Sarkozy, il Kennedy europeo

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Sarkozy, il Kennedy europeo
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Sarkozy, il Kennedy europeo
Fabio Lucchini
icolas Sarkozy e John Fitzgerald Kennedy. La stampa
francese ed anglosassone accostano con insistenza
le figure dei due statisti in una parallelismo che potrebbe
apparire quantomeno forzato. Distanti come formazione
politica, estrazione sociale ed ovviamente per quanto riguarda il contesto storico ed ambientale di riferimento, i
due uomini sono tuttavia accomunati dal fascino personale e, soprattutto, dalla volontà di rottura con il passato.
Due doti rare che, se tradotte in azione politica, possono
produrre cambiamenti epocali, come è avvenuto con la
rivoluzione politico-culturale messa in moto negli Stati
Uniti degli anni Sessanta dalla Nuova Frontiera Kennediana e poi dalla Great Society di Lindon Johnson, diretta
emanazione della prima.
Tanti estimatori di Sarkozy gli riconoscono la stessa
tensione riformatrice, si aspettano da lui un rinnovamento culturale e gli chiedono di fornire un modello di buon
governo, scevro da condizionamenti ideologici, che inauguri una nuova era di progresso per la Francia e l’Europa.
Le aspettative sono grandi, non solo in Francia. Gli osservatori internazionali hanno accolto con soddisfazione e fiducia il risultato del 6 maggio scorso e la grande stampa
anglosassone, per solito diffidente nei confronti di Parigi,
ha salutato con entusiasmo la vittoria di Sarkozy, come
testimoniano le prese di posizione di testate prestigiose come l’Herald Tribune ed l’Economist.
L’ascesa di Nicolas Sarkozy alla presidenza della Repubblica Francese rappresenta dunque una grossa novità
nel panorama politico europeo. Una svolta radicale. Una
simile affermazione potrebbe apparire paradossale se si
considera che il nuovo inquilino dell’Eliseo proviene dalla stessa formazione politica che ha espresso la massima
carica dello Stato negli ultimi 12 anni e che da oltre un decennio egemonizza, quasi ininterrottamente, la vita politica francese. La riconferma della destra neogollista al potere non deve tuttavia trarre in inganno. Il candidato Sarkozy ha infatti costruito la sua chiara vittoria elettorale presentandosi con un programma di rottura rispetto alla cultura politica che ha ispirato l’azione del suo predecessore.
Lo stesso Jacques Chirac, esitando lungamente prima di appoggiare in modo esplicito la candidatura dello sgradito
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delfino, ha avvalorato suo malgrado l’immagine rotturista
e dinamica che il nuovo leader dell’UMP si è costruito negli ultimi anni e durante la campagna elettorale.
Il Sarkozy degli ultimi mesi, in particolare, è apparso
autorevole, pacato e rassicurante, convincendo la generalità degli osservatori di essere il candidato più preparato
ed affidabile, ma soprattutto ha saputo proporsi come fautore del cambiamento. Un obbiettivo che Ségolène Royal
non ha saputo invece conseguire, inducendo molti elettori a considerarla la rappresentante stessa della conservazione. L’abilità mostrata da Sarkozy nel convincere l’elettorato delle sue credenziali riformatrici ed innovatrici appare ancora più rilevante se si considera che fino a poche
settimane fa egli stesso faceva parte di una compagine governativa screditata ed impopolare.
Oltre alla forza ed al fascino della sua proposta politica, Sarkozy deve la sua affermazione alla capacità di proporsi come una figura dinamica, sportiva ed iperattiva in
grado di incarnare al meglio il messaggio di rinnovamento lanciato agli elettori. Anche da questo punto di vista il
nuovo presidente viene percepito dai francesi come una
personalità nuova, in grado ridare vigore ad un paese che
esce dalle urne con la dichiarata intenzione di modernizzarsi, distaccandosi dalle ingessature politiche dell’era Chirac e da un modello incapace di riformarsi per paura di dover affrontare proteste e tensioni sociali. La Francia desi-
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dera dunque voltar pagina accettando la sfida della globalizzazione, con le sue opportunità ed i suoi rischi, e confidando in un leader che sembra voler incarnare, per ora
con il suo modo di porsi poi, si auspica, con l’implementazione di un programma politico riformatore, la voglia di
cambiamento che ha investito il paese. A conferma del capitale di popolarità con cui Sarkozy inizia il suo mandato, una serie di sondaggi indicano come il livello di gradimento dei francesi per il nuovo presidente non abbia eguali dall’inizio della Quinta Repubblica.
Con i suoi 52 anni il leader dell’UMP (Unione per un
Movimento Popolare) è il primo presidente francese nato
dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il primo inquilino dell’Eliseo di matrice gollista a non aver collaborato direttamente con il generale de Gaulle ed il primo ad
avere un’origine straniera (il padre era un immigrato ungherese in fuga dal comunismo). Quest’ultimo aspetto non
è sfuggito a Jean-Marie Le Pen che lo ha volgarmente attaccato, sottolineando la non completa “francesità” di Sarko, probabilmente conscio del rischio di perdere voti a favore del candidato neogollista.
Il leader dell’UMP ha in effetti strappato al decano dell’estrema destra francese quasi un terzo del suo elettorato
di riferimento, grazie alla fermezza con cui ha gestito la crisi delle Banlieues ed alla fama di uomo d’ordine che si è
costruito durante gli anni al ministero degli Interni. D’altro canto, la sua proposta di istituire un ministero per l’Immigrazione e l’Identità Nazionale ed alcune discutibili considerazioni sul determinismo genetico gli hanno alienato
la simpatia di parte dell’elettorato moderato e repubblicano, preoccupato di salvaguardare il modello francese di
integrazione che prevede che la concessione della cittadinanza debba prescindere dalla provenienza e dalla religione dell’individuo.
Anche per quanto riguarda la sua formazione culturale e politica Sarkozy si discosta dalla tradizione della destra francese, non avendo frequentato la prestigiosa École Nationale d’Administration. Ambizioso, pragmatico e
spregiudicato, Sarkozy inizia la sua scalata nelle fila dell’Unione dei Democratici per la Repubblica (UDR), partito guidato da Chirac che in quel momento, siamo alla metà degli anni Settanta, ricopriva la carica di Primo Ministro.
Dopo una rapida e precoce ascesa nel decennio successivo, Sarkozy si avvicina alle posizioni di Édouard Balladur,
diventando ministro del governo presieduto da quest’ultimo ed appoggiandolo, contro Chirac, nella corsa all’Eliseo del 1995.
Forse l’errore di valutazione più grave della sua carriera, poiché la sconfitta al primo turno di Balladur avrebbe
comportato la sua esclusione dal nuovo governo presieduto dall’ex sindaco di Parigi.
Nonostante l’evidente dissidio che ha da allora caratterizzato le relazioni con il presidente Chirac, Sarkozy è riuscito a trovare un modus vivendi con il potente antagonista ed a rientrare nella compagine governativa dopo il
terremoto politico del 2002 e la fine della coabitazione
con il governo socialista di Lionel Jospin.
Da allora Sarkozy, due volte ministro degli Interni con
una parentesi al dicastero delle Finanze, non ha nascosto
la volontà di compiere il passo definitivo verso l’Eliseo per
quanto Chirac, a riprova della diffidenza personale e politica fra i due, non abbia esitato ad operare manovre di disturbo ai suoi danni, prima costringendolo a dimettersi dal
governo in modo che il giovane rivale non cumulasse la
carica con quella di presidente dell’UMP poi preferendogli Dominique de Villepin come primo ministro. Manovre
rivelatesi inutili di fronte alla superiore abilità politica e
mediatica del ministro degli Interni, che ha agevolmente
guadagnato la candidatura neogollista all’Eliseo, anche in
seguito alla dura sconfitta politica di de Villepin in seguito alle veementi proteste di piazza dello scorso anno contro la sua proposta di riforma del mercato del lavoro.
In che modo Sarkozy, uomo legato all’establishment al
potere dalla fine dell’Era Mitterand, può essere considerato espressione della volontà di cambiamento emersa dalle urne? Il nuovo presidente, che ha giurato il 16 maggio,
si propone di riformare profondamente il Sistema Francia,
iniziando quelle riforme economiche in grado di eliminare i privilegi ed i benefit che hanno appesantito negli anni il welfare nazionale, riducendo il peso del pubblico e ridimensionando il potere della burocrazia.
Uomo energico ed attivo, prefigura ai francesi l’introduzione del criterio meritocratico in tutti gli ambiti della
vita pubblica e propone di incentivare il lavoro, detassando gli straordinari e sostenendo il sistema imprenditoriale nazionale. Una sfida difficile in un paese che ha una
lunga tradizione di interventismo dello Stato nell’economia e che Sarkozy si propone di affrontare, dopo aver prudentemente atteso l’esito delle elezioni legislative in programma il 10 ed il 17 giugno prossimi, con gradualità e
determinazione.
Anche a livello internazionale il nuovo presidente promette di inaugurare un ciclo politico nuovo rispetto al
suo predecessore ed alla tradizione del proprio paese. Dal-
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l’analisi delle posizioni espresse negli anni scorsi da Sarkozy è possibile ricavare un quadro delle possibili direttrici della futura politica estera francese. Innanzitutto, Sarkozy desidera rilanciare il processo di integrazione europea, che ha conosciuto una battuta d’arresto dopo il no
francese al referendum costituzionale del 2005, anche attraverso la costruzione di solidi legami politico-commerciali con il bacino del Mediterraneo. A tal proposito, insiste sull’impossibilità per l’Unione di accogliere la Turchia
tra gli stati membri, sconfessando la posizione del precedente governo. In secondo luogo, il nuovo inquilino dell’Eliseo ha da sempre esplicitamente dichiarato, a differenza delle generalità dell’élite politica francese, la sua
amicizia e vicinanza agli Stati Uniti e ad Israele e la sua volontà di contrastare duramente le ambizioni nucleari iraniane. Infine, con l’avvento di Sarkozy al potere in Francia, che sia aggiunge all’affermazione di Angela Merkel in
Germania, è presumibile attendersi una svolta nella postura dell’Europa nei confronti della Russia di Vladimir Putin, che non dovrebbe più contare sulla benevola neutralità accordatagli dall’asse Berlino-Parigi negli anni del cancellierato Schroeder e della presidenza Chirac.
Per Mosca potrebbe prepararsi un periodo di duro contrasto, o quantomeno di confronto critico, con un’Europa
governata da nuovi leader, filo-atlantici e maggiormente
propensi, rispetto ai loro predecessori, a contestare l’aggressiva politica commerciale del Cremlino ed a denunciare il regime di democrazia limitata instaurato dal governo russo.
Angela Merkel non ha perso occasione per criticare la
politica del ricatto energetico messa in atto a più riprese
da Mosca negli ultimi anni nei confronti degli stati vicini
(Ucraina, Bielorussia), e potenzialmente estendibile al resto d’Europa, e per stigmatizzare la repressione delle manifestazioni di dissenso dell’opposizione russa. Sarkozy,
che ha effettuato la prima visita da presidente proprio in
Germania a testimonianza dei rapporti di stima e comunanza politica con il cancelliere, promette di muoversi
nella stessa direzione.
Il potenziale innovatore insito nel cambiamento di leadership a Parigi è stato colto anche oltre Manica. Tony
Blair ha accolto con soddisfazione la vittoria dell’amico
Sarko, intravedendo nello stile del leader della destra francese lo steso zelo riformatore che ha animato il Labour
nei dieci anni della sua permanenza a Downing Street.
Un’impressione condivisa, dalle colonne del Guardian, da
Denis MacShane, un autorevole esponente del Labour e mi-
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nistro per gli Affari Europei sino al 2005, che ritiene Sarkozy il miglior partner possibile per Gordon Brown, il premier britannico in pectore. Nonostante le matrici politico-culturali del laburismo britannico e del neogollismo
siano diverse, prosegue MacShane, l’emergere di un forte
rapporto triangolare tra la nuova leadership emersa in
Francia, il governo britannico e la Germania potrebbe ridare slancio alla politica estera europea, condizionata negli ultimi anni da divisioni politiche e rancori personali
tra i leader dei tre grandi paesi guida dell’Unione.
Sarkozy ha mostrato tutta la sua lungimiranza politica, stringendo negli anni scorsi legami personali con la dirigenza laburista britannica e cristiano-democratica tedesca Tutto ciò induce a pensare che le differenti interpretazioni sulla natura del modello socio-economico di riferimento per l’Unione, che avevano scavato un solco tra
Blair ed il binomio Chirac-Schroeder, lascino il posto a
proficui rapporti di cooperazione. MacShane conclude ricordando come spesso nella storia le alleanze fra personalità apparentemente inconciliabili a livello politico abbiano prodotti risultati ragguardevoli ed invita il Labour a
collaborare con chi, sebbene da destra, pare condividere
l’impegno a rilanciare il ruolo dell’Europa sulla scena internazionale ed a valorizzare nuovamente il patrimonio politico-culturale e gli interessi che legano il Vecchio Continente agli Stati Uniti.
In quest’ottica, nelle prime mosse di Sarkozy come presidente è possibile rintracciare la volontà di avviarsi al superamento delle rigide barriere tra destra e sinistra, in nome di una sintesi politica in grado di affrontare senza condizionamenti ideologici, ormai datati, le complessità del
mondo globalizzato.
La decisione del presidente di offrire la carica di ministro degli Esteri a Bernard Kouchner, fondatore di Médicins
Sans Frontières e uomo notoriamente di sinistra, se ha generato qualche malumore all’interno dell’UMP, può forse
rappresentare un antecedente virtuoso che apra la strada
alla formazione di una compagine governativa che, prescindendo dalle appartenenze di ognuno ma senza rinnegare
le diverse identità politiche, raccolga tutte le migliori energie disposte ad operare per realizzare un progetto di cambiamento necessario per la Francia. Un esperimento che,
se perseguito con coerenza ed onestà intellettuale, potrebbe inaugurare una quanto mai opportuna stagione di riforme e costituire un valido modello per il resto d’Europa.
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