camus hiroshima

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camus hiroshima
Camus per Combat
8 agosto 1945
Il mondo è quello che è, cioè poca cosa. È quello che, da ieri, ciascuno sa grazie al formidabile
concerto che la radio, i giornali e le agenzie di stampa hanno appena finito di organizzare a
proposito della bomba atomica. I fatti, soverchiati da una folla di commenti entusiasti, ci insegnano
che qualsiasi città di media importanza può essere totalmente rasa al suolo da una bomba della
grandezza di un pallone da football. Giornali americani, inglesi e francesi si dilungano in eleganti
dissertazioni sul futuro, il passato, gli inventori, il costo, la vocazione pacifica e gli effetti bellici, le
conseguenze politiche e anche il carattere indipendente della bomba atomica. Noi riassumeremo il
nostro pensiero in una sola frase: la civiltà meccanica è appena giunta al suo ultimo grado di
barbarie. Dovremo scegliere, in un futuro più o meno prossimo, tra il suicidio collettivo e l’impiego
intelligente delle conquiste scientifiche.
Nell’attesa, si può pensare che vi sia un certa indecenza a celebrare in questo modo una scoperta
che si pone prima di tutto al servizio del più formidabile accanimento distruttivo di cui l’uomo abbia
dato prova da secoli. Che in un mondo esposto a tutti gli strappi della violenza, incapace di alcun
controllo, indifferente alla giustizia e alla semplice felicità umana, la scienza si consacri all’omicidio
organizzato, nessuno ormai, a meno che non sia affetto da idealismo congenito, troverà modo di
stupirsi. Scoperte del genere dovrebbero essere registrate, commentate per quello che sono,
annunciate al mondo affinché si abbia un’idea plausibile del proprio destino. Ma corredare queste
terribili rivelazioni con una letteratura pittoresca o caricaturale è davvero intollerabile.
Già si respirava male in questo mondo tormentato. Ed ecco che ci viene proposta una nuova
angoscia, che ha tutte le prerogative di essere definitiva. Sì, viene offerta all’umanità la sua ultima
possibilità. Dopotutto, potrebbe fungere da pretesto per un’edizione speciale. Ma, più
probabilmente, dovrebbe fungere da occasione per non poche riflessioni e molto silenzio.
Del resto, ci sono altre ragioni per accogliere con riserva il romanzo di fantascienza propostoci dai
giornali. Quando si vede il redattore diplomatico dell’Agenzia Reuter annunciare che l’invenzione
rende caduchi i trattati o prescritte le stesse decisioni di Potsdam e sottolineare come sia ormai
indifferente che i russi si trovino a Königsberg o la Turchia sui Dardanelli, non ci si può trattenere
dall’attribuire a questo bel concerto intenzioni abbastanza estranee al disinteresse scientifico.
Intendiamoci bene. Se i giapponesi capitolano dopo la distruzione di Hiroshima e sotto il suo
effetto intimidatorio, noi ne saremo felici. Ma non intendiamo far discendere da una notizia tanto
grave altra decisione se non quella di perorare con ancora maggior forza la causa di una vera
organizzazione internazionale nella quale le grandi potenze non abbiano diritti superiori a quelli
delle piccole e medie nazioni e nella quale la guerra, flagello divenuto mortale per il solo effetto
dell’intelligenza umana, non dipenda più dagli appetiti o dalle dottrine politiche di questo o quello
Stato.
Dinanzi alle terrificanti prospettive che si aprono agli occhi dell’umanità, ci convinciamo ancor
meglio che quella per la pace è l’unica battaglia che valga la pena di combattere. Non è più una
preghiera, è un ordine che deve sospingere i popoli contro i governi, l’ordine di scegliere
definitivamente tra l’inferno e la ragione.