La dignità dei laici. Apostolicam Actuositatem (I parte): il preconcilio

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La dignità dei laici. Apostolicam Actuositatem (I parte): il preconcilio
Parrocchia Cristo Re – Milano
Scuola parrocchiale di teologia – AP 2012-13
Il Concilio Vaticano II: origini, storia e prospettive.
VI incontro: lunedì 5 novembre 2012
La dignità dei laici. Apostolicam Actuositatem
(I parte): il preconcilio e il dibattito.
I. Il preconcilio
Per affrontare la lunga storia del laicato lungo i due millenni di cristianesimo è necessario
richiamare i fattori sociali, culturali e politici che, nello scorrere della storia umana, hanno influito
sulla vita della Chiesa (cfr. LG n. 8). Possono pertanto essere individuate alcune fasi, scandite dai
vari periodi storici.
I.1. Il laicato nella prima comunità cristiana
Come noto, non c'è una distinzione fra chierici e laici nei vangeli, dove il termine laico non
è utilizzato. Il termine compare per la prima volta nella Epistola di Clemente romano ai Corinzi
(40,5), scritta tra il 96 e il 98 d.C, per definire una persona appartenente al popolo di Dio che non
svolge la funzione di chierico.
Nel Nuovo Testamento e in particolare negli Atti degli Apostoli, la prima comunità
cristiana appare nella sua unità come l'insieme dei credenti. All'interno esistono compiti diversi:
oltre agli apostoli, troviamo infatti i presbiteri, i diaconi, coloro che maggiormente esercitano il
dono della profezia, ecc. La stessa partecipazione liturgica è comunitaria e non esistono strutture
giuridiche o comunque organizzative di rilievo. L'esercizio della carità è vissuto dentro questa
fondamentale dimensione di coinvolgimento. Le prime chiese domestiche si formano attorno a
fedeli laici, in genere abbienti, che mettono a disposizione le proprie case per gli incontri dei
cristiani, soprattutto per la fractio panis. Portano una traccia di questa presenza alcuni antichi titoli
di chiese romane e le catacombe, ad esempio, di Priscilla e di Domitilla. Spesso sono laici anche
coloro che sostengono economicamente le chiese e si occupano dei poveri. Si pensi a quanto
accade a Gerusalemme (cfr. At 11, 28-30; 2Cor 8, 11-15). Paolo sarà sostenuto economicamente
dalla comunità dei Filippesi (cfr. Fil 4,15-16). A Corinto Aquila e Priscilla (cfr. At 18, 2-3), Ninfa
a Laodicea (cfr. Col 4,15), Maria a Gerusalemme (cfr. At 12,12) si spendono in vari modi
dedicando se stessi a servizio dei fedeli (1Cor 16,15)e lavorando per il Signore (Rm 16,12).
Si potrebbero individuare differenti ministeri svolti dai laici nella prima Chiesa: presenze
carismatiche (cfr. ICor 14), donne che si dedicano ai consigli evangelici (cfr. At 21, 8-9), vergini e
vedove, in qualche caso identificate come vere e proprie diaconesse, ad esempio coinvolte nella
catechesi battesimale (cfr. Rm 16,1-2).
I.2. Verso la gerarchizzazione della Chiesa
Nel succedersi delle generazioni, divengono sempre più chiare le funzioni svolte da alcune
persone elette per coordinare la vita dell'intera comunità e si fa strada l'immagine di una comunità
cristiana verticalizzata attorno a una progressiva gerarchizzazione dei compiti. Di pari passo,
un'altrettanto progressiva diversificazione attribuirà ai laici un ruolo minore.
Le persecuzioni dei primi secoli saranno comunque stagione di testimonianza anche laicale.
Il battesimo vissuto con convinzione porta molti al martirio nel desiderio di annunciare - in
comunione con i Pastori - la novità cristiana. La stessa immagine di un laicato, che condivide fino
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in fondo le preoccupazioni degli apostoli e di quanti da loro inviati, è offerta da laici e laiche che si
distinguono nella preghiera e nello zelo dell'annuncio del Vangelo, vivendo nelle città in mezzo
agli altri, come ci ricorda un noto passo della Lettera a Diogneto (II secolo) e come scrive
Tertulliano (155 ca - 230 ca): “Noi cristiani non viviamo ai margini della società. Frequentiamo i
bagni, le botteghe, i mercati, le pubbliche piazze. Come voi, facciamo i mestieri di marinaio, di
soldato, di agricoltore, di mercante”.
Tra i padri, san Giovanni Crisostomo (347 ca - 407 ca) è il più chiaro nel sostenere una
forma di apostolato dei laici, anche se risulta folgorante sant'Agostino, che vede nei battezzati
altrettanti sacerdoti, membra dell'unico Sacerdote. Va poi ricordato che ancora a metà del VI
secolo, i Concili di Orléans e Parigi ordinavano: “Non si imponga un vescovo al popolo contro la
sua volontà”. Sant'Ambrogio (334 ca -397), ad esempio, pur essendo solo catecumeno, viene eletto
vescovo di Milano dal clero e dal popolo. I laici sono dunque partecipi della vita della Chiesa,
come dimostra anche la loro presenza non solo all'eucarestia, ma anche alla salmodia della mattina
e della sera. Tale situazione andrà gradualmente scemando, tuttavia, man mano che la presenza
sacerdotale, rappresentata dal sacerdozio ministeriale, andrà strutturandosi. Un testo del III secolo,
la Tradizione apostolica, precisa come non tutti gli uffici presenti nella comunità siano ordinati,
mentre l'ordinazione è limitata al clero in funzione del suo servizio liturgico.
Contribuisce a questo sviluppo la diffusione del cristianesimo che, nell'incontro con le
realtà civili, acquisisce una rilevanza sociale sconosciuta nei primi tempi. L'organizzazione
ecclesiastica si sedimenta codificando funzioni e prassi e procedendo a un'elaborazione teologica
che, ad esempio, da fondamento all'episcopato nella continuità della successione apostolica. Il
clero assume sempre più funzioni ufficiali e si trova a far parte della struttura gerarchica,
distinguendosi da tutti coloro, e sono la maggioranza, che nella comunità costituiscono il non clero
e si ritrovano sempre più lontani dalla funzione di governo, come nell'ambito dell'azione liturgica.
La prima sistemazione giuridica si avrà nel IV secolo quando si affermerà la distinzione in
tre categorie: monaci, chierici e laici. Una distinzione che, nei fatti, finisce per privilegiare l'idea
che la misura piena della vita cristiana, la stessa santità, siano appannaggio pressoché esclusivo di
chi maggiormente si separa dal mondo, pertanto dei monaci e, in misura diversa, dei chierici.
Un'ulteriore penalizzazione verrà affermandosi per le donne e una serie di facoltà, prima esercitate
anche dai laici, come ad esempio la predicazione, vengono man mano espunte e riservate solo a
chierici e monaci. La costruzione di nuovi edifici di culto porta il segno di questa trasformazione
nelle balaustre che separano il presbiterio dall'area occupata dal resto della comunità. Nella
liturgia, la partecipazione dei laici è limitata progressivamente a un ruolo per lo più passivo, ridotto
ad ascolto, e a pochi momenti di partecipazione attiva, nonostante l'insegnamento di Padri come
Giovanni Crisostomo o Agostino d'Ippona (354-430), che ribadiscono il fatto che l'eucarestia è di
tutti e di tutta la comunità cristiana.
Non mancano tuttavia punti di vista più sfumati. Nel trattato della Didascalia degli apostoli
(III secolo), ad esempio, si chiede ai laici di riempire la Chiesa, di convertire e fare entrare quelli
che sono fuori.
Ma la divaricazione proseguirà, tanto che il IV Concilio Lateranense (1215) dovrà
prescrivere l'obbligo per tutti di partecipare all'eucarestia almeno una volta l'anno, a dimostrazione
del tipo di rapporto ormai instauratosi tra clero e laicato nell'azione liturgica: un cambiamento di
non piccola portata che produrrà negli anni numerosi tentativi di riforma e di ritorno alle origini
della vita cristiana.
È indubbio che il processo di estraneità sia motivato anche dalla necessità di dare maggior
peso alla dimensione gerarchica della Chiesa come utile strumento per la lotta alle eresie, ma
questo non può giustificare fino in fondo il rischio di perdere il senso sorgivo di una comune
appartenenza in virtù dell'unico battesimo, che forma un solo popolo, un solo corpo, le cui membra
sono unite da un legame di fraternità e non da rapporto di sudditanza a un'autorità.
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I.3. Laici nel Medioevo
Nella fase delle invasioni barbariche un ulteriore elemento approfondirà la distanza tra
forme di vita cristiana: la cultura. Il monachesimo e più in generale la struttura ecclesiastica
assumono un ruolo di preservazione dell'antico patrimonio culturale, divenendo depositali della
conoscenza (e della stessa lingua latina), custodita gelosamente da monaci ed ecclesiastici, rispetto
ai quali, anche nell'uso comune, il laico verrà presentato come illetterato. Se ne ha traccia nella
regola di Francesco di Assisi quando prevede che i laici non istruiti possano sostituire la lettura del
breviario con la recita dei Pater noster. Le scienze e la stessa teologia diverranno appannaggio
quasi esclusivo delle gerarchie con conseguente diminuzione della condizione laicale, mentre la
progressiva verticalizzazione vedrà esaltare la figura del papato rispetto al resto della gerarchla.
Scriverà Egidio Romano (1243-1316) che il Papa da solo può benessere considerato come tutta la
Chiesa.
In un'epoca di massima rilevanza sociale, la Chiesa conoscerà però anche una fase di crisi:
la mancanza della dimensione comunitaria renderà difficile ogni integrazione rispetto a un'autorità
gerarchica vissuta sempre più in osmosi con quella civile. È in questa fase che sorgono numerosi
movimenti laicali animati da un'istanza di religiosità più viva, da una maggiore aderenza allo
spirito del Vangelo e - in contrasto con gli eccessi consumati da tanta parte della gerarchia
all'ombra dei privilegi ottenuti - da un aperto spirito di povertà. Sono movimenti che nascono dal
basso e, guidati da figure di notevole popolarità, percorreranno le strade del tempo con stile
fraterno, in un'itineranza e in un profetismo che lasceranno una traccia profonda. Si pensi alle
biografie di Pietro Valdo (1130-1217) o Francesco d'Assisi (1181-1226). Si tratta di forme in cui
prevale l'elemento laicale e il libero mettersi insieme per seguire lo spirito evangelico. Queste
nuove realtà si dimostreranno vicine al sentire popolare e saranno capaci di coinvolgere in maniera
profonda anche coloro che restavano distanti rispetto all'impianto istituzionale della Chiesa. Questi
laici pongono una domanda che nasce dall'esistenza comune, aprendo un lungo confronto tra
intuizione e istituzione, tra forme spontanee e necessità di collocare ogni realtà nel quadro
istituzionale.
Una nota sentenza, attribuita a san Girolamo e contenuta nel Decretum Granarii (11401142), spiega: “Ci sono due categorie di cristiani. Una è legata al servizio divino e dedita alla
contemplazione e alla preghiera, si astiene da ogni schiamazzo delle realtà temporali ed è costituita
dai chierici [...] l'altra è la categoria dei cristiani alla quale appartengono i secolari [...]. Ad essi è
permesso di possedere beni temporali, ma solo per le necessità. Infatti, non esiste niente di più
miserabile che disprezzare Dio per il denaro. A questi è consentito sposarsi, coltivare la terra, fare
da arbitri nei giudizi. Difendere le loro cause, depositare offerte agli altari, pagare le decime; così
potranno salvarsi, purché evitino i vizi e agiscano bene”.
La salvezza è possibile anche ai laici ma, proprio in ragione dell'appartenenza al secolo
(cioè al mondo), è limitata e vede aumentare le difficoltà in una logica quasi paradossale: proprio
quando la Chiesa e la società risultano unite tra loro sul piano istituzionale, il laico ha poco rilievo
in entrambe le realtà.
Sullo sfondo, resta l'immagine di una divisione, e forse più ancora di una competizione.
Papa Bonifacio VIII (1230 ca-1303) spiegava che i laici, non contenti dei loro limiti, desiderano
cose proibite e ricercano smodatamente i vantaggi illeciti, dove con cose proibite si intendono i
ruoli di responsabilità all'interno della comunità. È proprio in questi anni, tuttavia, che i
cambiamenti sociali e il sorgere della borghesia portano verso una riconsiderazione del lavoro e
della possibilità di santificarsi anche attraverso questa esperienza, frutto del peccato originale. Papa
Innocenzo III, nel 1197, canonizza un padre di famiglia, il mercante Omobono Tucenghi. Il
significato di questa canonizzazione è importante perché dice della possibilità - anche per i laici,
impegnati nell'azione apostolica, nell'azione caritativa, che in quegli anni conosce nuove forme in
risposta ai nuovi bisogni – di vivere la perfezione della vita cristiana fino al riconoscimento
canonico della Chiesa. Sarà certo più faticoso, ma comunque possibile.
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Tra il XIII e il XIV secolo, numerosi segnali vanno quindi nella direzione di un risveglio
del laicato e si traducono in stili esemplari di vita o in nuove forme di aggregazione laicale (gli
ordini equestri, le confraternite). Accanto agli ordini religiosi, francescano e domenicano,
agostiniano, nascono i terz'ordini secolari che raccolgono laici desiderosi di una più intensa vita
cristiana. Frutti di queste forme di spiritualità sono ad esempio l'introduzione della via crucis, il
culto delle reliquie e dei santi, il rosario. I laici sentono riconosciuta una loro specifica spiritualità,
insieme con una progressiva interiorizzazione del Vangelo da parte dei movimenti di ritorno alla
cristianità delle origini.
Si affaccia timidamente anche una maggiore considerazione, all'interno del laicato, della
figura femminile. Oltre ai beghinaggi, cioè a comunità femminili che già sul finire del XII secolo si
erano diffuse nei Paesi Bassi, si pensi a figure come Brigida di Svezia (1303-1373) che è
canonizzata pur essendo sposata, alla terziaria domenicana Caterina da Siena (1347-1380), a
Francesca Romana (1384-1440), a Giovanna D'Arco (1412-1431). Scriverà santa Brigida: “Ho
appena sentito una voce in spirito che mi diceva che la verginità merita la corona, lo stato di
vedovanza avvicina a Dio e il matrimonio non esclude il paradiso; e che è l'obbedienza che
introduce tutti nella gloria”. Nella complessa storia della presenza femminile nella Chiesa va
ricordato che, dopo l'esclusione della donna dal sacramento dell'Ordine, questa - religiosa o
semplice laica che sia - rimane il laico per eccellenza, esclusa da qualsiasi influenza o potere - se
non spirituale e riservato soprattutto alle grandi mistiche - all'interno della gerarchia ecclesiastica.
Il laicato femminile risulterà sempre sotto messo in una Chiesa governata da uomini non sempre
sensibili alla diversità della donna; anzi spaventati davanti a quella che viene considerata ianua
inferi, insidiatrice della loro santità e della loro fedeltà al celibato. Non a caso, le donne che
vogliono accedere alla cultura, devono farsi monache: Rosvita (935-973?), Ildegarda di Bingen
(1098-1179), Christine de Pizan (1362-ca.l431).
I.4. Dall'Umanesimo alla Controriforma
Il '400 è il secolo del fiorire delle confraternite in Italia e della riforma di quelle antiche,
soprattutto al l'ombra dei conventi e dei monasteri. Erasmo da Rotterdam (1466-1536) scrive
nell’Enchiridion militis cristiani: “Un governante che consuma il suo tempo in preghiera invece di
svolgere come si deve le sue mansioni non è un vero cristiano. Ogni cristiano è chiamato alla
perfezione cristiana e questo ideale deve essere perseguito proprio nell'ambiente nel quale Dio ha
posto ciascuno di noi”.
Accanto al tema della dignità laicale si affaccia anche il tema della laicità nel senso
dell'autonomia e della responsabilità dei battezzati. Si riprendono istanze e tematiche care ai
movimenti che abbiamo visto già presenti nel periodo medievale. J. Wyclif (1330 ca-1384) e J.
Hus (1370 ca-1415) chiedono di far leggere e studiare ai laici la Scrittura. Marsilio da Padova
(1275-1342) teorizza che l'autorità della Chiesa è espressa dalla totalità dei credenti e non dalla
sola gerarchia ecclesiastica. Di qui la valorizzazione dello strumento del Concilio, di cui devono
far parte anche i fedeli laici su base rappresentativa.
Lo spirito di riforma dell'Umanesimo sarà ripreso dal movimento protestante che negherà la
stessa struttura ecclesiastica, mentre porrà con chiarezza l'esigenza, condivisa da tanti, di una
Chiesa meno istituzionale, più povera e più vicina alle origini. Scrive Lutero: “Nel popolo cristiano
non deve coesistere un gruppo chiuso, nessuna differenza di persone, non deve esserci laico né
chierico tonsurata, né consacrato, né monaco”. Oltre all'unico battesimo che incorpora i fedeli in
Cristo e ne fonda la comune dignità, egli sottolinea il comune sacerdozio, rispetto al quale opera
comunque una distinzione: “Sebbene tutti siamo sacerdoti, non tutti possiamo predicare. Con
questo non vogliamo distinguere l'ufficio sacerdotale ma l'ufficio ministeriale”. Le tesi sostenute da
Luterò e da Calvino riconoscono la dignità dei laici, considerati come fedeli al pari dei sacerdoti e
di quanti altri ricoprono ruoli ministeriali. Se da un lato chiarificano questa visione, dall'altro, con
tutta evidenza, finiscono per allontanare queste stesse acquisizioni dalla Chiesa cattolica che
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reagirà con la Controriforma e prenderà ulteriormente le distanze da ogni dottrina o prassi pastorale
sostenuta dal movimento protestante. Si dovranno attendere tempi assai lunghi, in sostanza fino
alla celebrazione del Vaticano II, per recuperare alcune tesi.
La Controriforma comporta per il laicato cattolico un'ulteriore diminuzione di ruolo, ad
esempio nelle celebrazioni liturgiche, dove sempre più marcata sarà la distanza tra il clero e i
ministranti da una parte e il popolo dall'altra, così come nella diffidenza e nell'esplicita proibizione
della lettura della Bibbia, sempre più appannaggio dei soli ecclesiastici e limitata solo ad alcune
sue parti. La Chiesa si presenta sempre più come una realtà che poggia sul sacerdozio e sulla
consacrazione con riferimento esclusivo a un ben delimitato numero di fedeli.
Il laicato cattolico si trova in situazione di difficoltà ulteriore, per il clima di sospetto e
controllo che si instaura. Una fitta rete di prescrizioni e di norme vincola le forme di aggregazione
laicale, come le confraternite e i terz'ordini, e quanto viene promosso a carattere laicale viene
presto incanalato verso la forma delle congregazioni religiose.
Ciò nonostante non mancano anche in quegli anni nuove forme di vita laicale che si
adattano al tempo, in particolare nell'ambito dell'assistenza e della carità. Vincenzo de' Paoli (15811660) stabilirà per le sue Figlie della carità: “Per monastero avranno le case degli infermi e quella
nella quale si troverà in quel momento la superiora. Per cella, una stanza affittata. Per cappella, la
Chiesa parrocchiale. Per chiostro, le strade della città. Per clausura, l'obbedienza. Per regola, il
timore di Dio. Per velo, la santa modestia. Per professione, la fiducia costante nella Provvidenza e
l'offerta di tutto il loro essere”.
Non tutto quindi va visto in chiave negativa: cresce infatti la qualità della formazione
offerta ai laici, sia sul piano spirituale che su quello più propriamente catechistico. Nascono le
scuole della dottrina cristiana, si diffondono gli oratori sul modello promosso da Filippo Neri
(1515-1595) e sorgono collegie studentati. “È un errore, o meglio un’eresia, pretendere di esiliare
la vita devota dalle compagnie dei soldati, dalle botteghe degli artigiani, dai palazzi dei principi e
dalle famiglie degli sposati [...]. Dovunque ci troviamo possiamo e dobbiamo aspirare alla vita
perfetta”: questo testo di Francesco di Sales (1567-1622) costituirà una pietra miliare nella
formazione di tanta parte del laicato cattolico più consapevole, in un tempo in cui anche la
riflessione teologica, in chiave controriformista, rallenterà la maturazione di una nuova visione di
Chiesa e di una nuova forma per la vita cristiana.
I. 5. Una frattura traumatica
Quando la Rivoluzione Francese scuoterà con forza le fondamenta di quella sintesi tra trono
e altare che risaliva ai tempi della fine della romanità, il laicato cattolico è in larga parte passivo,
coinvolto in pratiche religiose e in forme di aggregazione che ne mortificano ogni possibile
protagonismo nell'evangelizzazione. Tra le figure che meriterebbero maggiore spazio, ci limitiamo
a citare l'esperienza francese dell'Assemblea Generale del Clero (1681), che promuove una
maggiore autonomia della Chiesa dalla dimensione temporale, e una personalità come Alfonso de'
Liguori (1696-1787) che con i suoi scritti offre nutrimento alla devozione e alla spiritualità di
generazioni di laici e laiche.
Nel corso del XVIII secolo, il tema del laicato nella Chiesa trova un alleato occasionale
nella riflessione che tende prima a distinguere tra Chiesa e Stato, fino a teorizzarne la separazione.
La diffusione delle idee illuministe, l'identificazione della Chiesa come oscurantismo, residuo di
una realtà superata da combattere e sconfiggere con le armi della ragione, finirà per scuotere,
indirettamente, l'immobilismo in cui versa tanta parte della prassi ecclesiastica. Specie dopo le
legislazioni antiecclesiastiche della fase rivoluzionaria, si metterà in moto il laicato, chiamato a
entrare in campo quasi come clero di riserva. Il pregiudizio d'inferiorità del laicato, tuttavia,
resisterà a lungo.
Nel momento in cui Roma sta per essere conquistata, i vescovi riuniti nel Concilio Vaticano
I affermano: “La Chiesa di Cristo non è una comunità di eguali nella quale tutti i credenti
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avrebbero gli stessi diritti. Essa è piuttosto una comunità di diseguali, non solo perché tra i credenti
alcuni sono ecclesiastici e altri laici, ma specialmente perché nella Chiesa risiede il potere che
viene da Dio e ad alcuni è stato dato di santificare, insegnare e governare e ad altri no”; e ancora
Pio X nella Vehementer nos (1906): “Solo nella gerarchia risiedono il diritto e l'autorità necessari
per promuovere e dirigere tutti i membri verso il fine della società. Il popolo invece non ha altro
diritto che quello di lasciarsi condurre e di seguire docilmente i suoi pastori”.
I.6. Un movimento cattolico laicale
Tra coloro che hanno contribuito alla riflessione sulla figura del laico nella Chiesa, va
senz'altro ricordato il cardinale J. H. Newman (1801-1890), convertito dall'anglicanesimo, per il
quale il laico è stato ed è la parte viva e operante della Tradizione. Scriverà ad esempio riferendosi
al IV secolo: “In quei giorni la tradizione divina affidata alla Chiesa infallibile fu proclamata e
mantenuta più dal corpo dei fedeli che dall'episcopato. Ogni categoria che compone la Chiesa ha le
proprie funzioni e nessuna può essere immunemente messa da parte”. Riferendosi alla definizione
del dogma dell'Immacolata Concezione, scrive: “Se persino nella preparazione dogmatica i fedeli
sono consultati (...) è almeno altrettanto naturale aspettarsi un atto simile di benevolenza, di
simpatia, quando si tratta di grandi questioni pratiche”.
Per cogliere come questo pensiero sia innovativo rispetto al quadro ottocentesco, basta
ricordare che negli stessi anni l'ecclesiastico inglese monsignor Talbot scrisse in una lettera a
monsignor Manning, arcivescovo di Westminster, a commento proprio di un articolo di Newman:
“Se non facciamo fallire i laici nel loro tentativo, finiranno per governare la Chiesa cattolica in
Inghilterra al posto della Santa Sede e dell'Episcopato [...]. Qual è il campo dei laici? La caccia, le
armi, l'ospitalità. Questo è tutto ciò che capiscono. Quanto invece a occuparsi degli affari
ecclesiastici non ne hanno alcun diritto”.
A dire il vero, anche negli anni della Restaurazione si assiste alla nascita di nuove forme
organizzative laicali: si pensi ad esempio alla .Società di S. Vincenzo de' Paoli fondata da Federico
Ozanam nel 1833, alla Lega promossa da Daniel O'Connel in Irlanda, fino alle associazioni che
nascono in Italia, intorno a riviste o singole figure di spicco. Caratteristica comune è il rivolgersi
non più solo allo stretto ambito religioso, ma anche alla dimensione sociale, mentre è utilizzata
sempre più spesso la forma dell'associazione, derivata dal pensiero liberale.
Il caso dell'Italia è particolare. Oltre a un certo ritardo rispetto alle altre nazioni europee nel
raggiungimento dell'unità, la situazione è complicata dalla Questione romana e dallo scoglio che
ancora costituisce il potere temporale del papato, all'origine di un conflitto di coscienza in molti
cattolici e del dissidio tra lo Stato e la Chiesa, che scomunica il Risorgimento. Tra i più autorevoli
personaggi dei moti risorgimentali vi sono anche dei liberali che uniscono l'afflato di un vivo
sentimento religioso alle idealità patriottiche e all'amore per l'indipendenza dell'Italia. Ma la
particolare situazione favorisce una mobilitazione del laicato in chiave intransigente, in cui
prevalgono pertanto i caratteri di difesa della Chiesa e di ostilità verso il pensiero liberale e le sue
realizzazioni politiche.
Un carattere di novità che affianca al carattere di difesa della Chiesa quello di un più
maturo approfondimento della fede, è riconoscibile nella Società della Gioventù Cattolica (SGC),
primo nucleo della moderna Azione Cattolica, fondata nel 1867 a Bologna da M. Fani e G.
Acquaderni. La Società si diffonde con la fondazione di numerosi Circoli in varie regioni italiane e
si pone di fronte alle nuove problematiche sociali, convocando un primo congresso tra i cattolici
italiani (Venezia 1874), da cui prenderà avvio una realtà stabile denominata Opera dei congressi
che a lungo sarà il punto di riferimento del laicato cattolico italiano. La SGC affinerà un vero e
proprio metodo di formazione del laicato, cui si salderanno gradualmente altre associazioni nate
spontaneamente, come la Federazione Universitaria che nasce sul finire del XIX secolo, l’Unione
Donne Cattoliche, fondata nel 1908, e l'innovativa Gioventù Femminile Cattolica nata a Milano nel
1918 e guidata da Armida Barelli. Dal primo nucleo della SGC si struttura l'Azione Cattolica
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Italiana (Ac), un'esperienza laicale che ha contribuito in misura notevole alla crescita e alla
maturazione del laicato nella Chiesa anche attraverso la guida di numerosi pontefici, che hanno
contribuito alla messa a punto di questa nuova forma di apostolato laicale diffondendone la
formula nei vari continenti. Lungo i decenni della prima parte del XX secolo, l'Ac assurge a un
ruolo centrale nella vita della Chiesa e del Paese. La sua consistenza non solo numerica (negli anni
'50 arriverà ad avere oltre tre milioni di aderenti) ma soprattutto formativa e spirituale, renderà
possibile una larga promozione del laicato, che contribuirà a partire dagli anni '30 allo sviluppo di
una considerevole riflessione teologica sulla partecipazione dei laici alla vita della Chiesa.
Un punto di riferimento sono in tal senso gli studi di G. Philips e di Y. Congar, cui si deve
la stessa espressione teologia del laicato. Da sottolineare la riflessione magisteriale (soprattutto con
Pio XI e Pio XII), la manualistica interna dell'associazionismo cattolico, le occasioni di confronto
(quali ad esempio i congressi mondiali del laicato) che renderanno l'Ac sempre più qualificata e
protagonista di una lunga stagione che ha il suo vertice in quegli anni Cinquanta, al termine dei
quali verrà indetto il Concilio.
I.7. L'apostolato dei laici
La maturazione di una nuova figura di laico passa per la scelta di coltivare una eletta
schiera che possa animare tutto il popolo. E il passaggio che punta sullo sviluppo dell'Ac e sulla
sua assunzione a strumento privilegiato di apostolato. La distinzione tra il laico e il laico di Ac si
configura in questi anni come una distinzione di tipo vocazionale: tutti sono chiamati a far parte
dell'Azione Cattolica, ma solo al cuni scelgono di far parte di questa schiera e quindi di aderire alla
chiamata.
Pio XI, nell'enciclica Non abbiamo bisogno (1931), aveva affermato che Gesù stesso ha
dato inizio al l'Azione Cattolica, scegliendo ed educando come suoi collaboratori gli apostoli. E lo
stesso Papa a definire l'Ac come partecipazione dei laici all'apostolato gerarchico della Chiesa.
Interessante è anche l'uso dei vocaboli: partecipazione diventerà collaborazione nello Statuto
dell'Ac del 1940. Nella visione di Pio XII, infatti, un legame di dipendenza univa l'Ac al Papa,
secondo la prospettiva che identificava la devozione al Cristo con l’obbedienza al Pontefice, suo
vicario. L'Ac si configurava dunque come contesto di formazione alla vita cristiana, ma anche
depositarla di un esplicito mandato ecclesiastico, come legittimazione della sua opera di
apostolato. Ne derivava una spiritualità che favoriva l'identificazione dei laici nella Chiesa come
membra attive. Spiegherà Pio XII: “I fedeli, [...] debbono avere una sempre più chiara
consapevolezza, non soltanto di appartenere alla Chiesa, ma di essere la Chiesa”.
Siamo di fronte a una sorta di identificazione: il laicato vero è il laicato di Ac, fascia alta
ma non elitaria, data la diffusione dell'associazione. La presenza in tutte le parrocchie contribuisce
in effetti a una pianificazione pastorale che unifica il Paese ben prima della costituzione della
Conferenza episcopale e della diffusione di un'alfabetizzazione religiosa di base nell'intero popolo
di Dio. Da richiamare è anche il ruolo svolto dall'Ac nella valorizzazione della donna, soprattutto
con l'istituzione della Gioventù femminile di Azione Cattolica, guidata da Armida Barelli (18821952). L'apostolato svolto dai laici di Ac si configura ancora come ausiliario rispetto a quello
svolto, per mandato divino, dalla gerarchia. Si trova in questa visione molto di quel concetto di
laicato che, pur avanzato per quei tempi, finisce per sottolineare una immagine di subordinazione,
superata - sul piano teorico - solo con la visione conciliare del Popolo di Dio, promossa dal
Vaticano II.
I.8. In vista del Concilio
Il laicato cattolico vive l'attesa del Concilio fin dal momento dell'indizione con
un'attenzione e con una partecipazione inedite, frutto di una preparazione avvenuta nei decenni
precedenti. In Italia, come anche in altri Paesi, l'Azione Cattolica ha certamente contribuito a
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formare quel movimento dei laici che insieme a quello biblico e liturgico hanno anticipato e
sostenuto le novità del Concilio, quando le caratteristiche che differenziano il sacerdozio
ministeriale dei vescovi e dei presbiteri da quello comune dei fedeli saranno più chiare in una
visione di Chiesa comunionale.
Tanta parte della storia passata e segnatamente, ma non solo, quella dei secoli XIX e XX
aveva anticipato questa maturazione. È un dato riconoscibile nel clima di attesa e di entusiasmo
con cui tantissimi laici seguiranno i lavori conciliari (alcuni vi parteciperanno in veste di uditori e
uditrici). “Credo che ancor più profondamente – scrive Vittorio Bachelet nel 1962 – il laicato
cattolico senta, esplicitamente o in forma inespressa, l’attesa per un aspetto che la Bolla di
indizione del Concilio indica come essenziale: la presenza viva della Chiesa in ogni fase della
storia degli uomini, per illuminare con luce immutabile e sempre nuova i passi faticosi della
umanità nella via dei secoli. I laici cattolici – continua Bachelet – si attendono una nuova
Pentecoste, che rinnovi la Chiesa. E ciò potrà accadere anche perché ai laici è stato assegnato come
è stato sottolineato nella Mater et Magstra, un posto così delicato nella consacratio mundi quali
collaboratori e tramiti della Chiesa stessa nella santificazione delle realtà umane in profonda
trasformazione”. In questa che può essere definita l'attesa da parte di un laicato consapevole di un
nuovo rapporto della Chiesa con l'umanità con il mondo, vi è anche l'attesa motivata carica di
speranza di nuovi orizzonti che con il Concilio si sarebbero dischiusi.
II. Il dibattito
II tema del laicato entrò nell'esperienza del Vaticano II con una centralità sconosciuta in
passato. Già alla vigilia della convocazione del Concilio erano emerse molte aspettative in questo
senso, che trovarono espressione anche all'inizio dei lavori stessi: non a caso, tra i vescovi
incaricati di esaminare i primi schemi circolava l'auspicio che il Vaticano II rappresentasse per i
laici quello che il Concilio Tridentino rappresentò per i preti. In effetti, il ripensamento sul laico
cristiano come soggetto vivo nella Chiesa era in corso ormai da anni, dopo lunghi periodi di oblio e
di marginalità. Un'ecclesiologia gerarchica e societaria era ormai evidentemente da riequilibrare:
da molte parti il percorso di revisione era stato già avviato. Soprattutto, la stessa esperienza del
cosiddetto movimento cattolico laicale, aveva provocato una crescita di esperienza nella
responsabilità di fatto dei laici nella Chiesa, che non poteva più passare in secondo piano. Il quadro
però era tutt'altro che chiaro e condiviso, e questa condizione si rifletteva in una certa farraginosità
dei lavori conciliari in materia.
E rilevante, comunque, il fatto stesso che in Concilio si parli così tante volte dei laici (206
ricorrenze dell'espressione nell'intero corpus dei documenti), e non solo in Apostolicam
Actuositatem, ma anche in molti altri luoghi, e soprattutto nella Costituzione dogmatica sulla
Chiesa Lumen Gentium e nella Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo
Gaudium et Spes.
II.1. La fase preparatoria: “il Concilio è dei vescovi”
Seguire le fila dei molteplici luoghi in cui il Concilio affrontò il tema del laicato è difficile,
ma alcuni punti centrali furono chiari fin dall'inizio. Ad esempio che esisteva un problema
specifico attorno alla presenza di laici nella Chiesa, tanto che fin dalla fase preparatoria ci si
occupò della questione. Nel motu proprio Superno Dei Nutu del 4 giugno 1960, papa Giovanni
XXIII nominava le commissioni preparatorie per i lavori conciliari e tra di esse – che in generale
rispecchiavano le congregazioni curiali vaticane – ne figurava una dedicata all'apostolato dei laici,
in tutte le questioni concernenti l’azione cattolica, religiosa e sociale. Era stata aggiunta all'ultimo
momento, per espresso volere del Papa, su suggerimento particolare - a quanto ci è dato di sapere di monsignor Angelo Dell'Acqua. Si trattava di una novità significativa già in termini procedurali.
Presidente fu designato un diplomatico vaticano, il cardinale Fernando Cento, e segretario il
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francese monsignor Achille Glorieux, che aveva lavorato a lungo nell'ambito dei due Congressi
internazionali per l'apostolato dei laici, tenuti nel 1951 e nel 1957. I componenti erano una trentina,
tra cui molti sacerdoti assistenti di associazioni cattoliche.
Mancavano però i teologi che più avevano riflettuto sul tema (K. Rahner,Y. Congar, M.D. Chenu,
G. Philips), in quanto alcuni erano ancora oggetto di sospetti romani mentre altri erano coinvolti in
altre commissioni (Congar e Philips facevano parte, in ruoli allora abbastanza marginali, della
Commissione teologica).
Il presidente intese subito tentare di coinvolgere nei lavori in qualche modo gli stessi laici,
che peraltro non poterono essere aggregati formalmente alla Commissione; già nel 1959 di fronte
alla posizione formale del problema, i più tradizionalisti avevano chiuso rapida mente riferendosi
all'art. 229 del Codice di Diritto Canonico: Concilium esse episcoporum, (il Concilio è dei
vescovi). Alcune lettere di vescovi negli anni di preparazione segnalarono però ripetutamente la
necessità di coinvolgere i laici (il cardinale Franz König di Vienna, il cardinale Julius A. Döpfner
di Monaco, i vescovi olandesi..). Ci furono appelli, lettere e articoli di laici che si rivolsero a chi
preparava il Concilio. In qualche caso, ebbero luogo anche consultazioni formali da parte di
vescovi, aperte al mondo laicale, in vista dei lavori conciliari. Qui emergeva uno dei temi aperti
dell'evento conciliare come evento ampio di Chiesa.
I lavori preparatori durarono una ventina di mesi. Emersero alcune opzioni generali che
orientarono la commissione: insistere sul dovere dell'apostolato con nesso ai sacramenti del
battesimo e della confermazione; rifiutare l'individualismo nella vocazione cristiana. Su questo ci
fu abbastanza consenso.
Su alcuni punti si discusse invece molto, ma senza grandi risultati: molti chiedevano di
tentare una definizione positiva del laico, non definendolo per sottrazione come chi non è prete né
religioso; qualcuno chiese di superare le classiche distinzioni tra apostolato indiretto e diretto
(quest'ultimo promosso dalla gerarchia e avente come fine l'evangelizzazione). Su tali argomenti,
la bozza di documento presentato in aula ricadeva alla fine sulle vecchie espressioni, segnalando
un problema aperto. L'ispirazione generale del primo schema era data comunque dalla teologia
della Chiesa corpo mistico, con un'insistenza marcata sul sacerdozio comune di tutti i fedeli, pur
nella distinzione essenziale tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale. Il riferimento al
mondo era piuttosto secondario.
Il primo ampio schema (272 pagine addirittura), comprendeva quattro parti: nozioni
generali; l'apostolato dei laici nell'azione per promuovere direttamente il Regno di Cristo;
l'apostolato dei laici nell'azione caritativa; l'apostolato dei laici nell'azione sociale. Il testo era
quindi molto articolato e fu solo leggermente ritoccato dopo il primo confronto con la
Commissione centrale preparatoria.
II.2. Non solo questione dei laici
I passaggi successivi furono legati alle scelte conciliari fondamentali che si delinearono
faticosamente ma fruttuosamente nella prima sessione di lavori, nell'autunno 1962: l'orientamento
a privilegiare la dimensione ecclesiologica come centro dei lavori, la decisione di respingere e
riscrivere parecchi documenti preparatori (soprattutto quello sulla Chiesa, presentato dalla
Commissione teologica), la scelta di impostare un nuovo schema di costituzione sulla Chiesa, in
cui emergesse maggiormente l'aspetto di mistero di comunione.
Da qui, derivò anche una tendenza a rifondere e ricollocare le considerazioni riguardanti i
laici. Si decise di stralciare dallo schema sui laici la parte generale teologica iniziale, per inserirla
appunto nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa. La commissione conciliare che aveva ereditato
tale questione (ridenominata d'autorità “per l'apostolato dei fedeli”, con un cambio di nome che
poteva alludere a un cambio di prospettiva), lavorò da questo momento a stretto contatto con la
nuova Commissione dottrinale. Tra l'altro, ad aumentare la complessità, venne attribuita a questa
commissione anche la competenza sui media, che nella fase preparatoria era stata gestita altrimenti.
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Nel dibattito in aula sulla costituzione De ecclesia (Sulla Chiesa) dell'autunno del 1963
(seconda sessione del Concilio), emerse la scelta fondamentale di anteporre un nuovo capitolo sul
popolo di Dio a quelli sulla gerarchia e il laicato. Non era solo una modifica marginale di struttura,
ma fondava un approccio concettuale inedito. Con tale espressione non si intendevano infatti più
solo i laici, intesi in passato come sudditi della Chiesa (secondo la famosa definizione del cardinal
Pietro Gasparri negli anni '20) e quindi il popolo non era opposto alla sua guida, la gerarchia
ecclesiastica.
L'immagine di popolo di Dio diveniva invece meta fora dell'insieme della Chiesa nel suo
volto storico e nel suo cammino in vista del Regno, al cui interno si dovevano poi definire e
collocare i diversi ministeri, vocazioni e compiti.
II.3. Da oggetti a soggetti: gli uditori e le uditrici
Già nel primo periodo conciliare era stato invitato da papa Giovanni XXIII a partecipare ai
lavori un laico, il filosofo francese Jean Guitton (la scelta risultò talmente inconsueta che gli
organizzatori fatica rono a trovargli posto in aula, collocandolo infine assieme agli osservatori
ecumenici!). Dall'intersessione del 1963, auspice papa Montini, si cominciò a consultare
ufficialmente alcuni laici: dapprima i rappresentanti del Comitato permanente dei congressi
mondiali per l'apostolato dei laici (Copecial) e della Conferenza delle organizzazioni internazionali
cattoliche (Oic). In seguito, con decisione resa nota nel settembre del 1963, Paolo VI arrivò a
nominare i primi sette uditori laici che potevano prendere parte attiva ai lavori delle diverse
commissioni (in particolare appunto a quella mista che lavorò sull'apostolato dei laici) e seguire i
lavori delle congregazioni generali.
Terminato il secondo periodo, uno di loro, l'ex presidente dell'Azione Cattolica italiana
Vittorino Veronese, chiese di allargare il numero, visto che nel terzo periodo dei lavori sarebbero
stati affrontati argomenti di grande rilevanza per i laici. Il Papa nominò quindi altri uditori. Grazie
ad alcune altre infornate di nomine, alla fine del Concilio furono una quarantina in tutto. Erano
soprattutto dirigenti delle associazioni cattoliche, oppure esperti del percorso di integrazione già
svolto coni congressi internazionali sull'apostolato dei laici, in qualche caso però anche studiosi di
discipline profane.
Già questo aspetto del metodo appare comunque molto rilevante: i laici non erano più solo
oggetto di un discorso, ma punti di riferimento di una ricerca comune. Anche se alcuni
lamentarono che il percorso degli uditori iniziava a cose già molto avanzate, era comunque un
segno non trascurabile di innovazione.
Grandemente discussa fu la scelta di comprendere nella seconda ondata di nomine anche
alcune donne: i pareri furono controversi e fu Paolo VI a sciogliere la questione, inserendo
nell'elenco anche 8 donne, tra cui l'australiana Rosemary Goldie, segretaria del citato Copecial. La
partecipazione delle donne provocò qual che tensione nella mentalità conservatrice di una parte dei
padri, per cui anche la stessa condivisione degli spazi dei bar, negli intervalli dei lavori, era ritenuta
problematica. Nell'ultima sessione, comunque, partecipò ai lavori anche una coppia di sposi, i
coniugi Alvarez y Casas, fondatori di un movimento di famiglie cristiane in America Latina.
Alcuni laici presero la parola in aula, durante le congregazioni generali. Il primo fu l'inglese
Patrick Keegan (presidente della Gioventù Operaia Cristiana del suo Paese), che, a nome degli
uditori tutti, sottolineò l'importanza dello schema sull'apostolato dei laici. Ma poi furono ascoltati
anche l'americano James Norris, l'argentino Juan Vasquez e lo stesso Veronese (l'ipotesi di far
intervenire una donna sulla costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, inoltrata
al collegio dei moderatori, non venne però ritenuta opportuna). A quanto sembra, nessun laico ebbe
un ruolo riconosciuto di perito conciliare (come venivano definiti gli esperti teologi che
accompagnavano i vescovi), ma è verosimile pensare che alcuni di loro abbiano svolto un ruolo al
meno analogo, soprattutto nelle discussioni sulla Gaudium et Spes.
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II.4. Il capitolo quarto della Lumen Gentium
Nella terza sessione del 1964, la Costituzione sulla Chiesa prendeva definitivamente forma,
e il ruolo dei laici in essa veniva a trovare ancoraggio solido nell'incorporazione battesimale di tutti
i fedeli in Cristo e nella conseguente assunzione dei compiti sacerdotali, regali e profetici di Cristo
da parte di tutti i cristiani, anche laici, all'interno di una universale chiamata alla santità (superando
quindi l'idea dello stato di perfezione come competenza particolare della vita religiosa). Questa
insistenza, frutto di molteplici interventi dei padri, a collocare il laicato in una luce cristologica,
rafforzava il senso della comunanza dell'esperienza cristiana. In questo quadro, si definì però
anche, con intervento in particolare dello stesso cardinal Suenens, l'elemento specifico, con la
richiesta di una precisazione del rapporto dei laici con il mondo in termini propriamente spirituali.
Egli parlò di carattere secolare come tipico dei laici (ancorché non esclusivo), ma il termine fu
cambiato poi in indole secolare per evitare confusioni con la teologia sacramentaria, che utilizzava
da tempo in modo specialistico il termine carattere.
Questa impostazione ispirò tutto il capitolo quarto della Lumen Gentium, scritto soprattutto
da Philips, confluendo particolarmente nella dizione utilizzata dal n. 31; tale paragrafo specificava
l'indole secolare, definendola come la vocazione propria dei laici a cercare il Regno di Dio
trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Il che usciva definitivamente da una
tradizionale concezione del mondo come vincolo, remora, limite della possibile ricerca di santità
del laico: il mondo (inteso come molteplici condizioni di vita, comuni a quelle di tutti le donne e
gli uomini del proprio tempo) diventava piuttosto l'occasione e la specifica condizione del
perseguimento della santità.
Non a caso, veniva citato in LG 38 l'aforisma dell'antico testo patristico noto come A
Diogneto: “Ciò che l'anima è nel corpo, questo siano nel mondo i cristiani”. Tale impostazione
risentiva indubbiamente degli sviluppi della teologia del laicato e della teologia delle realtà terrestri
del decennio precedente (Y. Congar, G. Thils), e anche se non era del tutto amalgamata con il
nuovo capitolo II della Costituzione sul popolo di Dio, aveva il merito di approfondire in modo
originale un elemento di identità positiva e progettuale del laico cristiano. Il capitolo venne
approvato con ampia maggioranza, senza più troppe discussioni, proprio nell'ottobre del 1964,
mentre tutta la Costituzione era votata definitivamente di lì a poco.
II.5. L'apostolato dei laici e l’ ApostolicamActuositatem
Nel frattempo, il documento sull'apostolato dei laici veniva ovviamente ridimensionato,
perdendo appunto la parte più spiccatamente teologica, ma anche la parte conclusiva dedicata
all'apostolato nella società, che confluiva invece verso la nascente Gaudium etSpes.
Restava quindi un testo sull'apostolato, inteso in senso piuttosto ristretto e orientato
particolarmente sui modelli organizzativi. La nuova struttura era stata definita all'inizio del 1964,
grazie soprattutto a una proposta del gesuita Roberto Tucci: partendo dalla vocazione dei laici
all'apostolato, doveva poi trattare delle comunità e degli ambienti di vita, dei fini del l'apostolato,
delle forme organizzate e dell'ordine da osservare nell'apostolato. Questo resterà più o meno
l'indice definitivo, presentato efficacemente in aula da monsignor Franz Hengsbach, vescovo di
Essen, Germania.
Tra l'ottobre del 1964 e il giugno del 1965, tale bozza fu emendata ulteriormente, dopo
discussioni abbastanza ampie in aula conciliare (centoquaranta interventi che dimostravano una
cospicua oscillazione, anche su alcuni aspetti non secondari della questione, a testimonianza del
marcato pluralismo che si era venuto a delineare tra i padri). Furono presentati molti emendamenti
ai singoli paragrafi. Il testo così ottenuto venne presentato in aula nel settembre e definitivamente
votato, tra gli ultimi documenti conciliari, il 18 novembre dello stesso anno, durante la quarta e
ultima sessione.
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Lo schema allo stato attuale è il seguente:
Proemio
Capitolo I - La vocazione dei laici all'apostolato
Capitolo II - I fini dell'apostolato dei laici
Capitolo III - Vari campi di apostolato
Capitolo IV - Vari modi di apostolato
Capitolo V - L'ordine da osservare nell'apostolato
Capitolo VI - La formazione all'apostolato
Esortazione finale
Furono introdotti solo all'ultimo momento una frase che faceva coincidere l'apostolato con
la vocazione del cristiano (AA 2) e un breve riferimento all'importanza di una più grande
partecipazione delle donne nell'apostolato laicale (AA 9). Lo stesso papa Paolo VI, preoccupato di
far risaltare meglio il legame tra apostolato laicale e autorità nella Chiesa, chiese di introdurre
alcuni emendamenti in extremis, quando la commissione aveva già valutato tutti i modi, proposti
dai padri conciliari: solo un paio furono accettati. Ad esempio, la commissione difese il concetto di
ius (diritto) dei laici a creare nuove aggregazioni nella Chiesa (AA 19), a fronte della proposta
montiniana di usare il più attenuato termine facultas (facoltà).
Nel primo capitolo del decreto Apostolicam Actuo sitatem, i fondamenti dell'apostolato
laicale, comunque, erano ricondotti (seguendo LG 33) non tanto a un mandato della gerarchia, ma
all'appartenenza del laico alla Chiesa, frutto della unione con Cristo Capo attraverso il Battesimo,
sviluppata nei carismi donati dallo Spirito a ciascun credente, in forme diverse e specifiche (AA 3).
Scopo dell'apostolato era identificato nella diffusione del Regno di Cristo su tutta la terra. Il modo
specifico con cui i laici avrebbero partecipato a questa missione era descritto con la somma di due
dimensioni (in un passaggio che fu accuratamente dosato): essi esercitano l'apostolato
evangelizzando e santificando gli uomini, e animando e perfezionando con lo spirito evangelico
l'ordine temporale, in modo che la loro attività in questo ordine costituisca una chiara
testimonianza a Cristo e serva alla salvezza degli uomini (AA 2). L'apostolato, infatti, si svolge,
come ribadiva anche in seguito il documento, sia nella Chiesa che nel mondo, sia nell'ordine
spirituale che nel temporale (AA 5). Il decreto insisteva quindi sulla spiritualità del laico cristiano,
fondata nell'unione con Gesù Cristo. Nello sviluppo successivo del capitolo, prevalevano le
definizioni che richiamavano all'unica esperienza cristiana, piuttosto che quelle relative alla
specificità laicale. Il riferimento all'esperienza secolare era abbastanza esteriore e indiretto a
proposito di spiritualità, pur evocando una particolare esperienza della condizione laicale: questa
spiritualità dei laici deve parimenti assumere una sua peculiare caratteristica dallo stato di
matrimonio e di famiglia, di celibato o di vedovanza, dalla condizione di infermità, dall'attività
professionale sociale. Non lascino dunque di coltivare costantemente le qualità e le doti ricevute
corrispondenti a tali condizioni e di servirsi dei propri doni ricevuti dallo Spirito (AA 4).
L'attenzione specifica alla vita cristiana laicale diveniva più marcata nel secondo capitolo,
in ordine ai fini dell'apostolato, dove si usava di nuovo l'espressione dell’ordinamento secondo Dio
di tutta la sfera mondana (parallela ai passi citati di LG).
Mentre il capitolo terzo sugli ambiti dell'apostolato è prevalentemente descrittivo, quello
successivo insisteva sulle diverse forme dell'apostolato: individuale o associato. Nel secondo caso,
il riferimento andava a una molteplicità di modelli possibili, anche se si dedicava attenzione
particolare al classico modello dell'Azione Cattolica, quale forma peculiare di esperienza
istituzionale, già ufficializzata durante i pontificati di Pio XI e Pio XII. Il Concilio riassumeva i
tratti caratteristici e peculiari di questa esperienza associativa in quattro punti: la stretta
collaborazione con la gerarchia, che esercitava una superiore direzione; l'assunzione diretta del fine
apostolico della Chiesa, cioè l'evangelizzazione e la santificazione degli uomini; una specifica
responsabilità direttiva laicale; infine, l'azione comunitaria a guisa di corpo organico (AA 20).
Dovevano rimanere un punto di riferimento non banale per il rinnovamento del modello di Azione
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Cattolica nel postconcilio, a fronte della esplosione vera e propria di forme aggregative diverse,
che ridimensionarono il ruolo istituzionale dell'associazione ufficiale del laicato concepita nel
l'epoca di papa Ratti.
Il capitolo quinto fissava poi al cune modalità dell'apostolato, parlando dell'iniziativa della
gerarchia e reintroducendo, per alcune fattispecie, il vecchio concetto di mandato, in un passaggio
che tornava a mostrare un'ottica piuttosto difensiva e tradizionale.
Infine, un sesto capitolo (reintrodotto proprio per l'insistenza di alcuni padri sulla questione)
tornava a proporre una particolare formazione necessaria per i laici.
II.6. Il laico nel mondo
Parallelamente, come abbiamo visto le volte scorse, fin dalla seconda sessione del 1963,
proseguivano i lavori della commissione mista che era stata incaricata di elaborare un nuovo
schema sui rapporti Chiesa-mondo, recuperando materiali di alcuni schemi preparatori (quelli
sull'ordine sociale e la comunità delle genti) e tutta la seconda parte dello schema preparato dalla
Commissione per l'apostolato dei laici, riguardante appunto l'azione dei cristiani laici nella realtà
temporale. Si trattava in qualche misura di un documento che attraversava nuovamente la questione
laicale, ed era molto atteso dai cristiani laici impegnati nella vita familiare, professionale e civile.
Al n. 43 di Gaudium et Spes (ma anche in tutto il documento, specialmente la seconda
parte) si insiste organicamente sul contributo offerto dalla Chiesa al mondo, particolarmente
attraverso l'azione dei cristiani laici. Il dovere per questi ultimi di collegare la fede e la vita emerge
pienamente: iI distacco che si constata in molti tra la fede che professano la loro vita quotidiana, va
annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo. Quindi, nessuna lettura dualista era possibile tra
fede e impegno secolare. La prevalenza (peraltro non esclusiva) dell'impegno dei laici cristiani
nelle attività temporali è ribadita con una descrizione dei modi di esercizio di tali attività: rispetto
delle leggi proprie di ciascuna disciplina, competenza, responsabilità, innovazione, dialogo con i
pastori (senza però aspettarsi da loro soluzioni definite su tutti i problemi). Nell'importanza
orientatrice della visione cristiana della realtà, il Concilio non si nascondeva che avrebbero in
questo modo potuto darsi soluzioni diverse ai medesimi problemi affrontati dai cristiani,
ricordando quindi che tale opinabilità imponeva che a nessuno è lecito rivendicare esclusivamente
in favore della propria opinione l'autorità della Chiesa.
Se questi appaiono i percorsi e i luoghi fondamentali dell'interesse conciliare per i laici e il
laicato, occorre anche richiamare rapidamente il fatto che in realtà il Concilio si interessò dei laici
anche in altri contesti: si pensi alla Costituzione sulla liturgia, dove si parla di partecipazione attiva
di tutti i fedeli, o alla Costituzione sulla divina rivelazione, in materia di ampliamento
dell'approccio diretto alla Parola di Dio; oppure ancora nei Decreti sull'ecumenismo, sulle
missioni, sull'educazione. Oppure pensiamo a un caso specifico, come quella originale forma di
consacrazione laicale che era stata riconosciuta negli Istituti secolari: il Concilio ne trattò nel
Decreto sui religiosi, anche se un consiglio importante di Giuseppe Lazzati fatto pervenire a Carlo
Colombo e a Paolo VI riuscì a far inserire nel testo che stava per essere approvato un inciso mirato
a salvarne il carattere laicale: Gli Istituti secolari, pur non essendo istituti religiosi, tuttavia
comportano una vera e completa professione dei consigli evangelici nel secolo (PC 11).
Forse l'accumulo di tanti luoghi e tanti approcci di versi, non sempre unificati accuratamente dalla
stessa logica fondamentale, consegnò anche una certa impressione di dispersione del messaggio.
Ma una rilettura del Concilio come evento, nel suo complesso modo di lavorare, ci riconsegna
l'importanza di un notevole mutamento di ottica rispetto al periodo precedente. I laici sono divenuti
pienamente soggetti ecclesiali, proprio tramite il loro essere cristiani battezzati che vivevano le
condizioni comuni degli uomini e delle donne del proprio tempo.
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