IL TRANSFER PRICE Nel corso degli ultimi venti anni

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IL TRANSFER PRICE Nel corso degli ultimi venti anni
IL TRANSFER PRICE
1. IL TRANSFER PRICE COME FATTORE STRATEGICO
Nel corso degli ultimi venti anni si è assistito ad un rapido sviluppo delle
imprese multinazionali, caratterizzate da una forte integrazione di natura economica,
commerciale e finanziaria tra soggetti associati, residenti in diversi paesi dell'Unione
Europea e del resto del mondo. Il motivo principale di tale espansione è da ricollegare
alla crescente globalizzazione dei mercati mondiali e al consolidamento di strutture di
mercato, all'interno delle quali i gruppi multinazionali, orientati alla massimizzazione
dei profitti, cercano di sfruttare le diversità esistenti.
Tale crescita ha reso sempre più pressante, per le imprese ed il loro
management, l'esigenza di individuare procedimenti di fissazione dei prezzi relativi alle
transazioni infragruppo, in grado di soddisfare simultaneamente le normative
antielusione di più Stati, nonché di ottimizzare la posizione competitiva e le
perfomance operative del gruppo.
Dal canto loro, le amministrazioni fiscali dei singoli Stati hanno acquisito, con il
passare del tempo, la consapevolezza dell'importanza di individuare strumenti idonei
all'accertamento del reddito imponibile da attribuire a ciascuna delle imprese
appartenenti al medesimo gruppo. Queste ultime, infatti, sfruttando manovre sui
prezzi di trasferimento di beni, servizi o diritti al proprio interno, non dettate da
ragioni esclusivamente economiche o commerciali, potrebbero nascondere ipotesi di
pianificazione fiscale elusiva, sottraendo così materia imponibile in uno Stato e
spostandola verso Stati con minore incidenza fiscale. In particolare, i bilanci delle
società del gruppo potrebbero essere condizionati dall'effettuazione, da parte della
controllata, di operazioni a condizioni non di mercato ovvero dal sostenimento di
costi, che non ineriscono effettivamente alla produzione del reddito della controllata
stessa. Questa, infatti, potrebbe essere spinta a sostenere oneri per prestazioni, da cui
non trae alcun vantaggio o per prestazioni , che, invece, esprimono esclusivamente la
funzione dell'azionista. Inoltre, la società capogruppo potrebbe decidere di utilizzare i
prezzi di trasferimento infragruppo come forma di remunerazione degli investimenti
effettuati in una determinata area geografica, soprattutto quando l'opzione della
vendita, ad un prezzo diverso dal valore di mercato, di prodotti o servizi alla
controllante risulti più vantaggioso rispetto alla distribuzione dell'utile. Tali vantaggi
potrebbero risiedere non solo nell'ipotesi classica di risparmio fiscale, ma anche, ad
esempio, nel caso in cui il socio di controllo abbia l'interesse a non premiare in misura
eccessiva il socio di minoranza locale, tramite la distribuzione del dividendo.
Questa maggiore attenzione al problema del transfer pricing è dimostrata, oltre
che dal continuo aggiornamento dei Rapporti forniti in sede OCSE1, di cui si parlerà
più avanti, da una recente indagine condotta dalla Ernst&Young su un campione di
oltre 700 intervistati (tutti tax manager di aziende multinazionali dislocate nei più
importanti paesi del mondo), dalla quale risulta un sensibile incremento nell'attività di
controllo fiscale posto in essere dalle amministrazioni finanziarie di tutto il mondo nei
confronti di aziende multinazionali e la crescente mole di contenzioso, che scaturisce
dalle sempre più frequenti contestazioni in tema di prezzi di trasferimento.
Per quanto riguarda l'Italia, l'indagine evidenzia per il 1999 una percentuale di
controlli in tema di transfer price pari al 24% contro percentuali ben più elevate pari al
30% per la Francia, al 42% per la Germania e Stati Uniti e al 55% per il Regno Unito.
Va, tuttavia, rilevato, che proprio a partire dal 1999, l'amministrazione finanziaria
italiana ha mostrato particolare interesse e sensibilità alle problematiche sopra
rappresentate, emanando la circolare n. 53/E del 26 febbraio 1999, con la quale il
Gruppo di lavoro sulla tassazione delle società, costituito presso il SECIT, ha indicato
come meritevoli di approfondimento, in sede di verifica, tutte le maggiori fattispecie a
rischio per i gruppi di impresa, evidenziando tra le ipotesi di evasione i prezzi di
trasferimento di beni e servizi verso articolazioni produttive o legali all'estero e tra le ipotesi di
elusione le manovre attuate sui prezzi di trasferimento interne a sedi italiane.
Come spesso accade, tanto più la problematica è di particolare rilievo per gli
operatori economici e istituzionali, maggiore è la difficoltà di individuare certezze nei
comportamenti, che possano evitare agli stessi spiacevoli sorprese.
Scopo del presente lavoro è quello di fare il punto della situazione sulle varie
metodologie di controllo dei prezzi di trasferimento alla luce dell'attuale quadro
normativo,
dedicando solo alcuni cenni alle questioni inerenti la verifica dei requisiti
soggettivi (concetto di società non residente e nozione di controllo) per l'applicazione
della disciplina in oggetto.
Prima di addentrarsi nell'analisi del contesto normativo, si ritiene doverosa
un'ultima precisazione. Si è sempre sostenuto, anche in questa premessa, che le
misure in materia di prezzi di trasferimento sono volte a contrastare il comportamento
di quelle imprese, che cercano artificiosamente ed artatamente, di ridurre il proprio
carico fiscale complessivo, tramite opportune manovre sui prezzi delle transazioni
poste in essere con consociate estere. Non si può, tuttavia, trascurare, che talvolta le
imprese multinazionali pongono in essere transazioni intercompany, regolandole con
prezzi, che ritengono, in tutta buona fede, corretti, alla luce delle funzioni e dei rischi
assunti dai diversi soggetti, che compongono la c.d. catena di valore. In tali casi, le
norme positive e le regole interpretative di natura tributaria possono determinare
comportamenti da parte degli organi di controllo generanti gravi effetti fiscali
1
Nel 1979 il Comitato degli Affari Fiscali dell'OCSE pubblicò il primo Rapporto denominato "Transfer
Pricing and Multinational Enterprises". Successivamente nel 1995 lo stesso Comitato ha pubblicato un
ulteriore Rapporto denominato "Transfer Pricing Guidelines for Multinational Enterprises and Tax
Administrations".
sperequativi, nell'ipotesi in cui si riclassifichi il profilo tributario delle predette
transazioni, che non avevano invece alcun scopo di natura elusiva.
Al riguardo, si deve evidenziare come due siano i principali approcci al
problema dell'elusione fiscale: uno di carattere legale, l'altro di natura economica.
La teoria legale, che è quella tradizionale e sino a poco tempo fa dominante, è
basata sul principio della prevalenza della portata letterale della norma fiscale e del
pieno rispetto delle forme legali sulla effettiva operazione economica e giuridica.
Secondo tale approccio, il comportamento assunto dal contribuente è elusivo nei casi
in cui la legislazione lo consideri come tale, a nulla rilevando la circostanza, che tale
comportamento possa avere finalità differenti rispetto a quelle previste dal legislatore
stesso. Tale approccio è tipico dei paesi di civil law, come Italia e Francia.
La teoria economica, invece, ha, come principale parametro di riferimento,
l'effettiva presenza di una ragione economica nel comportamento posto in essere dal
contribuente, che viene riconosciuto come elusivo, nel caso in cui si realizzino risultati
economicamente equivalenti a quelli che il legislatore avrebbe tassato sulla base della
normativa vigente. Questo approccio è tipico dei paesi c.d. di common law, come Gran
Bretagna e Stati Uniti.
Ciò detto, in presenza di prezzi di trasferimento, la teoria economica potrà
consentire un'analisi precisa delle questioni di cui trattasi e ciò in quanto le variabili,
che intervengono e influenzano le transazioni transnazionali, sono principalmente di
carattere economico-commerciale. Dal canto suo, la teoria legale rappresenta invece il
punto di partenza, che autorizza gli organi di controllo ad una rivalorizzazione delle
transazioni internazionali tra imprese associate.
2. IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO
La disciplina italiana sul transfer pricing, rimasta immutata, se non nella nuova
numerazione, a seguito delle modifiche apportate al TU.I.R. dal decreto legislativo 12
dicembre 2003, n. 344, è contenuta nell'articolo 110, commi 2 e 7, (ex articolo 76,
commi 2 e 5) del D.P.R. 917/86. Prescindendo dalla sua evoluzione storica, i punti
essenziali della norma sono, da un lato, il concetto di controllo per determinare
l'ambito soggettivo di applicazione e dall'altro la determinazione del "valore normale".
A tal proposito, l'Amministrazione finanziaria italiana è intervenuta con due circolari,
la n. 32 del 22 settembre 1980 e la n. 42 del 12 dicembre 1981, nelle quali viene fornita
un'interpretazione del concetto di controllo e vengono dettati i criteri per la
determinazione del valore normale.
Il Ministero, al riguardo, ha, inoltre, precisato con una risoluzione del 10 marzo
1982 la n. 9/198, che il contenuto della norma assume valore di presunzione assoluta. In
altri termini, a parere dell'Amministrazione e di una parte della dottrina 2, ogni
qualvolta gli organi accertatori, verificata l'esistenza dei presupposti soggettivi,
ritengano, che il prezzo praticato nelle transazioni tra imprese del gruppo, si discosti
2
Tra tutti Leo-Monacchi-Schiavo, Le imposte sui redditi nel Testo unico, Giuffrè, 1999.
sensibilmente dal valore normale, gli stessi debbano procedere automaticamente alla
sostituzione del prezzo pattuito tra le parti con il valore normale dei beni e delle
prestazioni oggetto delle transazioni, qualora ne derivi un aumento del reddito
imponibile3, senza alcuna possibilità del contribuente sottoposto a verifica di poter
provare l'infondatezza delle rettifiche operate. A sostegno di tale interpretazione una
recentissima pronuncia della Commissione Tributaria Regionale della Toscana, che,
con sentenza n. 130 del 08/01/2002, ha riaffermato, che la valutazione delle
operazioni infragruppo al valore normale "non può che assumere rilevanza di presunzione
assoluta, pena un'inaccettabile contraddizione in termini, determinata dalla stessa ratio sottesa e
legata all'impraticabilità o comunque difficoltà accertativa delle operazioni infragruppo"
Tuttavia, gli osservatori più attenti agli aspetti giuridici della vicenda hanno
criticato un tale criterio interpretativo4, affermando la possibilità del contribuente di
eccepire non solo la mancanza dei presupposti soggettivi, ma anche la non aderenza
della valutazione operata dall'ufficio ai prezzi di mercato ovvero che lo scostamento
tra il valore accertato ed il prezzo concordato sia da ricondurre alla diversità del
metodo di calcolo adottato dall'amministrazione rispetto a quello utilizzato dai
contraenti per quantificare il valore normale.
In effetti, il potere attribuito all'Amministrazione dall' articolo 110, comma 7,
del T.U.I.R. di rid eterminare il prezzo dell'operazione in verifica in base al valore
normale è analogo all'ordinario potere attribuitole in sede di accertamenti induttivi, nei
casi in cui l'Amministrazione possa ricorrere a criteri di prova indiretti, dettati da
regolamenti o circolari, a cui la legge consente il ricorso, come avviene ad esempio per
i coefficienti presuntivi e per gli studi di settore. L'Amministrazione dovrà, pertanto,
fornire la giustificazione della propria maggiore pretesa impositiva, facendo
riferimento ad un modello di natura induttiva esterno, rappresentato dai criteri fissati
in sede OCSE e recepiti con le citate circolari.
Di conseguenza, essendo il valore normale non un fatto, bensì un parametro
determinato in base a criteri tecnici, prevarrà quello costruito in maniera più articolata
e coerente.
In tal senso il comma 3 dell'articolo 9 fornisce dapprima una nozione generale
di valore normale ed in seguito alcuni criteri per la sua determinazione.
La nozione generale fa riferimento al prezzo dei beni e servizi mediamente
praticato in condizioni di libera concorrenza, mentre per la sua determinazione, in
quanto possibile, si propone l'utilizzo del metodo del confronto del prezzo e cioè del
confronto con vendite effettuate dalla stessa impresa a operatori indipendenti ovvero
con vendite tra operatori indipendenti.
Nell'ipotesi di differenze a favore del contribuente, da cui conseguirebbero variazioni in diminuzione
del reddito d'impresa, tale riduzione del reddito sarà possibile soltanto in esecuzione degli accordi
conclusi con le autorità competenti degli Stati esteri a seguito delle speciali procedure amichevoli
previste dalle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni. Da escludere anche le
eventuali operazioni che generano movimenti di natura patrimoniale. Sul punto si veda la sentenza del
Tribunale di Roma del 14 aprile 1983 emanata in materia valutaria.
4 G. Tremonti, Gruppi di società: i vincoli e le architetture fiscali, in AA.VV., La fiscalità industriale, Bologna, 1998;
G. Maisto, Il transfer price nel diritto tributario italiano e comparato, Padova, 1985.
3
2.1 LA DISCIPLINA CONVENZIONALE.
NORMATIVA NAZIONALE.
PROBLEMI DI COMPATIBILITA'
CON LA
Per completare il quadro normativo è necessario prendere in considerazione le
disposizioni contenute nelle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate
dall'Italia sulla base del modello OCSE . L'articolo 9 del modello di convenzione, nel
trattare delle imprese associate, propone uno schema costantemente tenuto presente
dagli Stati contraenti.
Al paragrafo 1 si prevede:
"1. Allorchè
un'impresa di uno Stato contraente partecipa direttamente alla direzione, al
controllo o al capitale di un'impresa dell'altro Stato o
le medesime persone partecipano, direttamente o indirettamente, alla direzione,
al controllo o al capitale di un'impresa di uno Stato contraente e di un'impresa
dell'altro Stato contraente e, nell'uno e nell'altro caso, le due imprese, nelle loro
relazioni commerciali o finanziarie, sono vincolate da condizioni, accettate o imposte,
diverse da quelle che sarebbero state convenute tra imprese indipendenti, gli utili che,
in mancanza di tali condizioni, non sono stati così realizzati, possono essere inclusi
negli utili di questa impresa e tassati in conseguenza".
E' sufficiente un'analisi sommaria del testo della norma convenzionale per
accorgersi delle diversità rispetto alla norma domestica. Tra queste sicuramente la
maggiore ampiezza del concetto di impresa associata contenuto nella norma
convenzionale, così come il riferimento generico agli utili realizzati tra imprese
indipendenti, laddove la norma interna rinvia al valore normale del bene e del servizio
oggetto della transazione con la controllante o controllata estera.
Vista la diversa formulazione dell'articolo 9 del Testo unico rispetto all'articolo
9 del modello OCSE, si pone il problema di verificare se gli indirizzi, formati in sede
di Comitato degli Affari Fiscali possano essere applicati alla normativa nazionale.
Al riguardo, si deve osservare, che la frattura, quantomeno sul piano pratico, è
stata ridotta dalla circolare n. 32 del 22 settembre 1980, laddove, la stessa afferma nelle
premesse, che, nella sua redazione, si è tenuto conto degli orientamenti emersi nel
Rapporto OCSE del 1979. Inoltre, la medesima circolare precisa, che il concetto di
valore normale legislativamente definito recepisce il principio del prezzo di libera
concorrenza (arm's lenght principle) consigliato dall'OCSE per la determinazione dei
prezzi di trasferimento. Il passaggio logico adottato dall'Amministrazione è il seguente:
poiché il metodo del confronto del prezzo è considerato dall'OCSE come il migliore
per stabilire "if the conditions made between the two enterprises had been those which would have
been made between indipendent enterprises", allora la norma nazionale recepisce in toto il
concetto di prezzo di libera concorrenza dell'OCSE, con i relativi criteri di
determinazione.
Parte della dottrina 5, comunque, ha rilevato, che, mentre l'utilizzo degli altri
metodi basati sul prezzo (costo maggiorato e prezzo di rivendita) sarebbe giustificato
5
G. Maisto, Il progetto di Rapporto OCSE sui prezzi di trasferimento, in Rivista di Diritto Tributario, n. 1/1995;
M. Camozzi, Il transfer pricing, in Rivista dei Dottori Commercialisti, n.4/1992. Si segnala anche una
dalla portata letterale della norma interna, esisterebbe incompatibilità fra l'articolo 9
del Testo unico e l'applicazione degli altri metodi c.d. reddituali contenuti nel
Rapporto OCSE.
Altra parte della dottrina si è spinta ancora più oltre, affermando che lo scopo
delle convenzioni, volte ad evitare la doppia imposizione, "fa sì che le disposizioni in esse
contenute possono essere invocate per limitare la potestà impositiva dello Stato, ma non certo per
ampliare fattispecie imponibili all'interno di un singolo ordinamento" 6.
Ciò significa, che, con riferimento alla questione di cui si discute, la portata
operativa dell'articolo 110, comma 7, non potrà subire deroghe, laddove non esista
"una norma convenzionale che comprime in limiti più angusti la tassazione degli utili" delle
imprese associate.
Poiché, normalmente, la clausola pattizia è caratterizzata da maggiore ampiezza,
sia sotto il profilo dei presupposti, che della determinazione dell'imponibile, troverà
sempre applicazione la norma interna. Sarà, invece, possibile interpretare la "disciplina
domestica con l'ausilio di nozioni esplicitate in quella pattizia o nel relativo commentario".
Tale impostazione appare però eccessivamente restrittiva. Essa, infatti,
disconosce all'articolo 110, comma 7, la natura di norma di adeguamento ai canoni
internazionali generalmente accettati in materia di controllo degli scambi infragruppo,
che consistono nel principio del prezzo di libera concorrenza e nei metodi positivi per
la sua determinazione. D'altra parte anche le parole "in condizioni di libera
concorrenza", contenute nel comma 3 dell'articolo 9 del T.U.I.R., non possono che
far riferimento alle condizioni praticate da operatori indipendenti in condizioni simili
ed, inoltre, l'affermazione contenuta nella norma di applicare, "in quanto è possibile",
il confronto con i prezzi praticati dall'impresa verificata, non esclude l'applicabilità di
altre metodologie.
Rimane, invece, tuttora aperto il problema se, anche sotto l'aspetto giuridico
formale, le nuove raccomandazioni fornite dall'OCSE nel 19957 possano, similmente
alle precedenti, trovare asilo nell'ordinamento interno, come valido strumento
interpretativo di supporto. In tal senso, potrebbe apparire opportuno un nuovo
intervento, meglio questa volta se di natura legislativa, in grado di recepire i nuovi
orientamenti manifestati al livello internazionale, risolvendo in tal modo i molti dubbi,
che attanagliano gli operatori istituzionali, le imprese e i professionisti.
3. I PRESUPPOSTI SOGGETTIVI. A LCUNI CENNI.
Pur non costituendo l'oggetto principale del presente lavoro, pare opportuno,
prima di procedere all'analisi dei criteri di determinazione del valore normale,
sentenza della Commissione Provinciale di Udine, Sez. III, 26 febbraio 1999, n. 155, che ha escluso
l'applicabilità del criterio del costo maggiorato per la determinazione del valore normale.
6 R. Cordeiro Guerra, La disciplina del transfer price nell'ordinamento italiano, in Rivista di Diritto Tributario, n.
4/2000.
7 Rapporto OCSE del 1995 "Transfer Pricing Guidelines for Multinational Enterprises and Tax Administrations ".
soffermarci brevemente su alcuni punti attorno ai quali ruota la possibilità di applicare
tale valore, disconoscendo il corrispettivo pattuito tra le parti.
1) Società non residente.
Sul punto, la difficoltà non riguarda tanto l'individuazione del concetto di
residenza, essendo questo delineato dalle norme generali del T.U.I.R., quanto
piuttosto
stabilire
se un'organizzazione costituita secondo le leggi di un
ordinamento straniero e in quel paese giuridicamente residente, possa essere
qualificata in Italia come società, ovviamente, non residente.
In particolare, i problemi si pongono quando la disciplina giuridica riservata
dalla legge dello Stato della residenza non è equiparabile, quantomeno nei tratti
caratterizzanti, ad nessuno dei tipi societari previsti dall'ordinamento italiano.
Un'interpretazione estensiva dell'articolo 110, volta ad includere nel concetto di
società, qualsiasi centro di imputazione di situazioni giuridiche diverso dalle persone
fisiche è sostenuta da una parte della dottrina 8 e non invece incredibilmente anche
dall'Amministrazione finanziaria. La più volte citata circolare n. 32 prevede, infatti, che
nel concetto di società siano da ricomprendere anche forme giuridiche non
espressamente previste nel nostro ordinamento, ma che sono riconosciute come
società nello Stato estero9.
Altra parte della dottrina si è espressa in senso critico nei confronti
dell'orientamento ministeriale, sostenendo, che l'articolo 110 del T.U.I.R. possa essere
applicato solo a quei soggetti, per i quali è dato riscontrare l'esistenza degli elementi
distintivi del concetto di società, così come previsto dal nostro ordinamento.
In altre parole, per poter inquadrare in tale categoria un soggetto non residente
"atipico", si dovrà ricercare la presenza dello scopo di lucro e dell'esercizio dell'attività
imprenditoriale, non essendo sufficiente la semplice idoneità all'esercizio di un'attività
commerciale, poiché, in tal modo, si assoggetterebbero al regime del transfer price
anche organizzazioni corrispondenti alla struttura della fondazione o dell'associazione.
Un discorso a parte meritano le stabili organizzazioni. In tal caso, il soggetto
estero può essere costituito da una stabile organizzazione di una società residente in
altro Stato 10. Peraltro, poiché la stabile organizzazione non è un'entità soggettiva a sé
stante, diversa dalla società cui appartiene, il rapporto non si instaura tra impresa
italiana e stabile organizzazione, ma tra la prima e la società non residente, proprietaria
della stabile organizzazione.
Non sembra, invece, si possano considerare polo estero di un'operazione, le
stabili organizzazioni all'estero di imprese residenti in Italia. Tali entità sono, infatti,
assimilabili fiscalmente ad un'impresa non residente, con la conseguenza, che l'utilizzo
Vedi Pistone, L'ordinamento tributario, Padova, 1986.
La circolare enuncia espressamente i Groupment d'interet economique francesi, l'Arge, gli Stiftung e le
Anstaltern tedeschi, i trusts di derivazione anglosassone.
10 Cfr. Carbone, Presupposti soggettivi per l'adozione del transfer price, in AA.VV., Il reddito di impresa nel Testo
unico, Padova, 1988; Leo-Monacchi-Schiavo, op. cit.; Pistone, op. cit; C.M. n. 32 del 22 settembre
1980.
8
9
del termine società non residente nell'articolo 110 del T.U.I.R. non consente di
attribuire rilevanza a tali entità 11.
2) Impresa residente.
Secondo la citata circolare ministeriale del 1980, anche il concetto di impresa
deve essere interpretato nel suo significato più ampio: chiunque, ai sensi dell'articolo
2082 del cod. civ., eserciti professionalmente, in forma individuale o collettiva,
un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o
servizi, sarà sottoposto al regime di cui al citato articolo 110, comma 7. In particolare,
riferendosi al concetto di "impresa", piuttosto che a quello di società, è stato
sostenuto, che si devono considerare destinatari della norma, anche i rapporti tra le
stabili organizzazioni in Italia di enti non residenti, di cui all'articolo 87 lett.d), del
T.U.I.R., ai quali quella stabile organizzazione appartiene.
Secondo tale interpretazione, infatti, poiché il reddito imputato alla stabile
organizzazione è quantificato in modo autonomo, anche nei suoi confronti sussistono
le stesse esigenze di salvaguardia da possibili shifting di base imponibile all'estero,
riscontrate per le imprese residenti. Ciò renderebbe necessario valutare "alla stregua di
vere e proprie operazioni tra soggetti diversi, fatti gestionali che, dal punto di vista
giuridico, non danno vita a negozi traslativi, ma costituiscono, viceversa, semplici
spostamenti di beni o servizi all'interno della stessa entità soggettiva" 12.
Alcuni autori d'altro canto hanno, invece, optato per una soluzione inversa,
ritenendo che la definizione legale di controllo presupponga la piena autonomia dei
due soggetti, autonomia non riconosciuta alla branch italiana, considerata soggetto
non giuridicamente indipendente, con la conseguente non applicabilità dell'articolo
110, comma 7, alle operazioni di trasferimento 13.
3) Nozione di controllo.
La circolare ministeriale del 1980 esclude, che la nozione di controllo sia
riferibile esclusivamente ai limiti di cui all'articolo 2359 cod. civ., dovendo essa
ricomprendere ogni ipotesi di influenza economica potenziale e attuale, desumibile
dalle singole circostante, attribuendo in tal modo rilevanza non solo ai presupposti
giuridico-formali, ma anche alle mere situazioni di fatto. In tal senso, la circolare
individua una serie di ipotesi, che potrebbero far presumere l'esistenza di un controllo
indiretto, quali la vendita esclusiva di prodotti fabbricati da altra impresa;
l'impossibilità di funzionamento dell'impresa senza il capitale, i prodotti e la
cooperazione tecnica dell'altra impresa; diritto di nomina dei membri del Consiglio di
amministrazione o degli organi direttivi della società; relazioni di famiglia tra le parti;
11
12
13
Zizzo, Regole generali per la determinazione del reddito d'impresa, in Giurisprudenza sistematica di diritto tributario.
Imposta sul reddito delle persone fisiche, Torino, 1994.
Si veda in proposito Tesauro, Esegesi delle regole generali sul calcolo del reddito d'impresa, in AA.VV.,
Commentario al Testo unico delle imposte sui redditi ed altri scritti. Studi in onore di Granelli A.E., Roma, 1999;
Fantozzi-Manganelli, Qualificazione e determinazione dei redditi prodotti da imprese estere in Italia: applicabilità
della normativa sui prezzi di trasferimento nei rapporti tra stabile organizzazione e casa madre, in Studi in onere di
Victor Uckmar, Padova, 1997.
Crf. Gallo, Contributo all'elaborazione del concetto di stabile organizzazione secondo il diritto interno, in Rivista di
Diritto finanziario, 1985; Zizzo, op. cit.
concessione di ingenti crediti o prevalente dipendenza; in generale tutte le ipotesi in
cui venga esercitata, anche potenzialmente, un'influenza sulle decisioni imprenditoriali.
Inoltre, la posizione dell'impresa controllante deve essere caratterizzata da
elementi di stabilità, che rendano il vincolo abbastanza forte da escludere un controllo
fortuito o limitato nel tempo. In proposito, la dottrina parla di "unitaria strategia
imprenditoriale", in modo da comprendervi tutti i possibili collegamenti tra imprese
partecipanti ad un ciclo produttivo e/o ad una strategia sostanzialmente unitari 14.
4. L INEE E METODI DI DET ERMINAZIONE DEL PREZZO DI LIBERA
CONCORRENZA
Come già anticipato nell'ultima parte del paragrafo 2.1 esiste, da un punto di
vista di effettività del diritto, il problema dell'applicabilità dei contenuti delle
Guidelines OCSE del 1995 non ancora recepiti dall'ordinamento italiano. Sarebbe
auspicabile, quantomeno un intervento interpretativo da parte dell'Amministrazione
finanziaria italiana, con l'emanazione di una nuova circolare, che sostituendo l'ormai
datato provvedimento del 1980, riconoscesse la validità, quale fonte ermeneutica, delle
direttive OCSE. Ciò, tuttavia, non dovrebbe impedire, che le istruzioni OCSE del
1995 possano costituire un valido strumento di ausilio interpretativo della nostra
normativa, ancora prima di conoscere l'orientamento dell'Amministrazione finanziaria.
Nel prosieguo del presente lavoro sarà, pertanto, dedicato ampio spazio alle
linee fornite dall'OCSE in tema di applicazione del principio arm's lenght, per poi
passare alla trattazione dei metodi di determinazione del prezzo di libera concorrenza.
4.1 COMPARABILITA' DELLE TRANSAZIONI
In Italia, come nella maggior parte dei paesi industrializzati, il legislatore ha
scelto di regolare gli scambi tra imprese associate residenti in diverse giurisdizioni
secondo il principio di libera concorrenza. L'applicazione di tale principio presuppone
il confronto tra le condizioni presenti in una transazione controllata e quelle
riscontrabili in una transazione tra imprese indipendenti. Affinchè tale confronto
possa essere correttamente svolto, è necessario verificare in via preliminare, che la
transazione c.d. verificata e quella c.d. campione siano effettivamente comparabili. Sia
la circolare ministeriale del 1980, che considera come fattori centrali l'individuazione
del mercato rilevante (quello del destinatario per i beni e servizi e quello del mutuante
in caso di finanziamento), la qualità e alcuni elementi relativi al prodotto, sia le stesse
direttive OCSE del 1979 e del 1995, ritengono necessaria l'analisi del c.d. grado di
comparabilità. Le direttive del 1995, in particolare, affermano che due transazioni sono
comparabili, se viene soddisfatta almeno una delle seguenti condizioni:
14
Carbone, Presupposti soggettivi per l'adozione del transfer price, op. cit.; Cordeiro Guerra, Prime osservazioni sul
regime fiscale delle operazioni concluse con società domiciliate in paesi e territori a bassa fiscalità, in Rivista di Diritto
Tributario, 1992. Si veda in giurisprudenza la sentenza della Commissione Tributaria di Alessandria del
28 novembre 1995, n. 1416 e 11 dicembre 1995, n. 170.
nessuna delle differenze (se esistono) tra le transazioni comparate può
sostanzialmente influenzare la condizione presa ad esame nel metodo utilizzato (ad
esempio il prezzo o il mark up ), cioè in altre parole il prezzo di libero mercato;
l'effetto di tali differenze può essere eliminato con delle correzioni
sufficientemente accurate.
Accanto alle differenze, che riguardano specificatamente le transazioni,
bisognerà, inoltre, tenere in considerazione le differenze relative alle imprese e ai loro
modi di valutare le potenziali transazioni.
Al fine, quindi, di determinare il grado di comparabilità e di apportare gli
eventuali appropriati aggiustamenti per stabilire il prezzo di libera concorrenza è
necessario confrontare le caratteristiche sia delle transazioni, che delle imprese
coinvolte nell'analisi, che potrebbero influenzare tale prezzo; in particolare si dovrà
avere riguardo a:
- le caratteristiche intrinseche dei beni e servizi;
si dovrà considerare in caso di trasferimento di beni materiali, le caratteristiche
fisiche del bene, la sua qualità ed affidabilità, la sua disponibilità e reperibilità sul
mercato, nonché il volume delle forniture; in presenza di prestazione di servizi, la
natura, l'estensione e lo scopo del servizio; infine, nel caso di beni immateriali, la
tipologia della transazione, ad esempio contratto di vendita o di licenza, il tipo di bene
(brevetto , marchio, know-how), i vantaggi conseguiti o previsti dall'utilizzazione del
bene, la durata e il grado di protezione (Guidelines par. 1.19).
- l'analisi funzionale;
le imprese indipendenti stabiliscono il proprio compenso in relazione alle
funzioni effettivamente svolte nella produzione di un bene o nella realizzazione di un
servizio oggetto dello scambio, tenendo conto delle risorse utilizzate (impianti,
attrezzature, utilizzo di beni immateriali ad elevato contenuto tecnologico) e dei rischi
assunti. Quindi, per determinare se una transazione controllata e una transazione tra
imprese indipendenti sono comparabili, è necessario identificare e confrontare le
funzioni svolte e le responsabilità assunte dalle imprese in esame, precisando se si
tratta, ad esempio, di funzioni di progettazione, produzione, assemblaggio, ricerca e
sviluppo, consulenza, approvvigionamento, distribuzione, marketing, pubblicità,
trasporto, finanza, direzione.
Un ulteriore fattore da considerare, come detto, sono i rischi assunti dalle
imprese nell'espletamento delle funzioni. In un mercato aperto, l'assunzione di
maggiori rischi determina una corrispondente aspettativa di maggiore reddito. I rischi
da considerare, durante una corretta analisi comparativa, includono in particolare i
rischi di mercato, come le fluttuazioni del costo dei fattori produttivi o del prezzo del
prodotto, i rischi di perdite collegate all'investimento e all'uso di beni, impianti e
macchinari, i rischi connessi al successo o al fallimento di investimenti in ricerca e
sviluppo, i rischi finanziari (variabilità dei tassi di cambio e di interesse) e i rischi di
credito.
Funzioni e rischi sono strettamente connessi tra di loro, tanto che le prime
influenzano fortemente la diversa allocazione dei secondi tra i soggetti intervenuti
nella transazione. Se, ad esempio, un distributore nell'acquistare beni dalla propria
società controllante estera dovesse sopportare anche la responsabilità del marketing e
delle ricerche di mercato, investendo (rischiando) risorse umane e finanziarie, è
evidente, che egli avrà maggiori aspettative di profitto, rispetto al caso in cui le
predette funzioni e i relativi rischi venissero assunti dalla casa madre.
- le condizioni contrattuali;
l'esame delle condizioni contrattuali sottostanti la transazione controllata
contribuisce a determinare la ripartizione delle responsabilità, dei rischi e dei benefici
tra le parti. Le condizioni, oltre che da un contratto scritto, possono anche derivare
comunicazioni o corrispondenza informali, potendo non esservi tra imprese associate
ipotesi di conflitto di interessi (divergence of interests). In tal caso i rapporti
contrattuali potranno essere desunti dall'attività effettivamente svolta e dai principi
economici generali riconosciuti in genere da imprese indipendenti.
- le condizioni economiche;
altro elemento da considerare ai fini della comparazione è l'omogeneità dei
mercati, nei quali l'impresa del gruppo e l'impresa indipendente operano e il fatto che
le eventuali differenze esistenti non abbiano effetti rilevanti sul prezzo di libera
concorrenza o possano essere eliminate.
Secondo quanto indicato nel par. 1.30 delle Guidelines, le condizioni
economiche, che possono rilevarsi pertinenti nel determinare la comparabilità di
mercato sono essenzialmente l'ubicazione geografica, l'ampiezza, il grado di
concorrenza e le relative posizioni dei competitor, la disponibilità e i rischi per l'utilizzo
di beni e servizi succedanei, i livelli di offerta e di domanda, le regolamentazioni
amministrative, i costi di trasporto e quelli dei fattori produttivi, la data e la durata
delle transazioni.
- le strategie commerciali;
differenze rilevanti, nella comparabilità delle transazioni, potrebbero anche
derivare da differenti strategie di mercato adottate dalle imprese associate, rispetto a
quelle indipendenti, quali l’innovazione e lo sviluppo di un nuovo prodotto, il grado di
diversificazione, l'avversione ad assumere rischi, la valutazione dei cambiamenti
politici, l'impatto delle normative sul lavoro e altri fattori che influenzano l'attività
dell'impresa.
Le autorità fiscali nell'eseguire i controlli sull'esatta determinazione dei prezzi di
trasferimento dovrebbero avere riguardo alla possibilità, che il contribuente, ad
esempio, stia portando avanti una politica di penetrazione su un nuovo mercato o
tentando di incrementare la sua presenza (share) su un old market. In questo caso,
l'impresa potrebbe essere disposta ad applicare un prezzo più basso o a sostenere costi
più elevati di quelli stabiliti per prodotti comparabili nello stesso mercato.
Analogamente, le autorità fiscali dovrebbero esaminare i comportamenti effettivi delle
imprese, per verificare se essi siano il linea con le strategie di mercato dichiarate,
nonchè accertare l'esistenza di una plausibile aspettativa, che, secondo la strategia di
mercato adottata, dovrebbe produrre, in un periodo di tempo accettabile, un profitto
tale da giustificare i costi sostenuti.
Oltre ai fattori sopra riportati, in alcuni casi, può essere particolarmente utile
analizzare elementi potenzialmente determinanti nella ricostruzione di un quadro di
riferimento il più possibile comparabile, quali la possibilità, da parte delle autorità
fiscali di disconoscere in sede di controllo il rapporto contrattualmente stabilito tra le
parti, quando la sostanza dell'operazione differisce dalla forma o quando gli accordi
differiscano da quelli che un'impresa indipendente avrebbe razionalmente adottato; di
esaminare non una sola transazione, ma dare rilievo a più operazioni collegate,
considerandole nel loro complesso (nell'ipotesi in cui, ad esempio, si sia in presenza di
contratti di fornitura congiunta di beni e servizi); di condurre un'indagine storica su
più annualità, facendo attenzione ad utilizzare solo i dati e le informazioni disponibili
per l'impresa al momento di effettuazione della transazione; di valutare le cause, che
possono spingere un impresa associata a realizzare costantemente delle perdite, in
quanto le medesime apportano benefici al gruppo nel suo insieme. In tali casi,
l'Amministrazione finanziaria dovrebbe determinare i corretti prezzi di trasferimento,
idonei a ricompensare l'impresa in perdita dei benefici, che indirettamente vengono
trasferiti al gruppo. L'esempio classico è quello di un gruppo multinazionale, che per
restare competitivo è costretto a produrre una vasta gamma di prodotti, alcuni dei
quali generano regolarmente delle perdite.
4.2 I METODI TRADIZIONALI
Terminata l'analisi sul grado di comparabilità delle transazioni prese in esame,
passiamo ora ad individuare i metodi utilizzati per determinare se i prezzi e le
condizioni imposte nei rapporti tra imprese associate corrispondano o meno al
principio di libera concorrenza e quindi, conseguentemente, secondo la normativa
italiana, corrispondano o meno al valore normale. A tale proposito, si deve osservare,
che con riferimento ai metodi cosiddetti tradizionali, le direttive OCSE del 1995 non
hanno introdotto novità di rilievo rispetto alla precedente versione, fatta propria
dall'Amministrazione italiana con la circolare n.32/1980; diversa appare la situazione
con riguardo ai metodi cosiddetti alternativi, per i quali è opportuno, per completezza
di analisi, operare una distinzione tra quelli riconosciuti dall'ordinamento italiano e i
metodi indicati nelle Guidelines del 1995.
4.2.1 IL METODO DEL CONFRONTO DEL PREZZO
Il metodo del confronto del prezzo (Comparable Uncontrolled Price) si
realizza con il confronto del prezzo dei beni o servizi ,trasferiti nel corso di una
transazione controllata, con il prezzo applicato a beni e servizi nel corso di una
transazione comparabile tra imprese indipendenti (confronto esterno) o tra una delle
imprese, che effettuano la transazione e un'impresa indipendente (confronto interno).
E' sicuramente il metodo migliore, più diretto ed affidabile per poter
determinare il prezzo di libera concorrenza, quando sia possibile individuare
transazioni comparabili nel libero mercato e conseguentemente il metodo preferibile a
qualsiasi altro (circ 32/1980, cap III e Guidelines par. 2.7).
Per meglio comprendere la dinamica applicativa di tale metodo, si esaminano di
seguito gli atti di due verifiche effettuate recentemente dall'Amministrazione
finanziaria in tema di transfer price, nelle quali si è fatto ricorso ai due tipi di
confronto, interno ed esterno.
1° Verifica.
La società XY S.p.A., sottoposta a verifica, fa parte di un gruppo chimico
multinazionale ed acquista una sostanza chimica dalla consociata produttrice
americana ZW inc., per utilizzarla nel proprio processo produttivo e vendere il
prodotto finito sul mercato italiano a soggetti indipendenti.
Accertata l'esistenza dei presupposti soggettivi per l'applicazione delle
disposizioni di cui all'articolo 110, comma 7, del T.U.I.R., i verificatori hanno
incentrato la loro analisi sulla determinazione del valore normale degli acquisti
effettuati. L'analisi del mercato di approvvigionamento della XY S.p.A. ha evidenziato,
che la società acquista tale sostanza anche da una società italiana indipendente, che
non produce, ma acquista a sua volta la sostanza.
Accertata la presenza di due diversi fornitori per la stessa sostanza chimica, i
verificatori hanno preliminarmente fatto eseguire analisi specifiche, dalle quali è
risultata una perfetta omogeneità delle caratteristiche intrinseche dei beni trasferiti. A
questo punto, in considerazione del fatto, che il fornitore italiano non è comunque un
produttore della sostanza chimica in esame, i verificatori hanno ritenuto opportuno
attribuire un peso alle condizioni economiche delle transazioni comparabili,
individuando a tal fine due imprese produttrici della materia prima, entrambe operanti
in Italia. Ad esse sono stati inviati specifici questionari, all'interno dei quali sono stati
riportati i dati relativi a cinque cessioni da loro effettuate in Italia.
I verificatori hanno quindi effettuato un'analisi comparativa fra i prezzi di
acquisto della sostanza fornita dalla consociata americana e quelli praticati dagli altri
produttori indipendenti italiani a propri clienti, operando alcuni aggiustamenti dovuti
ai diversi termini di pagamento concordati nei diversi casi. Da ultimo, si sono
esaminati i prezzi praticati dal fornitore italiano alla controllata italiana verificata,
benchè il primo non fosse produttore della sostanza (analisi con scopi rafforzativi, ma
sostanzialmente inidonea nel caso di specie).
Al termine dell'esame, i verificatori hanno ritenuto di utilizzare, come
parametro indicativo del prezzo di libera concorrenza, la media aritmetica semplice dei
prezzi praticati dai rivenditori indipendenti nelle cinque cessioni prese ad esame.
Al termine dei controlli, i verbalizzanti, non ritenendo giustificata alcuna
differenza tra i prezzi di acquisto della materia prima dalla consociata e quelli praticati
dagli altri fornitori operanti sul mercato italiano (considerato rilevante) hanno
provveduto a rettificare i valori di acquisto sulla base del valore normale risultante
dalla predetta media aritmetica.
In questa verifica, se da un lato è apprezzabile lo sforzo fatto dai verificatori per
stabilire l'omogeneità dei prodotti acquistati dai diversi fornitori, dall'atro, quello
metodologico, pur ritenendo correttamente utilizzato il metodo del confronto esterno,
va rilevato l'erroneo utilizzo dei dati ottenuti tramite i questionari e la conseguente
ricostruzione del valore normale fondato su semplici medie aritmetiche, anziché, più
opportunamente, su medie ponderate.
2° Verifica.
Anche in questo secondo caso, la società verificata ZZ S.p.A. fa parte di un
gruppo chimico multinazionale, che però effettua cessioni di sostanze chimiche nei
confronti di consociate estere.
Accertata l'esistenza dei presupposti soggettivi, i verificatori hanno proceduto
ad determinare se i prezzi delle predette cessioni erano rispondenti al prezzo di libera
concorrenza, utilizzando il metodo del confronto interno, dato che la società verificata
cede beni anche a soggetti italiani indipendenti.
La metodologia utilizzata si è basata sui seguenti punti:
- determinazione del prezzo unitario medio praticato per la cessione del
prodotto a clienti terzi nazionali, ottenuto dividendo il fatturato annuo netto del
singolo prodotto per le quantità vendute, al netto di eventuali note di credito o di
debito e depurato delle incidenze delle spese di trasporto, degli sconti applicati e dei
premi;
- determinazione, nel medesimo modo sopra descritto, del prezzo unitario
medio praticato per la cessione del prodotto alle consociate estere;
- confronto dei prezzi unitari medi come sopra determinati, avuto riguardo ad
una serie di elementi:
condizioni economiche: lo stadio di commercializzazione
la valutazione del valore normale è stata effettuata nei confronti di aziende
nazionali, che, come le consociate estere, utilizzano il prodotto nel loro processo
produttivo;
condizioni contrattuali
tenuto conto, che le transazioni prese in esame sono avvenute con clausola
commerciale "franco destino" e cioè con i costi di trasporto a carico del venditore, i
verificatori hanno determinato l'influenza che lo stesso ha avuto sul prezzo praticato.
Inoltre, dato che per le consociate estere non viene riconosciuto alcun sconto o
premio, i verificatori hanno scorporato dal prezzo di vendita a terzi indipendenti
questi elementi previsti contrattualmente;
imballaggio
i verificatori, vista la scarsa incidenza, non hanno tenuto conto di tale elemento.
La conclusione è stata che la ZZ S.p.A. ha effettuato transazioni in vendita con
proprie collegate estere a prezzi di trasferimento inferiori al valore normale, praticando
alle consociate estere prezzi inferiori a quelli dalla stessa praticati ai vari clienti
indipendenti in transazioni comparabili.
Anche in questo caso è possibile avanzare delle osservazioni, in quanto i
verificatori hanno solo accennato ad una compiuta analisi funzionale e delle
condizioni economiche e contrattuali sottostanti le transazioni prese ad esame.
In particolare, i verificatori non hanno attribuito alcuna rilevanza agli elementi
di natura finanziaria influenzanti la determinazione del prezzo. Se, ad esempio, la ZZ
S.p.A. vendesse direttamente a dei clienti dell'Algeria, che normalmente, invece,
acquistano dalla consociata francese competente per quell'area geografica, sarebbe
esposta sia al rischio di cambio, dovendo regolare le transazioni in dollari USA,
mentre le cessioni con la società francese, effettuate, in euro ne sarebbero esenti, sia al
rischio di credito, dovuto al mancato incasso.
Infine, i verificatori non hanno neppure apportato, ai fini della comparabilità
delle transazioni, aggiustamenti volti a considerare i diversi volumi di forniture, né
valutato che la società italiana svolge numerose funzioni sopportandone i relativi costi.
4.2.2 IL METODO DEL PREZZO DI RIVENDITA
Da quanto sopra visto, nonostante il metodo del confronto del prezzo sia sulla
carta e nelle intenzioni perfetto ed inoppugnabile nella sua logicità, risulti nella pratica
difficilmente applicabile, tenuto conto, che sempre più spesso, ci troviamo di fronte a
transazioni che presentano tante e tali differenze, da impedirne in concreto una
corretta comparazione. In tali casi, può essere opportuno valutare la possibilità di
applicare il metodo del prezzo di rivendita (Resale Price Method).
Questo metodo si basa sul prezzo al quale un prodotto, acquistato da
un'impresa associata, è rivenduto ad un'impresa indipendente ad un prezzo c.d. di
rivendita. Tale prezzo viene poi ridotto di un adeguato margine lordo (resale gross
margin), che rappresenta l'ammontare necessario al rivenditore per coprire i propri
costi (relativi alle funzioni svolte) e realizzare un profitto "appropriato".
Ed è proprio la determinazione di tale margine, che rappresenta il punto più
delicato di questo metodo. Esso deve essere ricavato da rivendite comparabili
effettuate dalla società verificata a terzi indipendenti o avvenute tra terzi indipendenti.
Come nel metodo del confronto del prezzo, anche in questo caso, la sua validità
dipende da una approfondita analisi comparativa delle transazioni verificate e dalle
eliminazione, ove possibile, delle differenze, che influenzano il margine di rivendita.
Il metodo è proficuamente utilizzabile nelle ipotesi in cui il rivenditore non
aggiunge valore sostanziale al prodotto, limitandosi alla mera commercializzazione;
nelle transazioni in cui il tempo tra l'acquisto e la rivendita è particolarmente ridotto,
tale da poter trascurare fattori dinamici, quali il tasso di cambio, le variazioni di
mercato, i costi; ed infine ove esista la possibilità di comparazioni di natura contabile.
Al contrario, se siamo in presenza di transazioni, che riguardano beni che
devono essere lavorati o incorporati in altri o se il rivenditore, nello svolgimento della
propria attività, impiega beni ad elevato contenuto tecnologico, utilizzando know -how
proprio, il metodo RPM potrebbe portare ad una sottovalutazione dell'utile di
competenza del rivenditore associato.
L'utilizzo di questo metodo presenta come vantaggio quello di essere
maggiormente svincolato dalle differenze del prodotto, che difficilmente influenzano i
margini di profitto in modo sostanziale.
Normalmente, infatti, il margine lordo dipende in misura rilevante dalle
funzioni svolte dal rivenditore; in altre parole, più numerose e complesse sono le
funzioni svolte dal rivenditore, più elevato sarà il margine del prezzo di rivendita. Al
riguardo, le direttive OCSE del 1995 affermano " The resale price margin could be higher
where it can be demonstrated that the reseller has some special expertise in the marketing of such
goods, in effect bears special risk, or contributes substantially to the creation or maintenance of
intanglible property associated with the product" (par. 2.24).
Svantaggi nell'applicazione di questo metodo potrebbero, invece, derivare da
una diversa modalità di contabilizzazione dei costi all'interno dei bilanci delle imprese
in esame. In tal senso, può essere utile riportare l'esempio fornito dalle Guidelines al
paragrafo 2.29 e 2.30.
L'esempio ipotizza due società A e B entrambi distributori sullo stesso mercato
(Italia) di un determinato prodotto, realizzato da C in altro paese (Inghilterra). Su tutti
i prodotti venduti viene offerta la garanzia del prodotto, ma mentre la società A
sopporta in proprio la funzione "garanzia", la società B non assume tale rischio. Se la
società A contabilizza i costi correlati al servizio di garanzia tra i costi dei beni venduti,
l'aggiustamento del margine lordo di profitto è automatico; se, invece, li contabilizza
tra le spese di gestione, sarà necessario apportare un aggiustamento.
4.2.3 IL METODO DEL COSTO MAGGIORATO
Alternativamente al metodo del prezzo di rivendita, può essere utilizzato il
metodo del costo maggiorato (Cost Plus Method), soprattutto quando l'impresa non
si limiti alla commercializzazione del prodotto, bensì provveda alla sua produzione o
trasformazione. Esso si basa sui costi sostenuti dal fornitore dei beni e dei servizi nel
corso della transazione controllata per beni trasferiti o servizi forniti ad un acquirente
collegato.
Il costo complessivo di produzione viene poi incrementato di una percentuale
di ricarico definita mark up, che rappresenta quel margine di utile adeguato a
remunerare le funzioni svolte dall'impresa e i rischi assunti, in relazione alle condizioni
oggettive e soggettive dell'operazione. Il risultato può essere considerato come prezzo
di libera concorrenza della transazione controllata.
Anche in questo caso, sarà necessario elaborare un confronto comparativo con
imprese indipendenti. Tanto più le transazioni comparabili saranno vicine alle
transazioni poste in essere tra le imprese associate, maggiore sarà l'attendibilità del
metodo.
Due sono le variabili da individuare: il costo di produzione e il margine da
applicare.
In relazione al primo, va subito detto, che sia il Ministero, che le direttive
OCSE fanno riferimento al cosiddetto “costo pieno della produzione”, il quale
comprende tutte le variazioni positive e negative connesse all'effettiva produzione. In
particolare, esso è costituito da:
costo dei materiali utilizzati (materie prime ed accessorie)
costo della manodopera diretta
costi indiretti di produzione o industriali
quota delle spese generali imputabili alla produzione
Va rilevato, che a seguito del recepimento in Italia della IV Direttiva UE, sia la
norma civile con l'articolo 2426, che quella fiscale utilizzano la medesima
terminologia.
Il margine utile lordo può essere determinato comparando il margine
dell'operazione in verifica con quello ricavato dallo stesso soggetto nella vendita a terzi
di prodotti o servizi similari sullo stesso mercato e con funzioni identiche a quelle
delle operazioni in verifica.
In mancanza di vendite a terzi, il margine di utile corrisponde a quello ricavato
da terzi indipendenti in vendite similari con uguali funzioni.
Infine, in assenza anche di queste ultime, si dovrà ricorrere ad una
comparazione delle funzioni esercitate dal produttore con quelle esercitate da terzi.
La facilità di reperire queste informazioni da parte degli organi di controllo
dipende dal tipo di impresa verificata. Nel caso di impresa, che commercializza in
Italia i prodotti fabbricati da una capogruppo controllante o da altra associata estera, i
dati necessari per l'applicazione del CPM potrebbero essere ricavati al suo stesso
interno: il costo di acquisto, il costo aggiuntivo dovuto alle funzioni svolte, il prezzo
netto di rivendita a terzi distributori o a clienti finali; più difficoltoso sarebbe poter
confrontare una transazione analoga non controllata posta in essere dalla consociata
estera. A tal fine si potrebbero richiedere gli elementi necessari alla società italiana,
affinchè essa stessa provveda ad ottenerli dalla consociata estera oppure attivare una
procedura di scambio di informazioni con le Autorità fiscali estere.
L'attività di reperimento delle informazioni diventa estremamente più semplice
in presenza di una capogruppo italiana o di una impresa produttrice in Italia, in quanto
tutti i dati di cui i verificatori necessitano sono reperibili sul posto.
Con riguardo a tale metodo, va detto, che, a causa della complessità e la natura
delle valutazioni da effettuare, la circolare ministeriale ne sconsiglia la metodica
applicazione nel primo caso sopra rappresentato e cioè di vendita da parte di
controllante estera a controllata italiana. Pur tuttavia, il metodo del costo maggiorato,
risulta quantitativamente il più utilizzato nelle verifiche fiscali15.
Tutti i metodi tradizionali finora affrontati rappresentano il mezzo più diretto
per poter stabilire se le condizioni nelle relazioni commerciali e finanziarie tra imprese
di un gruppo multinazionale siano in linea con il principio di libera concorrenza e
quindi sono quelli da preferire a qualunque altro metodo.
Tuttavia, le complessità, che si riscontrano durante l'analisi delle concrete
situazioni di affari, possono generare serie difficoltà nel modo di applicazione di questi
metodi. In tali situazioni eccezionali, ove i dati non sono disponibili o di scarsa qualità,
è possibile ricorrere ai c.d. metodi alternativi o reddituali.
4.3 I METODI REDDITUALI SECONDO L'AMMINISTRAZIONE ITALIANA
I metodi alternativi espressamente previsti dalla circolare del 1980 sono:
ripartizione dei profitti globali;
la comparazione dei profitti;
la redditività del capitale investito;
i margini lordi del settore economico.
15
Il dato è emerso durante la relazione del Colonnello D'Alfonso del Nucleo di Polizia Tributaria della
Lombardia in un convegno sul transfer pricing tenutosi a Milano nel gennaio del 1999.
Il metodo della ripartizione dei profitti globali consiste nel ripartire tra due
imprese associate i profitti complessivi, derivanti dalle vendite tra loro effettuate, in
proporzione dei costi sostenuti.
L'adozione di questo metodo è sconsigliata dall'Amministrazione, sia perché
non tiene conto delle variabili "mercato" e "situazione economica dell'impresa", sia
per l'elevato grado di arbitrarietà.
Ad esso, tuttavia, si potrebbe ricorrere nel caso in cui le convenzioni
internazionali consentano il coordinarsi delle amministrazioni fiscali dei diversi paesi,
per un'equa ripartizione dei profitti globali tra le entità interessate.
Il metodo della comparazione dei profitti, invece, prevede il confronto tra i
saggi di profitto lordi, calcolati come percentuali dell'utile in relazione alla cifra di
affari delle vendite o dei costi d'esercizio, conseguiti dall'impresa in verifica e quelli di
altre entità nel medesimo settore economico.
Al riguardo, l'Amministrazione, nel fornire alcuni criteri per indirizzare i
verificatori nella utilizzazione del metodo, ha precisato che oggetto della
comparazione devono essere:
solo gli utili derivanti dalla vendita di beni oggetto di verifica, senza l'estensione
ai profitti globali dell'impresa, evitando, così, possibili effetti distorsivi, nei casi in cui
gli utili connessi alla commercializzazione di una serie di prodotti compensino le
perdite subite nella vendita di altri;
più imprese operanti nel settore specifico dell'impresa verificata;
i profitti di imprese situate in stati esteri;
più esercizi fiscali, onde prevenire fluttuazioni cicliche;
imprese con analoghe caratteristiche dimensionali, strutture di controllo e
funzioni.
Il
metodo della redditività del capitale investito è considerato
dall'Amministrazione finanziaria un metodo poco affidabile e arbitrario, poiché non
tiene conto, che i tassi di profitto reale variano in relazione ai rischi assunti
dall'impresa ed al settore economico, in cui la stessa opera. Esso, infatti, è basato
proprio sulla individuazione di un saggio di rendimento del capitale applicato al
capitale investito dall'impresa verificata nella transazione controllata.
L'ultimo metodo, quello dei margini lordi del settore economico, viene appena
accennato nella citata circolare, la quale dopo aver affermato, che dal suo utilizzo
possono derivare validi indicatori, si limita a fornirne una possibile formula di
calcolo 16.
4.4 I METODI REDDITUALI SECONDO LE GUIDELINES OCSE DEL 1995
Dalla lettura del documento OCSE, nella parte relativa ai metodi reddituali,
traspare una maggiore apertura all'utilizzo di questi metodi rispetto al precedente
Rapporto del 1979 e quindi alla stessa circolare ministeriale. L'OCSE li considera,
infatti, rispondenti ai requisiti previsti dal principio di libera concorrenza, pur
ammettendo l'utilizzo degli stessi solo come strumenti alternativi e secondari rispetto a
16
Tasso di profitto lordo = (Ricavi-Costi)/Costi
quelli tradizionali e non automatici. In nessun caso, tuttavia, essi potranno applicarsi in
modo tale da determinare un'eccessiva imposizione di quelle imprese (over-taxing
enterprises), che realizzano profitti più bassi della media, o un'imposizione più bassa
per quelle imprese (under-taxing enterprises), che realizzano profitti più alti della
media.
Due, in particolare, sono i metodi basati sulle transazioni (transactional profit
methods) riconosciuti dall'OCSE:
Profit Split Method (metodo di ripartizione dell'utile);
Transactional Net Margin Method (metodo del margine netto delle
transazioni).
Il
PSM
si basa principalmente sulla determinazione dell'utile
complessivamente conseguito dalle imprese in una transazione controllata e la sua
successiva ripartizione tra le imprese stesse, secondo un criterio capace di riflettere una
ripartizione di utili posta in essere da imprese indipendenti.
Il suo impiego poggia sull'assunto, che, spesso, gli scambi economici sono
talmente correlati, da non poter essere valutati in modo autonomo.
Per quanto riguarda i criteri di determinazione dell'utile, l'OCSE precisa, che
normalmente l'utile da considerare è quello di esercizio, ma che, in determinate
occasioni, può rivelarsi più appropriato considerare una ripartizione dell'utile lordo e,
successivamente a livello di singola impresa, dedurre le spese sostenute da ciascuna. E'
il caso, ad esempio, di una multinazionale, che svolge operazioni commerciali
altamente integrate e che coinvolgono vari tipi di beni, dove è possibile individuare le
imprese in cui le spese sono sostenute, ma non le attività commerciali cui quelle spese
si collegano.
Un'ulteriore indicazione riguarda le Amministrazioni fiscali, che nell'operare i
controlli circa la corretta applicazione di questo metodo, dovrebbero tener conto non
tanto dei profitti realizzati, ma di quelli attesi dalle imprese, dal momento, che il
contribuente non avrebbe potuto immaginare, all'epoca in cui furono stabilite le
condizioni della transazione controllata, quali sarebbero stati gli utili effettivamente
derivanti dall'operazione posta in essere.
Una volta determinato l'utile derivante dalla transazione controllata, occorre
definire i criteri della sua ripartizione. Il Rapporto individua, in particolare, due
approcci diversi per stimare tale divisione, considerati non necessariamente esaustivi e
alternativi.
Il criterio basato sulla contribution analisys (analisi del contributo) ripartisce tra
le imprese associate l'utile cosiddetto combinato, cioè quello complessivamente
derivante dalle transazioni esaminate (generalmente dedotto delle spese operative),
sulla base del valore delle funzioni svolte da ciascuna impresa. Tale valore viene
determinato, nei casi un cui non può essere misurato direttamente, secondo i valori di
mercato.
Nella residual analisys (analisi residuale), che a parere dell'OCSE dovrebbe
riprodurre l'esame del risultato della contrattazione tra imprese indipendenti, il
processo di ripartizione avviene su due livelli.
Innanzitutto, ad ogni partecipante alla transazione viene attribuito un profitto
sufficiente a remunerare in modo appropriato la transazione intrapresa, secondo i
compensi di mercato ottenuti da imprese dipendenti in transazioni comparabili.
Successivamente, si procede a ripartire il profitto (o la perdita) esaminando le
circostanze ed i fatti utili a comprendere come tale residuo sarebbe state suddiviso tra
soggetti indipendenti, utilizzando, ad esempio, quali indicatori del contributo delle
parti, i beni immateriali apportati o le relative posizioni contrattuali.
Come tutti metodi finora analizzati, anche quello basato sulla ripartizione dei
profitti presenta vantaggi e svantaggi, che lo stesso Rapporto OCSE 1995 puntualizza.
I vantaggi derivano dalla possibilità di applicarlo, prescindendo dalla
comparabilità delle transazioni e dal fatto che esso prende ad esame entrambe le parti
della transazione controllata (the two sided approach), evitando di attribuire ad
un'impresa del gruppo un eccezionale realizzo di utili.
Per contro, l'eventuale scarsa relazione tra i dati di mercato, presi come base per
la valutazione del contributo di ciascuna impresa alla determinazione del profitto, e le
transazioni controllate, può provocare un eccesso di soggettività nella ripartizione.
Il metodo è stato, peraltro, fortemente criticato, sia dalla dottrina, che dalle
associazioni di operatori economici, in quanto incapace di raggiungere risultati di
libera concorrenza e di fatto scarsamente utilizzato dalle imprese.
Il metodo del margine netto delle transazioni prende in considerazione il
margine dell'utile netto relativo ad una base appropriata di costi, vendite o attività, che
l'impresa realizza in una transazione o gruppi di transazioni verificate. Tale metodo
opera, di fatto, in modo analogo al metodo del costo maggiorato e del prezzo di
rivendita, richiedendo l'effettuazione di una approfondita analisi funzionale, volta ad
individuare la comparabilità delle transazioni, con tutti i problemi, che da questa ne
derivano.
A favore di tale metodo si adduce il fatto, che esso si può applicare anche
quando risulti difficoltoso l'utilizzo dei metodi tradizionali a causa di differenze nelle
transazioni e nelle funzioni, delle quali non si riesca a tener conto tramite appropriati
aggiustamenti; ciò in quanto i margini netti di redditività meglio tollerano le predette
differenze, rispetto ai margini di utile lordo.
Di converso, i margini netti possono essere influenzati da alcuni fattori, che
non hanno incidenza, o ne hanno una meno diretta, sul margine lordo o sul prezzo.
Tra questi fattori ricordiamo le spese operative, che variano notevolmente tra le
diverse imprese, la posizione competitiva sul mercato, l'efficienza del management, la
differenza nel costo del capitale, ecc.
Da un punto di vista operativo, infine, quello che scoraggia sia i contribuenti,
che le Amministrazioni fiscali all'utilizzo di questo metodo è la difficoltà di reperire
informazioni necessarie per la sua corretta ed efficace applicazione.
5. TENDENZE EVOLUTIVE DEL TRANSFER PRICE NELL'UNIONE
EUROPEA.
In tutta l'analisi fin qui svolta, si è cercato di focalizzare l'attenzione sulle
principali problematiche connesse alla esatta individuazione di un prezzo di libera
concorrenza, da adottare come parametro nelle transazioni, che sia in grado, da un
lato, di porre al riparo le imprese multinazionali da possibili accertamenti rettificativi
da parte degli organi deputati al controllo, dall'altro, di consentire a questi ultimi una
più puntuale e fiscalmente equa applicazione della normativa. Ne è risultato un quadro
complessivo, che, se pur teoricamente, capace di fornire risposte in presenza delle più
svariate condizioni, attraverso l'utilizzo dei diversi metodi messi a disposizione, risulta,
invece, caratterizzato, sul piano pratico, da una estrema incertezza.
Ciò è dovuto essenzialmente alla continua evoluzione, che spinge le imprese a
rimodellare costantemente i propri comportamenti e le proprie strategie di mercato.
A ciò si deve aggiungere, con riferimento all'Italia, una preoccupante inerzia sia
del legislatore, che della stessa Amministrazione finanziaria sul piano normativo ed
interpretativo. Sembra incredibile, che l'unico vero intervento in un settore dove
potrebbero annidarsi fenomeni elusivi di massicce dimensioni,
sia ancora
rappresentato da una sola circolare, ormai datata nel tempo.
Anche sul fronte comunitario, i passi compiuti negli ultimi vent’anni verso un
concreto coordinamento della tassazione in ambito UE sono stati limitati.
Al riguardo, tuttavia, si deve segnalare un importante studio predisposto dai
Servizi della Commissione europea in tema di "Tassazione delle società nel mercato
interno, che ha evidenziato tutti gli ostacoli fiscali alla sua completa realizzazione.
Tra questi ostacoli, ampia rilevanza è stata data proprio ai prezzi di
trasferimento, considerati causa di elevati costi di conformità per le imprese e fonte di
potenziale doppia imposizione per le operazioni infragruppo. A ciò si deve aggiungere
la tendenza, dettata dalla paura di manipolazioni dei prezzi di trasferimento, ad
imporre, da parte degli Stati membri, obblighi in materia di documentazione sempre
più onerosi e la presenza di sostanziali differenze nell'applicazione specifica dei
metodi di determinazione del valore normale all'interno dei medesimi.
Lo studio conclude affermando, che, se da un lato, esistono sul mercato
imprese che adottano pratiche aggressive in materia di prezzi di trasferimento,
dall'altro, tuttavia, esistono rilevanti difficoltà per le società, che in buona fede, tentano
di rispettare la complessa e spesso contrastante normativa applicata dai diversi Stati.
Ciò, a giudizio della Commissione, sta "diventando il problema fiscale
internazionale più importante per le società".
In tal senso, la Commissione, nel tentativo di stimolare le discussioni sul tema
di cui trattasi e al fine di creare consensi e posizioni di supporto nella comunità
internazionale, ha utilizzato sempre più frequentemente lo strumento della
Comunicazione.
Di particolare rilevanza appare la Comunicazione n. 582 del 25 ottobre 2001,
che dopo il Rapporto Ruding del 1999 rappresenta la prima vera e chiara posizione
della Commissione sulle principali tematiche in materia di fiscalità d’impresa.
Scopo primario è quello di promuovere il ravvicinamento dei sistemi fiscali
domestici e del livello di imposizione transfrontaliero, attraverso l’adozione di misure
tese a contenere le distorsioni esistenti nel Mercato interno e a rimuovere tutti gli
ostacoli all’esercizio di attività transnazionali.
La strategia proposta dalla Commissione si articola su due livelli di intervento:
uno di breve periodo, caratterizzato da interventi mirati e l’altro, di natura globale a
medio e lungo termine, finalizzato alla realizzazione di un sistema fiscale europeo
alternativo e opzionale rispetto a quello nazionale, che consentirebbe alle imprese
multinazionali di determinare per le attività transnazionali la base imponibile in forma
consolidata17.
Con particolare riferimento alla problematica dei prezzi di trasferimento, la
Commissione, ha proposto la costituzione di un Forum di esperti.
Il Consiglio, nelle Conclusioni dell'11 marzo 2002, ha approvato la proposta e
in data 2 agosto 2002 si è costituito a Bruxelles il Forum denominato EU Joint
Transfer Pricing Forum, composto da un esperto per ogni Stato membro e da 10
esperti esterni.
L'obiettivo principale del Forum è quello di implementare le Guidelines OCSE
del 1995 negli Stati membri, focalizzando l'attenzione sul tipo di documentazione, che
una società del gruppo deve preparare per dimostrare, che essa ha applicato il
principio di libera concorrenza, cercando, altresì, di bilanciare il diritto delle
amministrazioni fiscali a richiedere ed ottenere dai contribuenti il maggior ammontare
di informazioni con i costi di adeguamento, che ogni documentazione implica per le
imprese.
La sola esistenza di differenti set di documentazione richiesti dai vari Stati
membri rappresenta un onere addizionale per una società, che pone in essere
transazioni con imprese consociate estere, e avvantaggia le transazioni nazionali, con
grave pregiudizio delle libertà fondamentali.
A tale proposito, la Commissione ha richiamato l'attenzione sull'esperienza
della Pacific Association of Tax Administrators (PATA), che include l'Australia, il
Canada, il Giappone e gli Stati Uniti, all'interno della quale ci si è accordati sul set di
documentazione, che i contribuenti devono predisporre e che può essere richiesta in
sede di controllo, assicurando in tal modo uniformità e riduzione dei costi per le
imprese multinazionali.
Il Forum dovrebbe, infine, supportare lo sviluppo di uno strumento, che a
parere della Commissione, potrebbe risolvere molti dei problemi sin qui accennati: gli
Advance Pricing Agreement.
Tali accordi rappresenterebbero, di fatto, per i contribuenti, un mezzo per
richiedere un ruling vincolante alle amministrazioni fiscali sul trattamento di future
transazioni infragruppo.
17
La Common consolidated base taxation si fonda su una bozza di proposta di sull’armonizzazione dei
criteri di determinazione del reddito d’impresa elaborata dalla Commissione nel 1998. In sostanza,
prevede un’unica normativa fiscale condivisa da ogni Stato membro che porterebbe alla
individuazione di una base imponibile successivamente distribuita ai medesimi in base ad una formula
predeterminata.
Obiettivo del Forum dovrebbe essere quello di semplificare le procedure di
conclusione di tali accordi, riducendo i costi per le imprese e i tempi richiesti. Ciò
consentirebbe di utilizzare questo meccanismo anche alle piccole e medie imprese, per
le quali la Commissione ipotizza delle procedure agevolative nella forma di "mini APA".
Allo stato attuale il Forum, che nel frattempo si è riunito sei volte dalla sua
costituzione, l’ultima delle quali in data 11 dicembre 2003, ha analizzato, sulla scorta
delle indicazioni fornite dalla Commissione, le questioni di maggior rilievo che saranno
oggetto di un Report sui risultati intermedi finora raggiunti di prossima pubblicazione.
Il processo sopra delineato è solo all’inizio, ma rappresenta un forte segnale
delle istituzioni per la risoluzione di un problema ormai di natura strategica.
Fabio Le Donne
Funzionario dell’Ufficio del coordinamento legislativo