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18 dicembre 2013
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Mercati
L’economia dall’oca
Andrea Bucci
Integrazione, certificazione
e marketing descrivono filiere
di successo.
La domesticazione dell’oca risalirebbe addirittura al
Neolitico. I primi reperti, infatti, provengono da scavi
eseguiti in alcune necropoli risalenti a 6 mila anni fa nel
nord-est Europa dove ossa di oche (sistemate nelle
tombe a titolo di nutrimento dei defunti) presentavano
già una deformazione delle articolazioni dovute
all’aumento del peso corporeo in seguito all’addomesticamento.
La notorietà dell’oca si ritroverebbe anche nelle tombe e
nei monumenti egizi dai quali emergerebbe come questo volatile fosse oggetto di venerazione. Se Omero elogia l’oca nei suoi canti, Plinio rammenta l’importanza
che le oche ebbero nella famigerata vicenda del Campidoglio dove narra “l’oca vigila anche quando i cani
dormono”.
In epoca romana, Carlo Magno favorì lo sviluppo
dell’avicoltura. L’oca forniva non solo le preziose piume,
ma anche carni pregiate. Ancora oggi in Inghilterra
l’arrosto d’oca è il piatto tradizionale da consumare nel
giorno di San Michele. Durante il regno di Luigi XVI in
Francia, invece, fu preparato per la prima volta il patè
di fegato grasso con i tartufi. Nei secoli successivi furono soprattutto Cina e Russia a specializzarsi nella produzione di piume d’oca.
Sebbene anche oggi la carne d’oca non sia in genere un
alimento consumato quotidianamente, la tradizione europea le attribuisce ancora un grande valore gastronomico tanto da riservarne il consumo per le occasioni più
importanti. Se in Svizzera è rinomatissimo l’arrosto
d’oca ripieno di fette di mele renette, in Italia e, in particolare nelle regioni dell’Italia centrale, si mangia tradizionalmente l’oca a Ognissanti; in Lombardia si gusta
l’oca nei giorni di San Silvestro e di San Siro.
L’animale domestico ha conservato buona parte delle
caratteristiche degli animali selvatici. L’azione di mi-
glioramento genetico dell’uomo ha condizionato soprattutto la mole e il piumaggio. Attualmente nel mondo vi
sono più di 100 razze distinguibili soprattutto per le
dimensioni: il peso varia dai 4-5 kg per le razze leggere
fino a raggiungere i 14-16 kg per quelle pesanti. Le razze
più note sono l’oca di Roma (romagnola o italiana, come vuole lo standard ufficiale), che comprende anche la
varietà col ciuffo selezionata in America, l’oca cignoide
o della Guinea, l’oca di Shetland, l’oca di Normandia e
l’oca di Poitou. Tutte razze appartenenti alla categoria
di piccola taglia. Poi vi sono quelle di media taglia: l’oca
Pilgrim, l’oca di Pomerania, l’oca di Touraine, l’oca
d’Alsazia, la Sebastopoli (con il caratteristico piumaggio
arricciato). Infine, vi sono le razze giganti: la famigerata
oca di Tolosa, di cui esistono due tipi – quella industriale con bavetta e quella agricola senza bavetta –, l’oca di
Embden, l’oca Africana (derivante dall’oca della Guinea
ma di grossa mole e provvista di bavetta) e l’oca di
Bourbonnais.
Ogni razza ha un’attitudine specifica. Vi sono le razze da
carne e da fegato (Bourbonnais, Embden, Tolosa, Pomerania, Touraine, Grigia delle Lande), quelle da carne
con poco grasso (Alsazia, Padovana, Normandia), quelle
da pelle e da piume (la bianca di Poitou e la Romana).
Per quanta riguarda l’Italia, in Lomellina l’allevamento
dell’oca ha tradizioni antichissime, risalenti all’epoca
romana. L’allevamento si sviluppò soprattutto per ragioni culturali in quando, proprio in Lomellina, nel
quindicesimo secolo Ludovico Sforza autorizzò insediamenti ebraici. Come è noto, la religione ebraica, al
pari di quella musulmana, non consente il consumo di
carne di maiale. Per questo motivo il salame di carne
d’oca divenne tra i prodotti di maggiore consumo delle
popolazioni locali. Negli anni successivi, grazie agli
scambi commerciali, la comunità ebraica diffuse questa
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tradizione gastronomica oltre i confini della Lomellina.
La carne d’oca divenne quindi un alimento che "univa"
almeno sotto l’aspetto gastronomico le principali religioni del tempo. L’oca forniva carne kasher, ossia pura;
l’aggettivo “ecumenico”, utilizzato ancora oggi per il salame crudo d’oca, si riferisce proprio al suo possibile
consumo da parte dei professanti del cristianesimo,
dell’ebraismo e dell’islam.
L’allevamento delle oche era un’attività integrativa
dell’agricoltura che si espletava senza particolari difficoltà grazie alle ridotte esigenze alimentari degli animali. L’allevamento delle oche, affidato principalmente alle
donne, era caratterizzato in gran parte dal pascolo dopo
un ingrasso forzato a base di granoturco. Questa forma
di allevamento era capace di integrare significativamente il reddito delle famiglie in quanto a fronte di bassi investimenti, come per il maiale, dell’oca non si buttava
nulla.
Con il boom economico seguito alla seconda guerra
mondiale e il conseguente abbandono delle campagne,
l’allevamento dell’oca ha subito un netto ridimensionamento, seguita da una lenta ripresa dalla fine degli
anni Sessanta.
in un circuito altamente integrato. Ogni fase di lavorazione del prodotto, dall’allevamento alla distribuzione, è
caratterizzata da elevati standard qualitativi come il ridotto contenuto di nitriti, il basso contenuto di sodio,
l’assenza di glutine e la shelf life garantita di 120 giorni,
periodo durante il quale i prodotti mantengono le caratteristiche di qualità sia da un punto di vista igienicosanitario, sia nutrizionale e organolettico. La filiera oca
sforzesca abbina fasi di lavorazione artigianale, come il
sezionamento, con un’organizzazione efficiente e meccanizzata che sfrutta le più moderne tecnologie per garantire entro le 24 ore dalla macellazione la preparazione dei diversi tagli. Una delle "sfide" di queste produzioni è evitare le contaminazioni da salmonella per
mezzo dell’abbattimento della temperatura sotto i 4,5
gradi.
L’informatizzazione è forse l’elemento che più condiziona positivamente la filiera consentendo la tracciabilità
di ogni partita e il controllo da remoto di ogni fase della
filiera. Un elemento importante tanto nel controllo della
sicurezza alimentare permettendo che ogni fase avvenga
secondo i protocolli della filiera, quanto per la clientela
che si sente più rassicurata da un ulteriore strumento di
controllo dei parametri di qualità.
Il sistema di tracciabilità – che comporta la raccolta di
una grande quantità di informazioni per ogni lotto di
produzione – è un vantaggio che aiuta i processi gestionali e le scelte a essere formulati secondo criteri razionali e di efficienza. In dettaglio, il sistema informatico
che accompagna la filiera permette:
• un buon livello di precisione per singolo lotto di produzione;
• l’associazione delle informazioni raccolte a uno specifico lotto di produzione;
• la ricostruzione della storia e dell’itinerario completo
effettuato lungo la filiera del lotto di produzione riportato sui documenti commerciali;
• la risposta veloce alle richieste dei clienti e alle eventuali non conformità riscontrate in un ottica di miglioramento continuo.
I dati, al momento inseriti tramite tablet, sono immediatamente archiviati nell’ambito del sistema aziendale.
Inoltre, il trasporto dei prelavorati e del prodotto finito
è effettuato con materiale plastico sanificabile e quindi
riutilizzabile. Scelta, questa, che consente la riduzione
dell’incidenza dei costi di smaltimento dell’imballaggio
tradizionale di circa 100 grammi di cartone per kg di
carne. Per quanta riguarda le emissioni di anidride car-
L’oca sforzesca
Ancora oggi l’allevamento dell’oca è praticato in Lomellina. Il salame d’oca di Mortara, produzione a Indicazione geografica protetta, è una delle produzioni agroalimentari a più alto valore aggiunto che contraddistingue la zona. La concentrazione di una produzione tipica
dalla consolidata tradizione e dall’elevato valore commerciale in un’area relativamente poco estesa ha permesso l’organizzazione di una filiera produttiva capace
di conciliare tradizione e innovazione.
Il progetto Oca sforzesca è stato premiato nell’ottobre
2012 da Regione Lombardia e dalla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Pavia nel luglio 2013 per innovazione e potenzialità di crescita. Il
progetto consiste nella costruzione di una filiera dove
l’integrazione è particolarmente accentuata. Oca sforzesca potrebbe rappresentare un esempio per tutte quelle
aziende agroalimentari che sentono l’esigenza di evolvere sia per offrire un prodotto di maggiore qualità, sia
per sfruttare al meglio le economie di scala e l’efficienza
derivante dall’innovazione tecnologica.
I prodotti della tradizione lombarda a base di oca quali
il cotto, il cotechino, il salame, il petto, la bresaola, la
coscia, il fegato e il grasso sono state riprese e inserite
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bonica ciò significa un risparmio di circa 74 grammi per
chilo di carne.
Strategie di marketing e certificazione
Le scelte tecnologicamente più innovative e il presidio
costante dei processi produttivi e gestionali, tuttavia,
non sono sufficienti a garantire la sostenibilità economica della filiera. Infatti, per assicurare una buona redditività è necessario vendere il prodotto. La filiera in
oggetto a partire dal nome “Oca sforzesca” è riuscita a
dare una caratterizzazione specifica dei propri prodotti
che li rende inconfondibili sul mercato. Innanzitutto,
l’elaborazione del logo (un’oca stilizzata in giallo oro
con una corona sul capo) è riuscita, oltre che a dare una
connotazione immediata sulla natura del prodotto, a
comunicarne l’elevato valore commerciale e gastronomico. A questo si affianca il riferimento alla tipicità e al
legame con il territorio con la parola sforzesca. Una
scelta che fornisce un ulteriore valore storico-culturale
al prodotto, particolarmente apprezzato dai mercati esteri e dalle fasce di medio-alto reddito.
La filiera ha sviluppato vie preferenziali di vendita con i
mercati esteri, Russia e Paesi arabi in particolare, anche
in ragione del fatto che un prodotto senza carne suina è
apprezzato per l’alimentazione delle popolazioni musulmane. A garanzia di questo aspetto, la filiera Oca
sforzesca si è dotata (a oggi l’unica in Italia) della certificazione Halal. Si tratta di un sistema che attesta che le
produzioni certificate sono compiute nel pieno rispetto
del credo musulmano sia per quanto riguarda le materie
prime utilizzate, sia per i processi che in molti casi devono essere accompagnati da specifici riti.
La popolazione di religione musulmana ha raggiunto
una numerosità considerevole in tutta Europa (in Italia
sono un milione e mezzo) condizionando sensibilmente
la domanda di prodotti agroalimentari e la gestione delle mense presso aziende, ospedali e scuole. La certificazione dei prodotti alimentari in questo contesto potrebbe avere nei prossimi anni una grande rilevanza modificando, almeno in parte, le filiere e incentivando una
certa differenziazione dell’offerta.
Andrea Bucci, dottore agronomo e giornalista pubblicista, è
caporedattore di Intersezioni.
www.intersezioni.eu
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