Giappone, Agosto 1945 : L` Olocausto Finale
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Giappone, Agosto 1945 : L` Olocausto Finale
Giappone, Agosto 1945 : L’ Olocausto Finale Settanta anni fa si concludeva “ufficialmente” il Secondo Conflitto Mondiale: il sigillo finale a sei anni di morte e distruzione, venne posto dal bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki. 1 – Fissione Negli anni ’30 del ventesimo secolo l’indagine scientifica sulla struttura della materia portò, in seguito ad esperimenti di bombardamento di atomi con neutroni, alla scoperta della fissione nucleare, cioè della “rottura” del nucleo atomico in due o più frammenti, con un conseguente rilascio di energia. In particolare, la constatazione che l’isotopo 235 dell’uranio potesse dare luogo ad una “reazione a catena”, cioè liberare da due a tre nuovi neutroni per fissione, in grado di fissionare altri atomi, rivelò la possibilità di rilasciare enormi quantità di energia, al limite in forma esplosiva. L’energia liberata nel fenomeno deriva dalla differenza di massa fra il nucleo “spaccato” ed i prodotti risultanti : la somma delle masse di questi ultimi infatti è inferiore alla massa originale del nucleo, e la massa “mancante” si trasforma in energia secondo la notissima relazione E=mc². Per dare un’idea, i normali fenomeni chimici di combustione liberano una energia di qualche eV (elettron-volt) per atomo, mentre il rilascio di energia in seguito alla fissione di un atomo di uranio è dell’ordine delle centinaia di mega elettron-volt (MeV). Per avere un rilascio di energia con caratteristiche esplosive era necessario però assemblare, in uno spazio di tempo estremamente breve, abbastanza materiale fissile in una geometria ad hoc perché la reazione a catena si autosostenesse per un tempo sufficiente. 2 – Venti di Guerra Anche se l’ingresso degli USA nella Seconda Guerra Mondiale avvenne solo alla fine del 1941, l’espansione nazista in Europa, il pericolo di invasione di paesi come la Gran Bretagna, le leggi razziali (stabilite purtroppo anche dall’Italia), portarono molti fisici a cercare rifugio negli Stati Uniti, che furono ben lieti di accogliere il meglio delle menti scientifiche europee. In particolare fu l’ungherese Leó Szilárd il “motore” della ormai storica lettera al presidente Roosevelt, una volta ottenuta la firma di un nome anche allora famoso al di fuori del mondo scientifico, quella di Albert Einstein. Nella lettera si prospettava il rischio che la Germania nazista potesse disporre dell’ “arma assoluta”, se avesse perseguito le ricerche in campo nucleare : mancava solo un mese all’invasione della Polonia. Anche se in seguito il pericolo si dimostrò inesistente, anche questa lettera contribuì alla decisione americana di mettere in moto una macchina industrial-scientifico-militare di potenza inaudita, per la realizzazione della bomba. 3- Uranio vs. Plutonio I problemi principali inerenti la realizzazione di una arma nucleare erano due : - la difficile separazione dell’isotopo U-235 dal molto più abbondante U-238, dato che l’uranio naturale contiene solo lo 0.71% del primo, utile per la bomba, rispetto al secondo; - la realizzazione del meccanismo di raggiungimento della “massa critica”, quella quantità di materia cioè che permette il verificarsi della reazione a catena con caratteristiche “esplosive”. Tralasciando le problematiche del reperimento del minerale uranifero e dell’estrazione da questo dell’elemento uranio, il primo compito venne affrontato costruendo dal nulla impianti colossali, sotto l’energica guida del generale Groves, messo a capo di quello che la storia conoscerà come Progetto Manhattan. Il sistema inizialmente più rilevante per la separazione degli isotopi fu quello dei “calutron”, enormi macchine funzionanti sul principio degli odierni spettrometri di massa : dato che una particella elettricamente carica segue, se sottoposta a un campo magnetico nel vuoto, traiettorie differenti a seconda della propria massa, era possibile, sfruttando la piccolissima differenza di massa fra U-238 e U-235, ottenere, dopo ripetuti passaggi di arricchimento, una percentuale elevata dell’isotopo 235 . Per generare l’intenso campo magnetico erano necessari avvolgimenti in rame; dato che questo metallo era strategico in tempo di guerra, vennero prese in prestito dal Tesoro diverse tonnellate di argento della riserva di Stato, poi restituite in tempi successivi. Nel contempo si era studiata anche una strada più “facile” per l’ottenimento di un altro elemento fissile, adatto per un’arma: quella della produzione del plutonio 239 in un apposito reattore nucleare. In breve, bombardando un nucleo di U-238 con i neutroni lenti prodotti da una reazione a catena controllata, questo, assorbendo la particella, si trasforma dapprima in un nucleo di U-239, poi con due decadimenti nucleari β (beta) successivi, in Np-239 (nettunio) e quindi in Pu239. A questo scopo vennero costruiti, dopo la puramente sperimentale pila atomica di Fermi (Chicago Pile-1) i primi “veri” reattori nucleari, non per produrre energia quindi, ma solo a fini bellici. Lo studio del secondo problema invece, dopo valutazioni teoriche su come assemblare pressoché istantaneamente sezioni di U-235 fino a formare la massa critica, condusse alla scelta del metodo a cannonata, dove un proiettile di U-235 veniva “sparato” in un bersaglio cavo dello stesso elemento. A tale scopo vennero modificate diverse canne di cannoni navali da sei pollici. Nel frattempo però aveva preso piede una idea diversa, più promettente dal punto di vista del rendimento energetico: se, con esplosivi convenzionali, si fosse riusciti a generare una onda implosiva sferica, questa avrebbe potuto comprimere in modo più efficiente una sfera di materiale fissile, nel tempo e nello spazio, fino ad avere la desiderata reazione a catena. L’idea base fu di von Neumann, mentre la realizzazione pratica venne affidata all’ucraino Kistiakowsky. La svolta a favore del metodo implosivo rispetto a quello, molto più semplice anche se inefficiente, del metodo “a cannonata” venne dall’italiano Emilio Segrè: questi scoprì che il plutonio-240, generato assieme al desiderato Pu-239 nei reattori costruiti allo scopo, ed in pratica non separabile da quest’ultimo, aveva un elevato tasso di fissione spontanea. In una configurazione a bassa efficienza, i nuclei di Pu-240 avrebbe potuto generare una reazione a catena molto prima del desiderato, vaporizzando in pratica la maggior parte del prezioso materiale fissile con un rilascio energetico irrilevante dal punto di vista pratico. Il principio delle lenti esplosive E: Detonatore A: Esplosivo “veloce” B: Esplosivo “lento” C, D : Tamponi sferici di metallo 3- Trinity Test Si arriva così, una volta stabilita la fattibilità del metodo implosivo, alla prova pratica, essenziale non solo per il test di tutte le scelte progettuali, ma anche e soprattutto per verificare che la reazione a catena con caratteristiche esplosive, realizzabile dal punto di vista puramente teorico, si verificasse anche nella realtà. Il metodo implosivo si affidava ad una struttura sferica di blocchi di esplosivo convenzionale di due tipi, uno veloce ed uno più lento; la disposizione geometrica dei due tipi era studiata in modo da generare appunto una onda esplosiva pressoché sferica, ma diretta verso l’interno, dove, tramite strati di metalli diversi che avrebbero funto da “tamponi”, avrebbe compresso una sfera di plutonio fino ad una densità tale da dare avvio alla reazione a catena. Dozzine di detonatori elettrici, disposti sulla superficie esterna, avrebbero dato avvio alle deflagrazioni dei diversi blocchi esplosivi con un sincronismo al millesimo di secondo. La bomba così realizzata, battezzata gadget (aggeggio, arnese) non era certo piccola: nonostante il materiale fissile (plutonio) fosse una sfera dalle dimensioni di un’arancia o pressappoco, gli strati esterni di esplosivo, metalli, dispositivi vari eccetera ne facevano un assieme vagamente sferico di quasi due metri di diametro. L’esperimento venne battezzato Trinity da R. Oppenheimer : il gadget esplose il 16 luglio 1945 ad Alamogordo, New Mexico, con un rilascio stimato di circa 20 kiloton (1 kiloton = 1000 tonnellate di TNT) Il “Gadget” issato sulla torre di test. I cavi sono le connessioni elettriche ai detonatori Le lenti esplosive. Dall’esterno : Detonatori elettrici (giallo) Esplosivo “veloce” (marrone) Esplosivo “lento” (marrone chiaro) Esplosivo “veloce” (marrone) Tamponi di metallo (grigio) Plutonio (rosso) 4 – Little Boy (Hiroshima) Una volta provata la fattibilità della “bomba” e superate (senza grandi sforzi, per la verità) obiezioni di tipo umanitario, rimaneva la scelta dei bersagli : città industriali importanti per lo sforzo bellico giapponese, ma non ancora segnate dai feroci bombardamenti incendiari dei B-29 che stavano annichilendo Tokio e altre città. Anzi, venne inviata a Curtis LeMay, il responsabile dei bombardamenti sul Giappone, una lista di città giapponesi da risparmiare in vista del collaudo “in corpore vili” degli ordigni atomici. Il motivo era tanto semplice quanto cinico : disponendo di un’arma che teoricamente poteva “spianare” una intera città, se questa avesse già subito danni sarebbe risultato difficile separare le distruzioni atomiche da quelle convenzionali. Ovvio che qualora si debba collaudare l’efficacia di un dispositivo omicida, questo vada provato su un organismo “sano” e non su uno già debilitato… Per la prima bomba di impiego bellico si optò per la configurazione “a cannone”: di U-235 se ne era prodotto abbastanza, e i dati teorici davano un margine di sicurezza sufficiente sul funzionamento della configurazione, anche se non testata praticamente. Del bombardamento di Hiroshima è stato ormai detto molto, se non tutto: forse sono meno conosciuti quei “dettagli” che rimangono spesso nascosti nelle pieghe della storia, almeno per i più. Il fatto, ad esempio, che il pilota del velivolo prescelto per il lancio, il capitano Robert Lewis, rimase molto male quando il comandante del reparto, il colonnello Tibbets, gli comunicò che sarebbe stato lui stesso a pilotare l’aereo, e che Lewis sarebbe stato solo il co-pilota. Ma Lewis andò letteralmente su tutte le furie quando vide la scritta Enola Gay (il nome della madre di Tibbets) dipinta sul suo B-29 : non riuscì a trattenere un “Che diavolo è quella scritta sul mio aereo ?” e andò a fare le sue rimostranze al colonnello; ma questi, abbastanza spocchiosamente, fece valere il suo grado ed il povero Lewis dovette ingoiare il rospo. Oppure la vicenda dell’incrociatore pesante Indianapolis, che dopo aver trasportato parti essenziali della bomba alla base aerea di Tinian, venne silurato ed affondato sulla rotta di ritorno dal sommergibile nipponico I-58: ultima grande nave statunitense perduta in guerra. Ma la vicenda viene ricordata soprattutto per le perdite umane: a causa di inefficienze e superficialità i quasi 900 scampati all’affondamento attesero quattro giorni nelle acque del Pacifico prima di essere soccorsi. I sopravvissuti furono poco più di 300. L’Enola Gay, decollato dalla base di Tinian con Little Boy (ragazzino, così era stata battezzato l’ordigno) nel vano bombiero, si presentò su Hiroshima la mattina del 6 agosto 1945 ed effettuò il lancio; una serie di dispositivi di sicurezza (barometrici e di temporizzazione) erano previsti per evitare una detonazione prematura, ma fu il radioaltimetro (derivato da un apparato radar) a far detonare la carica esplosiva che, a circa seicento metri sopra la città, scagliò una contro l’altra le due sezioni di uranio in cui era divisa una massa totale di 64 kg. A causa dell’inefficienza del metodo, meno di un chilogrammo si fissionò : questo fu sufficiente tuttavia a liberare circa 15 kiloton di energia. Schema interno di Little Boy: La carica esplosiva (in giallo) proietta gli anelli di U235 (in rosso, a destra) contro i dischi dello stesso materiale fissile a sinistra, per formare la massa critica. In grigio scuro sono elementi in carburo di tungsteno (riflettori di neutroni) per aumentare l’efficacia della reazione a catena. 5 – Fat Man (Nagasaki) Tre giorni dopo, il 9 agosto 1945, un altro B-29 si dirigeva verso il Giappone con la seconda bomba a bordo, battezzata Fat Man (ciccione). Il nomignolo rifletteva la forma ovoidale del dispositivo atomico, determinata dal fatto che esso era una versione bellica del Gadget del Trinity Test. Nonostante la massa del materiale fissile (plutonio) fosse circa un decimo di quella di Little Boy, il rilascio energetico fu anche superiore, grazie alle cosiddette lenti esplosive di cui si è parlato, in grado di generare un’onda implosiva a simmetria sferica. Nagasaki venne scelta in base alle condizioni di scarsa visibilità su Kokura, obiettivo primario; ed anche così il puntatore dovette trovare la città a mezzo del radar, tecnica ancora innovativa all’epoca. Anche qui un radioaltimetro determinò l’attivazione dei detonatori alla quota prestabilita. Ed anche qui, come ad Hiroshima, miglior sorte ebbero forse coloro che vennero vaporizzati all’istante, lasciando a ricordo di sè nient’altro che la propria ombra, scolpita dal lampo atomico sui muri della città, rispetto a chi ebbe invece a soffrire terribili ustioni e ferite. Repliche di “Little Boy” e “Fat Man” 6 – Epilogo Con gli impianti di produzione e arricchimento a pieno regime, gli USA avevano già pianificato un terzo devastante colpo sul Giappone, e se l’imperatore stesso, scavalcando la volontà dei suoi “signori della guerra”, avesse tardato solo pochi giorni a chiedere la fine delle ostilità (senza tuttavia mai pronunciare la parola resa), probabilmente oggi la storia parlerebbe di tre bombardamenti atomici, e forse più. La guerra era finita: cominciava invece un periodo di guerre “locali”, molte delle quali combattute sotto l’ombra minacciosa degli spaventosi “funghi” di Hiroshima e Nagasaki.