Racconto Cuscus e tortellini

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Racconto Cuscus e tortellini
Cuscus e tortellini
Frequentemente sentiamo parlare di «dieta mediterranea», come se i modi di mangiare delle
popolazioni che vivono affacciate sul Mediterraneo - gli Italiani, gli Spagnoli, i Greci, i
Marocchini, gli Egiziani ... - avessero un carattere omogeneo, unitario, determinato dai fattori
ambientali e climatici. In realtà, le cose sono assai più complicate. Anzitutto, le cucine
mediterranee sono molto diverse da luogo a luogo'; se ti è capitato di fare qualche viaggio in
paesi diversi dal tuo (ma anche in regioni diverse dalla tua) te ne sarai senza dubbio reso
conto. Inoltre, queste cuci ne sono molto cambiate nel tempo e solo in parte si può dire che
siano legate al clima e all'ambiente «mediterranei»: molti usi alimentari sono apparsi o
scomparsi nei secoli, molti prodotti che oggi appaiono «caratteristici» vengono da altre zone
del mondo e solo in epoca recente sono entrati a far parte della cultura «mediterranea».
Prendiamo ad esempio la pasta: possiamo dire che sia tipica della «dieta mediterranea»? Di
quella «italiana» sicuramente sì, ma al di fuori del nostro paese la pasta non ha molta
importanza nel menu quotidiano. La cosa, poi, vale per oggi, ma non per il passato: la pasta è
diventata un consumo «popolare» solo da un secolo o due, mentre prima era un alimento di
lusso che appariva in tavola solo di rado. Neppure si può dire che sia un cibo «nostrano»,
poiché l'uso della pasta.(o perlomeno quello della pasta secca) è giunto in Europa dal Medio
Oriente: furono gli Arabi a introdurla in Sicilia durante il Medioevo. Ugualmente furono gli
Arabi a introdurre la coltivazione e l'uso del riso, che ha assunto tanta importanza
in Spagna e nei paesi nord-africani. Prendiamo l'olio: certamente è un prodotto mediterraneo,
ma anticamente fu impiegato per la cosmesi (massaggi, profumi) più che per l'alimentazione:
in cucina si usavano molto di più il lardo o il burro, che oggi sembrano così poco
«mediterranei>>.
Prendiamo le verdure fresche: queste, sì, sono un importante segno distintivo della «dieta
mediterranea>>.
Ma quante, fra quelle che oggi caratterizzano le nostre cucine, sono veramente
«mediterranee>>?
Non certo il pomodoro o il peperone, importati dall'America cinque secoli fa; non le
melanzane, gli spinaci e tanti altri prodotti portati dagli Arabi nel Medioevo.
Tutto ciò mette in luce soprattutto una cosa: non esistono cucine «di territorio>> che non
siano il risultato di una lunga storia, di un continuo accumulo di esperienze, di ripetuti scambi
con culture diverse. Ogni cucina è frutto di «incroci>> e nel caso delle cucine mediterranee
questi incroci sono stati particolarmente numerosi e fecondi: la varietà dei prodotti
disponibili e la fantasia degli uomini nel prepararli hanno le loro radici in questa storia. Ma
questa storia non è mai terminata una volta per tutte. Nel Medioevo furono i Germani e gli
Arabi ad arricchire la cultura alimentare mediterranee anticamente delineata dai popoli della
Mesopotamia e poi dagli Egizi, dai Fenici dai Greci, dai Romani. Poi venne l'età dei viaggi oltre
Oceano e con essa la «dieta mediterranea» si arricchì degli apporti americani, mentre nuovi
scambi furono possibili con ogni parte del mondo. Nel nostro secolo, infine, tutta l'Europa,
compresa quella mediterranea, ha subito il fascino del modello «industriale» applicato anche
all'alimentazione secondo l'esempio inglese e
americano. Ora ritorna a fasi sentire con forza il mondo arabo,. che preme sull'Europa - come
già accadde nel Medioevo - con tutto il peso della propria tradizione culturale e alimentare. È
difficile pensare che ciò non porti novità e cambiamenti nelle «nostre», come nelle «loro»,
cucine: è sempre accaduto e continuerà ad accadere. Piuttosto, bisogna impegnarsi perché
accada non nel segno dello scontro, ma dell'incontro, del rispetto e della tolleranza reciproca.
In una città dell'Emilia, alcuni anni fa, il Comune propose di introdurre nella mensa delle
scuole - frequentate anche da numerosi ragazzi provenienti dai paesi arabi - un cibo
caratteristico di quei popoli, il cuscus (granelli di semolino addensati a mano con acqua e olio,
che si possono poi preparare e accompagnare mille modi diversi, un po' come la pasta o la
polenta). Si decise che, una volta alla settimana, invece della solita pasta si sarebbe servito
cuscus. L’esperimento non mancò di suscitare qualche diffidenza, ma sostanzialmente
funzionò: i ragazzi, curiosi, accettarono la nuova proposta con molta semplicità. Qualche mese
dopo furono tutti intervistati per conoscere, più da vicino, le loro reazioni. Particolare
interesse destò la risposta di un ragazzo arabo che disse: - Sì, il cuscus mi è piaciuto, ma
continuo a preferire quello che mi prepara a casa la mamma. «È naturale», pensarono gli
amministratori «ciascuno di noi è legato' ai propri sapori e soprattutto ai sapori della propria
infanzia. È ovvio che il cuscus domestico, qualunque ne sia il gusto, piaccia di più di quello
scolastico». Ma alla domanda:
- Perché ti piace di più quello di casa? - il ragazzo sorprese gli intervistatori con una risposta
del tutto imprevedibile:
- Mia madre - disse - prepara un piatto a strati: uno di cuscus, uno di tortellini, uno di cuscus,
uno di tortellini ...
Un esempio davvero curioso di incontro fra culture diverse, realizzate attraverso il cibo. Le
cucine sono come i popoli: sembrano «originarie» di un certo territorio e invece, nella
maggior parte dei casi, sono state «create» dalla storia. Esse sono state, e continuano ad
essere, uno dei principali modi con cui gli uomini si incontrano, si conoscono, si mescolano, in
quel grande pentolone in cui razze, lingue e religioni diverse riescono a convivere e a fondersi:
gli americani lo hanno chiamato «melting pot». Che sia il nostro pentolino magico?
Montanari, Massimo, “Il pentolino magico”, Bari, Laterza, 1995