Come si svolge un saggio breve
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Come si svolge un saggio breve
TIPOLOGIE D’ESAME: SAGGIO BREVE Alcune indicazioni compositive Il saggio breve è un testo argomentativo o un testo divulgativo specialistico? Secondo alcuni il saggio breve è un testo argomentativo. L'argomentazione infatti forma l'intelaiatura del testo, ciò che gli permette di avere un andamento coerente e perseguire un fine sulla base di strumenti logici e capaci di persuadere per le loro virtù generalizzanti e astratte; una volta individuato questo percorso, che dall'enunciazione della tesi procederà a una sua dimostrazione sulla base di argomenti condivisibili, solo allora avrà senso rafforzare gli argomenti con la documentazione adatta e con esempi che diano evidenza agli argomenti. L'utilità della documentazione risiede nella capacità di confortare con dati o testimonianze autorevoli un argomento. Anche l'esemplificazione possiede una funzione importante: rendere evidente l’argomentazione; può toccare per così dire i sensi del destinatario, fargli vedere un caso concreto, seppur isolato, di ciò che argomentazione e documentazione hanno trattato da lontano Trattandosi di un testo argomentativo, il modo più chiaro per gestire le informazioni è di dividere il testo in: 1. Introduzione 2. Un numero variabile di unità argomentative 3. Conclusione. 1. L'introduzione ha il compito di fornire subito al lettore gli elementi fondamentali per comprendere il quadro generale del discorso: a. deve formulare la tesi già espressa dal titolo e precisarla. Per es. se il titolo esprime la tesi Superiorità del modello europeo su quello americano, l'introduzione può precisarla e definirla in vari modi, per es. Il modello europeo è superiore a quello americano come sistema di convivenza sociale; b. deve fornire al lettore l'intelaiatura del testo, cioè le argomentazioni fondamentali, badando a metterle nell'ordine che effettivamente occupano nel testo, in modo che il lettore possa poi concentrarsi sul contenuto e non si distragga per comprendere la struttura del testo. Per es. Ciò è dovuto a tre ragioni fondamentali: il peso maggiore dato ai valori della cultura rispetto a quelli dell'economia, un modello urbano che favorisce il contatto sociale e uno stato sociale che garantisce i cittadini. 2. Le unità argomentative devono essere ordinate in modo da aumentare la loro capacità persuasiva. L'argomento più forte va quindi alla fine. Se infatti il lettore non sarà stato convinto dagli argomenti precedenti e se ne trova uno più debole alla fine, sarà ancor più rafforzato nel suo atteggiamento contrario. 3. La conclusione non deve limitarsi a una formula di chiusura, ma deve ribadire la tesi che ora acquista una forza diversa grazie allo svolgimento delle unità argomentative arricchite di documentazione ed esemplificazione. La lingua del saggio breve La lingua del saggio breve dovrebbe avere caratteristiche vicine al linguaggio accademico: • poca emergenza dell'io (quindi ridurre le forme in prima persona che fanno emergere in superficie la soggettività dell'autore); • lessico preciso e non espressivo; • ordine delle parole naturale e poche tematizzazioni; • registro sostenuto che mira a far parlare i contenuti e non a convincere con l'uso di figure retoriche o espressioni colorite. Questo non vuol dire eliminare l'individualità stilistica, ma garantire che tutti si impadroniscano di una lingua rigorosa. Dopo di ciò si potrà lasciare libertà a uno stile più personale badando però a che sia effettivamente motivato dalla situazione comunicativa. Il titolo 1 Non si può stendere un testo argomentativo a partire da un titolo come La violenza nella società. Esso non esprime una tesi e quindi non è argomentabile né a favore né contro; induce invece a una serie di considerazioni, più o meno vaghe, sulla violenza presente nella società e sui modi in cui si manifesta. Un titolo corretto potrebbe essere La violenza nella società è in aumento oppure La crisi della famiglia ha prodotto un aumento della violenza nella società. I due titoli esprimono una tesi che può essere sostenuta o confutata. Un titolo come: L'immigrazione di extracomunitari si risolve in un'invasione di massa, genera una crescita della criminalità e toglie lavoro agli italiani Qui vi sono 3 tesi da sostenere oppure 3 argomentazioni a favore di una tesi sovraordinata come L'immigrazione di extracomunitari è un fenomeno da contrastare; in tal caso i nuclei argomentativi potrebbero essere: a) perché si risolve in un'invasione; b) perché genera aumento della criminalità; c) perché toglie lavoro agli italiani. Esercizio sui titoli L'Esame di Stato richiede di dare un titolo al testo prodotto a partire da una traccia generica. Il titolo di un testo argomentativo si forma incrociando un argomento a una tesi. Per esempio Il patrimonio artistico italiano (argomento) non è tutelato bene (tesi) La vita in montagna (argomento) è più salutare (tesi) Lo studio dell'argomentazione (argomento) aiuta le relazioni con gli altri (tesi) Naturalmente a partire da una traccia si possono formulare innumerevoli titoli. Ma poi è il titolo che guida il testo. La traccia può essere molto breve, per es. il solo argomento, oppure molto lunga (spesso consiste in un discorso che deve stimolare riflessioni). In entrambi i casi lo studente deve estrarne un titolo argomentabile. Esercizi sulla combinazione dei vincoli Combinare molti vincoli (anche più di quelli richiesti dall'esame) educa lo studente a governare il testo in condizioni di difficoltà e lo rende particolarmente consapevole dell'utilità di una buona progettazione. Sostenere la tesi espressa nel titolo badando a: • costruire un testo con introduzione, 3 unità argomentative e conclusione; • usare per ogni unità almeno una fonte documentaria; • inserire in ogni unità un'esemplificazione (che può anche essere tratta dalla documentazione); • usare una delle fonti documentarie sotto forma di citazione; • usare una delle fonti documentarie sotto forma di riassunto; • indicare in apposite note a piè di pagina l'indicazione bibliografica delle fonti usate; • rispettare il limite di tempo indicato. Secondo altri il saggio breve è una ricerca, un’indagine scritta sostenuta da uno studio documentario di carattere specifico, di limitata estensione, in cui l’autore analizza criticamente un particolare problema, un evento, un personaggio, riconducibili a vari ambiti (scientifico, economico, …) 2 Un tema di tipologia B svolto sotto forma di SAGGIO BREVE 2. AMBITO SOCIO-ECONOMICO società ARGOMENTO: I giovani in famiglia e nella Documento I Più o meno consapevolmente, quando ci chiediamo se vi sia un futuro per i giovani d'oggi, intendiamo il termine «futuro» in un senso più profondo della semplice determinazione temporale: esso designa per noi non soltanto ciò che accade dopo oggi, ma soprattutto ciò che può accadere di nuovo e di migliore rispetto ad oggi. Attendere il futuro, prepararsi al futuro, interrogarsi sul futuro, implica sempre un giudizio, un'interpretazione del presente: futuro non è, propriamente, la ripetizione del presente, ma la sua innovazione in senso positivo, almeno per quegli aspetti per cui il presente è sinonimo di monotonia, di banalità, di grigiore, di insoddisfazione. Uno dei motivi più immediati e più pressanti di sfiducia concerne la prospettiva dell'inserimento giovanile nel mondo dei lavoro. Una riflessione sulla condizione giovanile attuale deve, innanzitutto, prendere atto di un dato incontestabile: tutta una serie di congiunture economiche, a livello nazionale e mondiale, ha portato ad un quadro occupazionale allarmante. «Non sono cifre tratte dal cappello di un prestigiatore: nei prossimi vent'anni la disoccupazione rimarrà uno dei più gravi problemi del mondo; sarà necessario creare un miliardo di posti di lavoro, e di questo miliardo l'81% nei Paesi in via di sviluppo»: così, recentemente, si esprimeva il Direttore generale dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL). Augusto Cavadi, Nuova secondaria n. 5, 1986. Documento II Incapaci di sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d'onda dei figli, i genitori minimizzano e dimostrano di non voler credere alle proporzioni che i figli vorrebbero dare ai loro problemi. (...) A rendere difficile il dialogo, sono soprattutto il divario generazionale e culturale, l'incapacità di ascoltare, il predominio dei massmedia nella vita familiare. Lo sbalzo di età si manifesta in diversità di opinioni e interessi in contrapposti atteggiamenti verso la vita e la società. È l'eterna lotta fra chi vuole far valere il bagaglio della propria esperienza e chi vuole camminare da solo, a costo di ruzzolare e scivolare lungo il percorso. Gli uni dimenticano che 3 a loro tempo hanno scalpitato e invocato autonomia, gli altri, impazienti, non riconoscono valore a una esperienza che per loro sa di muffa. Lo scontro generazionale si traduce inevitabilmente in una contrapposizione culturale, di mentalità. «I genitori, avendo vissuto condizioni di vita diverse - scrivono Fiorella e Lina, due sorelle del Trentino – non sono rimasti al passo con i tempi, la loro mentalità un po' quadrata non si è lasciata penetrare da tutti i cambiamenti ideologici e dallo sviluppo industriale di quest’ultimo decennio, giudicano il comportamento dei giovani in maniera abbastanza superficiale e condannano senza cercare di capire». La difficoltà di capire il mondo d'oggi e il nuovo modo di vivere dei figli rende i genitori pessimisti e apprensivi. (...) I genitori, in un tentativo di giustificazione, si nascondono dietro il paravento dell’amore e dell'affetto. Sostengono che ogni presa di posizione nasce da preoccupazione e si ispira al desiderio di costruire la felicità dei giovani. Ma è proprio questa tutela che i figli non sopportano. Sergio Giordani, Dimensioni nuove, 1983 Documento III Oggi lo scenario sta cambiando rapidamente, e anche violentemente, specie all'interno di quel complicato universo che si chiama convivenza familiare. Ma niente drammi: ora il mutamento nel rapporto genitori-figli non conosce (o quasi) l'antica contestazione generale che si traduceva in mutismi e incomprensioni, scenate e separazioni. La cosiddetta «generazione dei senza padri» è tramontata; adesso i figli - adolescenti o già adulti riscoprono l'amore per i genitori, con la consapevolezza di doversi confrontare con un sentimento difficile, eppure essenziale, una conquista fatta anche di frustrazioni e provvisorie sconfitte, senza la quale, però, tutte le altre relazioni umane (siano esse sessuali, affettive o sociali) non potrebbero esprimersi compiutamente. (...) Essere padri e madri oggi significa abbandonare le certezze e avere un unico segreto pedagogico: la sperimentazione quotidiana, basata sulla consapevolezza dei propri errori e di qualche, forse insignificante, successo. Marisa Rusconi L'Espresso, giugno 1985 Facendo riferimento a quanto è stato fin qui detto, mostriamo di seguito due esempi di svolgimento. Titolo: Giovani problematici Destinazione editoriale: “Il Venerdì” (inserto settimanale de “La Repubblica”) Scaletta (che non è indispensabile trascrivere in bella copia): 1) Introduzione e spiegazione del concetto inserito nel titolo; 2) Documenti n.2 e n.3: divario tra genitori e figli; 3) Documento n. 2: concetto d’amore nei genitori 4) Documento n. 1: effetti del disagio giovanile su vita sociale e lavorativa 5) Conclusione 1) Scontri generazionali, violenze, lessico incomprensibile e comportamenti antisociali: è questo l’identikit dei giovani contemporanei? L’interrogativo nasce spontaneo negli adulti che, preoccupati, si chiedono se il mondo, creato con sacrificio, andrà in mano a degli sbandati senza ideali e senza rispetto. Quotidiani, riviste e talk-show vogliono farci conoscere dei giovani in preda a profonde crisi, che trascorrono tutto il loro tempo inseguendo dei miti o imitando personaggi di discutibile valore, e talvolta assumono stupefacenti o addirittura compiono gesti tragici, come è stato, fra gli eventi di cronaca degli ultimi mesi, il duplice delitto di Novi Ligure. Ma puntare il faro solo in una direzione ci induce a rilevare soprattutto 4 la negatività; contrasti ed incomprensioni sono problemi comuni ad ogni “cambio” generazionale. 2) La causa dell’eterna lotta tra adulti e giovani, come sostiene lo studioso Sergio Giordani in “Dimensioni nuove” del 1983, è da ricondurre alla diversità di opinioni e di interessi, ai contrapposti atteggiamenti verso la vita e la società. Mostra un diverso aspetto della questione l’articolo di Marisa Rusconi pubblicato sul settimanale “L’Espresso”, giugno 1985, nel quale la giornalista afferma che è mutato il rapporto genitori-figli e che non esiste più l’antica contestazione in cui si alternavano mutismi e scenate, incomprensioni e separazioni. Secondo la Rusconi, infatti, i giovani moderni riscoprono la positività del confronto: parlano, gridano e vogliono amore da quegli adulti ai quali spetta un aspro ruolo: dare certezze o almeno risposte ad individui talvolta forti ma spesso bisognosi. “Schiaffeggiati” da questa realtà, i genitori dovrebbero abbandonare le certezze che contraddistinguevano un passato neppure tanto lontano, rendendosi conto che il “padre padrone” non esiste più. Il loro primo dovere consiste oggi nell’analizzare sé stessi, per divenire consapevoli dei propri errori e per impegnarsi a svolgere quotidianamente un compito difficile ma necessario: essere ricettori delle crisi, porgendo ai figli una mano salda e allo stesso tempo affettuosa. Il film di Nanni Moretti “La stanza del figlio”, vincitore dell’ultima edizione del Festival di Cannes, mette in luce con sorprendente lucidità proprio questa duplice esigenza. 3) Come precisa Sergio Giordani, l’amore e l’affetto non possono costituire il paravento e la giustificazione di ogni comportamento, perché è proprio il desiderio di tutelare i figli e di costruire la loro felicità che i giovani non riescono né a capire né ad accettare. L’affetto deve essere contorno del rapporto genitori-figli: sempre presente, non deve oltrepassare i limiti entro i quali ognuno ha diritto di fare le proprie scelte. Invece l’apprensione porta spesso gli adulti a soffocare le esigenze dei figli e a limitarne le libertà, volendo progettare una vita non loro. 4) Confusione, sfiducia, tendenza a vivere il presente in maniera monotona e superficiale: sono questi gli atteggiamenti che frequentemente concorrono a causare i problemi che colpiscono i giovani. Ad essi, afferma il professor Augusto Cavadi sul mensile scolastico “Nuova secondaria” (n.5 del 1986), si aggiunge la difficoltà che i ragazzi incontrano ad inserirsi nel mondo del lavoro. Egli spiega che il quadro occupazionale, a livello nazionale e mondiale, è allarmante. Tali considerazioni sono condivise anche dal Direttore generale dell’Organizzazione Internazionale del lavoro (OIL) il quale sottolinea che nei prossimi vent’anni la disoccupazione rimarrà uno dei problemi più gravi del mondo, quindi sarà necessario creare posti di lavoro, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. 5) Risolvere i conflitti tra genitori e figli risulta sempre più complicato ed è difficile dare suggerimenti universalmente utili, poiché ogni famiglia ha le sue particolarità e ogni individuo ha le proprie esigenze. Tuttavia si può affermare che fossilizzarsi su idee e comportamenti tradizionali non aiuta a migliorare i rapporti interpersonali, in una società in continua e rapida evoluzione sul piano economico, tecnologico e scientifico, ma sostanzialmente poco disposta alla riflessione e povera di spiritualità. Solo se ciascuno accetterà di mettersi in discussione per migliorare sé stesso, si potrà sperare di raggiungere un livello di comunicazione più autentico e profondo, non solo fra coetanei, ma anche fra generazioni diverse. Qualche osservazione sull’esempio sopra riportato (liberamente tratto da un tema svolto in una quarta classe di Istituto Tecnico). L’autrice distribuisce opportunamente i riferimenti al materiale documentario nei vari punti della scaletta che viene poi fedelmente rispettata nella composizione del saggio. La scaletta e i numeri che precedono ciascun paragrafo, non essendo esplicitamente richiesti, sono stati trascritti in bella copia solo per ottemperare ad una precisa richiesta della docente ed hanno quindi una funzione meramente didattica. L’incipit ad effetto è adeguato alla collocazione editoriale scelta. La rivista di tipo divulgativo giustifica l’intonazione piuttosto forte, che non sarebbe altrettanto adatta ad una pubblicazione specialistica. Le citazioni dei documenti sono correttamente eseguite. A questo proposito si ricordano i criteri da seguire per le varie citazioni bibliografiche: Testi: Nome dell’autore, Titolo dell’opera, Casa editrice, luogo di edizione, anno della prima pubblicazione. 5 Articoli: Nome dell’autore, Titolo dell’articolo, in + “titolo della rivista o del giornale” , anno e numero del fascicolo oppure data di pubblicazione. È apprezzabile lo sforzo di qualificare il più possibile gli autori dei documenti citati, specificando professione o ruoli. Se mancano precise informazioni, è “consentito” lavorare di fantasia, cercando di capire chi è l’autore dei documenti dal tipo di pubblicazione da cui sono ricavati. Ad esempio A. Cavadi è definito “professore” perché scrive su “Nuova secondaria”, che è una rivista scolastica. Tali indicazioni potrebbero anche non essere oggettivamente corrette (ad esempio Marisa Rusconi potrebbe non essere una giornalista ma una psicologa o una sociologa). Tuttavia è importante qualificare gli autori, sia per rendere autorevole la testimonianza sia per dare al saggio una intonazione professionale. Attraverso la citazione di un fatto di cronaca e di un film, l’autrice dimostra di saper utilizzare appropriatamente le sue personali conoscenze, che si integrano e si armonizzano con i documenti a disposizione. La validità del saggio è data anche dalla capacità di chi scrive di comunicare un proprio pensiero, attraverso un discorso logico che si dipana in maniera consequenziale utilizzando i documenti come supporto e non come “materia prima”. Non sarebbe, infatti, né consigliabile né opportuno costruire il proprio pezzo limitandosi a smontare e a rimontare in un diverso ordine il materiale fornito. Lo stile utilizzato si adatta al tipo di saggio scelto come modello (di tipo divulgativo). La sintassi e il lessico sono semplici e chiari, anche grazie alla concretezza del messaggio. Il titolo scelto riflette solo in parte il contenuto del saggio, che attribuisce grande importanza non solo alle difficoltà esistenziali dei giovani, ma anche alla inadeguatezza dei genitori. Senza trasformare radicalmente il titolo, si potrebbe completarlo nel seguente modo: “Giovani problematici o genitori inadeguati?” 4. AMBITO TECNICO - SCIENTIFICO La scienza: dubbi e paure dello scienziato DOCUMENTI "Il supremo passo della ragione sta nel riconoscere che c'è un'infinità di cose che la sorpassano. E' ben debole, se non giunge a riconoscerlo. Se le cose naturali la trascendono, che dire di quelle soprannaturali?". B. PASCAL, Pensieri, n. 139, trad. it. di P. Serini, Torino 1962 "E tuttavia il ventesimo secolo non si trova a suo agio con la scienza che è il suo risultato più straordinario e da cui esso dipende. Il progresso delle scienze naturali è avvenuto sullo sfondo di un bagliore di sospetti e paure, che di quando in quando si è acceso in vampate di odio e di rifiuto della ragione e di tutti i suoi prodotti. [...] I sospetti e la paura verso la scienza sono stati alimentati da quattro sentimenti: che la scienza è incomprensibile; che le sue conseguenze pratiche e morali sono imprevedibili e forse catastrofiche; che essa sottolinea la debolezza dell'individuo e mina l'autorità. Né infine dobbiamo trascurare il sentimento che, nella misura in cui la scienza interferisce con l'ordine naturale delle cose, essa risulta intrinsecamente pericolosa". E. HOBSBAWM, Il secolo breve, trad. it. Milano 1995 "Mi ricordo un colloquio che ebbi dopo la guerra con E. Fermi, poco prima che venisse sperimentata la prima bomba all'idrogeno nel Pacifico. Discutemmo di questo progetto, ed io lasciai capire che, considerate le conseguenze biologiche e politiche, si doveva abbandonare un simile esperimento. Fermi replicò: "Eppure è un così bello esperimento". Questo è probabilmente il motivo più profondo che sta alla base dell'interesse per l'applicazione pratica della scienza; lo scienziato ha bisogno di sentirsi confermare da un giudice imparziale, dalla natura stessa, di aver compreso la sua struttura. E vorrebbe verificare direttamente l'effetto dei suoi sforzi". W. HEISENBERG, La tradizione nella scienza, trad. it. Milano 1982 "La politicizzazione della scienza toccò il suo culmine nella seconda guerra mondiale [...]. Tragicamente la stessa guerra nucleare fu figlia dell'antifascismo. Una normale guerra fra diversi stati nazionali non avrebbe quasi certamente spinto i fisici d'avanguardia, per lo più profughi dai paesi fascisti, a premere sui governi inglese e americano perché costruissero una bomba atomica. E proprio l'orrore di questi scienziati dinanzi al risultato ottenuto, i loro sforzi disperati all'ultimo minuto per impedire ai politici e ai generali di usare effettivamente la bomba, e in seguito i loro sforzi per opporsi alla costruzione della bomba all'idrogeno testimoniano della forza delle passioni politiche". E. HOBSBAWM, Il secolo breve, trad. it. Milano 1995 "Galileo: Se gli uomini di scienza non reagiscono all'intimidazione dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà fonte che di nuovi triboli per l'uomo. [...] Per alcuni anni ebbi la forza di una pubblica autorità; e misi la mia sapienza a disposizione dei potenti perché la usassero, o non la usassero, o ne abusassero, a seconda dei loro fini. Ho tradito la mia professione; e quando un uomo ha fatto ciò che ho fatto io, la sua presenza non può essere tollerata nei ranghi della scienza". 6 B. BRECHT, Vita di Galileo, Torino 1961 "Ho speso tutta la mia vita per la libertà della scienza e non posso accettare che vengano messi dei chiavistelli al cervello: l'ingegno e la libertà di ricerca è quello che distingue l'Homo Sapiens da tutte le altre specie... Solo in tempi bui la scienza è stata bloccata. Oggi più che mai bisogna affermare il principio che gli scienziati hanno il diritto di partecipare alle decisioni politiche piuttosto che essere vittime di movimenti oscurantisti ed antiscientisti". R. LEVI MONTALCINI, dal Discorso tenuto il 13 febbraio 2001 nella sala della biblioteca di Montecitorio Svolgimento La ricerca scientifica: libertà senza limiti? Introduzione Lo scienziato che si accinge a indagare il mondo che lo circonda è spinto dal fatto di essere, come dice Galileo, “appassionatamente curioso”, ma ciò non comporta automaticamente che sia anche sconsiderato e avventato; anzi, nella maggior parte dei casi, il percorso che conduce a nuove scoperte è costellato da timori e dubbi che sorgono spontanei soprattutto quando la scoperta può avere una portata rivoluzionaria. Tra le motivazioni che spingono lo scienziato a dubitare del proprio operato c’è la difficoltà di prevedere e quantificare con precisione le conseguenze pratiche e morali, ma anche politiche e ambientali, della propria scoperta. Unità argomentative (insufficienza della ragione a comprendere le conseguenze della scienza; paura della forza dirompente della scoperta; legame troppo stretto tra interessi politico-economici e lavoro dello scienziato) L’uomo, e di conseguenza anche lo scienziato, si rende conto facilmente dell’insufficienza della ragione rispetto alla comprensione dei misteri della natura. Come sosteneva nel 1600 il filosofo Pascal “Il supremo passo della ragione sta nel riconoscere che c'è un'infinità di cose che la sorpassano”: ammettere i limiti dell’uomo e della sua capacità di conoscenza è dunque un punto di partenza indispensabile per chi opera nella ricerca. L’idea che le proprie scoperte possano aprire scenari imprevedibili e forse catastrofici è stato senz’altro uno dei fattori frenanti per molti scienziati - in particolare a partire dalla Seconda guerra mondiale – a cui si è aggiunto il timore che le sofisticate apparecchiature create dall’uomo possano in qualche modo sottolineare “la debolezza dell’individuo” e “minarne “l’autorità”, come sostiene lo storico Hobsbawn ne “Il secolo breve”. Non è un caso che una buona fetta della letteratura e del cinema del XX secolo tratti questioni fantascientifiche, in cui l’interesse per i possibili sviluppi della scienza sembra avere quasi un effetto catartico, di purificazione dai timori, dalle paure che ogni individuo prova verso ciò che non riesce a comprendere o a dominare completamente. Contemporaneamente, però, l’uomo possiede una grande fiducia nelle proprie capacità e nella continua e libera sperimentazione: “Ho speso tutta la mia vita per la libertà della scienza e non posso accettare che vengano messi dei chiavistelli al cervello: l'ingegno e la libertà di ricerca è quello che distingue l'Homo Sapiens da tutte le altre specie” sosteneva il premio nobel Rita Levi Montalcini in un discorso tenuto nel 2001 sala della biblioteca di Montecitorio . Di certo la spinta alla ricerca è connaturata al nostro essere, ma ciò non toglie che i più grandi scienziati siano rimasti sgomenti e abbiamo avuto difficoltà ad accettare scoperte che comportavano la negazione e il ribaltamento non solo di acquisizioni scientifiche ma anche di convinzioni millenarie, di visioni del mondo, di credenze religiose o filosofiche. Ciò ha spinto, ad esempio, il grande Galilei all’abiura, ad un gesto di totale sconfessione di quanto la propria ricerca e gli strumenti da lui approntati potevano dimostrare senza ombra di dubbio. Nella rielaborazione teatrale del dramma di Galileo compiuta da Bertol Brecht - “Vita di Galileo” - si mostra allo spettatore il grande tormento interiore dell’uomo di scienza stretto tra ciò che vede con i propri occhi e una immagine astratta del mondo codificata da secoli, che poggia sull’arbitraria interpretazione dei testi sacri. Galilei capiva che lo sconvolgimento di tale immagine avrebbe aperto nuovi modi di guardare non solo al cielo, ma anche alla terra. Nella ricostruzione 7 brechtiana, inoltre, si vuole sottolineare lo stretto vincolo che lega ricerca scientifica e mondo politico-economico: Galileo accusa gli uomini di scienza che si sottomettono passivamente alle richieste di “potenti signori” e si vergogna di averlo fatto, talvolta, tradendo la propria professione e il proprio status. Lo scienziato, che ha bisogno di essere sovvenzionato per le proprie ricerche, in passato doveva soggiacere alle richieste di “potenti signori”; in tempi più recenti, i finanziamenti sono stati assicurati da enti statali o lobby multinazionali che hanno spesso controllato la ricerca finalizzandola a scopi politici ed economici. Emblematica è stata, a questo riguardo, la costruzione della bomba atomica. Come ricorda Hobsbawn, la realizzazione di tale ordigno fu espressamente voluta dagli scienziati antifascisti, in un momento in cui “la politicizzazione della scienza toccò il suo culmine”; fu solo “l’orrore” di fronte al risultato ottenuto che li spinse, in seguito, ad opporsi al proseguire delle operazioni di costruzione della bomba all’idrogeno, a quel punto fortemente voluta dal mondo politico americano. Fermi, come ricorda Heisenberg ne “La tradizione della scienza”, pur a malincuore, si rese conto della necessità di dover abbandonare tale ricerca dopo averne considerate le conseguenze biologiche e politiche. Non viene taciuto, però, il vivo dispiacere provato dallo scienziato per l’impossibilità di verificare direttamente, nella pratica, l’effetto dei suoi sforzi, di poter non in teoria, ma concretamente mettere alla prova ciò che aveva realizzato in tanti anni di lavoro. Conclusioni Grazie agli straordinari risultati ottenuti attraverso l’indagine scientifica, possiamo sicuramente sostenere che il nostro mondo si stia continuamente trasformando e che questa trasformazione abbia portato evidenti vantaggi al nostro modo di vivere. E’ pertanto impossibile pensare di fermare la ricerca; come sostiene la Montalcini 1: “Solo in tempi bui la scienza è stata bloccata. Oggi più che mai bisogna affermare il principio che gli scienziati hanno il diritto di partecipare alle decisioni politiche piuttosto che essere vittime di movimenti oscurantisti ed antiscientisti”. Una società dove ci sia una sempre maggiore collaborazione tra politica e scienza è sicuramente auspicabile per favorire la riflessione su tematiche scientifiche scottanti, anche se non possiamo sicuramente illuderci di trovarci in un mondo utopico, dove i governanti pensino esclusivamente al bene del proprio Stato e dell’intera umanità o ci siano livelli di democrazia diffusa tali da permettere a tutti i popoli di poter controllare gli sviluppi della ricerca scientifica. E’ necessario, pertanto, che lo scienziato abbia un forte senso etico che, pur non impedendogli la spinta verso nuove scoperte, gli permetta di mantenere vivi quei dubbi e quelle paure che spesso nel passato ci hanno permesso di evitare vere e proprie catastrofi. Ed ora prova tu! 1. AMBITO ARTISTICO - LETTERARIO ARGOMENTO: Poeti e letterati di fronte alla "grande guerra" DOCUMENTI "Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo -, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei liberatori, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna." MANIFESTO DEL FUTURISMO, "Le Figaro", 1909 "Edizione della sera! Della sera! Della sera! Italia! Germania! Austria!" E sulla piazza, lugubremente listata di nero, si effuse un rigagnolo di sangue purpureo! Un caffè infranse il proprio muso a sangue, imporporato da un grido ferino: "Il veleno del sangue nei giuochi del Reno! I tuoni degli obici sul marmo di Roma!" Dal cielo lacerato contro gli aculei delle baionette gocciolavano lacrime di stelle come farina in uno staccio e la pietà, schiacciata dalle suole, strillava: "Ah, lasciatemi, lasciatemi, lasciatemi! …" Vladimir MAJAKOVSFKIJ, 1914 1 Dal Discorso del 13 febbraio 2001 tenutosi presso la sala della biblioteca di Montecitorio. 8 [...] siamo troppi. La guerra è un'operazione malthusiana. C'è un di troppo di qua e un di troppo di là che si premono. La guerra rimette in pari le partite. Fa il vuoto perché si respiri meglio. Lascia meno bocche intorno alla stessa tavola. E leva di torno un'infinità di uomini che vivevano perché erano nati; che mangiavano per vivere, che lavoravano per mangiare e maledicevano il lavoro senza il coraggio di rifiutar la vita [...]. Fra le tante migliaia di carogne abbracciate nella morte e non più diverse che nel colore dei panni, quanti saranno, non dico da piangere, ma da rammentare? Ci metterei la testa che non arrivino ai diti delle mani e dei piedi messi insieme [...]. Giovanni PAPINI, Amiamo la guerra, in "Lacerba", II, 20, 1914 È una vecchia lezione! La guerra è un fatto, come tanti altri in questo mondo; è enorme, ma è quello solo; accanto agli altri, che sono stati e che saranno: non vi aggiunge; non vi toglie nulla. Non cambia nulla, assolutamente, nel mondo. Neanche la letteratura: [...]. Sempre lo stesso ritornello: la guerra non cambia niente. Non migliora, non redime, non cancella: per sé sola. Non fa miracoli. Non paga i debiti, non lava i peccati. In questo mondo, che non conosce più la grazia. Il cuore dura fatica ad ammetterlo. Vorremmo che quelli che hanno faticato; sofferto, resistito per una causa che è sempre santa, quando fa soffrire, uscissero dalla prova come quasi da un lavacro: più duri, tutti. E quelli che muoiono, almeno quelli, che fossero ingranditi, santificati: senza macchia e senza colpa. E poi no. Né il sacrificio né la morte aggiungono nulla a una vita, a un'opera, a un'eredità [...]. Che cosa è che cambierà su questa terra stanca, dopo che avrà bevuto il sangue di tanta strage: quando i morti e i feriti, i torturati e gli abbandonati dormiranno insieme sotto le zolle, e l'erba sopra sarà tenera lucida nuova, piena di silenzio e di lusso al sole della primavera che è sempre la stessa? [...]. Renato SERRA, Esame di coscienza di un letterato, in "La Voce", 30.4.1915 [...] Accesa è tuttavia l'immensa chiusa fornace, o gente nostra, o fratelli: e che accesa resti vuole il nostro Genio, e che il fuoco ansi e che il fuoco fatichi sinché tutto il metallo si strugga, sinché la colata sia pronta, sinché l'urto del ferro apra il varco al sangue rovente della resurrezione [...]. Gabriele D'ANNUNZIO, Sagra dei Mille (dal Discorso tenuto a Quarto il 5.5.1915) "Guerra! Quale senso di purificazione, di liberazione, di immane speranza ci pervase allora![...]. Era la guerra di per se stessa a entusiasmare i poeti, la guerra quale calamità, quale necessità morale. Era l'inaudito, potente e passionale serrarsi della nazione nella volontà di una prova estrema, una volontà, una radicale risolutezza quale la storia dei popoli sino allora forse non aveva conosciuto. [...]. La vittoria della Germania sarà un paradosso, anzi un miracolo, una vittoria dell'anima sulla maggioranza. La fede in essa va contro la ragione. [...]. L'anima tedesca è troppo profonda perché la civilizzazione divenga per essa il concetto più sublime. La corruzione o il disordine dell'imborghesimento le sembrano un ridicolo orrore. [...]. Non è la pace appunto l'elemento della corruzione civile, corruzione che le appare divertente e spregevole al tempo stesso?". Thomas MANN, Pensieri di guerra, novembre 1914,in "Scritti storici e politici", trad. it. Milano, 1957 Fra le tante migliaia di carogne abbracciate nella morte e non più diverse che nel colore dei panni, quanti saranno, non dico da piangere, ma da rammentare? Ci metterei la testa che non arrivino ai diti delle mani e dei piedi messi insieme [...]. Giovanni PAPINI, Amiamo la guerra, in "Lacerba", II, 20, 1914 È una vecchia lezione! La guerra è un fatto, come tanti altri in questo mondo; è enorme, ma è quello solo; accanto agli altri, che sono stati e che saranno: non vi aggiunge; non vi toglie nulla. Non cambia nulla, assolutamente, nel mondo. Neanche la letteratura: [...]. Sempre lo stesso ritornello: la guerra non cambia niente. Non migliora, non redime, non cancella: per sé sola. Non fa miracoli. Non paga i debiti, non lava i peccati. In questo mondo, che non conosce più la grazia. Il cuore dura fatica ad ammetterlo. Vorremmo che quelli che hanno faticato; sofferto, resistito per una causa che è sempre santa, quando fa soffrire, uscissero dalla prova come quasi da un lavacro: più duri, tutti. E quelli che muoiono, almeno quelli, che fossero ingranditi, santificati: senza macchia e senza colpa. E poi no. Né il sacrificio né la morte aggiungono nulla a una vita, a un'opera, a un'eredità [...]. Che cosa è che cambierà su questa terra stanca, dopo che avrà bevuto il sangue di tanta strage: quando i morti e i feriti, i torturati e gli abbandonati dormiranno insieme sotto le zolle, e l'erba sopra sarà tenera lucida nuova, piena di silenzio e di lusso al sole della primavera che è sempre la stessa? [...]. Renato SERRA, Esame di coscienza di un letterato, in "La Voce", 30.4.1915 [...] Accesa è tuttavia l'immensa chiusa fornace, o gente nostra, o fratelli: e che accesa resti vuole il nostro Genio, e che il fuoco ansi e che il fuoco fatichi sinché tutto il metallo si strugga, sinché la colata sia pronta, sinché l'urto del ferro apra il varco al sangue rovente della resurrezione [...]. Gabriele D'ANNUNZIO, Sagra dei Mille (dal Discorso tenuto a Quarto il 5.5.1915) "Guerra! Quale senso di purificazione, di liberazione, di immane speranza ci pervase allora![...]. Era la guerra di per se stessa a entusiasmare i poeti, la guerra quale calamità, quale necessità morale. Era l'inaudito, potente e passionale serrarsi della nazione nella volontà di una prova estrema, una volontà, una radicale risolutezza quale la storia dei popoli sino allora forse non aveva conosciuto. [...]. La vittoria della Germania sarà un paradosso, anzi un miracolo, una vittoria dell'anima sulla maggioranza. La fede in essa 9 va contro la ragione. [...]. L'anima tedesca è troppo profonda perché la civilizzazione divenga per essa il concetto più sublime. La corruzione o il disordine dell'imborghesimento le sembrano un ridicolo orrore. [...]. Non è la pace appunto l'elemento della corruzione civile, corruzione che le appare divertente e spregevole al tempo stesso?". Thomas MANN, Pensieri di guerra, novembre 1914,in "Scritti storici e politici", trad. it. Milano, 1957 10