Don Jon,Venerdì 13 capitolo 13,Un compleanno da leoni,Warcraft al
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Don Jon,Venerdì 13 capitolo 13,Un compleanno da leoni,Warcraft al
Don Jon Jon Martello (Joseph Gordon-Levitt) è un moderno Dongiovanni. Nella sua vita ci sono poche cose importanti: ovviamente le donne, poi la palestra, il suo bolide, la chiesa e il porno. Il soprannome Don viene sia dalle sue origini italiane, sia dall’essere il re del rimorchio. Nonostante abbia nel suo letto una ragazza diversa ogni sera, Jon non riesce a fare a meno della pornografia, la sua è una vera e propria dipendenza, un’ossessione irrinunciabile. Come un acneico ragazzino nel pieno della pubertà si masturba in continuazione, però giustifica ciò con la sua personale filosofia: con un video erotico ricevi senza avere il dovere di dare e quindi è molto più soddisfacente. Mentre numerose fanciulle salgono e scendono dal suo talamo, conosce Barbara (Scarlett Johansson) si innamora di lei e mette “la testa a posto”: torna all’università e cerca di costruirsi un futuro, ma la sua particolare dipendenza rovina irrimediabilmente questo rapporto. Nuovamente single, ritorna alla sua vita precedente fino a quando Esther (Julianne Moore) gli insegna cosa è veramente l’amore. Joseph Gordon-Levitt scrive, dirige e interpreta questa pellicola apparentemente sessista, ma che nel corso della visione diventa romantica senza però sfociare nel melenso. La cosa che risente di più del cambio di registro stilistico è l’originalità. La parte iniziale è spietata: Jon ci viene presentato come un rozzo palestrato interessato solo al sesso e all’apparenza estetica, in pratica solamente un bullo pieno di sé. Mentre le inquadrature, pulite e ordinate, si alternano sullo schermo, Jon cambia e con lui anche il film, il quale si fa più soffice, più lento e più politicamente corretto. Il pregio maggiore che l’esordiente regista ha è quello di non perdersi in sentieri battuti migliaia di volte dalla commedia romantica a stelle e strisce, certamente il messaggio di non badare solamente all’estetica di una persona è evidente, ma non viene calcato troppo e non è preponderante. L’autore gioca con personaggi al limite del grottesco, avvicinandosi ai cliche della commedia rosa, ma in qualche modo li evita e arriva a riscrivere il genere con originalità, infatti in Don Jon le situazioni comiche non sono date da battute ridicole e spesso scontate, ma dall’inserimento di immagini al limite della censura in situazioni del tutto normali e da snodi narrativi netti e improvvisi, che, proprio per questo, anche se prevedibili, non appaiono così ovvi. La sceneggiatura ha poche sbavature e la linea comica, affidata quasi totalmente ai personaggi secondari, strappa spesso sorrisi convinti. La scelta di Gordon-Levitt di analizzare, esasperandoli, gli stereotipi comportamentali della nostra società, trascina lo spettatore dalla sala, cullandolo con l’ironia, davanti alla realtà: tutti i personaggi sono assolutamente concreti e credibili, mai fuori dalle righe o eccessivi. La forza di quest’opera è senza dubbio la sceneggiatura: perfetta la parte comica, ma non va trascurata la carrellata visiva che passa, con naturale disinvoltura, dalla volgarità del porno alla dolcezza di chi finalmente ha capito cosa significa amare. Venerdì 13 capitolo 13 La Paramount ha confermato che un nuovo capitolo di Venerdì 13, il tredicesimo, verrà prodotto. La data di uscita dovrebbe essere il 13 Marzo 2015. Dovrebbe essere un reboot del primo film, diretto nel 1980 da Sean S. Cunningham, e quasi al 100% sarà in 3D. Ancora sconosciuto il titolo definitivo così come il regista. Un compleanno da leoni Gli autori di Una Notte da Leoni hanno annunciato che Un Compleanno da Leoni, sarà nelle sale il 16 Gennaio 2014. La commedia proporrà la vicenda di Jeff Chang, studente modello ligio al dovere, ma i suoi migliori amici Casey e Miller organizzano una sorpresa per il suo compleanno. Jeff restio ad uscire a causa dell’esame per entrare alla Facoltà di Medicina che si terrà il giorno dopo, acconsente. La serata perde il controllo è diventa una notte sfrenata ed eccessiva per chiunque. Warcraft al cinema nel 2016 Duncan Jones è alle prese con l’adattamento di uno dei videogiochi più famosi di sempre: World of warcraft. La Universal, forse per contrastare l’imminente uscita del nuovo Star Wars, targato Lucas film/Disney, ha deciso di accaparrarsi una fetta di pubblico ben precisa (i “nerd”) e ha fissato la data d’uscita dell’adattamento del videoludico fenomeno nel marzo 2016. Warcraft, a causa di difficoltà produttive è stato rimandato diverse volte, ma il nome di Duncan Jones è una garanzia per la uscita anche perché il regista figlio d’arte per girarlo ha rinunciato al progetto che lo vedeva impegnato in un biopic su Ian Fleming. Michael Caine nel prossimo film di Sorrentino Il protagonista di In the future, prossimo film di Paolo Sorrentino, sarà Michael Caine, l’attore britannico è stato ultimamente il maggiordomo Alfred di Batman per i film di Nolan sull’uomo-pipistrello. Sorrentino non ha specificato se le riprese effettuate in Italia o negli Stati uniti. verranno Il film uscirà, distribuito da Medusa, nel 2015 Addio a Tony Musante Si è spento, all’età di 77 anni, Tony Musante. Ad annunciarlo il sito The Hollywood Reporter. L’attore italoamericano è mancato martedì al Lenox Hill Hospital di New York dopo un complicato intervento chirurgico. Da ricordare l’interpretazione del detective Toma nell’omonomima serie tv degli anni ’70, la partecipazione nei film italiani L’uccello dalle piume di cristallo di Dario Argento e Metti una sera a cena di Giuseppe Patroni Griffi. Ultima apparizione italiana nella fiction Pupetta – Il coraggio e la passione. Intervista a Luca Bigazzi Intervista a Luca Bigazzi di Attilio Pietrantoni Come sta il cinema italiano? Perché non riesce ad accontentare critica e pubblico insieme? Sono dispiaciuto perché soprattutto nei giovani critici vedo un’esterofilia che sembra imbarazzante e minacciosa perché invece io trovo che il cinema italiano, lo dico non per difendere il mio orticello personale, dia segni di grande vitalità e di grande personalità, non è una frase fatta, credo che ci siano dei registi originali, delle storie a volte non funzionanti, però comunque sempre guardate con un occhio molto particolare, una cosa che ad esempio non vedo nel cinema francese o nel cinema inglese che sono molto più stereotipati nei generi. Forse noi abbiamo difficoltà produttive maggiori rispetto ad altri, tuttavia penso che ci sia grande vitalità nel nostro cinema e mi dispiace, ripeto, che i giovani critici, soprattutto quelli dei blog o delle riviste on-line come la vostra, non abbiano ancora colto questa caratteristica, mi colpisce molto questo aspetto, penso ci sia un’avversità preconcetta e insopportabile nei confronti del cinema italiano. A parte un periodo buio, negli anni ’70, dalla fine degli anni ‘80 in poi il cinema italiano vive, secondo me, un’ottima forma. Lei ha lavorato anche all’estero, con registi come Kiarostami; in cosa si differenzia l’approccio di un regista o di una troupe straniera rispetto a quelli italiani? Ho lavorato con Kiarostami ma era una troupe italiana, però nel film di Sorrentino (This must be the place, ndr) ho lavorato con una troupe americana mischiata ad una troupe italiana e con una irlandese, nella parte in Irlanda, e ogni volta che mi è capitato di lavorare all’estero non ho trovato nessuna diversità, ho notato che siamo tutti uguali, facciamo tutti gli stessi errori. Con Kiarostami c’era una barriera linguistica relativa, nel senso che entrambi parlavamo un inglese molto approssimativo, ma ci intendevamo molto bene, paradossalmente è stata problematica più la differenza di scrittura che di lingua: loro scrivono da destra verso sinistra ed è così leggono anche l’immagine. Il nostro lavoro è fatto di piccole sfumature e l’intesa tra le persone passa attraverso la comunicazione non verbale, nel caso di Kiarostami ho capito quanto questo sia vero perché le incomprensioni nascevano proprio da questo, era la scrittura che ci allontanava, ma è stata solo una difficoltà iniziale, capita questa tutto è andato a posto. C’è un regista col quale si è trovato particolarmente bene durante le riprese? Tutti quelli con i quali continuo a lavorare, non ce n’è uno al quale sono particolarmente affezionato, ma se ne devo dirne uno faccio il nome di Silvio Soldini, perché è con lui che ho iniziato a lavorare, anche se adesso non lavoriamo più insieme. Come vede il rapporto di collaborazione regista-autore della fotografia? Il rapporto di collaborazione è estremamente importante e necessario, mi rifiuto di non sentirmi parte della riuscita artistica e creativa del film, spero che i registi con i quali lavoro vedano in me un collaboratore che darebbe la vita per la riuscita del film al quale stiamo lavorando, il nostro film! Negli anni ’70 e fino agli anni ’80 l’Italia era famosa nel mondo per il Genere, perché adesso non si fa più? Il genere non si fa più in generale nel mondo, non solo in Italia, il cinema segue delle mode, è come chiedere a un musicista jazz perché non si fa più il be-bop, perché si supera, si passano delle stagioni e si evolve l’arte cinematografica, che non è diversa dalla pittura o dalla musica. Nuove sperimentazioni, nuovi generi diventano forse più interessanti, prima, in linea di massima, non si faceva cinema legato alla realtà, come attualmente si sta facendo in Italia. Fellini Antonioni punto inarrivabile per gli autori attuali? Non credo, sono stati meravigliosi registi, ma ce ne sono altrettanti bravi oggi, diversi, ma ugualmente bravi. Fotografia statica e fotografia cinematografica sono due mondi diversi e opposti? Io ho cominciato con la fotografia statica, quando fai una fotografia da fotografo difficilmente metti le luci, ti concentri sull’inquadratura, questo mi è servito per la composizione dell’immagine. nel corso degli anni mi rendo conto, per quanto riguarda le luci, di correre il rischio di ripetermi. A volte l’esperienza rischia di tramutarsi in un freno alla creatività, rimpiango l’innocenza e lo stupore degli inizi, perché questo lavoro ha bisogno di essere reinventato continuamente. Fight club 2 Tradendo la prima regola del Fight Club, torniamo a parlare di Fight club: Chuck Palahniuk, il suo autore di culto ha l’intenzione di scrivere un secondo capitolo delle avventure, o disavventure, di Tyler Durden. Non sarà un romanzo, ma una graphic novel. Il narratore del racconto sarà proprio Tyler Durden che osserva e commenta il protagonista, un certo Cornelius, ovviamente annoiato e depresso. Non mancherà Marla e come novità ci saranno dei bambini, figli proprio di Tyler e di quest’ultima. Quasi certamente Fight club 2 (Titolo vero ancora sconosciuto) approderà al cinema, come farà anche un altro romanzo di Chuck Palahniuk Gang bang che verrà diretto da Fabien Martorell VISIONI – Il Quinto potere I tempi cambiano ma l’esigenza di raccontarli e immortalarli rimane sempre la stessa: nel 1941 Orson Welles mostrava la forza dei mezzi di stampa nel capolavoro Citizen Kane (tradotto in Italia come Quarto potere), nel 1976 Network di Sidney Lumet (noto nel nostro paese come Il quinto potere) metteva alla berlina la televisione ed oggi, nel 2013, The fifth estate di Bill Condon (tradotto anch’esso come Il quinto potere) porta sul grande schermo la storia di WikiLeaks e del suo fondatore Julian Assange (interpretato da Benedict Cumberbatch). Non si vuole certamente fare un confronto tra i film citati, ma ragionare su come in ogni epoca sia importante, quasi necessario, riflettere sui media che fanno così tanto parte della nostra vita fino ad arrivare addirittura a gestirla e comprometterla. Emblematica è la sequenza iniziale: un excursus sull’evoluzione dei vari mezzi di comunicazione e su alcuni avvenimenti che hanno segnato la storia moderna, un inizio sincopato con zoom in e out che portano in continuazione dentro e fuori la notizia. Tutti conoscono WikiLeaks: è nata nel 2006 come organizzazione no-profit con l’obiettivo di pubblicare notizie e documenti segreti per far conoscere a tutti ciò che accade realmente nel mondo e che i mezzi istituzionali non raccontano; nel 2010, a seguito della più grande fuga di informazioni riservate di tutti i tempi, è diventata un caso diplomatico ed un problema di livello mondiale, e così lo stesso Assange. Il film di Bill Condon, sceneggiato da Josh Singer e basato sui libri Inside WikiLeaks di Daniel Domscheit-Berg (il collega di Assange interpretato nel film da Daniel Brühl, il Lauda di Rush) e WikiLeaks dei giornalisti di The Guardian David Leigh e Luke Harding, non solo racconta l’ascesa della temuta organizzazione, ma si/ci interroga sul concetto di moralità, trasparenza e ideale. “Non è un documentario” afferma il regista “Rappresenta solo una parte e un’interpretazione della storia: non avevamo intenzione di dar vita ad un film contro o in favore di WikiLeaks, ma piuttosto volevamo mostrare come e perché l’organizzazione sia riuscita a fare cose straordinarie ed esplorare alcune delle maggiori problematiche che ha messo in luce, mentre intanto portiamo il pubblico a vivere un viaggio emozionante, assieme ad un personaggio affascinante della nostra epoca. Abbiamo deciso di far vedere diversi punti di vista, di porre tante questioni e poi di lasciare che ognuno arrivi alla sua conclusioni personale”. Lo spettatore può infatti cercare di farsi largo tra le problematiche evidenziate attraverso il pensiero razionale di Berg, allo stesso tempo primo ammiratore e primo detrattore del lavoro di Assange, quello dei diplomatici statunitensi, che devono fare i conti con le conseguenze delle scottanti rivelazioni pubblicate, e quello dei giornalisti legati al leader di WikiLeaks che proprio grazie a lui hanno avuto importanti esclusive da prima pagina. E poi, ovviamente, abbiamo il pensiero e il punto di vista di Julian Assange: come possiamo definirlo? Un sognatore? Un hacker? Un rivoluzionario dai capelli bianchi che insegue degli ideali per rendere il mondo migliore? Un folle dall’infanzia difficile che rischia di compromettere vite pur di non cedere al compromesso? È proprio questo il punto cui vuole arrivare il film, senza fornire risposte, ed è lo stesso che logora dall’interno il rapporto Berg-Assange fino a comprometterlo definitivamente: fin dove è lecito spingersi pur di non tradire il proprio ideale? C’è un confine da non superare? L’eccellente interpretazione di Cumberbatch, colonna portante della pellicola, ci mostra un uomo determinato ma instabile, pieno di ideali encomiabili ma senza freni e limiti, un essere solitario che si presta ad una duplice, antitetica interpretazione: eroe o criminale? Tra stringhe e codici, tweet e chat, tasti che digitano freneticamente sulle tastiere e computer che devono essere sempre pronti a scomparire, la metafora ricorrente scelta per raccontare WikiLeaks è più tradizionale, ma non per questo meno incisiva: un ufficio anonimo e sterminato, con un numero illimitato di scrivanie e pc dietro i quali è seduto sempre e solo Julian Assange. Emanuela Andreocci RE-VISIONI – Piombo rovente Nell’atmosfera soffusa tipica del noir si inserisce uno dei film certamente più suggestivi di Alexander Mackendrick, anche se l’espressione “noir” sembra giustificare più che altro l’evidente caratterizzazione di personaggi dai tratti poco smussati, cinici, aspri, cupi, egoisti e prevaricatori che hanno per coefficiente comune l’effetto di destabilizzare lo spettatore, portandolo in una sorta di camera oscura ricolma di crudeltà e senza un’apparente e limpida via di uscita. Le loro sagome si muovono come pedine rigidamente avulse nel loro spessore psicologico, in un labirinto tortuoso di misfatti. Sesta pellicola per un Mackendrick che spazia dalla commedia al noir, raccogliendo le tinte fosche e farsesche de “La signora omicidi” dove commedia e drammaticità si intersecano a tratti per poi procedere disparate su binari paralleli, “Piombo Rovente” è una delle rappresentazioni più irriverenti sulla violenza d’impatto del mezzo stampa. La scelta di prendere a bersaglio proprio la classe dei giornalisti che hanno potenti armi per distruggere coloro che “devono” essere distrutti per fini amorali, dettati dall’alto, da una becera gerarchia di potenti più deboli e insicuri delle loro vittime che vede nel possesso materiale e nel controllo la sua unica soddisfazione, poteva sembrare a tratti una nostalgica rivisitazione del “Citizen Kane” di Welles. Il protagonista infatti, il signor Hunsecker, interpretato da un insolito Burt Lancaster, produttore dello stesso film, ha una presenza fortemente controllata a livello emotivo, a tratti statuaria; è il ritratto di una monumentale crudeltà con la quale controlla e muove i fili della bramosia di potere di cui anch’esso fa parte e che lo porterà a perdere l’unico affetto caro. J.J. Hunsecker è un uomo fondamentalmente solo che nasconde malefatte e desideri egoistici di insana possessione, diffamando e umiliando in terza persona un povero musicista colpevole soltanto di nobili sentimenti verso sua sorella Sally (Jeff Donnell), ridotta anch’essa ad una pedina controllata in tutto, anche nei sentimenti; in sostanza un debole, che, sebbene la sua autorità, nell’intento di mettere in atto i suoi deplorevoli piani decide di affidare l’incarico di impedire il matrimonio della sorella ad un rapace agente pubblicitario Sidney Falco (Tony Curtis), che di rapace non ha solo il nome ma anche l’artiglio esecutivo del male. Sidney Falco è l’ambizione e l’avidità fatta a persona, pronto a schiacciare ogni ostacolo e a mentire per seguire il suo obiettivo; senza dubbio una delle interpretazioni più congeniali a Tony Curtis che ci restituisce uno dei ritratti più meschini e arrivisti del ciclo cinematografico del giornalismo americano. Un’accoppiata vincente quella dei due attori, il braccio e la mente di un’incontrastata casta che controlla, fa e disfa tutto a suo piacimento, travolgendo affetti e distruggendo carriere senza scrupoli. La sceneggiatura di questo film che ebbe due colossi del calibro di Ernest Lehman (sceneggiatore di “Intrigo internazionale”, “Sabrina” e “West Side Story”) e Clifford Odets (autore de “La ragazza di campagna” che valse un Oscar a Grace Kelly) fu senza dubbio una delle sue carte vincenti; con la musica di Elmer Bernstein e i crudi contrasti nella fotografia di Wong Howe si dipingono con realismo verità velate da incertezze psicologiche, creando nello spettatore una sorta di inquietudine esistenziale scaturita da una latente insensibilità visiva che si ripercuote nell’umiliazione profonda e nella messa a nudo della fragilità dell’individuo. “…lo straordinario “Piombo Rovente” è uno spietato trattato sulla corruzione morale e materiale del mondo del giornalismo americano” (Gianni Canova). La critica sostenne l’importanza del titolo originale “Sweet Smell of Success”, il dolce profumo del successo, motrice indiscussa sia per l’agente Falco che prende avidamente la strada “dei soldi facili” che per il talentuoso musicista Steve Dallas (Martin Milner) che, ad un passo dalla gloria, è costretto a rinunciarci per l’infimo volere di un deus ex machina, schiacciato da una smaccata viltà e destinato anch’esso a soccombere. Angela Labalestra