Giorgio Agosti-Dante Livio Bianco, Un`amicizia partigiana. Lettere
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Giorgio Agosti-Dante Livio Bianco, Un`amicizia partigiana. Lettere
Giorgio Agosti-Dante Livio Bianco, Un’amicizia partigiana. Lettere 1943-1945 da: Giovanni De Luna (a cura di), Un’amicizia partigiana. Lettere 1943-1945, Albert Meynier, Torino 1990 pp. 74-77; 90-93 Livio a Giorgio (fine marzo 1944) […] Tu (e non solo tu, ma in pratica tutti quanti hanno responsabilità politica e militare di bande) ci rimproveri, se ho ben capito, essenzialmente tre cose: 1. Mancanza di denaro e di rifornimenti; 2. Mancanza di istruzioni e di collegamenti; 3 mancanza di elementi che vi aiutino nel lavoro politico. Premetto che hai perfettamente ragione e che questo lo sappiamo tutti da mesi e lo sentiamo ogni giorno con più urgenza: cercherò di spiegarti, punto per punto, i vari perché delle cose che non vanno, e i nostri sforzi per parare al più urgente, e i pochi rimedi che vediamo possibili. […] Ti prego soltanto di notare che, a parte quella dei quattrini, noi ci imbattiamo in due difficoltà, le quali rendono il problema quasi insolubile: il trovare la roba e trasportarla. In città, di giorno in giorno diminuisce il poco rimasto, anche sulla borsa nera (che è l’unica che funzioni): Pi[nella] mi dice che le calze facevano schifo. Trovarne di migliori: coi punti, un paio di calze da uomo di un tessuto che sembra pappa e che la sera hai già le dita fuori costano 80 lire. La maglieria sembra che sia quanto di meglio e di più conveniente si possa ora trovare. […] Scarpe: ne possiamo avere di buone a 880 lire al paio; sono fatte con cuoio impermeabile di quello usato per le scarpe dei marinai, hanno una buona suola, non sono chiodate, ma potremmo farvi avere i chiodi a parte. Il prezzo ci è praticato come un favore: e non so se la prossima settimana sarà invariato. Se la cosa ti va, la fornitura s può avere nel giro di pochi giorni; tu mi dici quante paia ne vuoi e io le pago subito coi soldi del partito, salvo a rimborsavi sulla vostra assegnazione di aprile. I trasporti sono l’altra piaga: il controllo dei fondi valle si fa sempre più stretto e la gente ha sempre più paura. Bisognerebbe che vi assicuraste la complicità di qualche industriale (o cooperativa) della zona, che figuri di acquistare le scarpe per i suoi operai e che come tali le possa far giungere là dove poi voi lo potrete ritirare. Le scarpe che vi abbiamo mandato prima erano cattive? Non lo escludo; ma sai che un paio di scarpe da montagna normale non costa oggi meno di 1500 o 1800 lire? E che qualche industriale del cuoio che ci ha aiutato in un primo momento, ora non ne vuole più sapere? Credi pure, carissimo, che nell’empireo dell’alta politica ci passiamo ben poche ore al giorno o addirittura alla settimana e che tutto il resto del tempo se ne va in cerca di mezzi vari (dalle tipografie alle scarpe, dalle carte false alle tessere del pane, dai depositi agli alloggi per chi non sa dove andare a dormire; ecc.): ricerca che urta, oltre che con le difficoltà del mercato generale e la crescente paura della gente, con la piccolezza di cinque o sei polizie che ci traquent (ndr. braccano) sempre più da vicino e con lo stillicidio quotidiano di uomini che perdiamo in questa lotta. Non pensare che non ti capisca: penso anzi di capirti meglio degli altri amici, perché per parte della settimana vedo anch’io da vicino la vita delle bande e mi sento fare a voce i rimproveri che tu mi rivolgi per iscritto, ed in forma anche meno parlamentare. Vorrei soltanto che tu non ci considerassi una specie di stato maggiore che sta a tavolino a fare i piani e a fumar sigarette, sovranamente ignaro delle necessità umane della guerra. Questo - per esser giusti – non è vero degli uomini di nessun partito, neppure dei lib[erali]: ma è meno che mai vero per noi. Se un giorno o l’altro salteremo tutti (e la cosa non è così improbabile per poco che continui questa musica), lo dovremo proprio al fatto che nessuno di noi si rifiuta ai lavori più di base e quindi più esposti, dove questo sia necessario. Non credere, per esempio, che chi si occupa della stampa, si limiti a stilare a tavolino un dotto articolo e a meditare sulla situazione. La stesura del giornale o del quaderno occupa sì e no una ventesima parte del tempo: poi bisogna trovare la tipog[rafia] o magari più di una composizione da una parte e stampa magari a 50 Km di distanza), viaggiare con i piombi nella valigia attraverso i controlli annonari (ndr. ispezioni sui rifornimento di viveri) e polizieschi, ritirare la stampa nel giro di poche ore, portarla al deposito. Questo in condizioni normali: ma tre volte su quattro, la tipog[rafia] è bruciata prima o non osa più muoversi, e allora bisogna cambiare tutto sul più bello. L’unico numero dell’IL (ndr. L’ «Italia libera», organo del partito d’azione) uscito quest’anno ha avuto per es. il primo manoscritto bruciato in una tipografia perquisita; finalmente la terza volta ci siamo riusciti, ma molto fuori Torino, e abbiam dovuto trasportare il materiale in condizioni piuttosto… astringenti. Piccola aggiunta: quelle due facciate, tirate in tutto in 5000 copie, ci sono costate – con le varie disavventure – più di tre lire al numero. Del nostro migliore deposito non possiamo più servirci e non sappiamo dove trovarne un altro. …] Abbiamo del materiale fermo in località, dove attualmente è materialmente impossibile recarsi a ritirarlo. E insomma, potrei continuare: bada, carissimo, che non voglio affliggerti con un étalage ndr esposizione) di miserie; so benissimo che tu potresti e anche con più ragione rispondermi con altrettante e più descrizioni di difficoltà. Mi preme soltanto dissipare quella che, se ho ben inteso, mi pare la tua impressione: che cioè noi siamo dei teorici, incapaci di affrontare le questioni pratiche. Siamo dei gangsters, altro che! Più di una volta certi trasporti stampa sono finiti a rivoltellate e in fughe precipitose: e, se ci riesce un certo colpo che stiamo pazientemente preparando e che dovrebbe almeno in parte risolvere i problemi della stama, potremo degnamente figurare fra gli eroi di Wallace (ndr. Edgar Wallace (1875-1932), scrittore inglese, autore di romanzi polizieschi). 2 Giorgio a Livio (4 aprile 1944) […] Carissimo, la nostra parte non è facile, il nostro lavoro è il più oscuro, forse infangato. Per gli uni saremo dei pazzi, per gli altri dei sovversivi: a cose finite tutto il buon senso filisteo ci giudicherà con sufficienza o con avversione. L’alternativa di oggi è di lasciarci la pelle in combattimento o di finire […] al o in un campo di concentramento in Germania. L’alternativa di domani è di ritrovare, ignorati o dimenticati, il nostro lavoro o di doverci difendere da nuove persecuzioni, che vengano da destra o da sinistra. Eppure, questa lotta, proprio per questa sua nudità, per questo suo assoluto disinteresse, mi piace. Se ne usciremo vivi, ne usciremo miglior; se ci resteremo, sentiremo di aver lavato troppi anni di compromesso e di ignavia, di aver vissuto almeno qualche mese secondo un preciso imperativo morale. Quando ho letto la chiusa della tua lettera, non mi vergogno di dirtelo, mi son venute le lacrime agli occhi. Tu mi sembri di tutti noi il più diritto, vorrei dire il più puro, se questa parola non fosse troppo abusata per celebrare gerarchi uccisi dal piombo dei sicari. Gli interessi politici, nel senso tecnico, ti erano certi più alieni che a molti altri; il tuo lavoro ti prendeva e ti soddisfaceva. Mario - lo vedo ogni giorno di più – ha veramente la passione e il genio della politica; io meno, ma ho maggior distacco dal mio lavoro e una certa sensazione di superare, nella lotta, quel complesso di inferiorità che mi ha sempre afflitto. Tu ti sei mosso proprio soltanto per una molla morale; ed hai sacrificato tutto con la decisione che debbono aver avuto certi uomini del nostro Risorgimento (ho pensato, leggendo la tua lettera, a certe pagine di Settembrini). Tutti noi in basso abbiamo una famiglia, dei libri, qualche blandizia di vita comoda, anche se la tensione di ogni ora e la rapidità con cui ci giungono tutte le cattive notizie colgono ogni sapore a quanto un tempo faceva bella la vita; ma tu non hai proprio altro che la vita di trincea, senza prospettive di licenze. […] Un consiglio, adesso: per un po’ di tempo non scendere in pianura, dove è troppo facile per uno nelle tue condizioni farsi pescare. Se però la situazione lassù diventasse tale da costringerci a cercare rifugio altrove, allora scendi deciso a Torino, dove è più facile sparire almeno per un po’ di tempo. Qualche notizia sulla politica generale. Le destre rialzano il capo ed a Roma i liberali hanno tentato di varare un ordine del giorno che in pratica annunciava la collaborazione e rinnegava la posizione di intransigenza assunta in novembre. Quest’odg (ndr. ordine del giorno) in un primo momento è stato approvato da tutti i partiti, eccettuato il Pda (ndr. Sigla del Partito d’azione). La resistenza del Pda ha indotto in un secondo momento i comunisti e i socialisti a ritirare la loro adesione. Dunque, una notevole vittoria diplomatica nostra; che dimostra da un lato la possibilità del Pda di avere un’influenza determinata nonostante la sua scarsa forza numerica, ma che rivela dall’altra parte il fondamentale equivoco della politica dei partiti marxisti. I comunisti giocano più che mai sulle due carte della politica di fronte nazionale (occorrendo anche monarchico e badogliano) e della insurrezione proletaria. Si decideranno all’ultimo momento, secondo la stessa spregiudicatezza che ha indotto la Russia a riconoscere Badoglio. Io credo 3 inevitabile, dopo la presa di Roma, la formazione di un governo di coalizione, che tenterà il salvataggio se non del re, certo della monarchia. Noi restiamo intransigenti; ma la nostra non può essere intransigenza moralistica sterile, ma intuizione politica e capacità di manovra. Il nostro obbiettivo immediato è oggi – dopo che un primo periodo di alleanza coi comunisti ci ha irrobustiti diplomaticamente – arrivare ad un’alleanza con i socialisti, che ci permetterebbe domani di influire potentemente sulla politica comunista in seno del blocco delle sinistre. Il male si è che il partito socialista attraversa attualmente una crisi ideologica ed organizzativa gravissima che particolarmente colpita dalle repressioni è stata l’ala sinistra dei giovani, che era la più vicina a noi e quella con cui potevamo sperare di arrivare ad una quasi fusione. In generale, questi sei mesi di Italia divisa e questi due diversi esperimenti di libertà e di oppressione nazista hanno messo in luce quelle che già il periodo badogliano aveva lasciato intravedere e cioè la debolezza dei partiti e la loro estrema difficoltà a riprendere contatto con le masse ed a reinserirsi attivamente nel nuovo gioco dei problemi politici. Nel sud, indifferenza delle masse, attività verbale dei partiti rappresentati dai vecchi uomini, crescente coagularsi di interessi conservatori attorno al governo (che ha la grande forza - in Italia – di essere il governo cioè quella istituzione che assegna i posti e gli stipendi.) nel nord, sensibilità molto più matura anche nelle masse e vitalità di uomini nuovi; ma condizioni di lotta logoranti che, indirettamente, favoriscono la causa monarchica-badogliana. I migliori ci restano, i più cauti attendisti fanno capolino dietro lo stemma monarchico e attendono il giorno in cui, fra la stanchezza e la fame del popolo e i campi di concentramento tedeschi, ci toccherà scoprire che i destini d’Italia sono indissolubili da quelli della monarchia, ecc. ecc. naturalmente, su tutto questo peserà la situazione internazionale; ma, come oggi si profila, questa è più favorevole al governo legale che al Cln. Al tavolo della pace, le cose potrebbero cambiare, specie se Churchill (Winston Churchill (1874-1965) primo ministro britannico durante la guerra) cadrà e verranno al potere le sinistre. Una cosa è certa: che il Pda ha una sua parola da dire; non la potrà dire oggi e forse neppure domani, ma la dirà per forza di cose. E questo è il senso del nostro lavoro. Che ha poi anche un senso più profondo e umano: di ridare dignità al nostro disgraziato popolo. Sul piano internazionale la mia convinzione è che gli angloamericani nonostante la loro inerzia apparente, siano più forti dei russi e che si siano riservate le carte decisive da buttare sul tavolo al momento opportuno. Questo momento lo hanno con ogni probabilità già stabilito e non lo anticiperanno di un’ora, anche se questo dovesse costar la vita a milioni di altri individui. E’ il loro modo di fare la guerra: e - a pensarci bene – è l’unico modo di farla e di vincerla. Lezione da imparare anche per noi. 4