Solo per sempre tua

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Solo per sempre tua
LOUISE O’NEILL
SOLO
PER SEMPRE
TUA
Traduzione di Anna Carbone
A Michael e Marie O’Neill, con tutto il mio amore.
Louise O’Neill
Solo per sempre tua
Traduzione di Anna Carbone
Hotspot è un marchio di Editrice Il Castoro
www.hotspotlibri.it
© 2016 Editrice Il Castoro Srl
viale Andrea Doria 7, 20124 Milano
Pubblicato per la prima volta con il titolo Only Ever Yours da Quercus Publishing Ltd Carmelite House, 50 Victoria Embankment - London EC4Y 0DZ. An Hachette UK
company.
Copyright © 2014 Louise O’Neill. All Rights Reserved.
eISBN 978-88-6966-140-2
Prima edizione digitale 2016
eBook by ePubMATIC.com
Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
Indice
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Primo giorno
Secondo giorno
Terzo giorno
Quarto giorno
Ringraziamenti
«Sii buona. Sii carina. Sii scelta.»
«In principio l’Uomo creò le nuove donne, le eva.»1
Capitolo 1
Settembre
Dieci mesi alla Cerimonia
Le caste continuano a chiedermi perché non riesco a dormire. Sono al dosaggio
massimo consentito di DormiBen, dicono con gli occhi socchiusi in sospettosa
preoccupazione.
Lo prendi come si deve, freida?
Lo prendi tutto tu, freida?
Sì. Sì. E allora, potete darmene ancora un po’, per favore?
Non me ne possono prescrivere altro. O comunque, non sarebbe sicuro, dicono.
Mi avvertono del rischio di spasmi muscolari, emorragie interne, collasso degli organi
vitali.
Ma io allo specchio questi “organi vitali” non riesco proprio a vederli. L’unica cosa
che vedo sono le borse scure sotto gli occhi, e un pallore grigio come una spolverata
di cenere sul viso. Segni caratteristici di troppe notti passate a scavare un buco nel
materasso, a girarmi e rigirarmi, ansiosa di unirmi alla respirazione perfettamente
sincronizzata delle mie sorelle. Le sento, adesso, come risucchiano avidamente il
calore artificiale nei polmoni, ignare di me, stesa sulla mia branda, che ronzo come
un filo elettrico scoperto.
Sono una brava ragazza. Sono graziosa. Sono sempre spensierata.
La voce metallica si riversa giù dalle pareti e striscia sul pavimento in cerca di un
orecchio ricettivo. Durante il sonno noi eva siamo al massimo della ricettività. Siamo
come spugne, assorbiamo la bellezza, mentre sogniamo diventiamo sempre più
incantevoli. Sempre più preziose.
Io no.
Notte dopo notte, io giaccio sveglia con nient’altro che i Messaggi a distrarmi dal
clamore dei miei pensieri. casta-ruth dice che pensare troppo porta via la bellezza.
Nessun uomo vorrà mai una compagna che pensa troppo. Io mi sforzo di
controllarmi di più, mi sforzo di modellare la mia mente nel nulla, ma quando nel
dormitorio cala la notte, i demoni si svegliano, i loro occhi lampeggiano bianchi nel
buio in cerca di qualcosa di cui nutrirsi.
Sono una brava ragazza. Sono attraente. Sono sempre gradevole.
È il caldo, lo so. Lo pompano di notte per disintossicarci i pori, si diffonde a ondate
nel dormitorio e si deposita sulla mia pelle. Il DormiBen riesce a mascherare il fuoco
nei miei polmoni solo per breve tempo, poi mi sveglio di scatto con la bocca piena di
vapore. Sbatto gli occhi nel cubicolo che tremola alla luce soffusa. Un letto singolo
con lenzuola candide come neve. Accanto, rannicchiato, un armadietto con la pittura
nera che viene via a strisce. È una casetta fatta di specchi, ogni superficie è rivestita
di vetro.
Eccomi qui. E lì. E là. Sono prigioniera di queste pareti.
Guardo lo specchio sul soffitto e intanto distendo il corpo come una stella di mare,
piegando le ginocchia per scostarle dalle lenzuola appiccicose. Le mie mani urtano gli
specchi umidi sulla parete dietro la testa, la camicia da notte di seta nera mi aderisce
alla vita. Mi giro sul fianco destro, la fronte premuta contro un altro specchio, un
sospiro pesante che annebbia il vetro. Premo i polpastrelli sugli zigomi alti, mi
osservo tracciare cerchi attorno agli occhi dal taglio a mandorla. La mia pelle è sottile
come carta velina, sembra che lentamente si sciolga nelle ossa.
Prima di noi, per facilitare il sonno si contavano le pecore. Prima di noi esistevano
pecore da contare.
Cerco a tastoni il mio ePad sotto il cuscino, gli spigoli squadrati solidi e rassicuranti
nelle mie mani. Aggiorno il mio stato su MyFace bisbigliando allo schermo: «Non
riesco di nuovo a dormire. Qualcun’altra è sveglia là fuori?». Quando il video-stato si
carica mi pervade un brivido di soddisfazione, come se in qualche modo questo
dimostrasse che sono reale. Che esisto.
«freida?»
La sto sognando di nuovo?
È come un’apparizione, ferma sotto l’arco fra il corridoio e il mio cubicolo, con la
vestaglia rosa lunga fino ai piedi che risplende nel buio. Inclina la testa, sposta il peso
da un piede all’altro, aspetta che io dica qualcosa. Annuisco e la tensione sul suo viso
si scioglie mentre si infila nel mio letto, allineando il corpo al mio, le membra che si
incastrano come pezzi di un puzzle. Siamo riflesse in tutti gli specchi, ci spezziamo in
immagini parallele che riecheggiano dal soffitto alle pareti e viceversa, replicate
all’infinito. Le sue gambe bianche come il latte intrecciate alle mie, i capelli biondo
platino che si riversano nelle mie onde castano scure.
isabel.
«Avevo paura che fossi una casta.»
«Scusa.»
«Se ci becca a infrangere l’Isolamento finiamo nei guai.»
«Andrà tutto bene.»
«Però...»
«casta-ruth non è di guardia», mi dice leggendomi nel pensiero come sempre.
Respiriamo all’unisono. Le appoggio la testa sulla spalla, inspiro lavanda, conto i
battiti del cuore. Sfila il braccio che aveva sotto di me e la testa mi cade sulle
lenzuola umide. Si ritrae leggermente, si allontana da me, finché non rimane sospesa
sul bordo del letto, con un piede a terra per sostenersi.
«Ottima idea. Fa troppo caldo, non è vero?», le dico in fretta.
È venuta, dopo tutto questo tempo, mi dico. Non glielo hai chiesto tu. È venuta da
sola.
«Hmm.» Picchietta le punte dei piedi contro lo specchio in basso, lo smalto rosa
shocking sulle unghie in tinta con la vestaglia. Sembra che il caldo dia fastidio solo a
me.
«E allora, dove ti nascondevi?», chiedo bruscamente.
«Non sono stata bene.»
«Ti ho mandato richieste di chat...» La mia voce si spegne, penso alla sua stanza,
alla serranda di acciaio ondulato abbassata fino a terra, sprangata come il portone di
un castello. Negli ultimi due mesi le ho mandato un’infinità di messaggi. Tutti senza
risposta.
«Non riesco a dormire.»
«Sei nervosa per domani?»
Si stringe nelle spalle con aria apatica.
«Hai chiesto dell’altro DormiBen a casta-anne?»
«Fa interazione con gli altri farmaci che prendo.»
«Perché, che cosa prendi?» Mi appoggio sul gomito per guardarla. «Io sono al
dosaggio massimo e non ho avuto problemi.»
«A gisele è venuta l’orticaria quando le hanno mischiato i dosaggi. È stata orrenda
per una settimana», dice come se io non avessi parlato, come se non esistessi.
Ultimamente lo fa spesso.
«Potresti smetterla di dare calci allo specchio? Mi dà proprio fastidio», sbotto, e il
suo piede rallenta sino a fermarsi. Vedo un guizzo sul suo viso, capisco che ci è
rimasta male e mi sento in colpa, ma in un certo senso sono anche soddisfatta,
assaporo la sensazione di averla colpita.
«Ma tu che cosa ne sai di gisele? Hai saltato la Ricreazione Organizzata e il Centro
Nutrizionale per tutta l’estate», dico guardando il nostro riflesso sul soffitto. Sono
schiacciata contro la parete, isabel è confinata sul bordo del materasso, fra noi
lampeggia solo un sottile spicchio bianco. Le donne grasse sono brutte. Le donne
vecchie sono brutte. Ma gisele? gisele color miele, dai capelli biondo miele, dagli
occhi screziati di miele, dalla pelle color miele? Brutta lei?
«E così ecco dov’era lo scorso fine settimana», dico quando non risponde. «Ci ha
detto che era stata in quarantena per un sospetto di influenza.»
«Era orticaria», ripete isabel. «Bolle grosse come ovi su tutta la faccia.»
«Peccato che sia successo durante le vacanze», scherzo scioccamente, e intanto
avverto una sensazione di nausea. «La sua posizione in classifica non ne risentirà.»
«Fai la brava.»
«Facile per te, miss #1.»
«Tu sei la #3. E siamo state progettate tutte allo stesso modo», è la sua risposta
meccanica.
«Sì, però ci sono le eva così fortunate da essere state progettate meglio delle
sorelle brutte.» Trattengo il fiato e aspetto che lei mi contraddica come faceva
sempre.
«Tu non sei brutta, freida», sospira. È stanca di me, stanca del mio continuo
bisogno di essere rassicurata. «Nessuna di noi lo è.»
«Io sì, al tuo confronto.» Mi sembra quasi di sentire il bisogno impunturato nella
mia voce e mi odio per questo. «La mia pelle ha un aspetto così stanco.» Mi
accarezzo il contorno del viso nello specchio sul soffitto cercando delle crepe. «E se
la mia posizione in classifica ne risentisse?»
«Meglio avere l’aria stanca che essere grassa.» Ha la voce piatta, come se le
avessero spremuto l’aria dai polmoni.
Mi volto a guardarla; i nostri nasi si sfiorano. Inspiro a fondo, come se potessi
assorbire la sua bellezza ammaliante e rubargliela. Una volta ho guardato il suo
grafico online sperando di trovare una formula facile da copiare. Capelli Argento
Metallizzato PO1, ha cantilenato il computer, occhi Verde Olivina #76. Pelle Oro
Soffuso, labbra Rosa Lucido, una spruzzata di lentiggini su un nasino grazioso. Vorrei
assomigliare a te. Tutto sarebbe più facile, se assomigliassi a te. Lo penso da quando
avevo quattro anni. «Di che cosa stai parlando, isabel?»
Lei rotola sulla schiena e indica il soffitto, aspettando che io la imiti. La osservo
mentre scioglie la cintura di seta sul ventre. La vestaglia si apre scoprendo il corpo.
Un rigonfiamento alla vita, un arrotondamento delle cosce. Al buio il rumore che
faccio trattenendo il fiato sembra un grido.
«Lo so.» Si richiude la vestaglia per nascondere i suoi peccati.
«Hai provato a vomitare?»
«Ovvio», ribatte con impazienza. «Però non funziona sempre, lo sai.»
«E le altre medicine che prendi? Funzionano?»
«All’inizio sì. Adesso sembra che non funzionino più», sussurra.
«Magari non sarà così grave.» Vorrei sembrare rassicurante, ma non so come fare.
Nel nostro rapporto questo è sempre stato il ruolo di isabel. «Forse non sarai l’unica.
Durante le vacanze moltissime eva prendono peso.»
Sappiamo entrambe che non è vero. Non quest’anno.
«Non capisco come sei arrivata a questo punto. Qualcuno deve pur averlo notato
nelle tue pesate settimanali, no? Non metti neppure piede al Centro Nutrizionale
da...»
Si porta un dito alle labbra per impedirmi di continuare e io ingoio i miei pensieri. È
solo un altro segreto fra di noi. Chiudo gli occhi, ma l’unica cosa che vedo è la sua
carne che si allarga, minacciando di inghiottire le ossa.
«L’altro giorno pensavo alla tua ossessione per le scimmie.»
La voce di isabel è così sommessa che per un attimo mi chiedo se abbia parlato
davvero, se il mio desiderio di ritrovare la nostra intimità sia talmente disperato che
ho cominciato a immaginare che lei mi parli.
«Ti ricordi?», mi chiede allungando la mano verso la mia. «Le scimmie?»
«Erano una specie affascinante.»
«Sono sicura di sì. Ma dovevi proprio far finta di essere una scimmia anche tu?»
«Ma avevo solo quattro anni!»
«Non è una buona scusa.»
«È esattamente quello che ha detto casta-ruth quando sono caduta da un albero in
giardino e mi sono rotta la gamba. Quella strega!»
Si preme una mano sulla bocca per soffocare le risatine.
«Scusami tanto, eh. Mi ha fatto un male cane», dico indignata, ma sorrido anch’io.
«Credevo che ti avrebbe ammazzata, quando hai dovuto fare la tua solita foto del
lunedì con quell’ingessatura enorme», dice a voce un po’ più alta.
«Sssh, isabel, sveglierai le caste.»
«E chi se ne importa?»
«Oh, giusto, la principessa isabel non finisce mai nei guai!», scherzo chinando la
testa in un finto saluto militare. «Dev’essere bello, essere così speciale.»
Aspetto che si metta a ridere, che mi prenda in giro a sua volta, ma non sento
niente. Il suo corpo si irrigidisce accanto al mio. Il silenzio è opprimente, mi
rimbomba nei timpani, e cerco alla cieca di ritrovare il filo della conversazione.
«Ma quella storia delle scimmie era...»
«Sono stanca», mi interrompe isabel e le parole mi si spengono in gola. Mi spingo
sempre un po’ troppo in là, dice casta-ruth.
Ci allontaniamo nel letto, lo spazio fra di noi torna ad allargarsi.
Sono carina. Sono una brava ragazza. Faccio sempre quello che mi viene detto.
I Messaggi continuano, come se non fosse successo niente.
Lentamente l’alba sgorga dalle lampade scacciando i miei sogni. Stendo il corpo e mi
stiro, riappropriandomi di tutto il materasso. isabel non c’è più.
Scendo dal letto e butto i capelli all’indietro per studiare il mio viso nello specchio
sulla parete. Lo faccio tutte le mattine. Una parte di me spera che durante la notte io
sia stata magicamente trapiantata in un altro corpo, magari quello di isabel o quello
di megan. Che al mio risveglio io sia diventata più pallida, più magra,
diversa. Migliore.
Nella plastica rosa sulla parete di vetro di fronte al letto è impressa la sagoma di
una mano. Ci appoggio su il palmo, sento il calore pizzicarmi finché il rivestimento di
vetro si assottiglia sino a diventare trasparente e lo oltrepasso con una smorfia,
mentre quelle che mi sembrano migliaia di fibre appiccicose mi si dissolvono sulla
pelle. All’interno gli specchi rivestono ancora ogni superficie, perfino il pavimento.
Nella parte anteriore della stanza c’è un piccolo spogliatoio di acciaio con tubi di
gomma grigia che in alto si incurvano nel soffitto. Mi lascio cadere sulla poltrona
fucsia lì accanto, tamburellando con le dita sulla toletta di marmo onice. Un
semicerchio di lampadine corallo attorno allo specchio immerge il mio viso in un
bagliore rosato. Do un colpetto al vetro che diventa lattiginoso e poi opaco finché si
dissolve in uno schermo di computer. Compare una donna stilizzata carica di buste
per lo shopping.
«Buongiorno, freida», dice il Programma Personal Stylist scandendo le parole.
«Come ti senti oggi?»
«Nervosa.»
«Credo che sia comprensibile, il primo giorno del trimestre», mi dice. «Come conti
di migliorarti oggi?»
«Una riprogettazione completa non sarebbe male», borbotto mordicchiandomi il
labbro finché nello specchio non mi accorgo di quanto sia sgradevole a vedersi.
«Come conti di migliorarti oggi?» Nessun Pps capisce il sarcasmo.
«Magari qualcosa di bianco? Sintonizzati su Tv-Fashion. Dopo le vacanze mi serve
un po’ di ispirazione.»
Sullo schermo si visualizza una passerella, una lunga striscia di legno sospesa a
mezz’aria su uno sfondo nero, percorsa da un andirivieni continuo di modelle. Sono
state progettate principalmente per questo scopo, escono a centinaia dalla catena di
montaggio con i corpi scarni e le facce anonime.
Il bianco si intona bene con il mio incarnato. Immagino megan con qualcosa di
simile, la sua carnagione che assume l’aspetto di latte inacidito, e provo un brivido di
eccitazione brutale.
«Aspetta. Ecco, quello è perfetto.» Al mio Comando Vocale lo schermo si blocca su
una modella che indossa una semplice maglietta bianca dallo scollo arrotondato con
applicazioni di fiori di pizzo ricamati sopra una gonna di pizzo bianco con gale che le
arriva al ginocchio.
«Quello va bene?»
«Sì», acconsente il Pps. «Richiedo subito gli articoli in questione al guardaroba.
Entra nello spogliatoio.»
Lo schermo torna di scatto in modalità specchio. Capelli Ciocco con Glassatura
Delicata S41. Occhi Giallo Indo-Cina #66. Sono io. È così che mi vede la gente quando
mi guarda. Mi sfilo la camicia da notte e la lascio cadere nello scivolo installato nella
parete sotto la toletta. Lo spogliatoio si apre con un sonoro bip finché non entro e il
portello di acciaio mi si richiude attorno come una bocca avida.
«Sei ingrassata.» La voce riempie lo spogliatoio. «Ora pesi cinquantatré chili e otto.
Nel tuo rapporto settimanale raccomanderò che tu assuma BlockCal extra finché il
tuo peso non si stabilizzerà fra i cinquantadue e i cinquantatré chili e mezzo.»
«Devo prenderne ancora?» Detesto i BlockCal, quando li prendo mi piego sempre
in due per i crampi alla pancia. Immagino che dovrei essere grata che siano migliorati
dai primi tempi, quando si riferivano casi di colon esplosi. «È imbarazzante.»
«Sei l’unica a essere informata delle tue esigenze farmacologiche.»
A questa osservazione sbuffo bruscamente. In teoria sì, le nostre ricette sono
private, ma nella Scuola niente rimane riservato a lungo. All’ora di colazione le mie
sorelle saranno già informate che sono debole, che sono golosa, che non mi so
controllare. E io che credevo di essermi comportata bene nell’ultima settimana.
I laser prendono vita scoppiettando, sfregano le pareti di acciaio dello spogliatoio
mentre l’arco infrarosso scende dal soffitto pizzicandomi e posandosi lentamente sul
mio corpo. A quel punto la cabina inspira una sibilante sorsata d’aria risucchiando
ogni traccia di sporcizia e pompandola Sottoterra per eliminarla. Quindi i laser si
rialzano spruzzandomi il trucco sulla pelle nuda e legandomi i capelli in uno chignon
morbido sulla nuca. Siamo autorizzate a usare questa macchina solo due volte al
giorno, al mattino e all’ora di andare a dormire. È troppo costosa, dice casta-ruth,
perciò durante la giornata la cura di igiene e trucco è affidata a noi. Nel giro di due
minuti mi sputa fuori e trovo l’outfit e gli accessori coordinati nella botola aperta alla
base della parete. Li prendo e subito il portello si richiude.
«Non ha la stessa aria che aveva sulla modella.» Strattono la t-shirt sbiadita e la
decorazione floreale mi si accartoccia fra le dita.
«È la più simile che siamo riusciti a trovare nel guardaroba della Scuola.»
Di ritorno nel mio cubicolo, esamino il mio corpo da ogni angolazione allo specchio
sulla parete e mando giù il disgusto.
«Andiamo.»
Sulla soglia c’è freja, con le clavicole appuntite che spuntano da un top beige
lavorato a maglia indossato sopra una gonna giallo canarino.
«Sono pronta.» Infilo i piedi nelle décolleté in similpelle di serpente e mi metto
subito in fila per raggiungere daria, davanti a me.
Nel dormitorio riecheggia il ticchettio di trenta paia di tacchi alti che sfregano le
mattonelle a mosaico bianche e nere. Marciamo insieme in silenzio, come ogni
mattina.
Fuori dall’ingresso principale del dormitorio hanno installato di nuovo la cabina
fotografica prefabbricata per l’inizio del nuovo trimestre. daria apre con qualche
difficoltà la sgangherata porta scorrevole. I capelli color mou sono scompigliati ad
arte, gli occhi indaco le luccicano di gioia. Perché è così felice? Ha fatto la foto
perfetta? Una foto migliore di come sarà la mia?
«freida.»
freja mi pungola in fondo alla schiena con le dita ossute ed entro incespicando
nella cabina vuota chiudendomi la porta alle spalle.
1. Girarsi parzialmente verso l’obiettivo con un piede davanti all’altro.
2. Caricare il peso sul piede di dietro.
3. Mano sinistra sul fianco.
4. Sorriso abbagliante.
C’è un lampo e all’istante la mia foto viene caricata sul sito della Scuola per il giudizio
degli Eredi dell’Euro-Zona che determinerà la mia posizione iniziale nella classifica di
quest’anno. Rimango al buio. Dovrei uscire, ma voglio fermarmi qui ancora per un
momento. Vorrei nascondermi, celarmi tra le ombre e diventare invisibile in modo
che nessuno possa più guardarmi.
Spero che la foto sia perfetta.
Capitolo 2
«La nostra nuova aula», annuncia freja spalancando le braccia. Al Centro Nutrizionale
ho aspettato che smettesse di fingere di fare colazione per andare in classe con lei.
Non volevo farlo da sola.
«Wow! È così diversa», è il mio commento asciutto. Come l’anno scorso, e anche
tutti gli anni ancora prima, la maggior parte delle lezioni si terranno in una grossa
stanza tutta dipinta di nero, con le antiquate finestre chiuse da pannelli di legno
scuro. Il muro in fondo è ricoperto di specchi dal pavimento al soffitto. Davanti c’è la
cattedra della casta, un tavolo di quercia segnato dal tempo con pomelli di ottone
opaco e due cabine di vetro ai lati. Al centro della stanza i banchi dal ripiano a
specchio sono disposti a gradinata, con in mezzo una scalinata stretta rivestita da un
logoro tappeto nero. Le vacanze estive sembrano già un sogno lontano.
«freida! Sei straordinaria!», strilla cara. Corre ad abbracciarmi e i capelli biondo
cenere le si allargano attorno al viso. freja, che attende invano un complimento
analogo, esita un istante, poi mi sorride con entusiasmo sproporzionato e dice: «Ha
ragione!».
«No, non è vero», rispondo automaticamente. Buttiamo le borse sull’ampio
davanzale dall’altra parte della stanza prima di salirci sopra a nostra volta, in
posizione ottimale per osservare l’ingresso delle altre.
«Non metteteci tutto il giorno», scherza cara spazzolandosi la camicia scozzese di
cotone e i jeans skinny stone-washed mentre freja e io ci affanniamo sui tacchi. Una
volta sedute, freja tira fuori dalla pochette uno specchietto e si esamina il viso, come
temendo di non trovarlo più. Lo richiude con un sospiro, si appoggia alle assi di legno
e commenta con un verso di disapprovazione l’ingresso di heidi. Il suo prendisole
rosso ciliegia allacciato sul collo ha uno spacco che arriva all’ombelico. La testa di
heidi si volta di scatto verso di noi. Dopo sedici anni di Scuola abbiamo sviluppato
tutte un sesto senso per le critiche.
«freida, sei fantastica.» daria ha vagato un po’ in giro e ci ha raggiunte,
passandomi in rassegna il corpo con lo sguardo.
«Davvero», conviene freja, molto più convincente ora che ha avuto tempo di
prepararsi. «Adoro quella gonna.» Abbasso la testa con un sorriso. «Te l’ha scelta
isabel?», continua dolcemente, e il mio sorriso si gela. «Lei ha così buon gusto!»
«Fra parentesi, dov’è?», chiede cara aggrottando le folte sopracciglia. Me lo hanno
chiesto ogni giorno per gli ultimi due mesi. «La sua VideoChat è stata scollegata per
tutta l’estate.»
«Non si sente bene», ripeto una volta di più. Non voglio ammettere di saperne
quanto loro.
L’aula si sta riempiendo. gisele entra a passo deciso con una t-shirt blu senza
maniche drappeggiata su un paio di attillati jeans bianchi; viene verso di noi con i
fianchi ondeggianti e prende daria sottobraccio. La seguono le gemelle, jessie e liz,
copie identiche con tute turchesi abbinate; si muovono come se avessero braccia e
gambe attaccate a un unico corpo. I capelli biondo dorato incorniciano visi a cuore,
gli occhi verde acqua ci fissano con espressione spenta.
«Dov’è isabel?», chiede subito gisele facendomi stringere i denti. La sua pelle
sembra perfetta. È evidente che si è ripresa in pieno dalla reazione allergica.
«Questa mattina la sua serranda era ancora abbassata», dice jessie. «E chiusa a
chiave. Ho controllato.»
«Ne sei sicura?» liz trattiene rumorosamente il fiato, come se fosse una novità
anche per lei. Se jessie ha verificato che la serranda era chiusa a chiave, liz era
sicuramente là con lei. «Le nostre serrande non sono maichiuse a chiave.»
«Strano», aggiungono all’unisono, come se noialtre non lo sapessimo, dopo sedici
anni nella Scuola.
«Non è stata al Centro Nutrizionale», dice freja. Si è lamentata di questa ingiustizia
per tutti i pasti degli ultimi due mesi.
«Io non l’ho vista neppure in palestra», aggiunge gisele posandosi una mano sul
ventre tonico. freja, dopo averla scrutata con attenzione, tira su col naso e spinge le
spalle verso il petto per rendere ancora più sporgenti le clavicole affilatissime. «E io
in palestra ci sono stata davvero tanto!»
«C’è megan», la interrompe daria passandosi le dita sotto i bordi sfrangiati degli
shorts in denim sabbiato per abbassarli sulle cosce abbronzate e muscolose.
«megan! Siamo qui!» La chiama sbracciandosi. «Oh, lei sì che è davvero fantastica!»
La guardo attentamente. Questo vorrebbe dire che io invece non lo sono?
«megan, sei bellissima!», dice daria mentre megan alita alle gemelle un bacio con
uno schiocco rumoroso, badando a non sfiorare neppure la loro pelle con le labbra
rosse. «Bellissima», borbotto io, e vorrei che fosse una bugia. La sottilissima guaina
di seta verde mare dell’abito monospalla lungo fino ai piedi le aderisce al corpo
perfetto. I suoi capelli Castano-Nero 3.0 sono acconciati in trecce attorcigliate sulla
testa, gli occhi Verde Arsenico #214 ardono nella pelle luminosamente pallida. È
perfetta.
«C’è spazio anche per me?» Punta il dito verso di noi, appollaiate sul davanzale, e
sorride di nuovo, gli occhi vigili mentre cara, freja e io ci scambiamo un’occhiata
sfidandoci in silenzio. Alla fine freja, la più in basso in classifica delle tre, scende
dichiarandosi «comunque stanca di star seduta lì». megan fa un gesto con le mani e
cara e io ci scostiamo per farle spazio. Salta su leggiadra come se indossasse una tuta
e si siede fra di noi.
«freida!» Il suo strillo lacera il brusio delle chiacchiere; le teste dall’altra parte della
stanza si girano nella nostra direzione. «Ma guarda come sei scura in confronto a
me!» Mi prende un braccio e lo preme contro il suo. «Non è scurissima?»
«Sì, ma la tua pelle è così bella, megan», le dicono le gemelle come a un segnale
concordato.
Ritraggo il braccio di scatto e me lo stringo al petto con un sorriso per dimostrare
che mi interessa ben poco.
«E poi è così liscia», dice cara tirandosi su la manica della camicia per fare il
confronto.
«Ci mancherebbe che non lo fosse. Ieri a CosmesiTerapia mi sono fatta dare da
casta-hope una cera per il corpo.» Un’ombra le offusca il viso. «Non capisco perché
non possiamo usare il trattamento laser come le eva nelle Americhe.»
«O ancora meglio, perché non possiamo essere progettate senza peli sul corpo,
come nella Cindo-Zona», aggiunge daria giocherellando con un buco nella t-shirt di
crespo nero.
«Hmm, già», dice megan con lo sguardo che si sposta verso liu, seduta con christy
all’altro capo della stanza. «Dalla Cindia deve pur essere uscito qualcosa di buono.»
«Ne valeva la pena. Sei fantastica», dice cara, e megan inclina la testa per
accettare il complimento come fosse dovuto.
«Ma dov’è isabel?», ovviamente la nostra opinione non le basta. Ha bisogno di
confrontarsi con la eva #1, di misurare il proprio valore. «Perché ha saltato di nuovo
la colazione?»
«Te l’ho detto stamattina.» E la mattina prima, e quella ancora prima. «È malata.»
Ma megan non mi ascolta, fissa l’ingresso dell’aula.
«Malata?», ripete allegra e io seguo il suo sguardo. Quando capisco che cos’è a
procurarle tanta soddisfazione sento un tuffo al cuore. Una t-shirt a righe di taglia
sbagliata infilata in un paio di pantaloni a zampa di elefante a vita alta non fa che
sottolineare l’aumento di peso di isabel, i suoi capelli arruffati raccolti in una coda di
cavallo alta e scostati dal viso struccato. Percorre lentamente i gradini centrali come
se i chili in più le pesassero addosso. Tutte le teste si voltano a guardarla, la
osservano prendere posto nella fila in fondo sul lato sinistro, il più lontano possibile
da tutte noi.
«Mi pare chiaro che la malattia non le ha tolto l’appetito, dice megan. «E pensare
che noi stavamo qui a preoccuparci dei pasti che saltava.»
liz e jessie ridacchiano di nuovo, ma questa volta con un certo nervosismo. Non ho
mai sentito megan dire niente di apertamente cattivo su isabel prima d’ora. Non ho
mai sentito nessuna dire qualcosa di cattivo su isabel.
«Silenzio, eva.»
Al suono di quella voce, tutte e tre scendiamo dal davanzale. cara e io
inciampiamo, tenendoci fra noi per non perdere l’equilibrio mentre megan atterra
con grazia, ghignando della nostra goffaggine. casta-ruth aspetta dietro l’ampia
cattedra di quercia, le mani smarrite nelle profondità cavernose della veste nera. Le
luci incassate nel soffitto si riflettono sul suo cranio rasato, gli occhi grigio-cenere ci
fissano socchiusi, residui di una bellezza in dissoluzione nel suo volto dall’ossatura
sottile. Non l’avevamo sentita entrare. Non la sentiamo mai.
«Ai vostri posti. Al sedicesimo anno avete il privilegio di poterli scegliere»,
annuncia, e noi esitiamo temendo una trappola.
«Subito», intima, e la sua voce è gelidamente sommessa.
Le altre si affrettano. cara mi chiama indicando la seggiola vuota accanto a lei in
prima fila. Un tempo avrei rifiutato senza pensarci, perché il mio posto naturale
sarebbe stato vicino a isabel, ma ora non so che cosa fare. Aspetto per un secondo di
troppo e gisele si prende il posto, stendendo le lunghe gambe davanti a sé mentre
cara mi guarda con aria di scusa. Salgo i gradini verso isabel, rintanata nell’angolo.
«Ecco la nuova classifica per la prima settimana del vostro ultimo anno.» castaruth dà un colpetto alla lavagna alle sue spalle e lo specchio svanisce lasciando il
posto a un enorme schermo di computer. Carica la nuova classifica con un comando
vocale.
«Al primo posto abbiamo...» casta-ruth si schiarisce la voce due volte e prende un
sorso d’acqua dal bicchiere di plastica sulla cattedra. «eva #767.»
La faccia di megan riempie lo schermo. megan? Fisso la foto, gli occhi verdi
trionfanti, come se già avesse saputo che finalmente era arrivato il suo momento.
Questa è la prima volta in dodici anni che isabel non è la #1. Non oso alzare lo
sguardo. Temo che megan possa vedere il mio dubbio e ricordarselo. Temo che in
qualche modo isabel possa leggere dentro di me, vedere il mio rimpianto segreto di
non essere io quella che finalmente l’ha battuta, le braci di risentimento di sedici
anni vissuti alla sua ombra che mi ardono dentro.
«Al secondo posto...»
Ti prego, fa’ che sia io. Ti prego, fa’ che sia io.
«... eva #701.»
Fine dell'estratto Kindle.
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