Un incontro con Fernanda Pivano

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Un incontro con Fernanda Pivano
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Un incontro con Fernanda Pivano
Milano, 13 ottobre 1999 ore 18
È la colonna sonora di DREAMERS - il libro evento a cura di Nanda Pivano e Cesare
Fiumi per la Marlboro Country Books Edimar, uscito lo scorso Natale- che mi accompagna
in questo viaggio a ritroso negli anni sessanta "fuori del tempo e dello spazio" tra i
protagonisti della Beat Generation, dei quali Fernanda Pivano è stata ed è traduttrice e
studiosa.
Un viaggio nel sogno anarco-pacifista dei suoi "amici", così come li chiama, e anche suo
personale, iniziato il 2 marzo 1960 quando Gregory Corso arriva da Nizza nella "dolce
casa" milanese della scrittrice in via Cappuccio 19 (frequentata poi anche dal grande,
disperato musicista jazz Chet Baker).
Incontro Fernanda Pivano in un umido afoso sabato di settembre mentre a Milano
impazzano la settimana della moda e lo SMAU (fotomodelle, telefoni cellulari, affari da
capogiro).
Nanda mi accoglie per parlarmi invece di un passato di speranze "on the road" poi
"travolte dal terrorismo e dall’attivismo politico degli anni ‘70", di "una scena
completamente finita", sulla quale agirono Allen Ginsberg, Gregory Corso, William
Burroughs, Jack Kerouac, i suoi "amici", generazione di "battuti e beati", derisi.
Essi vivevano "nella loro nuvola di pensieri" per cercare "una nuova via d’uscita alla
cristallizzazione della società e del capitalismo americani.
Fumando un ‘joint’ in dodici, in piccoli alloggi magari in cima ad un grattacielo, senza
ascensore, senza acqua calda e talvolta senza acqua del tutto, mangiando un panino ogni
due giorni, rifiutando gli aiuti delle famiglie" spesso ricche o comunque borghesi,
inseguivano una scelta anarchica più difficile e vera di quella dei poveri.
Così dirà la Pivano più avanti anche di sé e di Fabrizio De Andrè suo amico e genovese
come lei "grande poeta contemporaneo, forse il più grande oggi in Italia".
Allora si ascoltava il rock leggero di Bob Dylan e si viveva nel mezzo della cultura pop
frequentando Andy Warhol, sdegnando eblematicamente "le mattonelle nei gabinetti
perché di esse si può comunque fare a meno".
Quelli di Nanda sono ricordi e stupore incancellabili per questi "amici" che ora o non vede
più o non ci sono più, privata dei quali oggi ella si sente "senza le gambe e le braccia".
Cominciò a frequentarli quando non erano ancora famosi e prima di loro aveva conosciuto
Ernest Hemingway e John Fante ("morto per diabete senza gli arti inferiori questo
abruzzese emigrato negli USA e quindi odiato dallo sciovinismo americano; sfortunato,
ridotto lui così grande a fare le sceneggiature per i film di Hollywood"). Così come qualche
anno fa ha conosciuto i giovani Brest Easton Ellis e J. Mc Inerney, oggi, soprattutto il
secondo ("straordinario, dotato di un profondo senso della storia, fine stilista" )gli artisti più
importanti d’America.
E dopo quei sognatori beat Nanda aveva incontrato anche la psichedelia di Timothy Leary
che nell’uso dell’acido lisergico (LSD) forse più potente del peyote che aveva a sua volata
preceduto la marijuana, vedeva la possibilità di "allargare l’area della consapevolezza
raggiungendo in pochi minuti una liberazione dell’io corrispondente a un’analisi di sei
mesi".
Anche gli intellettuali raccolti attorno a Leary cercavano l’lluminazione di se stessi se pur
attraverso una droga pesante e furono solo "piacevoli" scrittori anche se a livello di
comunicazione attuarono una notevole azione di liberazione dalla società conformista per
es. attraverso le visioni psichedeliche contenute nella bellissima rivista "The San Francisco
Oracle".
E conobbe Charles Bukowski ("uomo gentile, delicato; tutto il resto fu una montatura dei
media per vendere" ) e Lawrence Ferlinghetti e Peter Orlovsky ecc…
"Oggi" afferma la scrittrice "la gente si diverte di più a sparare che non a meditare su
Budda. Kerouac ad es. ha scritto un grande libro sul buddismo che in Italia non è stato
nemmeno tradotto.
E si confonde tutto quel passato in generiche definizioni e assurde etichette ‘DROGATI,
OMOSESSUASLI…’
Invece soprattutto i suoi "amici" non erano né drogati, né per la droga in sé ma per la
libertà di consumo, e certo non si ponevano il problema del sesso: "appunto perché
anarchici erano molto liberi dalle definizioni piccolo-borghesi che costringono sempre a
collocare… anche se poi Ginsberg fu molto omosessuale…"
Nonostante ciò tra Nanda, decisamente carina come ama ricordare e i suoi "amici" si
stabilirono feeling straordinari e forse "innamoramenti platonici da parte loro".
"Oggi" prosegue la scrittrice "quella lezione è completamente morta tranne che per i
sopravvissuti come me".
La correggo dolcemente ricordandole che non è l’unica sopravvissuta.
Ma lei insiste, netta "il pacifismo ha fatto un fiasco totale, oggi il mondo è coperto dei
cadaveri di ragazzi …unica grande vittoria dei pacifisti fu quella di aver raggiunto la firma
del trattato antinucleare; ma una settimana dopo Mao, lui che era un simbolo, buttò
l’atomica…"
Eppure i suoi "amici" erano stati fondamentali per cacciare il neo-fascismo maccartiano
dall’America.
Fumare il joint nei salotti serviva per alzare il più grande polverone possbile attorno a certe
tematiche.
"Per loro il joint era come la pipa della pace che dava un senso di grande fratellanza e
comunicazione
In questi cerchi di comunicazione si parlava dei problemi e si organizzavano le azioni.
Si discuteva dell ’Amazzonia e dei popoli sommersi come gli indiani d’America. Si
dibatteva per la liberazione sessuale dei gay (a Stonewall Ginsberg fu in prima linea), si
predicava la tolleranza e mescolanza di tutte le religioni (Ginsberg era ebreo, Kerouac
cattolico, Burroughs protestante, Corso non sapeva cosa fosse la religione eppure non
litigavano mai). Si parlava di liberalizzazione della droga. Si fece ad es. una grande
battaglia per salvare l’unica isola di corallo azzurro rimasta sul pianeta, in Giappone, sopra
la quale volevano costruire un aeroporto. Ginsberg scrisse una valanga di lettere per
salvare quel corallo, inutilmente perché l’aeroporto fu fatto".
E’ talmente presa Nanda nel raccontarmi dei suoi "amici" che si stupisce quando invece le
chiedo di parlare di lei.
Forse perché riteneva già di narrare se stessa, dicendomi di loro.
Il che è vero in gran parte, come se prima la sua vita non fosse stata tale o quasi.
Mi stacco un attimo da lei, da questa stanza piena di libri e penso con riconoscenza e
sorpresa a come ha accolto una sconosciuta seducendomi e aprendosi con tanta
semplicità.
Dice :"Io non sono importante. La mia vita è stata vissuta attorno ai miei amici e così
anche oggi vivo nel ricordo di chi mi ha regalato una ricchezza sconfinata".
Decide però di parlarmi brevemente della sua vita antecedente l’incontro che le avrebbe
rivoluzionato l’esistenza.
Nanda proveniente da una famiglia alto-borghese, aveva ricevuto lezioni di letteratura
contemporanea da Cesare Pavese, uomo dalla personalità fortissima; era stata assistente
di Nicola Abbagnano, il filosofo che ha inventato la teoria italiana dell’esistenzialismo.
Poi la vicinanza di suo padre, uomo illuminato e colto, la frequentazione della sua
vastissima biblioteca, la presenza del nonno scozzese altrettanto illuminato (fu tra i primi a
portare in Italia la Berlitz school), l’incontro con importanti personaggi della musica e il
diploma di decimo anno di pianoforte di cui va orgogliosa. Infine anche la madre fu donna
di grande spessore.
("Le femministe dovrebbero rivalutare la grande cultura delle signore dei salotti vittoriani")
Nanda è stata sposata per 37 anni fedelissima anche dopo l’ abbandono di lui, con un
uomo estremamente geloso. "Tu non fare come me l’errore di non avere amanti" mi dice
"io non fumo, non bevo, non scopo".
Le chiedo: "Anarchica anche oggi?"
"Certo" risponde "Ieri come ora, senza poter essere attiva perché in Italia le donne devono
saper fare le minestrine e basta, se no nessuno le vuole".
"E’ per questo che suo marito l’ha lasciata?". Ride Fernanda. "Forse" risponde.
Le chiedo: "La sua giornata?"
"Dopo che la scorsa estate ho passato quindici giorni in fin di vita in ospedale per problemi
di cuore, la mattinata va tra cure e infermiere.
Dalle 14 alle 21 lavoro. Poi ceno e esco per qualche incontro. Dalle 24 alle 4 lavoro.
Non ho amiche; non ho tempo di giocare a carte e le donne del mio mestiere sono delle
iene. Ma ho amici uomini, soprattutto ragazzi"
"Works in progress?" le chiedo E questa incredibile attivissima ottantaduenne che ha
dovuto rinunciare a partecipare a quindici giurie per via del ricovero, mi parla tra l’altro di
una vasta biografia di Hemingwey e di un libro per l’editore Pironti sul dopo Hemingwey; a
Natale uscirà invece un "regalo" con disegni suoi (anche se afferma di non aver mai
disegnato) con testo di "traduzione" stampato a lato; l’idea è stata di Arnoldo Mondadori
jr., la copertina sarà di Sotsass.
Sta curando infine l’introduzione a un’antologia di poesie di Fabrizio De André per Einaudi.
Per l’artista genovese recentemente scomparso e per sua moglie Dori ("donna
straordinaria, ulteriormente affinata dalla vicinanza dell’artista e che oggi anima la sua
memoria" ) la Pivano nutre profonda stima e ammirazione.
Mi ricorda quanto umile fosse e schivo. Sicuramente in Italia anticipatore di Bob Dylan che
è –secondo lei- il Fabrizio americano.
Lo rivede mentre beve il tè nella sua casa di famiglia ricca con i camerieri in guanti bianchi
e poi, levata la cravatta, a cantare nelle osterie.
Le chiedo: "Cosa fa oggi oltre che scrivere?"
"Faccio il birillo" risponde sorridendo "presa e portata da una trasmissione all’altra, da una
giuria all’altra".
"Ogni non esiste proprio più nessuna speranza per quel vostro sogno?" Domando. La
guardo sapendo comunque già la risposta.
"No, non c’è più nessuna speranza. Ci vorrebbero forse dei geni come loro, i miei amici.".
Così ci salutiamo; mi accompagna alla porta dopo avermi dato un bacio, questa donna
particolare che mi aveva accolta guardando le mie mani con un'osservazione da bambina:
"Oh! Abbiamo lo stesso smalto!".