
In un promemoria scoperto dalla Del Ponte si cita ”Tutti gli individui che le fonti
citano come presenti nei campi di Albania nell’estate inoltrata del 1999, erano
dichiarati dispersi nell’estate del 1999, e da allora non sono stati più visti” ed
ancora: ”tenendo presente la natura estremamente grave di questi casi, il fatto
che praticamente nessuno dei corpi delle vittime dell’UCK sia stato ritrovato
nelle esumazioni in Kossovo, e il fatto che queste atrocità sarebbero state
commesse sotto la supervisione o il comando della leadership di medio o alto
livello dell’ UCK, devono essere indagate nel modo più accurato possibile da
investigatori professionali ed esperti”.
Gli investigatori del Tribunale dell’AIA e dell’UNMIK hanno visitato la casa
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gialla che i giornalisti avevano indicato come il luogo in cui i prigionieri
venivano uccisi per espiantare organi. I giornalisti accompagnarono sul sito gli
investigatori e un procuratore albanese.
La casa ora è bianca, ed il proprietario nega che sia mai stata ridipinta, anche se
gli investigatori hanno individuato tracce di giallo alla base delle sue mura.
Sul posto sono stati trovati pezzi di garza, siringhe usate, due sacche di plastica
da fleboclisi incrostate di fango, flaconi vuoti di medicinali, alcuni dei quali di un
miorilassante, impiegato abitualmente negli interventi chirurgici. Gli uomini
della scientifica hanno poi rilevato schizzi di sangue sulle pareti e sul pavimento
di una stanza all’interno della casa, tranne che in una zona pulita del pavimento
di circa un metro e ottanta per settanta centimetri. Il proprietario ha offerto una
varietà d’interpretazioni a proposito della presenza delle macchie di sangue nel
corso dei due giorni trascorsi dagli investigatori nel villaggio. Inizialmente dice
che anni prima la moglie aveva partorito in quella stanza. Poi, quando la moglie
dichiara, che in realtà i figli erano stati partoriti altrove, afferma che la famiglia
aveva usato il locale per macellare gli animali per una festività musulmana. Le
conclusioni che si possono ricavare dai rilievi degli investigatori, combinati con
le informazioni frammentarie offerte dai giornalisti sono a dir poco sconvolgenti.
Storie di prigionieri uccisi per il traffico d’organi circolano in ogni zona in cui
c’è un conflitto, amaramente si trovano prove concrete capaci di togliere questi
racconti dal regno delle leggende metropolitane. Siringhe, fleboclisi, garze, sono
materiali di conferma, che non vengono usati in un macello, ma purtroppo come
prove sono insufficienti. Gli investigatori purtroppo non sono stati in grado di
rilevare se le tracce di sangue rinvenute fossero di derivazione umana, non sono
state ritrovate le fosse delle presunte vittime, quindi non sono stati ritrovati i
corpi, che però come dicevamo qui sopra, appartengono a persone scomparse nel
nulla. Le persone che vivono attorno alla casa gialla sono trincerate sotto la più
cocente omertà, i giornalisti non sono disposti a svelare le loro fonti e gli
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investigatori del tribunale non sono stati in grado di identificarli.8
8
Carla Del Ponte “La Caccia: io ed i criminali di guerra” Ed, serie bianca Feltrinelli Milano
Aprile 2008.
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10. La legge nel mondo
In Iran, i pazienti, che non possono trovare un donatore deceduto o un donatore
vivo nell’ambito della famiglia, possono iscriversi presso un organismo, che
identifica i potenziali donatori. Il governo iraniano offre 1.200 dollari al donatore
e gli assicura una copertura medica, per un anno. I riceventi pagano, egualmente,
dai 2.300 e ai 4.500 dollari ai donatori. Singapore applica la presunzione legale
di assenso di donazione di organo, dopo la morte, ma anche un programma di
reciprocità. Quelli che desiderano lasciare questo programma perdono la priorità
nella lista di attesa. Un compenso economico, fino a 25mila dollari, è,
generalmente, pagato ai donatori. In Israele, vige una versione più flessibile di
questo programma di reciprocità: le persone che accettano di donare un rene
ricevono punti che li mettono in migliore posizione nella lista di attesa. Sono
concessi punti a riceventi potenziali, dei quali un membro immediato della
famiglia è stato o sarà donatore.
Come abbiamo visto nel loro studio Introducing incentives in the market for live
and cadaveric organ donations, il Premio Nobel per l’economia Gary Becker e
Julio Jorge Elias stimano che un compenso economico di 15mila dollari a un
donatore vivo potrebbe evitare la penuria di reni. E questo compenso potrebbe
anche essere pagato dallo Stato, che ne trarrebbe un profitto, economizzando
sulle interminabili dialisi, nell’attesa di un organo.
Gli economisti William Barnett II, Michael Saliba e Deborah Walker, nel loro
studio, A free market in Kidneys: efficient and equitable, mostrano come un
libero mercato di reni, congiunto a un sistema di pagamento da parte di
compagnie assicurative eliminerebbe gli effetti negativi del sistema attuale,
aumenterebbe l’offerta di reni e incoraggerebbe a migliorare la qualità dei
trapianti.
Infine, nel suo articolo A “gift of life” with money attached, pubblicato nel New
York Times, Sallty Satel equipara il compenso economico per le donazioni di
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organi al compenso ricevuto, contrattualmente, per il tempo e i rischi assunti
dalle madri in prestito, che affittano il proprio utero.
Nella maggior parte dei Paesi dell’Europa e dell’America del Nord, esiste una
legislazione che vieta il commercio di organi. Ma non è il caso nel resto del
mondo. La maggior parte delle vendite sono effettuate nei Paesi poveri per conto
di riceventi di Paesi ricchi. Questi riceventi sono, sovente, costretti a viaggiare in
Paesi, dove non esiste una legislazione in materia o meglio in Paesi, dove i
governi danno prova di lassismo nell’applicazione delle leggi esistenti o nella
sorveglianza degli istituti medici, cosa che vale al traffico di essere
soprannominato dalle organizzazioni internazionali e non governative: “turismo
di trapianto”. E, il progresso di farmaci immunosoppressori, quali la ciclosporina,
combinato all’espansione del turismo medico e di Internet, ha contribuito allo
sviluppo del turismo di trapianto.
In Africa, non esiste una legislazione in materia, tranne in Algeria, in Tunisia, in
Sud Africa e nello Zimbawe. Nei Paesi Membri della Lega Araba, una legge, che
vieta ogni forma di commercio, è adottata, in seno alla Conferenza della stessa
Lega, svoltasi a Khartum dal 14 al 16 marzo 1987, che riunisce i Ministri della
Sanità Pubblica dei vari Paesi: Legge Arabia Unificata, sui trapianti di organi
umani.
In Asia, la Cina, l’Indonesia, Singapore e lo Sri Lanka dispongono di una
legislazione. In India, il Parlamento Federale ha adottato, nel 1994, una legge che
punisce, severamente, la vendita di organi. La responsabilità della salute pubblica
riposa, tuttavia, su ciascuno dei 25 Stati Membri, di cui solo 5 hanno, fino a oggi,
adottato questa legge. La Repubblica delle Filippine era, fino a molto
recentemente, una destinazione di predilezione per i turisti di trapianto, che
beneficiavano di organi prelevati, egualmente, su persone povere. Nel 2007, 1050
trapianti di rene sono stati praticati nel Paese, di cui il 50% a beneficio di
stranieri, nonostante una regolamentazione, datata dal 2002, limitasse questa
percentuale al 10%. Per lottare contro questo flagello, il governo filippino ha
vietato, nel 2008, la vendita di organi agli stranieri e i contravventori incorrono in
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20 anni di carcere. La vendita di organi resta, in mancanza di una legislazione
chiara, autorizzata nei diversi Paesi del continente, quali il Giappone. Nel
Pakistan, quasi i 2/3 dei trapianti renali sono destinati a stranieri.
In Oceania, solo l’Australia possiede una legislazione.
In Europa, in pratica, tutti i Paesi possiedono una legislazione. I Paesi dell’exblocco dell’Est non la hanno, ancora, a eccezione dell’Ungheria, della Romania e
dell’ex-Jugoslavia. In Inghilterra, una legislazione è apparsa, nel 1989, dopo lo
scandalo di un traffico di organi prelevati a soggetti turchi. In Francia, in
conformità al principio di indisponibilità del corpo umano, la legge del 29 luglio
1994 è venuta a modificare la legislazione già esistente (legge n. 76-1181), in
materia di trapianto di organi, e ha rafforzato questo divieto. I contravventori
rischiano sette anni di carcere e più di 100mila euro di ammenda. Solo il Regno
Unito definisce il commercio di organi un crimine. Non è, tuttavia, l’Inghilterra
che punisce il commercio più severamente, poiché certi Paesi, quali la Polonia e
la Turchia], puniscono gli autori con 2 anni di carcere. In Germania, una legge
federale, che prevede fino a 5 anni di carcere, è stata adottata, nel 1997.
Gli argomenti contro la vendita degli organi sono quelli che hanno portato al suo
divieto. In particolare ragioni etiche. Fin dal 1970, la International
Transplantation Society stigmatizza:
“La vendita di organi di un donatore vivo o morto non è in alcun caso
giustificabile.”
Alla base di ogni prevenzione del traffico di organi si pone la domanda etica
della strumentalizzazione della persona. Questo traffico porta a vedere l’Altro,
non più un uomo, ma una riserva di organi. È, dunque, sul fondamento del
principio superiore di dignità della persona umana che hanno potuto essere
emanate regole di un’etica dei trapianti. Queste regole sono il primo baluardo
contro ogni forma di traffico di organi.
La Risoluzione 29 dell’11 maggio 1978, adottata dal Comitato dei Ministri del
Consiglio Europeo sull’armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri su
prelievo, innesto e trapianto di sostanze di origine umana, all’art. 9 afferma che
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“nessuna materia biologica può essere offerta per profitto” e l’Atto Finale della
Conferenza dei Ministri della Sanità, nel novembre del 1987, precisa che nessun
organo umano può essere offerto per denaro da nessuna organizzazione
impegnata nei trapianti. Principio fatto proprio dall’Organizzazione Mondiale
della Sanità, con la Risoluzione WHA 44.25 del 13 maggio 1991, relativa alle
linee guida sul trapianto di organi umani, la quale definisce, in particolare, le
modalità dell’esigenza del consenso del donatore (linea guida 1) e pone il
principio della gratuità del trapianto (linee guida 5-9), mentre, nella Risoluzione
del Parlamento Europeo del 14 settembre 1993, si assume il principio
dell’anonimato e della gratuità della donazione. Ma la Convenzione sui Diritti
dell’Uomo e la Biomedicina, firmata a Oviedo, il 4 aprile 1997, unitamente al
Protocollo Addizionale del 12 gennaio 1998, n. 168, sul divieto di clonazione di
esseri umani, enunciano condizioni, nettamente, meno restrittive di quelle
previste dalla succitata risoluzione. Infatti, la condizione di un legame di
parentela genetico è scomparsa, a profitto di relazioni personali strette, perfino,
in assenza di ogni relazione, se la legislazione del Paese lo prevede.
La regola del consenso preliminare è ricordata da tutti i grandi testi internazionali
riguardanti la bioetica: dal Codice di Norimberga del 1947 fino alla
Dichiarazione Universale sulla Bioetica e i Diritti Umani, adottata per
acclamazione, il 19 ottobre 2005 dalla Conferenza Generale dell’Unesco.
Nel rapporto del 2003, il Segretario dell’Organizzazione Mondiale della Sanità
Bess Shields, ricordava, del resto, che una relazione genetica tra donatore e
ricevente, anche se diminuisce il rischio di pressione, non lo elimina interamente.
Infine, autorizzare un mercato di organi e di tessuti farebbe pensare a una
valutazione venale delle persone, contro l’affermazione della loro autonomia e la
loro dignità intrinseche.
E quale valutazione ufficiale dare a un organo?
Come definire un prezzo “equo” per gli organi dei più poveri, senza
compromettere i principi etici e i valori della democrazia?
Condannato dal 1987 dall’Organizzazione Mondiale della Salute, il traffico di
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organi non è incriminato, a livello internazionale, finché, nel 2000, dal Protocollo
Addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità
Organizzata Transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via
mare e via aria, sottoscritto nel corso della Conferenza di Palermo (12-15
dicembre 2000), questo protocollo fa del prelievo di organi uno dei possibili
elementi della tratta delle persone.
Al contrario, né l’Unione Europea, né il Consiglio Europeo hanno integrato il
prelievo di organi nel quadro della loro definizione della tratta di persone. I
trapianti illeciti di organi restano, dunque, unicamente integrati in quello delle
legislazioni sui trapianti. Da queste due logiche repressive sono scaturite due
ottiche nazionali diverse, che riguardano la repressione del traffico di organi. Un
primo gruppo di Stati ha, così, legiferato, criminalizzando il traffico di organi, nel
quadro delle pratiche contrarie alle regole etiche sui trapianti. Il traffico di organi
è, dunque, punito da queste legislazioni a solo titolo di una violazione delle
norme, derivate dalla bioetica (es. Brasile, Bulgaria, Francia). Di fronte a questi
esempi, un altro gruppo di Paesi, reprimendo, penalmente, le violazioni dell’etica
medica, ha preferito seguire la logica delle Nazioni Unite, sanzionando il traffico
di organi attraverso le sue regole sulla tratta delle persone (a esempio la
Danimarca, la Finlandia e i Paesi Bassi).
Per affrontare il problema degli urgenti e crescenti problemi della vendita di
organi, del turismo a scopo di trapianto e del traffico di donatori in un contesto di
carenza globale di organi, si è tenuto a Istanbul, dal 30 aprile al 2 maggio 2008,
un Summit Meeting, cui hanno partecipato più di 150 rappresentati di istituzioni
scientifiche e mediche provenienti da tutto il mondo, ufficiali governativi, esperti
di scienze sociali ed esperti di etica.9
9
http://ma-tvideo.france3.fr/video/iLyROoafteBC.html (21 febbraio 2015).
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11. La legge in Italia
Il 23 maggio del 2013 la presidenza del consiglio dei ministri, assieme al
comitato di bioetica, ha stilato un documento riguardante la definizione e la
regolamentazione del trapianto d’organi umani e per la lotta al traffico illegale di
cui si riporta parte integrale:
Presentazione
L’esistenza a livello mondiale del traffico illecito di organi umani ai fini di
trapianto è un fatto drammatico che rappresenta un pericolo reale per la salute
pubblica e individuale e viola i diritti fondamentali e la dignità dell’uomo.
L’impressione generale è che non siano stati ancora adottati, tanto a livello
nazionale che internazionale, strumenti efficaci per prevenire, contenere e
contrastare questa attività criminale. Una vicenda illecita che necessariamente
coinvolge anche la comunità scientifica (chirurghi, nefrologi, responsabili dei
centri trapianti, rianimatori, ecc.). Aggiungasi che questo mercato vede con
sempre maggiore frequenza vittime persone vulnerabili, quali prigionieri,
condannati a morte, minori (bambini rapiti per acquisire organi). Soprattutto in
questi ultimi decenni il flusso di organi e parti del corpo percorre le moderne
rotte internazionali tracciate dal capitale: dal Sud al Nord, dal terzo al primo
Mondo, dai poveri verso i ricchi. Nel peggiore dei casi questo traffico si traduce
in forme di esproprio, sfruttamento e coercizione.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità in plurime occasioni e nel corso degli
anni ha invitato gli Stati ad adottare misure volte a proteggere i più poveri e i
gruppi vulnerabili dal turismo del trapianto e dalla vendita di organi. Attualmente
anche il Consiglio d’Europa ha in corso la preparazione di una Convenzione
mirata a reprimere il traffico di organi umani e a formulare uno strumento
giuridico internazionale (Projet de convention du Conseil de l’Europe contre le
trafic d’organes humain). Lo studio preparatorio raccomanda fin d’ora da un lato
la necessità che il legislatore nazionale preveda sanzioni anche di carattere
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penale, e dall’altro la promozione di una più specifica convenzione
internazionale contro il traffico strictu sensu considerato, così da individuarne i
presupposti e le condotte che lo caratterizzano e lo definiscono.
Come altri Paesi europei, anche l’Italia sebbene regolamenti diverse fattispecie
relative al trapianto di organi, presenta un ridotto apparato sanzionatorio in
merito al traffico clandestino degli organi. Le due principali normative (L.
26.06.1967, n. 458 sul trapianto del rene tra persone viventi e L. 1.04.1999, n. 91
sui prelievi di organi e tessuti da cadavere) prevedono sanzioni esclusivamente a
carico di chi svolge attività di mediazione e dell’operatore sanitario che si avvale
di organi frutto di commercio, ma nessuna pena è prevista nei confronti di altre
parti direttamente o indirettamente coinvolte nell’illecito traffico.
Il Comitato non intende con questo documento analizzare in modo specifico il
problema del traffico illecito di organi con esclusivo riferimento alla realtà
italiana, ma vuole affrontare il problema su un piano generale, sollecitato dalla
attuale riflessione ed elaborazione del Consiglio d’Europa. Tale riflessione ed
elaborazione, su un piano transnazionale, si rivolge ai singoli Stati, nella
convinzione che solo con una normativa omogenea e coerente su un piano
nazionale ed internazionale sarà possibile dare una risposta forte a tale fenomeno
diffuso.
Il Comitato, inoltre, considerato che il mercato di parti del corpo umano presenta
plurime e diverse problematiche a seconda che si tratti di un commercio tra
individui viventi o che provenga da cadavere o che riguardi cellule e tessuti,
ritiene opportuno limitare il parere al traffico di organi tra viventi, in specie del
rene, che attualmente risulta essere l’organo di cui è più diffuso il mercato.
Ciò premesso la conclusione a cui è giunto il CNB è che, sebbene l’idea di una
regolamentazione sia difficile da realizzare nelle realtà sociali e mediche di molte
parti del mondo, specialmente nei Paesi poveri, almeno in Europa si possa
prevedere una regolamentazione giuridica, internazionale e nazionale, con
l’introduzione anche di fattispecie penali, mirata a definire il traffico di organi, a
prevenirlo, a far rispettare il principio che il corpo umano o le sue parti sono
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fuori dal commercio.
A tal fine si è auspicato che gli Stati collaborino a livello internazionale per
migliorare le pratiche del trapianto e della donazione degli organi e cooperino,
nel rispetto degli strumenti internazionali pertinenti e del proprio diritto interno,
nella misura la più larga possibile, al fine di svolgere indagini in merito alle
eventuali infrazioni commesse sul proprio territorio e al di fuori di questo.
Necessario stabilire inoltre, in via convenzionale, con trattati multilaterali fondati
sul principio di doppia incriminazione, il mutuo riconoscimento della fattispecie
di reato, al fine di garantire adeguata collaborazione fra i Paesi richiedenti e i
Paesi nei quali il fatto è stato commesso intenzionalmente.
Il parere, redatto e curato da Lorenzo d’Avack e Adriano Bompiani, è stato
approvato nella seduta plenaria del 23 maggio 2013 e approvato da Salvatore
Amato, Adriano Bompiani, Stefano Canestrari, Antonio Da Re, Lorenzo
d’Avack, Carlo Flamigni, Romano Forleo, Laura Guidoni, Assuntina Morresi,
Andrea Nicolussi, Laura Palazzani, Alberto Piazza, Rodolfo Proietti, Monica
Toraldo di Francia. Si sono astenuti Cinzia Caporale e Vittorio Possenti. In
quanto non presenti alla votazione, hanno successivamente aderito al parere
Luisella Battaglia, Bruno Dallapiccola, Francesco D’Agostino, Maria Luisa Di
Pietro, Riccardo Di Segni, Silvio Garattini, Marianna Gensabella, Demetrio Neri,
Giancarlo Umani Ronchi, Grazia Zuffa.
In allegato al parere è la postilla redatta da Luisella Battaglia, Lorenzo d’Avack,
Silvio Garattini, Rodolfo Proietti, Vittorio Possenti e Lucetta Scaraffia con la
quale si è voluto richiamare l’attenzione del CNB sulla posizione del medico o
della struttura medica nei Paesi di origine, investiti dei loro compiti terapeutici e
di assistenza, quando l’attività viene richiesta da quel paziente acquirente che
abbia operato in clandestinità.
Il Presidente
Prof. Francesco Paolo Casavola
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1. Premessa
1.1. I trapianti di organo hanno segnato nel processo di sviluppo della medicina
attuale una delle svolte più importanti e più ricche di significato, consentendo di
prolungare e migliorare la vita di pazienti in tutto il mondo. Soprattutto la
donazione di organi da parte del vivente è considerato come un atto
supererogatorio e tale pertanto da godere di un apprezzamento etico altissimo, in
vista dello scopo solidaristico che intende realizzare.
Tuttavia si è insistito sui pericoli obiettivi che sono collegati a questa pratica, così
da raccomandare che un tale procedimento conservi sempre un carattere di
eccezionalità, che sia garantita una donazione assolutamente libera e che di
principio e di fatto sia combattuta ogni commercializzazione.
Questi principi non risultano allo stato sempre rispettati e sono numerose le
denunce di “traffico clandestino di organi”. Un illecito non sempre ben definito
nelle legislazioni statali, confuso con altre fattispecie criminose, ricomprendendo
in questa espressione non solo la compravendita di organi e il c.d. ‘turismo dei
trapianti’ (pazienti provenienti da Paesi ricchi che si recano all’estero per
l’acquisto di organi dalle persone indigenti), ma anche l’attività di organizzazioni
di intermediazione mirate alla vendita clandestina e la tratta di persone a scopo di
rimozione di organi. Questo non aiuta né la prevenzione né la repressione del
reato.
Vi sono poi governi che evitano di fare trapianto nel loro territorio e spingono i
propri pazienti ad andare all’estero, pur sapendo che si tratta di Paesi vulnerabili,
accettando di rimborsare la spesa dell’operazione, perché tutto è più semplice e
meno costoso. I Paesi poveri sono il fulcro del mercato, con quotazioni differenti
degli organi nelle diverse parti del mondo per l’acquirente e compensi altrettanto
variabili per il cedente.
Una vicenda illecita sia eticamente che giuridicamente, che necessariamente
coinvolge anche la comunità scientifica (chirurghi, nefrologi, responsabili dei
centri trapianti, rianimatori, ecc.). Aggiungasi che questo mercato vede con
sempre maggiore frequenza vittime persone vulnerabili, quali prigionieri,
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condannati a morte, minori (bambini rapiti per acquisire organi). Soprattutto in
questi ultimi decenni il flusso di organi e parti del corpo percorre le moderne
rotte internazionali tracciate dal capitale: dal Sud al Nord, dal terzo al primo
Mondo, dai poveri verso i ricchi. Nel peggiore dei casi questo traffico si traduce
in forme di esproprio, sfruttamento e coercizione. Vi sono dati pubblicati
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che indicano che un quinto dei 70.000
reni trapiantati deriva da una transazione economica.
L’esistenza a livello mondiale del traffico illecito di organi umani ai fini di
trapianto è dunque un fatto indiscutibile. Non è facile avere dati ‘ufficiali’ data la
clandestinità del fenomeno. L’impressione generale è che non siano stati ancora
adottati, tanto a livello nazionale che internazionale, strumenti efficaci per
prevenire, contenere e contrastare questa attività criminale, che rappresenta un
pericolo reale per la salute pubblica e individuale e viola i diritti fondamentali e
la dignità dell’uomo.
1.2. Nei confronti di questa vicenda si possono riscontrare in linea di massima
almeno due diverse opzioni sul piano giuridico: una che ritiene che il corpo sia
oggetto di libero scambio regolamentato dallo Stato, l’altra invece che ritiene che
sia fuori mercato stabilendo come illecita la compra-vendita.
Dall’analisi delle leggi nazionali (e anche della nostra) e delle normative e
convenzioni internazionali emerge come dato prevalente che il corpo è fuori
dall’area delle relazioni di mercato. Ne consegue la necessità, divenuta ormai
prioritaria e urgente, di combattere il traffico clandestino di organi.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità in plurime occasioni e nel corso degli
anni ha invitato gli Stati ad adottare misure volte a proteggere i più poveri e i
gruppi vulnerabili dal turismo del trapianto e dalla vendita di organi. Per
affrontare gli urgenti e crescenti problemi legati al commercio degli organi, nel
maggio 2008 si è tenuto a Istanbul un vertice con oltre 150 rappresentanti di
organizzazioni scientifiche e mediche provenienti da tutto il mondo che ha
formulato una dichiarazione (la Dichiarazione di Istanbul sul traffico di organi e
sul turismo del trapianto) al fine di un inquadramento giuridico e professionale
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che disciplini la donazione di organi e le attività di trapianto, così come di una
supervisione trasparente da parte di un sistema normativo che garantisca la
sicurezza del donatore e del ricevente e il rispetto della dignità dell’uomo.
Attualmente anche il Consiglio d’Europa ha in corso la preparazione di una
Convenzione mirata a reprimere il traffico di organi umani e a formulare uno
strumento giuridico internazionale (Projet de convention du Conseil de l’Europe
contre le trafic d’organes humain). Lo studio preparatorio raccomanda fin d’ora
da un lato la necessità che il legislatore nazionale preveda sanzioni anche di
carattere penale, e dall’altro la promozione di una più specifica convenzione
internazionale contro il traffico strictu sensu considerato, così da individuarne i
presupposti e le condotte che lo caratterizzano e lo definiscono.
Una pratica, quella del traffico clandestino, che, come detto, coesiste con i
paralleli traffici di schiavi, di bambini, di donne: la c.d. tratta degli esseri umani.
Pertanto il dissenso verso il traffico di organi è contenuto non solo nei già
menzionati Protocolli e Convenzioni che esplicitamente lo condannano, ma
anche nelle disposizioni e nelle normative relative all’incriminazione dello
sfruttamento e della tratta degli esseri umani.
2. La normativa in Italia
La disciplina del trapianto da vivente e da cadavere ha visto l’avvicendarsi di una
serie di provvedimenti normativi: L. 3.04.1957, n. 235 (prelievi di parti di
cadavere a scopo di trapianto terapeutico); L. 26.06.1967, n. 458 (trapianto del
rene tra persone viventi); L. 2.12.1975, n. 644 (prelievi di parte del cadavere a
scopo di trapianto terapeutico); L. 12.08.1993, n. 301 (prelievi ed innesti di
cornea); L. 1.04.1999, n. 91 (prelievi e trapianti di organi e di tessuti); L.
16.12.1999, n. 483 (trapianto parziale di fegato) e L. 19.09.2012, n. 167
(trapianto parziale di polmone, pancreas e intestino tra persone viventi).
Se ne evince una graduale tendenza legislativa a ridurre i limiti di questa pratica
sanitaria, muovendo nella direzione di un ampliamento dell’ambito di liceità. In
specie la legge 1.04.1999, n. 91 ha disciplinato sotto un triplice profilo la materia
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dei trapianti da cadavere: quello relativo alle strutture e agli aspetti organizzativi;
quello relativo alla sicurezza dei trapianti; quello relativo alla modalità della
formulazione del consenso al prelievo.
Tuttavia, si notano una scarsa regolamentazione e un ridotto apparato
sanzionatorio in merito al traffico clandestino degli organi. La L. 26.06.1967, n.
458 sul trapianto del rene tra persone viventi all’art. 6 prevede che “qualsiasi
pattuizione privata che preveda un compenso in denaro o altra utilità in favore
del donatore, per indurlo all’atto di disposizione o destinazione è nulla e di
nessun effetto” e all’art. 7 la reclusione da tre mesi ad un anno e con multa da lire
100.000 a due milioni a chiunque a scopo di lucro svolga opera di mediazione
nella donazione di un rene. La L. 1.04.1999, n. 91 sui prelievi di organi e tessuti
da cadavere prevede sanzioni più severe per chiunque procuri per scopo di lucro
un organo o un tessuto prelevato da un soggetto di cui sia stata accertata la morte,
ovvero ne fa commercio: reclusione da due a cinque anni e con multa da lire 20
milioni a lire 300 milioni, oltre all’interdizione perpetua dall’esercizio della
professione se il fatto è commesso da persona che esercita la professione
sanitaria. La pena risulta più contenuta nei confronti di chi compie il reato senza
scopo di lucro.
In entrambe le normative le sanzioni sono dunque previste esclusivamente a
carico di chi svolge attività di mediazione e dell’operatore sanitario che si avvale
di organi frutto di commercio, ma nessuna sanzione penale è prevista nei
confronti di altre parti direttamente o indirettamente coinvolte nell’illecito
traffico.
3. Osservazioni
Il Comitato non intende con questo documento analizzare in modo specifico il
problema del traffico illegale di organi con esclusivo riferimento alla realtà
italiana.
Il CNB vuole affrontare il problema su un piano generale, sollecitato dalla attuale
riflessione ed elaborazione del Consiglio d’Europa. Tale riflessione ed
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elaborazione, su un piano transnazionale, si rivolge ai singoli Stati, nella
convinzione che solo con una normativa omogenea e coerente su un piano
nazionale ed internazionale sarà possibile dare una risposta forte a tale fenomeno
diffuso.
Il Comitato, inoltre, considerato che il mercato di parti del corpo umano presenta
plurime e diverse problematiche a seconda che si tratti di un commercio tra
individui viventi o che provenga da cadavere o che riguardi cellule e tessuti,
ritiene opportuno limitare il parere al traffico di organi tra viventi, in specie del
rene, che attualmente risulta essere l’organo di cui è più diffuso il mercato.
Ciò premesso si osserva quanto segue.
a) Il Comitato ritiene indispensabile una precisa definizione della fattispecie e
propone che per “traffico di organi” vadano intese tutte quelle attività che,
mediante l’uso della forza, la minaccia, la coercizione, il rapimento, l’inganno,
l’abuso di potere o lo sfruttamento di una posizione di vulnerabilità, in
particolare economica, siano mirate ad ottenere e prelevare organi da persona
vivente. Rientra in questa fattispecie altresì la corresponsione di somme di
denaro o altri benefici al datore o al terzo, direttamente o attraverso
intermediazione.
Il traffico d’organi porta di sovente al c.d. “turismo del trapianto” ogni qualvolta
vi sia un movimento di organi, donatori, riceventi e di personale specializzato
(medici,
operatori
sanitari)
attraverso
i
confini
giurisdizionali,
senza
autorizzazione sia del proprio Paese che di quello dove il prelievo e l’impianto
viene effettuato.
Questa vicenda vede coinvolte diverse categorie di persone: i pazienti malati, di
sovente già in dialisi per quanto concerne i reni, disposti a percorrere grandi
distanze e ad affrontare rischi per la loro salute al fine di ottenere il trapianto di
cui hanno bisogno; i venditori generalmente poveri e in gravi difficoltà; i
chirurghi e le strutture mediche, disposti a violare leggi e regole fondamentali
dell’etica e della deontologia; i broker e altri intermediari che hanno legami con
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la malavita del traffico di organi e infine i medici che nei Paesi di origine danno
assistenza al paziente che ha fatto uso del mercato.
Il Comitato ribadisce, come già in altri documenti, in via primaria la condanna
del commercio del corpo quale violazione dei diritti fondamentali all’integrità
della persona e alla sua salute, e raccomanda che i Paesi nazionali e gli organismi
internazionali apprestino una regolamentazione mirata a meglio contenere e
combattere questa vicenda illecita; a contrastare e disincentivare la domanda, a
sanzionare coloro che acquistano organi per sé o per altri, anche attraverso la
configurazione di specifici reati; a proteggere i diritti delle vittime offese; a
promuovere la donazione degli organi; a promuovere la collaborazione a livello
internazionale per migliorare le pratiche della donazione e del trapianto.
b) Per ciò che concerne i pazienti acquirenti di organi, anche se malati
gravemente e più o meno sollecitati da ragioni di urgenza, al CNB non appare
lecito che questi possano essere esenti da responsabilità penali quando,
direttamente o indirettamente, si appropriano di parti del corpo altrui,
approfittando di persone più povere e più vulnerabili. Nel trapianto da vivente
questa pratica, se legittimata, avalla l’idea che certi individui non abbiano pari
dignità e che siano dei semplici oggetti utilizzabili a beneficio di altri. È Nancy
Scheper-Hughes, che da molti anni si batte contro il mercato degli organi, ad
osservare che questo commercio ha inizio nel momento in cui una persona
debole e malata ne guarda un’altra, realizzando che dentro costei vi è qualcosa di
cui ha bisogno e che può allungarle la vita. Una forma definita di
“neocannibalismo” che considera il corpo degli altri come una fonte di pezzi di
ricambio smontabili con cui prolungare le nostre vite. Dinnanzi alla necessità di
proteggere la propria salute è facile che si dia corso ad una “zona grigia” in
campo etico, dove principi consolidati siano messi in discussione a favore dello
stato di emergenza, e che si dia ascolto ad auto-giustificazioni casistiche di mera
opportunità o convenienza.
Il CNB ritiene pertanto necessario apprestare una più energica repressione di un
fenomeno ritenuto incompatibile con valori etici e giuridici fondamentali, e che il
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nostro legislatore preveda l’estensione della responsabilità penale anche verso le
persone acquirenti, al fine di tradurre giuridicamente la gravità morale delle loro
azioni, anche con finalità deterrente. Pur nella estrema diversificazione delle
situazioni e dei casi, il diritto è chiamato a stabilire un principio generale che
condanni in modo forte il traffico d’organi anche nei confronti dei pazienti
fruitori che, intenzionalmente, non rispettano il sistema condiviso a livello
nazionale. Il CNB ritiene che sarebbe in alcune ipotesi un valido deterrente per
chiunque la prospettiva che, a fronte di un organo comperato per migliorare le
proprie condizioni di salute, vi sia il concreto rischio di essere incriminato una
volta rientrato dall’estero.
In tale contesto, che coinvolge il commercio d’organi tra viventi, si possono
integrare ulteriori fattispecie criminose, come i delitti di omicidio nell’ipotesi in
cui si verifichi il decesso della vittima, o alcune circostanze aggravanti o
attenuanti come previste per altri illeciti dal codice penale. In questa fattispecie
non deve essere applicato il principio della rilevanza del consenso
dell’interessato capace di intendere e di volere come causa di esclusione
dell’antigiuridicità del fatto.
Inoltre nella maggior parte dei Paesi, e così anche nel nostro, non esiste allo stato
una normativa che vieti al cittadino di recarsi all’estero per acquistare organi da
donatori viventi in Paesi in cui tale pratica non è considerata illegale. Si
tratterebbe allora di inserire, seguendo l’esempio della Germania, una clausola di
extraterritorialità che vieta ai cittadini di acquistare organi in qualsiasi parte del
mondo, anche in quei Paesi non europei dove il commercio di organi è
legalizzato. Ciò in considerazione che questo tipo di transazione commerciale tra
adulti capaci e consenzienti, sebbene molto diverso dall’uso di violenza, frode,
minaccia o rapimento, finalizzato al reperimento di organi, pone comunque una
forte problematicità sul piano morale e giuridico anche per molte delle ragioni
sopra descritte.
Tuttavia il legislatore, qualora non giudichi necessario stabilire una clausola di tal
genere, deve cercare almeno di prevedere dei controlli sulle modalità di
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attuazione del trapianto di organi effettuato dal cittadino fuori dai propri confini,
e tali da scoraggiare la tentazione di andare all’estero per ottenere un organo a
pagamento.
c) Altri attori di questa tragedia umana, morale e sociale sono i cedenti, in genere
indicati come vittime in quanto individui disperati, in condizione di forte
vulnerabilità a causa della situazione economica e della mancanza di prospettive,
allettati dai mediatori. Si è scritto con frequenza di una popolazione di
“colonizzati”. Andando su Internet o su web specializzati è facile trovare “il
corpo in vendita” (“offro rene”, “cedo porzione di fegato”, “vendo polmone”) e si
spalancano delle porte di un commercio sempre più in espansione. In tutte le
parti del mondo, in specie nei Paesi poveri, lo spettro dei potenziali venditori è
estremamente ampio ed è soprattutto in continuo e allarmante aumento.
Anche quando trattasi di iniziativa personale, deve essere ribadito e difeso il
principio che gli organi non possono che essere l’oggetto di un dono, di un atto
gratuito per salvare o migliorare la vita di altri. Verso questi individui la sanzione
penale non appare, tuttavia, come uno strumento adeguato e proporzionato, in
considerazione delle loro particolari condizioni di vulnerabilità, che evocano un
disagio economico proprio o dei propri familiari.
d) A livello preventivo deve considerarsi importante garantire un’assistenza
sociale ed un welfare attenti alla soddisfazione dei bisogni primari della
popolazione.
Ad entrambe le categorie (potenziali datori e fruitori), dovrebbe poi essere rivolta
una forte ed efficace campagna di sensibilizzazione, di educazione per cercare di
fare acquisire consapevolezza della illiceità dell’atto, creare una coscienza
collettiva sulle conseguenze delle operazioni di prelievo e sui diritti fondamentali
riconosciuti a tutela di ciascuna persona umana. Far capire che chi cede parti del
proprio corpo non si priva solo di queste, ma pone a repentaglio la propria salute,
la propria esistenza e probabilmente anche quella di chi compra. Ribadire che il
commercio di organi non è il semplice frutto della legge della domanda e
dell’offerta in cui tutti avranno un vantaggio: chi compra, recuperando la propria
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salute, e chi vende, ottenendo denaro per migliorare le proprie necessità di vita.
Anche chi muove da una visione proprietaria del corpo non deve dimenticare che
la rivendicazione di tale diritto incontra dei limiti ben precisi nei documenti
internazionali e negli ordinamenti giuridici e che chiedere alla legge di consentire
di negoziare un giusto prezzo per un rene va contro tutto ciò che la teoria del
contratto rappresenta (manca spesso una volontà libera e consapevole, manca
l’oggetto dato che gli organi non sono legittimamente beni di consumo). È anche
possibile domandarsi “se coloro che vivono in condizioni di insicurezza sociale e
abbandono economico alla periferia del nuovo ordine mondiale siano realmente
“proprietari” dei loro corpi”.
Il compratore deve essere consapevole che colui che vende un organo in
condizioni di clandestinità rischia di ridurre la propria vita in termine di durata e
che le statistiche dimostrano che a breve si troverà in condizioni di povertà
mediamente peggiori. Deve inoltre essere consapevole che in molte parti del
mondo questi venditori, spesso giovani, si trovano a dovere affrontare lo scherno
e l’ostracismo dell’ambiente sociale che li circonda. Va infine richiamata
l’attenzione dei datori/fruitori, come scrive il chirurgo Ignazio Marino, sul dato
“che se un chirurgo è così privo di scrupoli da eseguire un trapianto nella piena
illegalità e non curante delle regole fondamentali dell’etica e della deontologia,
con ogni probabilità non sarà molto scrupoloso nel verificare la compatibilità del
donatore o altri aspetti clinici relativi a questo delicato intervento, perché il suo
interesse è puramente economico e certamente non gli starà a cuore la salute
della persona che finirà in sala operatoria”. E, potremmo aggiungere, anche dopo
l’intervento.
e) Cardine delle operazioni di trapianto di organi con provenienza illegale è
l’organizzazione che supporta l’intervento: dal reperimento illegale dell’organo e
dal reclutamento del paziente ricevente, alla garanzia dei trattamenti sanitari e
delle procedure necessarie per il trapianto. Devono essere considerate come
reato, se commesse intenzionalmente, la sollecitazione fatta da professionisti
sanitari e da altre persone (intermediari/brokers) per ottenere organi fuori dal
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sistema nazionale dei trapianti, e l’offerta di guadagno o di comparabili vantaggi
ai potenziali datori.
Deve altresì essere ritenuto reato, se commesso intenzionalmente, la
preparazione, la preservazione, lo stoccaggio, il trasporto, il trasferimento, la
ricezione, l’importazione e l’esportazione di organi prelevati nelle condizioni
descritte al punto 3a, in considerazione che tutte queste attività costituiscono
momenti essenziali del traffico di organi umani.
In riferimento alla gravità delle infrazioni legate al traffico di organi umani è
appropriato includere la responsabilità delle società commerciali, delle strutture
pubbliche e delle organizzazioni che possono essere coinvolte in casi di azione
criminale commessa da qualsiasi persona che eserciti all’interno di esse un potere
di direzione, di rappresentanza e di controllo. La responsabilità di tali organismi
non esclude la responsabilità individuale delle persone fisiche che ne fanno parte.
In tutte queste differenti situazioni una parte rilevante devono avere le politiche
di dissuasione, prevedendo meccanismi focalizzati sull’aumento dei rischi e delle
difficoltà per attuare l’illecito. Soprattutto aumentare i rischi significa mettere a
repentaglio non solo il patrimonio e/o la libertà personale dei chirurghi,
infermieri, tecnici, ecc., attraverso sanzioni penali, ma anche incidere sulla loro
reputazione professionale. E per questo ultimo aspetto un ruolo importante
possono averlo i codici deontologici laddove prevedano in questo settore
sanzioni rigorose per i trasgressori.
f) Il legislatore nel contrastare queste pratiche dovrebbe includere un divieto di
tutti i tipi di pubblicità che sollecitino contatti con intermediari/brokers.
È noto che il traffico clandestino si avvale soprattutto di siti web che mettono in
rapporto datore-organizzazione-acquirente e la rete diventa il luogo di uno
scambio di informazioni e di una trattativa globalizzata. Necessario allora un
controllo, un monitoraggio e la censura di siti sospetti e di mass media cartacei al
fine di evitare propagande accattivanti e di accrescere le difficoltà per il venditore
ad entrare in contatto con le organizzazioni criminali.
A tal fine si rileverebbe utile istituire gruppi di ricerca specializzati nell’esame di
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sfruttamento informatico e trappole virtuali, che possono fungere da deterrente
per la pubblicizzazione online di annunci da parte dei mercanti degli organi.
g) Tenuto conto delle conseguenze potenzialmente gravi del traffico d’organi
umano per la salute psicofisica dei datori, il Comitato ritiene necessaria una
protezione specifica di queste persone. In specie si ritiene necessario che le
vittime di questo mercato siano tenute informate dello stato d’avanzamento del
loro dossier da parte delle autorità competenti e che venga data loro la possibilità,
nel rispetto del diritto interno degli Stati, di essere ascoltati e di ricevere adeguata
protezione qualora siano chiamate a fornire degli elementi di prova.
Un altro impegno è quello di scoraggiare il passaggio da “vittima” a “carnefice”.
Dati statistici dimostrano che i brokers comuni con frequenza sono ex venditori
di organi, reclutati nelle fila dei mediatori tramite l’invito a stabilire una
partnership negli affari e la promessa di guadagno. Un passaggio agevolato dalle
condizioni precarie in cui si trova il datore, che, come detto, non risolve i propri
problemi con l’alienazione di un organo. Sono “gli intermediari degli
intermediari” che hanno presso le stesse comunità sociali più facilità a reperire
potenziali donatori. Bloccando questa catena di ingaggio, si indebolisce senza
dubbio l’azione dei trafficanti, che in questo modo viene a perdere gran parte dei
suoi affiliati. Si tratta di un metodo di prevenzione attuabile dando ampia
diffusione e risalto alle sanzioni nazionali e internazionali previste per i brokers,
e aumentando così i rischi e i costi delle condotte di mediazione.
h) Il Comitato sottolinea poi l’importanza di una cooperazione internazionale.
Una efficace attività di contrasto ad un reato dinamico che coinvolge il territorio
di più Stati non può incardinarsi solo attraverso normative statuali, ma deve poter
contare su di una collaborazione giudiziaria, politica e di polizia tra i Paesi
interessati. Come in altre situazioni di criminalità organizzata transnazionale (si
pensi al narco traffico o ai reati di pedofilia) la collaborazione muove dalle
informative date e scambiate fra gli Stati, dalla necessità di centralizzare le
indagini e di istituire delle banche dati applicate al traffico di organi.
Da non trascurare infine l’esigenza di una progressiva armonizzazione della
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normativa al fine di evitare che la mancata o differenziata criminalizzazione di
taluni comportamenti impediscano o rendano più difficoltosa la collaborazione
internazionale fra le diverse autorità.
Al fine di migliorare la risposta giudiziaria è dunque indispensabile la
promozione di più congrue convenzioni internazionali contro il traffico strictu
sensu, a condizione che lo individuino nei suoi presupposti e ne enucleino le
condotte che lo caratterizzano, in breve che lo definiscano.
i) Infine, considerato che le pratiche che non rispettano i principi etici sono in
parte una conseguenza della carenza globale di organi per il trapianto, il nostro
Paese deve impegnarsi a sostenere, anche economicamente, programmi atti ad
incrementare la donazione di organi sia da vivo che da cadavere.
Si ribadisce, poi, anche in questa sede che la soluzione del problema relativo alla
persona malata potrebbe aprire un problema di malattia del donatore. In alcune
normative proprio di ciò si tiene conto, quando questo atto di generosità si
traduce in un criterio di preferenza nelle liste di attesa in caso di bisogno
sopravvenuto di un organo da parte del donatore stesso. Una indicazione che
anche il nostro legislatore, come altri, dovrebbe considerare in modo da attenuare
il rischio che il donatore possa incorrere in patologie mortali causate dal suo atto
che aveva come fine quello di risolvere una patologia altrui.
4. Raccomandazioni
4.1. Il Comitato auspica che si realizzi il progetto del Consiglio d’Europa di
addivenire ad una convenzione tra i vari Stati membri che abbia come scopo
quello di prevenire, combattere e criminalizzare il traffico illegale di organi, una
minaccia di dimensione mondiale che mette in pericolo i diritti fondamentali
dell’uomo.
4.2. Il Comitato ritiene che, sebbene l’idea di una regolamentazione sia difficile
da realizzare nelle realtà sociali e mediche di molte parti del mondo,
specialmente nei Paesi poveri, almeno in Europa si possa prevedere una
regolamentazione giuridica, internazionale e nazionale, con l’introduzione anche
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di fattispecie penali, mirata a definire il traffico di organi, a prevenirlo, a far
rispettare il principio che il corpo umano o le sue parti sono fuori dal commercio.
4.3. È auspicabile che gli Stati collaborino a livello internazionale per migliorare
le pratiche del trapianto e della donazione degli organi e cooperino, nel rispetto
degli strumenti internazionali pertinenti e del proprio diritto interno, nella misura
la più larga possibile, al fine di svolgere indagini in merito alle eventuali
infrazioni commesse sul proprio territorio e al di fuori di questo.
Occorre inoltre stabilire, in via convenzionale, con trattati multilaterali fondati
sul principio di doppia incriminazione, il mutuo riconoscimento della fattispecie
di reato, al fine di garantire adeguata collaborazione fra i Paesi richiedenti e i
Paesi nei quali il fatto è stato commesso intenzionalmente.
4.4. È altresì necessario che gli Stati rafforzino una politica destinata a favorire la
donazione di organi e si auspica inoltre che collaborino a livello internazionale
per promuovere la ricerca nell’ambito della medicina rigenerativa cosicché in
futuro si possano raggiungere traguardi tali da rendere non più necessario il
ricorso ai trapianti di organi.
Postilla a firma dei Proff. Luisella Battaglia, Lorenzo d’Avack, Silvio Garattini,
Rodolfo Proietti, Vittorio Possenti e Lucetta Scaraffia.
Il parere raccomanda di elaborare uno strumento giuridico internazionale che
abbia come finalità e scopi quelli di prevenire e combattere il traffico di organi,
criminalizzare detti atti e proteggere i diritti delle vittime delle offese.
I membri del Comitato sono giunti a trovare un accordo su molte misure di
protezione delle vittime e nel prevedere una infrazione penale per gli atti che
caratterizzano e completano il traffico d’organi umani.
Tuttavia particolarmente delicata appare la posizione del medico nei Paesi di
origine, investito dei suoi compiti terapeutici e di assistenza, quando l’attività
viene richiesta da quel paziente acquirente che abbia operato in clandestinità.
Fermo restando l’obbligo della cura da parte del medico, si potrebbe ravvisare
anche quello di dare notizia dell’attività illecita alla competente autorità
giudiziaria per avviare una indagine.
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Il CNB nel discutere sul problema, pur richiedendo la supervisione e la
responsabilità da parte delle autorità sanitarie di ciascun Paese per garantire la
trasparenza e la sicurezza, ha ritenuto opportuno non affrontare il problema in
merito all’obbligo di denuncia da parte del medico o della struttura medica. I
motivi di questa scelta sono due: il richiamo all’etica medica classica basata sulla
tradizione ippocratica con la sua concezione della responsabilità del medico in
scienza e coscienza verso il paziente, da una parte. Dall’altra, affiora la
preoccupazione che il paziente, nel timore delle sanzioni, resti nella clandestinità
con possibili aggravi per le sue condizioni di salute.
Tali argomenti, seppur ragionevoli, non includono altri valori non meno rilevanti
ed eticamente rispettabili, ricchi di valenze pubblicistiche, che richiedono
specifiche informazioni utili al soddisfacimento di finalità pur sempre previste
dalla legge e soggette al controllo della pubblica sicurezza. Soprattutto non
prendono in considerazione il fatto che questa sarebbe una delle poche vie a
nostra disposizione per venire a conoscenza di illecito mercato di organi.
L’obbligo deontologico del rispetto del segreto professionale e della privacy del
paziente potrebbe del resto significare, per i medici, assecondare chi commette
un reato, considerato un crimine contro l’umanità, e “diventare di conseguenza
conniventi in quanto consapevoli della compravendita”. Tanto più che è ben
evidente la disparità di trattamento tra cedente e ricevente: mentre in genere il
primo è abbandonato a se stesso in qualche parte del mondo; il secondo viene
seguito e protetto dai medici che lo avevano in cura prima del trapianto illegale.
Anche prendendo in considerazione la privacy e il segreto professionale, si può
ben ritenere che il medico - a fronte di valori confliggenti, sia etici che giuridici in ogni caso sia libero di decidere secondo scienza e coscienza, riservando
l’obbligo deontologico in merito alla prestazione della cura.
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IL DDL SUL TRAFFICO D'ORGANI IN SINTESI
Il disegno di legge approvato in prima lettura dall'aula del Senato si compone di
soli quattro articoli, il primo dei quali introduce nel codice penale, modificando
l'articolo 601, un nuovo reato volto ad incriminare la condotta di traffico di
organi prelevati da persona vivente: Il delitto è punito con la reclusione da tre a
dodici anni e con la multa da euro 50.000 ad euro 300.000. Se il fatto è
commesso da persona che esercita una professione sanitaria, alla condanna
consegue l'interdizione perpetua dall'esercizio della professione. È inoltre punito,
con la reclusione da tre a sette anni e con la multa da euro 50.000 ad euro
300.000, chiunque organizza o propaganda viaggi ovvero pubblicizza o diffonde,
con qualsiasi mezzo, anche per via informatica o telematica, annunci finalizzati
al traffico di organi o parti di organi. Per punire anche l'intermediazione à stato
specificato che la "tratta" di organi è reato "in qualsiasi modo e a qualsiasi titolo".
Elemento qualificante del nuovo delitto è comunque il fatto che l'organo o la
parte di organo prelevato provenga da persona vivente, il che denota il particolare
allarme sociale delle azioni punite e, al contempo, serve a distinguere e
qualificare l'impianto sanzionatorio rispetto alla disciplina già prevista dalle
norme penali speciali recate dalla legge 1° aprile 1999, n. 91. L'articolo 2 del ddl
introduce modifiche all'articolo 416 del codice penale concernente il reato di
associazione per delinquere. In particolar modo, al sesto comma dell'articolo 416
viene introdotto il riferimento al nuovo articolo 601-bis nell'elenco dei reati per i
quali si applica l'aggravante che prevede la reclusione da cinque a quindici anni e
da quattro a nove anni a seconda che si tratti dell'attività di promozione,
costituzione od organizzazione dell'associazione criminosa, oppure che vi si
prenda semplicemente parte. È evidente l'intenzione di conferire particolare
allarme sociale al reato di traffico d'organi prelevati da persona vivente, ma
anche da cadavere, se consumato in forma organizzata e di associazione
criminosa. L'articolo 3 del disegno di legge si occupa di coordinare l'introduzione
della nuova disciplina con l'articolo 22-bis della legge n. 91 del 1999. Da ultimo,
l'articolo 4 del disegno di legge si limita a svolgere un ulteriore coordinamento
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con la legge 26 giugno 1967, n. 458, in materia di trapianto del rene tra persone
viventi. Durante l'esame in aula Ncd ha rinunciato all'emendamento sul traffico
di cellule e tessuti di origine umana prelevati da persona vivente ribattezzata
dalle opposizioni "blitz sulle staminali per il divieto di eterologa".
Ho saputo che proprio in questi giorni Il Partito democratico italiano si è
interessato di questa questione ed ho contattato la parlamentare Camilla Fabbri di
Pesaro per sapere a che punto fossero i lavori e molto gentilmente mi ha mandato
un sunto dell’attuale situazione in senato che sotto riporto:
IL DDL SUL TRAFFICO D’ORGANI IN SINTESI (marzo 2015)
Il disegno di legge approvato in prima lettura dall'aula del Senato si compone di
soli quattro articoli, il primo dei quali introduce nel codice penale, modificando
l'articolo 601, un nuovo reato volto ad incriminare la condotta di qualsiasi modo
e a qualsiasi titolo". Elemento qualificante del nuovo delitto è comunque il fatto
che l'organo o la parte di organo prelevato provenga da persona vivente, il che
denota il particolare allarme sociale delle azioni punite e, al contempo, serve a
distinguere e qualificare l'impianto sanzionatorio rispetto alla disciplina già
prevista dalle norme penali speciali recate dalla legge 1° aprile 1999, n. 91.
L'articolo 2 del ddl introduce modifiche all'articolo 416 del codice penale
concernente il reato di associazione per delinquere. In particolar modo, al sesto
comma dell'articolo 416 viene introdotto il riferimento al nuovo traffico di organi
prelevati da persona vivente: Il delitto è punito con la reclusione da tre a dodici
anni e con la multa da euro 50.000 ad euro 300.000. Se il fatto è commesso da
persona che esercita una professione sanitaria, alla condanna consegue
l'interdizione perpetua dall'esercizio della professione. È inoltre punito, con la
reclusione da tre a sette anni e con la multa da euro 50.000 ad euro 300.000,
chiunque organizza o propaganda viaggi ovvero pubblicizza o diffonde, con
qualsiasi mezzo, anche per via informatica o telematica, annunci finalizzati al
traffico di organi o parti di organi. Per punire anche l'intermediazione è stato
specificato che la "tratta" di organi è reato "in articolo 601-bis nell'elenco dei
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reati per i quali si applica l'aggravante che prevede la reclusione da cinque a
quindici anni e da quattro a nove anni a seconda che si tratti dell'attività di
promozione, costituzione od organizzazione dell'associazione criminosa, oppure
che vi si prenda semplicemente parte. È evidente l'intenzione di conferire
particolare allarme sociale al reato di traffico d'organi prelevati da persona
vivente, ma anche da cadavere, se consumato in forma organizzata e di
associazione criminosa. L'articolo 3 del disegno di legge si occupa di coordinare
l'introduzione della nuova disciplina con l'articolo 22-bis della legge n. 91 del
1999. Da ultimo, l'articolo 4 del disegno di legge si limita a svolgere un ulteriore
coordinamento con la legge 26 giugno 1967, n. 458, in materia di trapianto del
rene tra persone viventi. Durante l'esame in aula Ncd ha rinunciato
all'emendamento sul traffico di cellule e tessuti di origine umana prelevati da
persona vivente ribattezzata dalle opposizioni "blitz sulle staminali per il divieto
di eterologa".10
10
https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&cad=rja&uact=8&ve
d=0CCEQFjAA&url=http%3A%2F%2Fwww.governo.it%2Fbioetica%2Fpdf%2F14_Traffico_i
llegale_organi_umani_tra_viventi.pdf&ei=sBlTVd8O6PcywPty4HACw&usg=AFQjCNFDFVzPIuI_-zlmJyqOZ83MeQwUqw (12 aprile 2015).
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12. Ho comprato un rene in Nepal
Mille euro al donatore. Mille all'intermediario. Cinquemila per il trapianto
illegale in India. Un giornalista de L'espresso, Alessandro Gilioli è entrato nel
mercato clandestino degli organi, Tra documenti falsi e chirurghi corrotti. Ecco il
suo racconto.
“Tutto si può dire di Krishna Kanki, malavitoso nepalese in carriera, tranne che
non sappia vendere la sua merce: ‘I miei donatori sono ragazzi sani, robusti e di
campagna’, dice: ‘Io prendo solo gente a posto, niente fumo, niente droghe,
niente alcol. E poi faccio sempre tutti gli esami: HIV, epatite, tubercolosi. Alla
fine scegliamo il migliore e ve lo portate via. è facile, l'abbiamo già fatto decine
di volte con gente che veniva dall'Europa, dall'America e da Singapore...’.
Allora non è una leggenda metropolitana. La macelleria internazionale degli
organi umani è una realtà concreta, prospera e diffusa. E adesso ha anche volti,
nomi e indirizzi precisi, almeno in una delle sue tante incarnazioni: quella del
traffico di reni che avviene tra il Nepal e l'India, i paesi più attivi dell'Asia insieme al Pakistan - in questo oscuro mercato globale. “L'espresso” ne ha
percorso tutto il cammino, dai vicoli di Kathmandu fino alle cliniche di lusso di
Calcutta, acquistando il rene di un ragazzo nepalese e prenotandone il trapianto
con il consenso di un chirurgo indiano.
È appunto a Kathmandu, l'ex capitale degli hippies oggi stremata da dieci anni di
guerra civile e sovrappopolata da un'inurbazione selvaggia, che nel novembre del
2006 sento le prime voci sul boom locale dell'offerta di organi. Si dice che i
contadini sfollati, la gente dei villaggi indebitata e le vedove senza speranza
siano diventati il serbatoio di questo commercio gestito da una dozzina di 'middle
men', gli intermediari tra pazienti benestanti (quasi sempre stranieri) e aspiranti
venditori di organi. Nella confusione del dopoguerra in città è venuto meno il
potere dello Stato, si è impennata la criminalità, è dilagata la corruzione. E
all'anarchia nepalese fanno riscontro appena al di là del confine le moderne
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cliniche private indiane, dove molti medici (retribuiti 'a cottimo' per ogni
intervento) accettano i certificati fasulli prodotti in Nepal, pur consapevoli della
loro fraudolenza.
Così, a fine aprile, torno a Kathmandu con una falsa diagnosi di 'malattia renale
policistica bilaterale', in cerca di un trapianto per evitare di entrare in dialisi. Ho
con me un paio di analisi del sangue contraffatte - con la creatinina impazzita e
altri valori alterati - più la diagnosi su carta intestata di un medico che certifica le
mie condizioni.
Con una matita da trucco mi appesantisco le occhiaie e vado al National Kidney
Center, la più nota struttura privata locale per la cura dei reni. Qui, senza bisogno
di mostrare alcunché, scopro subito che basta rivolgersi a un qualsiasi
paramedico - ma va bene anche un guardiano o un barelliere - per mettere in giro
la voce che si ha urgentemente bisogno di un rene nuovo, lasciando il proprio
numero di cellulare e una mancia. Nessuno si stupisce, nessuno chiede alcunché,
molti promettono aiuto.
Nemmeno tre giorni dopo arrivano le prime telefonate, con i nomi, i numeri e gli
indirizzi di due intermediari. Così inizia il mio viaggio nella malavita di
Kathmandu, riconvertita dallo spaccio di droga al più remunerativo business
degli organi.
Il primo 'middle man' che mi fissa un appuntamento si chiama Krishna Kanki e
ha la sua base accanto a un negozio di pashmine sulla Tridevi Marg, uno stradone
pieno di mendicanti a due passi dal quartiere turistico di Thamel. Per maggiore
sicurezza, vado a trovarlo accompagnato da Sudarshan, un amico nepalese il cui
fratello un anno fa si è comprato un rene e che quindi ha un po' di esperienza nel
giro.
Krishna che ci aspetta davanti al negozio. Ha una trentina d'anni, i baffetti curati
e una polo viola. Ci fa cenno di seguirlo e - senza voltarsi - ci porta in una
piazzetta appartata, la Bhagwan Bahal. Sotto un ombrellone aperto davanti a un
baretto malconcio ci sono quattro sedie di legno bianco che costituiscono
evidentemente il suo informale ufficio. Krishna parla solo con Sudarshan, in
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nepalese, a voce bassa e senza mai guardarmi. Non sembrano interessargli
granché le mie condizioni di salute - a parte il gruppo sanguigno - e dopo le
rassicurazioni sulla robustezza dei suoi ragazzi ci spiega la procedura successiva,
a sentir lui semplicissima e rodata: "Lo sapete, per la legge indiana bisogna che
tra il donatore e il paziente ci sia una relazione di consanguineità. Con i malati di
qui facciamo un paio di falsi certificati e diciamo che sono fratelli. Per gli
occidentali invece il sistema migliore è quello di inventarci un figlio". Un figlio?
"Sì, certo. Diciamo che tu sei venuto in Nepal una ventina di anni fa e hai avuto
una storia con una ragazza locale. Bene, il bambino non te lo sei portato a casa
ma l'hai sempre aiutato da lontano, mandandogli soldi e vestiti. Ora lui è
diventato grande, vuole sdebitarsi e ti dà il suo rene. è facile, funziona sempre.
Basta costruire un documento di paternità con il timbro del ministero, che noi
ovviamente sappiamo come procurarci". E la mamma chi sarebbe? "Non è un
problema. Troviamo una donna più o meno della tua età che certifica la vostra
vecchia relazione e garantisce la paternità del ragazzo...".
L'estrema facilità con cui il broker descrive i vari passaggi ha un che di irreale,
come se fossi lì a comprare un souvenir. Tuttavia, di fronte alla sua irritante
sicurezza, cerco di mostrare le paure e l'incredulità proprie del paziente
occidentale timoroso che qualcosa vada storto: "Ma sono documenti credibili? E
se poi in India il medico li rifiuta?". Krishna sorride appena, senza mai rivolgere
lo sguardo a me: "Vedete, non importa a nessuno se sono credibili o no. Certo,
noi produciamo dei falsi perfetti, ma è solo per sicurezza. In realtà in India i
chirurghi sanno benissimo che è tutto fasullo e fanno solo finta di crederci". E
ancora, sempre con una punta d'ironia: "A volte sono loro stessi a telefonarci per
dirci che cosa dobbiamo scrivere su quei fogli, in modo da non avere problemi
con i loro consigli di amministrazione o magari con qualche collega invidioso.
Ricordatevi bene una cosa: se il dottore in India vi fa qualche domanda di troppo,
è solo per avere un sovrapprezzo in nero sulla parcella della clinica, che pure gli
dà il 50 per cento di ogni operazione. Voi passategli una buona mancia e vedrete
che tutto finisce lì".
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Dopo un po', Krishna sembra perfino scocciato dalle nostre ansiose domande,
quasi che queste possano mettere in dubbio la sua professionalità e le sue
connessioni con i medici di là del confine. E a fronte dei miei timori sulle
capacità dei chirurghi indiani, il mediatore fa già, tranquillamente, il primo nome:
"Io lavoro con i migliori trapiantologi del Paese. A Chennai mando la gente al
St.Thomas Hospital, dal dottor Ravichandran, il capo del dipartimento di
nefrologia. Bravissimo, un luminare mondiale. Mi ha già fatto diversi occidentali
come te, e sono tornati tutti a casa felici e contenti".
Dopo una mezz'oretta di rassicurazioni e chiacchiere, inevitabilmente il discorso
cade sui costi. E qui Krishna snocciola senza imbarazzi le sue parcelle: "Servono
subito 160 mila rupie (circa 200 euro) per fare gli esami del sangue ad almeno
due possibili donatori. Poi, se va tutto bene, il rene costa 1.800 euro: un terzo
subito, un terzo appena hai fatto l'operazione, l'ultima parte dopo le dimissioni
dall'ospedale". Altre spese? "Al donatore non devi dare niente, ci penso io.
Semmai compragli qualche vestito per renderlo decente quando lo presenti al
dottore. Il ricovero in India e tutte le medicine sono naturalmente a tuo carico.
Poi calcola tre biglietti aerei per Chennai: per te, per il donatore e per il mio
watchman". E chi sarebbe questo watchman? "Ci vuole sempre un mio uomo che
controlli tutto. Mettiamo che al donatore salti in testa di scappare all'ultimo
minuto: bene, il mio watchman è lì per impedirglielo. Questi ragazzi a volte sono
strani, si prendono paura all'improvviso, è sempre meglio tenerli d'occhio...". Poi
si ferma, guarda l'orologio d'oro e finalmente alza lo sguardo: "A proposito, ne
volete conoscere un paio?".
Così Krishna sfodera la sua arma a sorpresa: un numero digitato in fretta al
cellulare, poche frasi secche in nepalese e tre minuti dopo da dietro l'angolo si
materializzano, a passi lenti e in silenzio totale, due ragazzi già reclutati.
"Naturalmente prima dobbiamo verificare il gruppo sanguigno", dice il
mediatore, "ma loro sarebbero già pronti".
Uno è poco più di un bambino. Ha tratti tibetani, una magrezza impressionante
sotto la T shirt lurida. La gamba sinistra gli trema, non solleva lo sguardo dal
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tavolo. Sembra terrorizzato dalla situazione che pure ha scelto di vivere. L'altro è
molto più tranquillo, ha un inizio di barba sul mento e si siede accanto al suo
carnefice. Bevono una Sprite, sempre senza aprire bocca. Io li guardo in faccia,
loro fissano l'asfalto sotto le loro infradito di plastica.
È lo stesso Krishna, pochi minuti dopo, a farli un po' parlare: forse ha paura che
risultino antipatici al ricco cliente venuto dall'Europa. Inizia il ragazzo più
piccolo, quello spaventato. Si chiama Daniel Rai e dichiara vent'anni: una palese
bugia, probabilmente è minorenne. Proviene da un piccolo villaggio del Terai,
l'afosa pianura lungo i confini meridionali del Nepal. Sua madre - dice - è morta
quando lui aveva otto anni. Papà ha trovato un'altra donna e ha cominciato a
bere, facendo debiti per l'alcol, per poi andarsene dal villaggio con la nuova
compagna. Lasciando lui - primo figlio maschio - a difendersi dai creditori.
Allora Rai è venuto nella capitale, ha trovato qualche lavoretto. Ma i soldi
raccattati qua e là non bastano, deve tornare in fretta al villaggio per pagare gli
usurai: gli interessi sono del 30 per cento l'anno. Altrimenti quelli gli prendono la
casa e sbattono in strada tutti i suoi fratelli.
L'altro ragazzo, il più grande, si chiama Sonam, dice di avere 25 anni e viene dal
villaggio di Kavre, sempre nel Terai. A Kathmandu fa l'aiuto meccanico, porta a
casa una quarantina di euro al mese ma ora la moglie si è ammalata di cuore e "in
Nepal le medicine si pagano care, senza i miei soldi muore".
Quando hanno finito, Krishna fa un mezzo sorriso ironico rivolgendosi a noi in
modo complice: "Raccontano tutti storie strappalacrime, poi non lo saprai mai
che cosa ci fanno davvero con i soldi. Io sono onesto, gli dò sempre metà di
quello che prendo, ma quando vedono tutte quelle rupie in una botta sola non
capiscono più niente. Qualcuno se le beve, qualcuno si compra la moto: una bella
Hero Honda con cui tornare al villaggio a fare il gradasso. Poi sì, ci sono anche
quelli bravi, che magari si comprano un campo per coltivare il riso, ma sono sì e
no due su dieci. Comunque, fatti loro".
Già, fatti loro. L'importante, per me, è che siano davvero disposti a vendersi un
organo. Come faccio a sapere che sono d'accordo con quello che stiamo per fare?
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Alle mie perplessità Krishna si volta verso i ragazzi e dice qualcosa in nepalese.
Daniel risponde con un semplice cenno di sì con la testa, tenendo sempre gli
occhi bassi; Sonam - forse più bravo a recitare - si dice addirittura "felice" di
poter salvare la mia vita.
In tutto, il primo incontro con Krishna e i suoi ragazzi da macello dura quasi
un'ora, in un'atmosfera vagamente irreale: Daniel Rai, Sudarshan e io molto tesi,
Krishna e l'altro donatore tranquilli. Poi lui spedisce via i due ragazzi e ci
fornisce gli ultimi dettagli: "Se ci state, datemi subito i soldi per gli esami, così li
facciamo domattina. Poi preparo i documenti, in un paio di giorni sono pronti. Se
è tutto okay, tra una settimana siete a Chennai e fra un mese tu torni a casa col
rene nuovo". Le 160 mila rupie passano di mano in mano, Krishna le infila
rapido nelle tasche dei jeans senza nemmeno contarle. Mi dà appuntamento per il
giorno dopo alla Pathology Laboratory Clinic, nella zona di Kalanki, in modo
che io possa verificare che i ragazzi fanno davvero i test del sangue. Poi si alza di
scatto e si dilegua verso la folla di Thamel.
Non lo rivedrò più, perché la mia compravendita avverrà attraverso altri canali.
Probabilmente, in questo momento, Daniel Rai avrà già venduto il suo rene a un
altro paziente straniero. Sonam, chissà: l'impressione - condivisa dal mio amico
Sudarshan - è che fosse solo un complice del mediatore, portato lì per far numero
e darci l'apparenza di una scelta, mentre la vittima predestinata pareva comunque
l'altro ragazzo.
L'appuntamento con il secondo mediatore avviene il giorno dopo, nel
pomeriggio. Hari Tamang, una cinquantina d'anni, corporatura tozza e occhiali
azzurri di marca, ha un negozio di copertura - fotocopie e fax - in un vicolo sulla
strada commerciale del Bagh Bazar. Dentro, una sola fotocopiatrice, un vecchio
computer, una grande foto del defunto re Birendra e un tavolo di finto legno.
Hari sa perché sono lì, mi fa sedere e parla per primo, soprattutto di sé: "Qui mi
conoscono tutti, sono il migliore in città. Ho avuto pazienti canadesi e tedeschi, i
miei documenti sono sempre perfetti. Adesso qui in Nepal c'è il boom e si
improvvisano tutti mediatori, ma non devi fidarti. Io faccio questo mestiere da
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dieci anni, mi sono venduto un rene anch'io e mia moglie pure". Poi indica un
adolescente con un orecchino turchese cha sta ascoltando musica al desktop lì
accanto: "E quello è Prakash, mio figlio: appena ha l'età, mandiamo in India
anche lui".
Il suo punto di forza, racconta orgoglioso Hari, sono i rapporti con i chirurghi
indiani, coltivati in due lustri di corruzione. Hari fa il nome di Ravichandran, a
Chennai: lo stesso medico indicato da Krishna. Sempre a Chennai, il mediatore
dice di lavorare anche con un'altra clinica privata, il Medical Madras hospital,
dove il suo riferimento - dice - è "un medico famoso, Georgi Abraham". Ma nel
mio caso, dice, la cosa migliore è puntare sull'Apollo Gleneagles Hospital di
Calcutta dove - sostiene lui - conosce tutto il reparto di nefrologia: "Lì hanno
appena fatto il trapianto a tre occidentali, giusto la settimana scorsa", spiega, "e
poi in questo periodo il West Bengala è il posto migliore". Fino a pochi mesi fa,
racconta, la sua base preferita era invece Madurai, nel Tamil Nadu: all'Apollo
Hospital locale lavorava senza problemi con tale dottor Palani Rajan, anche lui
nefrologo esperto in trapianti. Ma "ora su Madurai la polizia ha gli occhi puntati,
meglio starci lontano". Perché? Hari fa una smorfia e spiega che nel Tamil Nadu
- la regione indiana più colpita dallo tsunami del 2004 - negli ultimi due anni la
vendita degli organi è esplosa oltre ogni misura perché la gente aveva bisogno
dei soldi per ricostruirsi le case. Il mercato dei pezzi di ricambio umani ha
raggiunto dimensioni tali da costringere a muoversi perfino la pigra polizia
locale. Così sono partite un po' di inchieste e ora i dottori devono stare quatti. Del
resto anche a Delhi - si lamenta Hari - non si lavora più bene come una volta: nel
dicembre scorso a Noida, un centro industriale non lontano dalla capitale, hanno
trovato gli scheletri di 15 bambini nel giardino di una casa privata e il giudice
sospetta che siano stati ammazzati per estrarne i pezzi. I cadaveri erano conciati
troppo male e sepolti da troppo tempo per capire se gli organi ne erano stati
asportati o no. Ma intanto a Delhi i medici stanno in campana e il mercato dei
reni è quasi bloccato. Per fortuna a Calcutta, invece, continua tutto come prima.
Dopo il racconto sulle cliniche, Hari passa finalmente alla parte economica: il
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rene da lui costa circa 2 mila euro, metà prima e metà dopo il trapianto. Provo un
po' a contrattare ma lui non si smuove ("Sorry, fixed prices", e "per un
occidentale è la tariffa minima"). Interviene anche Prakash, il figlio adolescente
già destinato a un prossimo espianto, che molla per un attimo il pc e si rivolge a
me con impavida arroganza: "Guarda che mio papà è il migliore sulla piazza, lui
fa una telefonata in India e il trapianto è già fatto...".
Alla fine Hari accetta solo una diversa distribuzione delle rate, un terzo alla volta
come Krishna. E anche lui mi dà appuntamento è per il giorno dopo per
conoscere i donatori e fargli fare i test del sangue.
Se l'incontro con Krishna era stato pieno di silenzi e tensioni, la trattativa con
Hari si è svolta invece in modo molto diretto, magari un po' rude ma senza alcuna
emotività: come esige una qualsiasi transazione commerciale da concludere in
fretta, per il bene di tutti.
La sera, a cena con un paio di amici nepalesi, chiedo notizie sui due mediatori
incontrati in giornata e scopro che in città sono ben conosciuti. Krishna Kalki - il
primo che ho incontrato - è un emergente del settore: cresciuto alla scuola di
Hari, ora si è messo in proprio e sta cercando il suo spazio in un mercato in
rapida crescita. Non ha mai voluto vendersi direttamente un suo rene, ma l'ha
fatto fare al suo vice, Ashok, che usa anche come watchman da spedire in India.
Hari Tamang invece è un veterano, considerato davvero il numero uno a
Kathmandu, con una media di dieci clienti al mese. Mille euro netti di profitto
l'uno, e il calcolo di quanto si porta a casa è presto fatto. Ogni mattina i suoi
uomini fanno il giro della città - ma a volte vanno anche fuori Kathmandu, nei
sobborghi della vallata - a cercare nuovi ragazzi da squartare. Hari ha avuto
anche i suoi problemi con la giustizia: tre anni fa ha litigato con un donatore pare per una percentuale non pagata - e quello l'ha denunciato. Lui è finito in
galera ma ne è uscito sette mesi dopo, pagando una cauzione e aggiungendo una
stecca al magistrato. Quindi ha ripreso l'attività, che ora gira a pieni motori.
Il giorno dopo, al negozio, Hari dà prova di efficienza facendo arrivare in pochi
minuti i tre donatori che in meno di 24 ore ha trovato per me, sulla base del mio
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gruppo sanguigno. Entrano nel vicolo un po' ciondolanti, uno accanto all'altro, e richiesti dal mediatore - si presentano al loro acquirente europeo come alunni
disciplinati.
Uno si chiama Dinesh, ha 24 anni e viene da Hetauda, cittadona del sud nepalese.
Dice di essersi sposato a 13 anni, ora ha tre figli e con il suo stipendio di 35 euro
al mese - fa l'operaio in una fabbrica di tappeti - non riesce a mantenerli.
Il secondo, Bikran, 22 anni, con un cappellino da baseball e una T-shirt di Kurt
Cobain, sorseggia una Fanta e parla pochissimo: dice solo di venire dal Terai e di
avere bisogno di soldi.
Il terzo, più giovane di tutti, si chiama Deepak Lama: ha un volto timido e pulito,
l'aspetto apparentemente curato, anche se la maglietta che indossa è poco più di
uno straccio. È nato in un villaggio del Terai, sempre nell'area di Hetauda, e
spiega che la sua è una famiglia di 'sukumbashi': parola nepalese che si potrebbe
tradurre come 'rifugiati', ma qui indica semplicemente quelli che non hanno
nemmeno una casa di frasche e quindi dormono per strada.
Anche Deepak lavora alla fabbrica di tappeti - la stessa di Dinesh - e questo
consente al mediatore di cantare le lodi della sua merce: "Sono tutt'e tre di etnia
Lama, come la mia. Gente robusta, fisici sani, per questo li prendono nelle carpet
factories. Credetemi, sono i donatori migliori, ve lo dico io che ho esperienza".
Poi Hari, di buon umore, esce dal negozio e ferma un taxi, per andare tutti
insieme al Siddharta Hospital a fare gli esami. Io devo restare fuori, in un baretto
di strada. Lui entra insieme ai ragazzi e mezz'ora dopo si riappalesa con le
ricevute in mano, per farsi restituire subito i soldi. Indica i buchi sulle braccia dei
donatori, a dimostrare che i prelievi li hanno fatti davvero. Poi mi dà
appuntamento nel pomeriggio - quando avrà i risultati - sempre nel negozietto di
fotocopie.
Puntuale, poche ore dopo, nel vicolo sulla Bagh Bazar arriva il verdetto. Il primo,
Dinesh, ha un paio di valori sballati ("Si vede che mangia male", sentenzia Hari):
in un paio di mesi sarà pronto per un altro cliente, ma per adesso è fuori gioco. Di
Biktan - quello che parlava poco - neanche a parlarne: "Ha i calcoli, tanto vale
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rimandarlo al villaggio che qui ci fa solo perdere tempo". Meno male che c'è
Deepak, il ragazzino. Lui ha tutto in regola: sangue, reni, fegato, Hiv, Tbc, epatite
e così via. Quindi, dice Hari, me lo posso portare via anche subito, dopo aver
versato ovviamente il 30 per cento del totale pattuito, cioè quasi 700 euro.
Lì per lì resto un po' sorpreso: non pensavo che le cose si sarebbero concluse così
in fretta. Portarmelo via? E dove? Per fare che? Hari sorride, quasi bonario: "Da
questo momento lui è tuo figlio no? Beh, allora dovete conoscervi,
familiarizzare. Portalo al mercato e rivestilo, offrigli una cena al ristorante, fallo
dormire nel tuo hotel. Intanto io preparo i documenti e fra due o tre giorni
andiamo tutti a Calcutta. Guarda, invece di mandarti il mio watchman per questa
volta vi accompagno io in persona, così vi faccio vedere com'è tutto semplice e
veloce. Però tu in cambio quando torni in Europa spargi la voce su di me, okay?
Dici in giro che a Kathmandu c'è il buon Hari pronto a salvare la vita a chi ha
bisogno di un trapianto...".
Poi il buon Hari allunga la mano e il rotolo di rupie che gli passo finisce subito
nel cassetto del tavolo in finto legno.
Così, poco dopo, mi ritrovo con Deepak all'Hong Kong Bazar di Kathmandu, un
mercato popolare a due passi dal palazzo reale, cercando di immaginare che cosa
devo comprare al ragazzo per affrontare il viaggio a Calcutta. Lui non apre bocca
e guarda le merci con gli occhi sgranati. Sudarshan lo prende, anche
letteralmente, per mano. Davanti a ogni bancarella quello sorride incredulo. Io
penso a uno zainetto per il viaggio e lui entusiasta sceglie un falso Diesel a 250
rupie, circa tre euro. Poi mi rendo conto che in effetti non ha niente - ma proprio
niente - da metterci dentro, allora gli compriamo pantaloni, camicie, calze,
mutande, spazzolino, tagliaunghie, sapone... Alla bancarella delle false Nike
(quattro euro il paio), Deepak agguanta le scarpe ancora allacciate e cerca di
infilarsele così. Gli spieghiamo che prima deve slacciare le stringhe e lui sorride
imbarazzato: in vita sua non ha mai indossato altro che infradito di plastica.
Chiudiamo lo shopping con un orologino digitale - quello con le lancette non sa
leggerlo - e una cintura simil Gucci a tre euro, su cui il calzolaio deve fare tre
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buchi in più perché Deepak sarà anche di robusta etnia Lama, ma è pure magro
da far spavento.
Nel taxi che ci porta in albergo, appena fuori città, il ragazzo si guarda intorno
spaesato senza chiedere niente. Alla guest house fa una doccia ed esce dalla
stanza orgoglioso dei nuovi vestiti, prima di accettare da bere - una Sprite,
naturalmente - e di sedersi nel giardino del Planet Bhaktapur per iniziare quel
rapporto di conoscenza tra paziente e donatore tanto auspicato da Hari.
Deepak ha lasciato il suo villaggio in autobus, a 14 anni, perché tanto lì - appunto
- viveva per strada. Nella capitale ha iniziato a lavorare subito alla fabbrica di
tappeti ed è quello che fa ancora adesso che di anni ne ha 19 - o almeno così dice
lui, chissà se è davvero maggiorenne. Attacca al telaio alle cinque del mattino,
alle 10 fa una pausa di un'ora per mangiare, poi riprende e va avanti fino alle otto
di sera, con un'altra mezz'ora di pausa nel pomeriggio. Questo sei giorni a
settimana, dalla domenica al venerdì. Il sabato gran vita: si lavora solo dalle
cinque alle dieci, poi la giornata è libera per bighellonare in giro con gli amici.
Guadagna poco più di 3 mila rupie nepalesi al mese (35 euro) ma in tasca gliene
resta poco più di metà, perché 1.300 sono detratte dal padrone della fabbrica in
cambio del vitto (riso e lenticchie) e dell'alloggio (una camera senza bagno divisa
con altri tre). Con le rupie che gli avanzano, Deepak compra qualcosa in più da
mangiare o da bere e parla con i suoi una volta al mese: da un apparecchio
pubblico chiama un conoscente al villaggio, quello va a chiamargli la mamma e
dopo dieci minuti Deepak ritelefona. Ovviamente ha una nostalgia struggente
("Non torno a casa da tre anni") ma pensa che non lascerà più Kathmandu: "Con i
soldi del rene apro un negozietto qui, di quelli che vendono sigarette sfuse,
saponi, shampoo, cose così. Mi basta un metro quadro, non chiedo di più, pur di
non stare tutto il giorno davanti al telaio. Se poi mi avanza qualcosa lo mando
alla mamma e ai miei fratellini, che almeno si costruiscano una baracca di legno
e non dormano più o davanti al tempio".
Nei due giorni successivi - mentre Deepak resta in albergo a guardare la tv - Hari
prepara come promesso i documenti in cui il donatore si dichiara mio figlio e
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un'ignota signora locale assicura di essere sua madre confermando la mia
paternità. Il primo foglio che arriva - pur con tutti i timbri ministeriali - è
francamente imbarazzante per gli errori di grammatica e sintassi inglese. Ne
parlo con Sudarshan e lui ci ride su: "Beh, meglio se ci sono un po' di
strafalcioni: i documenti del governo nepalese sono tutti così. E poi si sa che gli
indiani ci considerano degli analfabeti, se vedono un documento di qui scritto in
un buon inglese pensano che sia falso...". Alla fine, tuttavia, conveniamo che
forse gli svarioni sono un po' troppi (il mio anno di nascita, '62, si è trasformato
nell'età, 62 anni; la parola 'son', figlio, è stata confusa con 'husband', marito... ) e
quindi chiediamo a Hari una nuova edizione, appena più corretta, che arriva il
giorno dopo con gli stessi timbri e la stessa carta intestata. Forse un po' piccato
per essere stato bocciato al suo primo tentativo, il broker ci aggiunge due
differenti versioni del documento sulla falsa madre, con altrettante foto di donne
che avrei frequentato alla fine degli anni Ottanta. In entrambe le varianti, le
signore confermano che il ragazzo è nostro figlio e si dicono d'accordo con la sua
decisione di donarmi un rene. Alla fine scegliamo il certificato firmato da tale
Seti Maya, forse la più credibile in termini di somiglianza con il mio donatore.
A Calcutta, con Hari e Deepak, viene anche il mio amico Sudarshan:
formalmente per aiutarmi durante il ricovero, di fatto per gestire una situazione
che a quel punto è un po' più delicata. Per giustificare la mia condizione di
malato - sia con Hari sia con i medici - so che devo dare segni di frequente
stanchezza: in fondo dovrei essere già in dialisi, e se non l'ho ancora iniziata è
solo perché voglio tornare dall'Asia con il mio rene nuovo. Cammino sempre con
lentezza e mi siedo appena posso, ma la recita è più difficile passando tutto il
tempo con un intermediario abituato a frequentare pazienti veri. La sera, dovendo
far cena tutti insieme, mi attengo alla dieta di un malato di reni: solo acqua,
poche verdure e riso bianco. Probabilmente è tutto superfluo, perché Hari non
sembra avere il minimo sospetto e anzi si lascia andare a racconti orgogliosi sul
suo lavoro: "Non capisco perché questa cosa sia vietata, è una vergogna", dice.
Poi indica Deepak: "Se lui ha bisogno di soldi e tu di un rene nuovo, perché non
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potete combinare? Mah!". Poi, arrivato al dolce, tira fuori di tasca la foto di un
monaco buddista di nemmeno vent'anni: "Guarda, è il mio prossimo paziente. Per
lo Stato potrebbe morire, io lo porto qui in India e lui campa un altro mezzo
secolo. Dimmi tu perché deve essere vietato!". E ancora: "La verità è che io non
lavoro per soldi, lavoro per fare felice la gente. Guarda com'è contento Deepak, e
pensa come sarai felice tu quanto sarai tornato in Italia e invece di quel riso
bianco potrai mangiarti una bella pizza!". Infine ritorna pragmatico: "Però
quando torni a casa ricordati di parlare di me ai tuoi amici. Chissà quanti ne hai
conosciuti di malati di reni, in ospedale...".
Il giorno dopo, venerdì, arriva finalmente il momento dell'incontro con il
chirurgo. Hari esce dall'hotel il mattino presto e prende il taxi per andare
all'ospedale - l'Apollo Gleneagles - e incontrare il medico prima di me, in modo
che poi tutto fili liscio. Mi spiega che il suo referente abituale, il dottor Mishra,
quel giorno non può vederci: è a un congresso o qualcosa di simile. Però c'è il
suo vice, tale dottor M. H. Raibagi: "Non ti preoccupare, conosco bene anche lui
ed è un ottimo chirurgo". Dopo un paio d'ore arriva la telefonata: tutto a posto,
possiamo andare.
Attraversando l'insopportabile caldo umido di Calcutta, arriviamo all'Apollo
Gleneagles, un grande complesso moderno in cemento, a pochi metri dalle
'bustees' della periferia in cellophane e bambù. Hari resta fuori con Deepak ("Se
il dottore vuole vedere subito il donatore, chiamatemi al cellulare o venite a qui a
prenderlo, ma per adesso è meglio che noi stiamo qui"). Io dunque entro solo con
Sudarshan.
È a pian terreno, reparto di nefrologia, stanza numero 25, che il dottor Raibagi
riceve i clienti. è un uomo di mezza età, in camice bianco e cravatta, con un
inglese fluente e un sorriso mellifluo. Gli spiego brevemente la mia situazione,
fingendo di non sapere che ha già parlato con Hari. Gli racconto della mia
malattia e della dialisi che non voglio affrontare perché "in Italia ho una vita
brillante, un lavoro nel marketing che mi impegna tutto il giorno, sono sempre tra
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taxi, aerei e riunioni, non posso stare per ore attaccato a una macchina sennò mi
rovino la carriera". Lui conviene con me ("Eh sì, la dialisi è molto noiosa..."),
non chiede niente di più e pensa solo a vendere bene il suo prodotto: "La nostra
media di successo, nel trapianto dei reni, sfiora il 99 per cento. Abbiamo i
migliori farmaci antirigetto, stanze private con aria condizionata e un secondo
letto per l'accompagnatore". Quanto ai tempi, non sono un problema:
"Naturalmente dobbiamo ripetere gli esami, a lei e al donatore, ma in tre o
quattro giorni si conclude tutto. Poi lei si fa solo una settimana di dialisi, qui da
noi, ed è pronto per il trapianto. Quindici-venti giorni di convalescenza e può
tornare a casa con il suo rene nuovo". I costi? Il dottor Raibagi non ha falsi
pudori: "Tra operazione, test clinici e ricovero siamo attorno ai 5 mila euro, tutto
compreso. Deve aggiungere soltanto i soldi per le medicine, che gli ospedali
indiani non passano...".
Dopodiché, finalmente, il chirurgo chiede di vedere i documenti: le mie analisi
del sangue - quelle truccate al computer prima di partire dall'Italia - e i certificati
falsi del donatore. Prende in mano i fogli preparati da Hari e li guarda per pochi
secondi. Solleva gli occhi rassicurante: "Tutto okay, possiamo ricoverarla anche
lunedì". Poi sospira: "Certo, se questo ragazzo fosse veramente suo figlio, le
possibilità di successo sarebbero del 100 per cento...". A questo punto sono io a
provocarlo: "E se invece non lo fosse, mio figlio?". Raibagi mi guarda: "Beh, in
questo caso dovrò prescriverle una terapia antirigetto un po' più potente, ma
vedrà che andrà bene lo stesso". Per lui, l'ipotesi che Deepak non sia mio
consanguineo costituisce solo un ostacolo tecnico, non certo un impedimento
etico o legale.
Sbalordito dall'assurda facilità con cui il tutto sta avvenendo, provo a immaginare
qualche possibile ostacolo: "Ma che cosa succede se il rene di Deepak non risulta
compatibile? C'è qualcuno che può aiutarmi a trovarne un altro qui?". Il dottore
sorride ancora: "Affronteremo la questione solo al momento, ma vedrà che non
ce ne sarà bisogno. Comunque ci arrangeremo ('Anyhow we'll manage it')".
Alla fine del colloquio, il dottor Raibagi si offre anche di visitarmi subito, sul
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lettino. Lo ringrazio ma declino accampando stanchezza, caldo, una gran voglia
di tornare subito in albergo. La cosa non gli sembra strana: "Allora venga lunedì,
quando vuole. Basta che bussi alla mia porta, senza fare la coda. Iniziamo subito
le analisi e poi la ricoveriamo. Vedrà, andrà tutto benissimo...".
Sudarshan e io usciamo dall'ospedale un po' frastornati. Hari non c'è, ma ha
lasciato detto di aspettarlo: è andato "un attimo a salutare un altro dottore", cioè
probabilmente a corromperlo. Deepak beve una spremuta di canna da zucchero
sotto il sole. Se fossi davvero un malato, nel giro di dieci giorni il suo rene
sarebbe nel mio corpo. Invece è arrivato il momento di chiudere tutto.
Lascio a Sudarshan un po' di soldi per Deepak, poi salgo su un taxi e sparisco nel
torrido caos di Calcutta.11
11
https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&cad=rja&uact=8&ved=
0CCEQFjAA&url=http%3A%2F%2Fespresso.repubblica.it%2Fdossier%2F2007%2F05%2F24
%2Fnews%2Fho-comprato-un-rene-in-nepal1.3674&ei=9xRTVZ_zC4a2swHx4IGwBA&usg=AFQjCNHWPnvNlDhJTKXc27wWMlqOxoa
plA&bvm=bv.93112503,d.bGQ (dicembre 2014).
Alessandro Gilioli Premiata macelleria delle Indiel” Ed. BUR Milano 2007.
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13. Un caso italiano
Fino ad alcuni anni fa, il sangue veniva considerato un tessuto, oggi, sulla base
delle nuove conoscenze, il sangue viene considerato un organo, in quanto le sue
cellule costituiscono un unicum funzionale all’interno di esso, essendo dotate
della possibilità di svolgere funzioni finalizzate al mantenimento dello stesso, ma
anche funzioni necessarie al mantenimento ed allo sviluppo di altri organi.
Trento, 27 marzo 1995, un brigadiere della guardia di finanza è addetto alle
intercettazioni, sta cercando di pizzicare in flagrante due pesci piccoli
dell’industria del sangue, Riccardo G. e Alessandro C.,indagati per un piccolo
affare di corruzione locale, ma la telefonata delle 13,08 di quel giorno si rivelerà
fatale.
R - pronto?
A-
Riccardo?
R- ma che è successo… hanno preso una cella…
A-
Ahh… hanno preso una cella??
R- Ahhh boh??? Hanno scaricato roba che Michele ha detto “So cose un po’
strane,” boh . Comunque è meglio non impicciarsi, perché dice che è? roba
dell’ottanta, non testata per l’HIV.
A- Cazzo…
R- poi avevano paura della finanza, arriverà... non arriverà… aho, questi sono
dell’azienda che già conosciamo. Se pagheranno o non pagheranno, questo non
lo so, siamo andati a prendere un caffè con sta’ bionda che parla molto toscano…
(parolacce)... fortunatamente sono scappato… ecco…
A- allora non mi hai capito… se scoprono quella monnezza li… va bene??
Perchè quella è monnezza che loro dovevano bruciare, dovevano distruggere e
ancora non hanno distrutto, va bene?? Vengono poi contemporaneamente a
rompere il cazzo anche a noi. E che?? Non lo sappiamo com’è??? noi non
centriamo niente, noi lavoriamo sul pulito, sul limpido, su… su… su.. quella è
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roba che deve essere bruciata, mandata a fare in culo. Capito????
Dopo tre ore Alessandro C. richiama Riccardo G., i due sono ancora più nervosi,
hanno paura che “la monnezza” sia finita in una delle loro celle frigorifere.
A-
guarda, quella deve essere singola per forza, perché quella merda li loro
non la posso o mettere in mezzo alle altre cose… quella è una bomba, ricordati…
è per questo che io…
R- Ma abbiamo a che fare con gente grande, con gente piccola, io non l’ho
ancora… Ogni giorno ne imparo una.
A- con gente figlia di mignotta!!!
Padova 30 maggio 1995, la guardia di finanza identifica, finalmente, il luogo in
cui è conservata la “bomba” e piomba, di mattina presto, ai magazzini generali
con quattro volanti; a capo della spedizione c’è il sostituto procuratore di Trento
Bruno Giardina, i magazzinieri stupiti conducono i finanzieri presso le celle frigo
dove aziende di tutt’Italia conservano i prodotti alimentari destinati ai grossisti.
Alessandro e Riccardo facevano bene ad essere preoccupati, ma avevano
sbagliato su una cosa: “la monnezza” non era in una cella unica.
I verbali descrivono le celle 7 ed 8 come enormi e freddissime, a 30 gradi sotto
zero trovano baccalà, gelato al limone marca gipi, asparagi, filetti di pesce “mare
pronto”, cervella di bovino ecc… e tra queste merci trovano anche varie decine
di tonnellate di “monnezza” descritta nelle telefonate, destinata alle industrie
farmaceutiche, plasma umano congelato, cioè il componente del sangue
necessario per la produzione di farmaci per emofilici. Alcune delle sacche di
plasma erano addirittura rotte.
Una parte del plasma rinvenuto appartiene alla società Copla, quella dei pesci
piccoli intercettati, la maggior parte risulterà invece della società Sclavo societa’
controllata dalla famiglia Marcucci, già all’epoca maggior fornitore di
emoderivati in Italia ed esportatore all’estero.
Dai prodotti della Sclavo dipendono migliaia di emofilici, la cui sopravvivenza è
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affidata al fattore ottavo della coagulazione, fattore coagulante, che manca a
causa di una alterazione congenita.
Il plasma Scalvo sembrava a posto, ma i dubbi rimanevano su una partita di 5
tonnellate di plasma ed altri prodotti derivati del sangue, che appartengono, sulla
carta, ad un’ignota società straniera chiamata Padmore, questo materiale non ha i
certificati di analisi contro tutti i virus noti, come richiesto dalla legge. Vengono
prelevati campioni da ogni lotto e mandati in laboratorio.
Siamo nel 1995 ed i rischi associati ai emoderivati sono già ben noti in tutto il
mondo, dal 1985 è disponibile il test per l’HIVl e da prima quello per l’epatite B
e C ed era successo che negli anni precedenti alcuni pazienti emofilici fossero
stati infettati occasionalmente con emoderivati provenienti da sangue infetto ma
mai si era potuto parlare d una contaminazione di massa.
Per testare tutto il plasma trovato nelle celle frigorifere di Padova, proveniente
dagli stati uniti, ci sono volute diverse settimane. Il risultato è stato sconcertante,
non solo era scaduto da anni, ma era tutto infettato di epatite c ed in parte dal
virus dell’HIV, ma la cosa peggiore che la guardia di finanza scoprì, controllando
i documenti, fu che una parte del plasma della Padmore non era più nelle celle, e
poiché non era stato dichiarato perso ne’ rubato, era già stato mandato in
produzione senza essere testato.
Gli inquirenti cercarono di capire dove fosse finito il plasma che mancava, ma
l’unico documento a disposizione era un foglio di carta intestata Padmore con un
indirizzo di casella postale 488 Tropical Isle Building, strano che una società
Britannica delle isole vergini, stoccasse del plasma umano nelle celle del mercato
generale di Padova. Fortunatamente i magazzinieri di Padova informano la
finanza che quello stock di materiale era arrivata tutta assieme ed era stata
consegnata dalla Sclavo di Siena, gruppo Marcucci.
In seguito ad un bliz delle forze dell’ordine presso gli uffici e gli stabilimenti
della Sclavo, vengono sequestrati documenti, campioni di sangue, fatture.
Purtroppo della Padmore non c’è traccia.
Comunque la documentazione dell’archivio della Sclavo risulta spesso
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incompleta e mancano i certificati di qualità sul sangue in precedenza importato,
infatti molte partite nel verbale vengono descritte come “non testate” o
addirittura “positive a qualche virus come l’epatite C o l’HIV ma non c’è nulla
che certifichi che siano state distrutte.
Si scatena lo scandalo
Si scatena così lo scandalo e Guelfo Marcucci, patriarca a capo del gruppo
Marcucci viene appellato dai giornali “il conte Dracula”.
Lo scandalo darà il via ad una sequela di controlli a tutto il gruppo Marcucci,
oltre che nei centri trasfusionali, ed al ministero della sanità. La misteriosa
Padmore per il momento passa in secondo piano, mentre alla ribalta salgono
Marcucci e Duilio Poggiolini direttore generale del ministero della salute e già
diventato famoso due anni prima per il famoso scandalo delle mazzette ai fini di
avere l’autorizzazione al commercio di alcuni farmaci, scoperto da mani pulite.
Qualche anno dopo, i magistrati di Trento, sentono come testimone Maria Pia
Garavaglia, ministro della salute per un anno (dal maggio 93 al maggio 94) la
quale dichiara: “Quando sono diventata ministro mi sono resa conto che la
situazione di gestione della direzione generale del farmaco presentava grandi
lacune; le stesse condizioni generali in cui erano tenuti gli uffici… nei corridoi
risultavano accatastati ed apparentemente abbandonati fascicoli anche di
rilevante importanza”.
La guardia di finanza compì controlli certosini, incrocia le autorizzazioni
rilasciate da Poggiolini ad industrie farmaceutiche con le fatture di queste ultime
per l’acquisto di sangue dall’estero, con i documenti d’ingresso delle stesse merci
scovati negli archivi delle varie dogane d’itali e purtroppo il risultato è stato che
per anni, regole e controlli sono stati elusi, c’erano addirittura autorizzazioni di
Poggiolini firmate “In bianco”, le stesse bolle di ingresso d’accompagnamento di
lotti di sangue erano state riutilizzate più volte in scali diversi. Alcuni numeri
erano stati aggiunti a mano, ad esempio sull’autorizzazione all’importazione di
1000 litri di sangue da una data società estera era stato aggiunto un 1 cosicché
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diventassero 11000 litri, in questo modo diventava impossibile verificare con
certezza se centinaia di migliaia di litri importate dalle società Marcucci, nel
corso degli anni fossero state testate o meno.
Inoltre, sulla carta, i Marcucci compravano dalle società offshore, domiciliate in
Inghilterra o in Irlanda, in particolare da una società chiamata Sarafia la quale a
sua volta non era dato di sapere da dove importasse il suo sangue ne tantomeno
se fosse o meno testato.
L’unica cosa che si è riusciti a sapere è che questa Sarafia non era una azienda
farmaceutica, ma solo una società offshore che rilasciava certificati di qualità
senza avere nessuna competenza medica.
Maria Pia Garavaglia, ministro della salute, pur essendo ignara di tutto, capisce
che c’è qualche cosa che non va e con un decreto nel novembre del 1993 già
aveva dato ordine di distruggere immediatamente tutte le giacenze non testate,
senza eccezioni, ma purtroppo questo non fu fatto, perché, dalla sera alla mattina,
partite di sangue che valevano miliardi diventano spazzatura da buttare. Perché
sprecare tutte quelle preziose scorte di sangue non testato, solo per il capriccio di
una ministra scrupolosa Guelfo Marcucci ordina alla Sclavo di vendere alla
Padmore di Tortola (isole vergini) 5 tonnellate di plasma ed altri prodotti
emoderivati che gli rimanevano in magazzino. Il 15 novembre 1993, proprio
mentre la ministra Garavaglia ordina la distruzione del sangue non testato la
“monnezza” passa di mano dalla Sclavo alla Padmore ad un prezzo complessivo
di 12 miliardi e 650 milioni di lire. Ad incaricarsi della trattativa, come
rappresentante della Padmore, sarà una società londinese fondata da David Mills
(legale di Silvio Berlusconi).
Il contratto tra Padmore e Sclavo ha un fine dichiarato, si è decisa la cessione in
blocco alla società Padmore Limited, di tutti gli emoderivati proveniente da
plasma non selezionato per anticorpi anti–HCV al fine di renderne possibile
l’utilizzazione. “Al di la del vero valore commerciale” scriveva la Sclavo in un
memo interno trovato successivamente, “trattasi di prodotti di alto interesse
terapeutico… Sarebbe, per tanto, una perdita incalcolabile non poter usufruire di
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questi prodotti nei paesi che dal punto di vista normativo ne consentano la
ulteriore lavorazione e commercializzazione“.
Se i clienti italiani erano schizzinosi, evidentemente, qualcun altro non lo era,
nella Isole Vergini la Garavaglia non era nessuno. Intanto però visto che 5
tonnellate di plasma in una casella postale non ci stanno, la merce rimane nella
celle frigorifero di Padova, fino al sequestro della guardia di finanza che
complica l’affare.
Padmore ha già pagato una rata da 10 miliardi alla Sclavo, dopo il raid della
guardia di finanza protesta col venditore e dalla casella postale dell’esotico
paradiso fiscale arrivano le prime lettere dei legali che chiedono perché il loro
materiale in deposito ai magazzini generali sia stato sequestrato. La Padmore non
risponde, il suo legale è Nicolò Ghedini (Legale di Silvio Berlusconi), Ma la
Padmore vuole la sua merce, la Sclavo vuole il resto dei soldi e per due anni le
due società sono ai ferri corti. Alla fine si svolge un processo presso la Royal
cout of Londra che condannerà la Padmore a pagare quanto dovuro, nel
frattempo però la società fallisce ed anche la Sclavo non vedrà il resto dovuto.
Nel frattempo i magistrati di Trento stanno ancora lavorando al caso Marcucci,
ma nel 1997 arrivano ad un vicolo cieco sul caso Padmore, il materiale
sequestrato appartiene ad una società delle isole vergini che non da segno di vita,
il plasma scomparso dal magazzino per 1 miliardo e 300 milioni di lire è
potenzialmente infetto, ma non si sa dove sia finito, ci sono vittime senza volto,
di vittime con nomi e cognomi, invece, ce ne sono tante altre. Le associazioni
italiane di emofilici, si costituiscono parte civile, vengono contattati e schedati,
hanno contratto HIV ed epatite B e C, dopo aver utilizzato prodotti del gruppo
dell’azienda Marcucci, come la Sclavo, la Farma Biagini, o Aima Derivati.
I magistrati ritennero che ci fosse un nesso tra le infezioni e gli emoderivati
utilizzati, e ritennero le varie aziende del gruppo Marcucci, responsabili assieme
ai funzionari corrotti come Poggiolini ed un’altra dozzina. Il reato contestato fu
epidemia colposa in quanto avevano creato o aggravato un’epidemia preesistente attraverso una serie di comportamenti negligenti ed illeciti che si erano
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ripetuti per anni, inclusa l’importazione, senza autorizzazione di centinaia di
migliaia di litri di sangue da società straniere come la Misteriosa Sarafia, società
registrata in Irlanda, amministrata a Londra, con due vecchietti come consiglieri
d’amministrazione nelle Isole della Manica e due prestanome come azionisti a
Panama. Purtroppo, però dimostrare un reato colposo non è facile senza prove.
Uno spiraglio si aprì quando la guardia di finanza riuscì ad avere il certificato di
fondazione della società Panmore nel paradiso fiscale delle Isole Vergini e da qui
si scopre che la Sclavo aveva venduto il sangue “Monnezza” alla Panmore, prima
ancora che questa esistesse, il contratto era fittizio. Il magistrato chiede una
rogatoria
internazionale
per
ottenere
i
documenti
ed
interrogare
gli
amministratori della Padmore a Londra, il primo è David Mills, già conosciuto
per il caso Berlusconi All-iberian.
Nel 1999, dopo varie lungaggini burocratiche i magistrati arrivarono a Londra e
leggendo i documenti capirono ,non solo che il contratto era falso, ma dozzine di
lettere tra Panmore e Sclavo erano scritte in un periodo e poi retrodatate, su
documenti della Padmon datati a giugno figura un numero di partita iva che la
Padmore ottiene solo sei mesi dopo, i pagamenti della Padmore a Sclavo
risultano ricevuti da anonimi conti Svizzeri inoltre risulta che la Padmore abbia
versato 450 milioni di lire nel conto clienti della società di Mills esattamente tre
giorni dopo il blitz di Padova e tutto il carteggio era stato preparato a Londra, ma
per ordine di chi?? Mills dice di non sapere niente dei carteggi e dei soldi dei
suoi clienti (sembra strano considerando che Marcucci era suo cliente da anni 9
in più si trova in una situazione imbarazzante dal momento che sua moglie è
sottosegretario alla salute del governo Tony Blair.
Il socio di Mills però disse che gli ordini dei contratti venivano da Paolo
Marcucci, figlio di Guelfo, residente a Londra, quindi la Pandmore era
un’azienda controllata dai Marcucci, dunque il sangue infetto non aveva
cambiato proprietà, il contratto di vendita era stato retrodatato per eludere
l’ultimatun della Garavaglia ed utilizzare altrove il sangue non testato. Le
minacce, le cause in tribunale erano tutta una messa in scena per fare credere che
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Padmore non avesse niente a che vedere col gruppo Marcucci.
Nel 2002, dopo 7 anni di inchiesta, guelfo e Paolo Marcucci vengono rinviati a
giudizio per epidemia Dolosa. Il giudice per l’indagine preliminare rigetta
l’ipotesi del dolo e conferma il rinvio a giudizio per epidemia colposa, ma il
processo è destinato a fallire, un magistrato viene trasferito a Roma, un altro
muore di leucemia, l’istruttoria di due milioni di pagine viene divisa in due, la
parte Padmore e i fatti dal 1994 in avanti restano a Trento con imputati i
Marcucci il processo per i reati precedenti il 1994 vede imputati i Marcucci e
Poggiolini e si sposta a Napoli.
Nel 2004 si chiude il processo a Trento e i Marcucci vengono assolti perché’ non
si è riusciti a dimostrare l’avvenuta epidemia provocata dopo il 1994 e la
Padmore era solo un’operazione di “abbellimento del bilancio”, ed il reato
amministrativo è già prescritto.
Per quanto riguarda le irregolarità amministrative sulle importazioni, la
mancanza di certificazione dell’esecuzione di test prescritti di legge, le falsità
realizzate su atti ufficiali, le sbianchettature, le apposizione di cifra davanti ad
un’autorizzazione, allo scopo di importare più materiale di quanto concesso ed
altro il processo è stato trasferito a Napoli, dove rischierà di giungere al
capolinea per archiviazione se brillantemente un giudice non avesse tramutato il
reato da epidemia dolosa in omicidio plurimo colposo, anno di prescrizione 2020
Per quanto riguarda la società Sarafia da cui Sclavo comprava il sangue,
nonostante altre due moratorie internazionali, i documenti non sono mai arrivati,
ma si sospetta che anche questa azienda facesse parte del gruppo Marcucci.
Oggi la Marcucci ha una nuova azienda, si chiama Kedrion, ed il governo di
centrosinistra ha stanziato 12 milioni di euro per la ricerca e lo sviluppo di un
farmaco contro il virus dell’epatite C, questo farmaco è un emoderivato, Il
finanziamento è stato accordato al CNR, all’università di Napoli e, guarda caso
ad una società leader nel settore degli emoderivati chiamata KERION.
Purtroppo nella nostra nazione, nel 1993, lo scandalo all’interno della sanità
come abbiamo visto, anche, amministratori e politici oltre ad aziende
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farmaceutiche e, purtroppo, 30.000 pazienti.
L’interprete principale, a livello politico amministrativo di questo scandalo fu
Duilio Poggiolini nato a Roma nel 1929, ex dirigente pubblico italiano, direttore
generale del servizio farmaceutico nazionale del Ministero della Sanità e
coinvolto nell'inchiesta Mani Pulite sullo scandalo di Tangentopoli membro della
loggia massonica P2.
Laureatosi in medicina nel 1954, si specializzò in fisiologia e prima di diventare
alto funzionario ebbe una carriera accademica nella Capitale che lo portò a essere
nominato professore di microbiologia nel 1963, poi di chemioterapia nel 1966,
quindi di igiene nel 1972; proprio in quell'anno divenne ispettore generale al
Ministero della Sanità.
Nel 1981 divenne il rappresentante italiano nell'Organizzazione mondiale della
sanità per il programma sui farmaci essenziali. Nel 1991 fu eletto presidente della
Commissione per i prodotti farmaceutici della CEE che si occupa
dell'armonizzazione dei medicinali tra gli Stati europei membri della comunità
economica. È stato anche vicepresidente della Commissione della Farmacopea
italiana lui e la moglie accettavano tangenti e regali dagli industriali del farmaco
e in cambio assicuravano favori sulle procedure d’approvazione dei loro prodotti.
Il 20 settembre 1993 venne arrestato a Losanna, in Svizzera, per via di una serie
di accuse legate a manipolazioni e tangenti nelle procedure di gestione del
servizio sanitario, in favore di grandi aziende farmaceutiche. Poggiolini aveva
tentato la fuga, ma la latitanza era stata di poche settimane.
Una settimana dopo, nella villa della moglie Pierr Di Maria, fu rinvenuto il
famoso “tesoro Poggiolini”: gioielli, lingotti d’oro, monete rare, quadri, diamanti
e 10 miliardi in titoli di Stato nascosti all’interno di un puff del salotto.
Nell’aprile 2012 la Corte di cassazione condannò lui e l’allora ministro della
Salute Francesco De Lorenzo a un risarcimento allo Stato di oltre 5 milioni di
euro ciascuno.
• «La prima volta che dopo la scarcerazione si presentò in posta a incassare la
pensione, i veri pensionati scatenarono una sommossa» (Luca Fazzo).
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• Pierr Di Maria è morta il 30 ottobre 2007.
• Nel 2008 fu rinviato a giudizio nell’inchiesta napoletana sul plasma infetto che
avrebbe causato 2.605 morti tra il 1985 e il 2008. Il processo è in corso. All'atto
dell'arresto vennero sequestrati oltre 15 miliardi di lire su un conto svizzero
intestato alla moglie, Pierr Di Maria: inoltre nella casa di Napoli della coppia
vennero trovati diversi miliardi di lire in lingotti d'oro, gioielli, dipinti e monete
antiche e moderne (fra cui rubli d'oro dello zar Nicola II e krugerrand
sudafricani). Venne rinchiuso nel carcere napoletano di Poggioreale, dove fu
sottoposto ad interrogatori da parte dei PM impiegati nell'inchiesta "Mani Pulite",
tra cui Antonio di Pietro, rimanendovi per sette mesi e dando numerose
deposizioni.
Con l'esplodere dello scandalo, Poggiolini fu denominato con vari soprannomi
dalla stampa, tra cui Il Re Mida della Sanità o Il boss della malasanità (o
addirittura il mostro della malasanità); fino alla scoperta del tesoro, Poggiolini
aveva avuto uno stile di vita sobrio, quasi povero, ma all'atto della perquisizione
furono necessarie dodici ore per catalogare i tesori nascosti negli armadi e
persino, fatto che divenne poi "macchietta" del personaggio, in divani, materassi
e pouf. Gli illeciti secondo quanto emerso in sede di processo erano compiuti
tramite una "società a delinquere", composta da Duilio Poggiolini e dalla moglie
Pierr Di Maria: il primo siglava gli atti, mentre la seconda procedeva a riscuotere
i compensi.
La difesa chiese l'applicazione di attenuanti, in quanto la ricerca di ricchezze
sarebbe stata per Poggiolini "un fatto morboso", tesi che non venne accolta dai
giudici che con 48 ore di camera di consiglio lo condannarono in primo grado, il
21 luglio 2000, a sette anni e mezzo di reclusione e la moglie a quattro anni,
escludendo però il reato di associazione a delinquere. Dei 40 episodi di tangenti
contestati, venti vennero confermati.
L'appello ridusse la condanna a quattro anni e quattro mesi, e il verdetto fu
confermato dalla Corte di Cassazione, che dispose il sequestro di beni per 39
miliardi (29 per lui, 10 per lei). La condanna di Duilio Poggiolini è stata scontata
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prevalentemente agli arresti domiciliari e con l'opera nei servizi sociali, mentre le
riduzioni di pena per Pierr Di Maria l'hanno portata a rientrare all'interno dei
termini minimi per invocare la sospensione condizionale della pena.
Il 30 agosto 2006 Poggiolini ha beneficiato dell'indulto, vedendo la condanna
ridotta di due anni, mentre la moglie era già tornata a vivere nella sua villa del
quartiere romano dell’Eur insieme al figlio, affetto da una patologia cerebrale. Il
30 ottobre 2007 muore la moglie Pierr Di Maria. Poggiolini ha pubblicato un
memoriale, Niente Altro Che La Verità: I Farmaci in Italia, Le Mie Lotte, I Miei
Errori, che però è stato un insuccesso editoriale tale da esser ritirato dal mercato e
mandato al macero.
La Corte di Cassazione sancisce nell'Aprile 2012 con sentenza definitiva,
confermando la sentenza della Corte dei Conti dell'Aprile 2011, l'obbligo da parte
di Poggiolini a risarcire 5.164.569 euro allo Stato per i reati di corruzione o
concussione “ascritti ai convenuti che, negli anni 1982-1992, nelle posizioni
rispettivamente rivestite nell’ambito della pubblica amministrazione, avevano
percepito somme da numerose case farmaceutiche, producendo un danno erariale
derivato dalla ingiustificata lievitazione della complessiva spesa farmaceutica”.
Nella stessa sentenza è coinvolto Francesco De Lorenzo.
Ma la cosa in assoluto più grave, al di la del gioco di tangenti e’ che Duilio
Poggiolini è stato indagato anche dalla Procura di Trento per il reato di epidemia
colposa, in seguito ad una serie di infezioni da HIV e epatite C avvenute nei
primi anni novanta tramite la trasfusione di sacche di plasma che non erano state
adeguatamente controllate, fornite dal Gruppo Marcucci di proprietà di Guelfo
Marcucci. Secondo i dati dell'Associazione politrasfusi, tra il 1985 ed il 2008
sono state 2605 le vittime di trasfusioni con plasma infetto. Sono 66 mila le
richieste di risarcimento giunte dai pazienti al Ministero della Salute; a dicembre
2008 circa 49 mila persone hanno ottenuto un assegno di 1080 euro a bimestre. Il
risarcimento che lo Stato Italiano ha chiesto a Duilio Poggiolini è di 60 milioni di
euro.
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Gli emoderivati, in particolare sandoglobuline destinati al trattamento
dell'emofilia, come abbiamo visto sopra, non venivano controllati per la presenza
di virus letali né trattati con inattivatori virali, cosa che ha portato alla
commercializzazione di materiale infetto e al contagio dei pazienti riceventi.
Dell'inchiesta - che nella sua struttura escludeva il dolo basandosi su una teoria
della colpa per assenza di controlli - la Procura della Repubblica di Napoli (a cui
era stata trasferita dal tribunale di Trento l'8 aprile 2003), aveva richiesto
l'archiviazione il 18 giugno 2005 per prescrizione dei termini, impossibilità di
prova del nesso di causa, incompetenza territoriale.
A luglio del 2007 si erano tenute alcune udienze avanti l'VIII sez. G.I.P. di Napoli
nel corso delle quali le parti civili avevano spiegato le motivazioni della loro
netta opposizione alla richiesta di archiviazione. Il 27 dicembre 2007 il G.I.P.
Maria Vittoria De Simone, in accoglimento dell'opposizione, ha ordinato alla
Procura della Repubblica di Napoli di formulare l'imputazione di omicidio
colposo plurimo a carico di Duilio Poggiolini ed altri 10 indagati. Di
conseguenza, dopo più di 25 anni dai primi decessi per AIDS tra emofilici e
talassemici, il 2008 ha visto in Italia l'avvio di uno storico processo penale per
centinaia di morti italiani.
Il 31 luglio 2008 la Procura della Repubblica di Napoli ha effettivamente
richiesto il rinvio a giudizio per omicidio colposo plurimo di Duilio Poggiolini e
altri 10 imputati ed il 12 novembre 2008 si è tenuta l'udienza preliminare.
Tuttavia il processo non ha superato la fase dell'udienza preliminare ed è stato
interrotto per un vizio di forma nel mese di febbraio del 2009, con restituzione
del fascicolo alla Procura della Repubblica.
Nel dicembre del 2013, dopo 5 anni di permanenza in indagini, il PM di Napoli
ha depositato nuova richiesta di rinvio a giudizio sia per Duilio Poggiolini che
per il resto degli indagati, Guelfo Marcucci ed i dirigenti delle aziende italiane
Farmabiagini ed Aimaderivati.
Guelfo Marcucci ed i dirigenti delle aziende italiane sono stati rinviati a giudizio
con decreto del GUP di Napoli Francesco De Falco Giannone il 9 maggio 2014,
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prima udienza dibattimentale fissata per il 29 dicembre 2014, VI sez. Penale,
giudice Ceppaluni.
Il 13 novembre 2014 lo stesso GUP di Napoli ha accolto la richiesta del PM nei
confronti di Duilio Poggiolini, rinviando anche lui a giudizio per omicidio
colposo plurimo aggravato per la morte di nove emofilici italiani. Il processo per
epidemia colposa che stava andando in prescrizione, grazie al Gip di Napoli ha
subito una svolta elevando il reato da epidemia colposa, che era stava ormai
andando in prescrizione, in omicidio plurimo colposo, che andrà in prescrizione
nel 2020. Il dibattimento si aprirà alle ore 9 del 5 gennaio 2015 al Tribunale di
Napoli, giudice Francesco Pellecchia. L'accusa sarà sostenuta in entrambi i casi
dal PM Lucio Giugliano.
Al processo del gennaio 2015 Duilio Poggiolini 85 enne non si è presentato
adducendo motivi sanitari, ma il giudice Pellacchia ha insistito per ascoltarlo e
nell’udienza di marzo ha obbligato in maniera coatta Poggilini, ad intervenire al
processo.
Poggiolini il 27 aprile 2015 si è presentato davanti al giudice in pessime
condizioni di salute, con aspetto trasandato accompagnato da una badante, e si
rifiutava di rispondere adducendo il pretesto che non sentiva le domande, il
giudice ha disposto una perizia per capire se Poggiolini era in grado di
interloquire nel processo la quale ha esperito che il Poggiolini era in grado di
sentire e quindi rispondere, ma comunque tutto quello che è riuscito a rispondere
ogni volta è stato “non ricordo”.
Fa sorridere il fatto che tra le attenuanti a suo tempo richieste dalla difesa, non
accolte dai giudici, venne indicata anche la ricerca della ricchezza intesa come
“fatto morboso”.
Nel 2008 si è avviata una class action ad opera dell’associazione politrasfusi
italiani il cui presidente è Angelo Magrini, trasfuso in seguito ad incidente
stradale ed infettato di epatite c, oggi cirrotico. Secondo Magrini, all’inizio del
2008 i morti erano quasi 2.000 di cui 238 bambini, e gli infetti 30.000, oggi
sappiamo che sono quasi il doppio. A dicembre 2008 circa 49.000 persone hanno
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ottenuto un assegno di 1.080 euro a bimestre. Il risarcimento che lo Stato Italiano
ha chiesto a Duilio Poggiolini è di 60 milioni di euro.
A onor del vero dobbiamo dire che le case farmaceutiche (compresa la Bayer)
immisero sul mercato alcuni flaconi di sangue presi da individui ad alto rischio
(es. carcerati, tossicodipendenti che si iniettavano droghe, persone con rischiose
attività sessuali, etc.) e di conseguenza infettarono migliaia di persone occorre
anche dire però che all'epoca non esistevano test specifici contro l'AIDS o
l'epatite C, ma la scelta delle case farmaceutiche di usare sangue da persone ad
alto rischio venne ritenuta criminale, inoltre la Bayer e la Baxter continuarono la
vendita dei flaconi infetti anche dopo che lo scandalo venne reso pubblico. Le
case farmaceutiche hanno continuato a corrompere o pressare i politici o il
personale sanitario per vendere i loro prodotti che anche all'epoca erano
conosciuti per essere facilmente infetti con i virus dell'HIV e delle epatiti.
La maggioranza degli infettati si è avuta tra i malati talassemici ed emofiliaci che
sono costretti ad assumere periodicamente sangue intero o emoderivati.
Il sangue intero e gli emoderivati, in particolare sandoglobuline destinati al
trattamento dell'emofilia, non venivano controllati per la presenza di virus letali
né trattati con inattivatori virali, cosa che ha portato alla commercializzazione di
materiale infetto e al contagio dei pazienti riceventi.
Dell'inchiesta, che nella sua struttura escludeva il dolo basandosi su una teoria
della colpa per assenza di controlli, tanto che, come dicevamo sopra, la Procura
della Repubblica di Napoli (a cui era stata trasferita dal tribunale di Trento l'8
aprile 2003), aveva richiesto l'archiviazione il 18 giugno 2005 per prescrizione
dei termini, impossibilità di prova del nesso di causa, incompetenza territoriale.12
12
http://www.anadma.it/doc/AvvocatoDelDiavolo.pdf
http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerThread.php?threadId=POGGIOLINI+Duilio
(2 marzo 2015).
http://it.wikipedia.org/wiki/Duilio_Poggiolini (27 febbraio 2015).
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14. Vaccino infetto a bambini di cui non si hanno notizie
Il problema degli emoderivati non controllati dal punto di vista infettivo,
purtroppo non ha coinvolto solo gli emofilici, anche se sono la maggior parte, ma
anche coloro che hanno avuto bisogno di trasfusioni in seguito ad incidenti di
varia natura o a pesanti interventi chirurgi, Purtroppo sedici bambini piccoli tra il
24 e il 25 marzo del 1996 furono vaccinati con plasma infetto presso l'ospedale
Annunziata di Napoli. Delle loro sorti non si è mai saputo nulla. Il dato
agghiacciante è contenuto in un dossier dell'associazione Lidu (Lega Italiana per
i Diritti dell'Uomo), presieduta da Nicola D'Ambrosio. Secondo le informazioni
raccolte dai volontari dell'associazione il vaccino infetto era contro il morbillo e
prodotto da una casa farmaceutica straniera. In quei due giorni furono vaccinati
con quel medicinale sedici bambini, quattordici di meno di un anno e due di circa
cinque anni. Inoltre tremila fiale dello stesso vaccino furono cedute
dall'Annunziata all'ospedale San Leonardo di Castellammare di Stabia. Anche di
questo trasferimento, dell'eventuale utilizzo del vaccino, si conosce ben poco.
L'associazione lamenta che nessuno mai (magistratura compresa) si sia occupato
di questo caso nonostante numerose sollecitazioni, facendo finire la vicenda nel
dimenticatoio. E soprattutto senza dare la possibilità a chi si è ammalato oppure
ha visto morire un figlio, di poter far valere i propri diritti.13
13
www.lagev.org
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15. Conclusioni
Il traffico illecito di organi e/o tessuti in generale, in quanto illecito ci pone di
fronte al problema legale e morale.
Se da una parte c’è chi specula su materiale umano, chi compie delitti quale il
sequestro di bambini o la truffa ai donatori, dall’altro si pone il dilemma di chi è
gravemente malato, di chi è al limite tra la vita e la morte sua o di un figlio. In
Italia il medico trapiantologo spesso non sa neanche da chi arriva l’organo,
quando arriva da una persona deceduta, magari arriva anche da una città distante,
con un aereo, espiantato da un’altra equipe, lui viene solo allertato assieme al
ricevente ed aspetta in sala operatoria, così che non ci possa esse alcun
risentimento affettivo, e nel campo delle trasfusioni e dei vaccini, si trova
materiale già confezionato ed approvato sul quale non ha nessuna possibilità di
controllo.
In verità questa ricerca mi ha turbato relativamente ai trapianti che avvengono
nei paesi asiatici, dove il medico sa che si trova di fronte al dover espiantare un
organo ad un donatore sano che lo vende per disperazione ed ad impiantarlo ad
un ricevente ricco, anche lui li, solo per disperazione, ed allora mi sono chiesta,
al di la della legge, al di la della scienza, come dovevano sentirsi questi medici
trapiantisti, al di la della legge, moralmente il medico ha sempre l’obbligo di
curare?
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16. Bibliografia
-
Carla Del Ponte, ”La Caccia: io ed i criminali di guerra”, Serie bianca
Feltrinelli, Milano, Aprile 2008.
-
Da Il Giornale – lunedì 25 giugno 2001.
-
Alessandro Gilioli – “Premiata macelleria delle Indie” Ed. BUR Milano
2007.
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17. Sitografia
 http://it.wikipedia.org/wiki/Organo
 http://glossario.paginemediche.it/it/glossario_popup/glossario/search.as
px?text=Tessuto&ispopup=1 (18 gennaio 2015).
 http://www.ildialogo.org/inchieste/indice_1326211621.htm (4 gennaio
2012).
 https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=2&c
ad=rja&uact=8&ved=0CCgQFjAB&url=http%3A%2F%2Fwww.ecologia
sociale.org%2Fpg%2Fdum_trap_scheperhugues.html&ei=BA1TVbbgH8
GhyAOr44DYDA&usg=AFQjCNFO6UGJ3SCepUO6zMXFECcRJIMbe
Q&bvm=bv.93112503,d.bGQ (21 febbraio 2015).
 http://www.ildialogo.org/inchieste/indice_1326211621.htm
(3 febbraio 2015).
 http://www.greenreport.it/news/economia-ecologica/limpietosovademecum-delleconomista-che-compra-i-reni-al-mercato-degliorgani/#prettyPhoto (20 aprile 2015).
 https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&c
ad=rja&uact=8&ved=0CCEQFjAA&url=http%3A%2F%2Fwww.saverian
ibrescia.com%2Fmissione_oggi.php%3Fcentro_missionario%3Darchivio
_rivista%26rivista%3D200703%26id_r%3D49%26sezione%3Dlopinione%26articolo%3Dla_comprav
endita_di_organi_orrore_morale_o_via_percorribile%26id_a%3D1412&e
i=Aw9TVY27LMefsAHi1oDoBA&usg=AFQjCNFQzHdZYbbXhMJJcNOIvKpJ1mlow&bvm=bv.93112503,d.bGQ (20 aprile 2015).
 http://www.italianiliberi.it/bioetica/trafficoorgani0601.htm
(3 marzo 2015).
 http://www.ilpost.it/2012/07/19/il-traffico-mondiale-dei-tessuti-umani/
(3 marzo 2015).
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
http://ma-tvideo.france3.fr/video/iLyROoafteBC.html
(21 ebbraio 2015).
 https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&c
ad=rja&uact=8&ved=0CCEQFjAA&url=http%3A%2F%2Fwww.governo
.it%2Fbioetica%2Fpdf%2F14_Traffico_illegale_organi_umani_tra_vivent
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 https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&c
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ca.it%2Fdossier%2F2007%2F05%2F24%2Fnews%2Fho-comprato-unrene-in-nepal1.3674&ei=9xRTVZ_zC4a2swHx4IGwBA&usg=AFQjCNHWPnvNlDhJTKXc2
7wWMlqOxoaplA&bvm=bv.93112503,d.bGQ (dicembre 2014).
 http://www.anadma.it/doc/AvvocatoDelDiavolo.pdf
 http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerThread.php?threadId=POGGI
OLINI+Duilio (2 marzo 2015).
 http://it.wikipedia.org/wiki/Duilio_Poggiolini (27 febbraio 2015).
 www.lagev.org
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