Presentazione Quattro amici giovanissimi, due
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Presentazione Quattro amici giovanissimi, due
Se in fondo al volume non è presente il catalogo, potete consultarlo su www.robinedizioni.it Presentazione Quattro amici giovanissimi, due coppie, si trovano coinvolti in una goliardica intesa ludica, in un alternarsi di giochi amorosi che col tempo diventa un pericoloso vizio, e che, senza che se ne rendano conto, alla fine prende loro la mano. Fra di essi emerge la differente natura di ciascuno, e la diversità delle note caratteriali li conduce a inaspettate reazioni, delle quali non sempre essi sono coscienti. Col tempo questo iter li trascina in uno strano e perverso rapporto che da gioco diventa ambigua complicità, sino a una estrema conclusione finale inattesa... tanto drammatica, quanto misteriosa. Altri segnali inspiegabili e larvati segreti affiorano durante la narrazione dei fatti, aggiungendo sconcerto e dubbi nell’accertamento della verità. Scritta come su due linee di uno stesso binario, la trama, unica, è raccontata contemporaneamente da una voce narrante che accompagna il personaggio centrale dall’infanzia sino alla fine del racconto (corsivo), e da un io narrante (l’autore), presente e partecipe di tutta la storia (tondo). Edizione a cura di Cinzia Console © 2006 ROBIN EDIZIONI SRL Via Silla 35 - 00192 Roma Tel. 06.39.726.745 Fax 06.39.722.835 e-mail: [email protected] sito web: www.robinedizioni.it Questi due racconti in parallelo, scritti nei due diversi caratteri di stampa, illustrano profondamente l’andamento e le prospettive dello stesso evento, puntualizzando le contraddizioni razionali che si pone un osservatore (il lettore), coinvolto anche lui, così, nel cercare di comprendere la verità. La narrazione tutta, segue attentamente la logica e la psicologia di ognuno dei quattro personaggi, connotandosi sempre di un fondo altamente erotico che li accomuna. Alla Robin Edizioni srl sono riservati i diritti di sfruttamento e la proprietà esclusiva del marchio BdV 5 Il libero arbitrio del caso L’Agenzia FALCUSSTAMPA – promozione letteraria – attraverso messaggi stampa e contatti e-mail, informa e ragguaglia una vasta lista di associati ed altre agenzie, sulle iniziative editoriali in corso e sulla produzione di autori qualificati che hanno già edito, o non ancora, sul mercato Italiano. Essa si avvale di format essenzialmente informatici interattivi di tipo ludico: concorsi o scambi culturali, inchieste, ricerche, confronti e competizioni fra gli appassionati della lettura e della scrittura. Per quanto riguarda la promozione e la diffusione letteraria, utilizza diverse formule che coinvolgono e compartecipano oltre chi ama leggere o chi ama scrivere, anche le differenti branche legate alle attività del settore. I nostri club di lettori ci forniscono le opinioni ed i trend sulle preferenze ed i gusti delle varie tipologie di acquirenti del libro e ci aiutano ad individuare gli strumenti ed i canali più idonei. Collaboriamo e lavoriamo in simbiosi con molti portali di cultura e di interesse artistico e librario. Anche questo testo è stato lanciato e pubblicato attraverso Internet per sondarne sia il possibile market che la critica, e saggiare le preferenze espresse dal variegato mondo dei lettori. Il suo finale è stato proposto in diverse soluzioni ed infine elaborato, nella sua versione definitiva, attraverso un concorso seguito da circa 1300 iscritti. Anche la parte grafica ispirata ai fatti salienti e ai personaggi del romanzo è stata realizzata e suggerita da diversi artisti, che abbiamo coinvolto in una gara selettiva. Ringraziamo anche alcuni portali che hanno collaborato pubblicando le varie fasi di sviluppo di tutto questo lavoro, ed in particolare “www.pennadoca.net.” Vincitrice per il miglior finale è la signora Nicoletta Retico di Colonna (Roma). Vincitrice per la grafica ispirata al romanzo è la signora Tati Simmi di Olevano Romano. Premiate con partecipazione ai diritti d’autore. [email protected] 6 A Napoli spesso la gente di sentimento, cioè quelli che sono molto attenti alla vita e alle sue connessioni con il prossimo (effetti, suggestioni, influenze), comunicano agli altri questa loro umana preoccupazione (quasi scusandosene), col prendersi il capo fra le mani e dicendo: “Quant’è complicato campare” (letter. Che ce’ vo’ pe’ campa’). Con questo alludono non solo ai problemi personali in cui incappano, per malasorte o per errore, ma anche alle implicazioni dovute al fraintendimento o alle distrazioni degli altri, con i quali si sentono coinvolti, perciò, da un superiore comune destino che li affratella. Dunque non c’è mai un tono di rimprovero, nemmeno se avvertite di esser voi, in alcuni casi, la causa di questa iattura. Quelli più maliziosi possono usare questa frase, magari prima di fregarvi, per attutire la loro responsabilità causata da una imprescindibile necessità di sopravvivenza. È comunque una gentile attenzione nei vostri riguardi della quale è sempre d’uopo essere grati e comprensivi. Per applicarla infine in senso lato, si può considerare questa espressione come un generico stare in guardia e una constatazione che comunque in giro ci sono tanti di quei fattori che ti complicano l’esistenza ché, anche se non ne hai assolutamente alcuna colpa, non te li sei cercati tu, e nemmeno li potevi prevedere, pure non ti devi mai sorprendere o avvilire perché in quel “Ché” c’è anche un po’ la mano di Dio. Capite come è vasta la saggezza dei napoletani? 7 FRANCESCO FALCONE Detto questo, tutto può succedere... Successe così che a Corradino toccarono in sorte alcune cose, certe belle e certe orribili, ma che col comune intendimento del “destino” non hanno nessuna coerente attinenza. Dunque campare è difficile, quasi un gioco di bussolotti, e c’è poco da raccontare sull’inevitabilità delle conseguenze tra cause ed effetti, che dovrebbe spiegare il fato di ognuno di noi; i napoletani si sono sfogati da tempo e lungamente per illustrare ai Buddisti che, oltre alle “conseguenze delle azioni”, c’è anche il “caso” (caos?) che ti “fotte” (anch’esso termine importantissimo e dai tanti sfumati significati). Così Corradino diventò il classico esempio di quando il caso decide per te, e si arroga il diritto di farti fare la fine che vuole, e se ne fotte se te lo meriti o no! Corradino in avvio non pareva fosse partito male, e le sue piccole intemperanze non erano granchè nella contabilità della vita. Non ci fu potenza superiore, però, tra tutte quelle predicate e credute, che avesse potuto, poi, muovere concretamente un dito per aiutarlo, e lo strafottente “caso” fece sempre quello che gli parve utile e divertente fare in barba alle “potenze superiori”. Cosicché, quando sarete informati sulle vicissitudini di Corradino, converrete con me, che il libero arbitrio esiste, ma sta anche in mano al caos... Dagli indumenti arrotolati sulla spalliera del letto, lasciati da Mà, Corradino capì che non era ancora giorno, o almeno non era ancora quella parte del giorno in cui il giorno vero inizia e la casa si anima e tutti rincominciano la loro attività quotidiana e, tanto per ricominciare, Amed porta il bricco colmo di caffè caldo sul vimini dove ci sono già le tazze pronte per la colazione, i cestini con la frutta, e la papaia già affettata aspetta lì, rosata, e le banane e i mango mescolano il loro profumo. Attorno, allora, gli insetti cominciano con un ronzio ininterrotto la loro fitta, faticosa, bella e misteriosa giornata! 8 9 La lunga marcia delle cimici Un po’ di luce però filtrava già dalle stuoie che proteggevano le finestre e ciò significava che tutto questo, se pure non era ancora giunto, sarebbe apparso molto presto. Questa era l’ora più bella della giornata, proprio quando a lui capitava di svegliarsi un po’ prima degli altri, e quando il silenzio e il fresco della alba, umida e brumosa, si stempera nel tepore del primissimo sole africano. I raggi a quell’ora si infilano come inaspettati a invadere tutto dal basso, prima radenti ai cespugli e alla corta vegetazione, per poi risalire verso l’alto, scacciando le ombre annidate sotto gli alberi altissimi e robusti. E mentre le ombre si diluiscono e si frantumano fra le foglie, i brusii e i rumori della foresta prendono il loro posto, rivelando un operoso risveglio brulicante. FRANCESCO FALCONE CORRADINO, E... L’INFERNALE JET-SET L’apertura di questo rituale mattutino era sempre dolce, perché in quella luce particolare il fruscio era sommesso e discretissimo, e lo si avvertiva prima fra le ciglia socchiuse più che con qualunque altro senso. E fra le ciglia socchiuse in quei momenti si annidavano sempre le più belle fantasie. La durata di questo intervallo era talvolta troppo breve e Corradino lo rimpiangeva. Mai lo lasciavano abbastanza oziare in solitario con il suo fantasticare al mattino, in quel momento che preferiva. “Mà” lo chiamava: “Couragin, sveglia, Couragin!! Alzati! E rideva tanto, con le palme bianche che annodavano i suoi capelli crespi e neri. Ma “Mà” non era nel suo letto in quel momento, né d’altra parte il giorno, quello vero, era ancora cominciato. I bisbigli erano alle porte, anche questo si capiva chiaramente, e lui si era destato appena un passo prima di tutto questo. “Mà”, arrivava ora, però da sinistra, dal corridoio, dalle stanze interne. Nel silenzio assoluto si percepivano i suoi movimenti come quelli di un uccello fra i cespugli. Prudenti, ma a scatti. Nel riquadro della porta che comunicava con la stanza di Mà, Corradino inquadrava bene il suo letto vuoto, il suo batik a terra, caduto forse dalla spalliera o buttato nella fretta ai piedi del letto Ma lei dunque non era a destra dove era la stanza con le docce, Mà veniva da sinistra, e questo significava qualcosa di diverso. Quando finalmente la vide al centro del riquadro, passò rapida in punta di piedi e, nel suo bianco camicione di cotone, apparve segreta come una veloce nuvola all’alba. Sono tristi le nuvole che arrivano correndo già all’alba. Poi restano a minacciare l’intera giornata perché di solito, a quell’ora, subito si ammucchiano una sull’altra, peggiorando il tuo umore magari senza una ragione precisa. Una sensazione sgradevole pervadeva Couragin; in parte sapeva perché, in parte no. Mà si nascondeva nella camera delle docce, senza prima chiamare: “Couragin, sveglia, Couragin! Devi aprire gli occhi con me, alzarti con me, perché appena sveglia sei tu la prima cosa di cui mi occupo!” Era convenuto, e Mà lo aveva abituato così. Questo sfuggire alle consuetudini, questo suo nuovo “fare” qualcosa a sua insaputa, curando in punta di piedi che lui non ne venisse al corrente, era più sospetto e fastidioso di quelle nuvole all’alba. Non si abbandonò, perciò, a fantasticare come faceva al solito a ciglia socchiuse, ma tra le ciglia aspettò vigile, e attese il seguito, sinché la doccia non terminò. Quando Mà riapparve a capo del suo letto presso il batik arrotolato nel fondo, lasciò cadere la tovaglia di spugna e rimase ferma per qualche istante, scrutando verso il Corradino dalle ciglia socchiuse. Era giovane, alta e scura, con i fianchi segnati e i seni alti e robusti. I suoi capezzoli grossi e neri erano allungati e Corradino li ricordava così, o era certo di ricordarli così quando lei, tanti anni prima, glieli aveva dati a succhiare con quel saporino un po’ salato. Couragin strinse i pugni come quando li affondava nelle sue mammelle gonfie e morbide. Sentì una specie di languore e avrebbe voluto ora alzarsi e andare di corsa ad abbracciarle. Ma non lo fece, perché si senti confuso. 10 11 FRANCESCO FALCONE CORRADINO, E... L’INFERNALE JET-SET Giustamente; perché quelle non erano le mammelle che lui aveva succhiato. Mà si chinò e lui la spiò: si accovacciò in un modo che gli apparve sgraziato, raccolse il batik avvolgendolo lentamente sul suo corpo. Poi i primissimi brusii fecero la loro comparsa nel chiarore che ora avanzava e Mà finalmente lo chiamò: “Couragin, amour, petit Couragin... reveille toi!” Lo scarabeo-cervo che era chiuso nel barattolo sul suo comodino parve muoversi pigramente, si girò verso di lui e le lunghe antenne si mossero su e giù lentamente per salutarlo. Cercò di risalire arrampicandosi sul vetro, ma slittò e rimase molto afflitto fra i sassetti sul fondo, prigioniero, mentre Corradino gli parlava già di un imminente trasferimento nelle collezioni di coleotteri alloggiate nella lussuosa teca nella verandina coperta, di fronte al parco, con vista sulla fitta vegetazione da cui provenivano. Questa teca provocava lo stupore e il ribrezzo della esile signora Mouton, che però non rinunciava mai a soffermarsi, rabbrividendo con brevi gridolini, a indicare gli ultimi repellenti arrivi di pelossisimi bruchi e di ragni, la cui anomala immobilità quasi la ipnotizzava. Corradino con molto orgoglio illustrava sempre nomi e particolarità degli abitanti della sua raccolta personale, specie durante i cocktail che si svolgevano nella veranda e nel giardino e che suo padre organizzava per il suo diletto personale oltre che per l’onore e la gloria della Nazione Italiana Imperiale! Invero, anche tutte le altre svolazzanti signore color pastello che gustavano i colorati vermut italiani lì dentro, tutte con i loro guantini di filo bianco e i sandali con il laccetto e bottoncino laterale, o per noia o per benevolenza, avevano dato almeno una volta, da sotto le cuffiette all’uncinetto o dai panama leggeri, un’occhiata alla brulicante bacheca. Ma solo l’esile signora Mouton in particolare, rilevò Corradino, più delle altre sembrava sempre sorprendersi e terrorizzarsi al goffo reagire degli insetti quando picchiava col dito sul vetro della teca. Si esprimeva allora con quei piccoli urletti acuti che richiamavano l’attenzione degli altri invitati, che correvano a rassicurare e rincuorare l’esile signora Mouton. In effetti apparve ben presto chiaro a Corradino che questo meschino stratagemma serviva alla ridicola signora solamente per attirare l’attenzione su di sé. Attenzione particolarmente gradita quando si trattava degli ospiti maschili del variegato corpo consolare che formava la colonia più interessante della etnia europea. Capì come questi adulti utilizzassero vigliaccamente la sua preziosa collezione per convenzione o per scopi personali. E in particolare questa fragile signora Mouton, appena raggiunta da un seducente salvatore, si disinteressava completamente dei poveri insetti che, richiamati e stimolati a dar esibizione di sé, rimanevano appiccicati sul vetro, stupidamente disattesi. Ora la delicata signora battendo le palpebre pesantemente mascarate, si occupava con mille moine solo del suo attuale provvidenziale consolatore, allontanandosi discretamente nel parco. Da quando essa aveva usato la stessa trappola persino con suo padre, Corradino la aveva odiata, sentendo che tutta la famiglia era stata da lei indegnamente ingannata. E l’inganno lo faceva soffrire più di ogni altra cosa al mondo. 12 13 FRANCESCO FALCONE CORRADINO, E... L’INFERNALE JET-SET Quando lo aveva raccontato a Mà, lei aveva riso tanto; lo consolava a modo suo, pizzicandogli la guancia: Couragin, fantastica troppo... la povera Mouton, non ha nessuna malizia né intenzione di ingannarvi. Gli insetti, tutti, brutti e schifosi che fossero, invece non lo deludevano mai. Qualcuno tentava sì, di scappare, ma in genere erano sempre attenti a lui, e sinora nessuno aveva neppure tentato di pungerlo. Perché lui li capiva, li interpretava e sapeva come e quando toccarli. Quel mattino, armato di barattoli dal coperchio bucato, progettò di recarsi lungo il fiume come faceva spesso, sino alla segheria, e urlando avvisò Mà mentre si allontanava nel viale. La grossa bocca di Mà si schiuse in un largo sorriso e le sue tumide labbra color melanzana ben aperte ulularono anch’esse gioiose da lontano: “Couragin, va a prendere le salamandre nel fiume? Couragin sarà molto attento?” Mà, parlava nel suo curioso francese indigeno, sempre in terza persona, quando si rivolgeva a lui, e se si raccontavano qualcosa pareva sempre parlassero di qualcuno assente, o poco distante ad ascoltare. Perciò le conversazioni tra loro prendevano sempre il sapore di una favola narrata: “Stasera Mà avrà le salamandre e le punaises giganti della segheria!” Risalì lungo il sentiero accosto al fiume, ci voleva più di mezz’ora per raggiungere la ronzante segheria, e suo padre non era mai contento che lui si avventurasse solo e così distante. Ma questi erano gli ultimi giorni di vacanza e sapeva che erano trattati con particolare misericordia e meno divieti. Fra poco avrebbe ricominciato i corsi presso l’“Istituto latino di cultura e scienze”, che era un organismo frequentato solo dagli europei abbienti della colonia, tenuto dal corpo insegnante del “Grenoble” di Parigi, trasferitosi lì non si sa perché, con quali fini, né con quali validi attestati per garantire un valido futuro ai suoi discepoli. Gran parte del tempo si trascorreva a leggere classici della letteratura francese e a perfezionare la fonetica della lingua. Non sembrava fossero in grado di fare di più, ma la gente ne diceva un gran bene, i loro allievi erano fieri e pareva certo che le sue qualifiche ben presto sarebbero state equiparate a quelle dei migliori istituti scolastici europei. D’altronde c’era poco altro da scegliere. E lui nel frattempo riscuoteva molti encomi e attestati. Il sibilo delle lame della “Congo bois S.A.”si faceva sentire nella boscaglia fitta, già da molto lontano, ed era un ottimo, indispensabile riferimento una volta lasciato il bordo del fiume per prendere quella scorciatoia. Senza un punto di riscontro nell’ultimo tratto, la vegetazione era talmente uniforme e compatta che solo una persona abituata ed esperta sarebbe stata capace di arrivare a destinazione senza perdere l’orientamento. Quella deviazione era d’altronde necessaria per evitare di seguire tutta la larga ansa del fiume che in un certo punto, abbassandosi, diventava paludosa e pericolosamente infestata. Corradino conosceva ormai bene questi condizionamenti e se non udiva chiaramente il sibilo a due toni delle lame che rodevano i grossi tronchi, già prima di lasciare la riva del fiume, mai più si sarebbe addentrato nell’intrico dal quale si scorgeva a malapena persino il cielo. 14 15 FRANCESCO FALCONE CORRADINO, E... L’INFERNALE JET-SET Appena l’anno precedente un’interruzione di corrente improvvisa (cosa non rara) aveva arrestato le pulegge della “Congo bois” e Corradino, ancora nella boscaglia, ricordava lo smarrimento e l’angoscia provata in quel momento. Si era fermato subito, per fortuna e, con molto buon senso, non si era spinto in ricerche o esplorazioni. Dal rumore sapeva di essere giunto ormai vicinissimo allo stabilimento quando, nel giro di pochi secondi, il furioso urlo delle seghe si era spento in un sordo borbottio asmatico. Poi più nulla. Si era trovato avvolto improvvisamente dalla vegetazione muta e mai così tanto perdutamente solo. Tenendo sempre d’occhio un fusto d’acacia particolarmente riconoscibile per la forma e la posizione, aveva tentato invano varie puntate nelle presumibili direzioni, ritornando sempre alla “posta” fissata, come si usa per non perdere almeno l’ultimo punto certo. Né valutazioni logiche né il labile ricordare la provenienza esatta dell’ultimo sibilo prodotto dalle macchine, era stato sufficiente a indirizzarlo in alcun modo. Più si dava da fare, più si agitava, più si sarebbe smarrito, lo sapeva. Nessun rumore di trasporti, auto, e nessuna voce umana arrivava nell’imbottitura in cui si era infilato. Solamente, e non prima di mezz’ora dopo, un improvviso scatenarsi dei motori lo aveva tirato fuori da quell’abisso di sconforto e di paura in cui era piombato e, allungando appena la mano, allargando solo due rami, giusto alla sua destra, a meno di trenta metri da lui scoprì la radura nella quale... Ecco! Lì era il complesso di cemento, eternit e lamiere che fischiava, strideva, ruggiva; lame e cinghie che ruotavano furiosamente, lunghi tavoloni che sbucavano dall’interno scivolando su rulli con sonori tonfi e sordi echi a non più di trenta metri!! ...Mentre lui era quasi rassegnato ormai a passar la notte lì o a sperare che qualcuno lo salvasse. Lui non aveva raccontato a Mà l’avventura di Couragin, né a nessun altro. Era una storia paurosa e ridicola, ma anche foriera di futuri presumibili divieti. Nella segheria l’odore del legno tagliato di fresco lo estasiava con uno stimolo quasi di tipo papillare. La linfa fresca che affiorava nel tessuto appena inciso aveva un sentore attraente, pastoso, alimentare, saporito; la resina era fragrante, aromatica in alcuni legni gommosi, e gustosa anche al palato. Della spezia appiccicosa dell’acacia gli piaceva fare palline dal gusto e dall’odore essenziale e rinfrescante. Tutte le diverse qualità dei vari legni lo inebriavano e in quella segheria anche i trucioli soffici e profumati, ammucchiati da un lato, rappresentavano un gioco attraente, saltandoci dentro dal poggetto, come in una piscina odorosa. Mbomo, suo coetaneo, amava anche lui nascondersi tra i trucioli e saltar fuori all’improvviso come in un’esplosione di mille coriandoli. Il padre di Mbomo, che sino all’anno prima aveva lavorato in villa da suo padre e ora era diventato uno dei capoturnisti della segheria, rideva da lontano coi suoi grandi denti bianchi, coperto di segatura fine, fingendo ogni volta di spaventarsi alle urla improvvise del figlio e di Couragin. Si divertivano con così poco tutti, così, in quella segheria e chissà perché Couragin era felice e si sentiva lì a casa sua come in nessun altro posto. Quando il sole diventò alto e cocente, il vecchio Mbomo staccò la corrente. Le macchine mugolarono spegnendosi e 16 17 FRANCESCO FALCONE CORRADINO, E... L’INFERNALE JET-SET il nero uomo impastato di sudore e polvere di legno dette fine al I turno, al suo turno e a quello dei suoi operai, e ritornò al villaggio sulla sua scassata e traballante Citroen, lungo la carrabile che passava davanti alla villa di Couragin per consegnarlo come d’abitudine a Mà. La procace e formosa tata per la quale lui da tempo e in segreto spasimava. Anche quel giorno dal finestrino cercò di improvvisare qualche battuta che facesse ridere quella bella nera appetitosa, e potesse così infilare almeno per un attimo lo sguardo nella gola rosata che si spalancava larga e invitante nelle sue fragorose risate. Quelle mucose chiare e dischiuse gli facevano intravedere, immaginare altre sue alcove segrete, cariche di linfa, umide e altrettanto calde e rosate... e per le quali lui impazziva. Una sezione del piccolo zoo fu dunque attrezzata solo per esse, con ben esposto il loro biglietto da visita: “Emitteri arborei”. Couragin, anche lui soddisfatto per i suoi barattoli provvisti di punaises raccolte tra i tavoloni, si rese conto di quanto fosse bello vivere! Le bestiole della segheria erano circolari e piatte, verde bruno e di varie dimensioni. Due erano enormi. Simpaticissime correvano e facevano capolino fra i trucioli sul fondo del vaso, come se giocassero a nascondino. Non avevano paura delle dita di Corradino, quando le afferravano e anzi docilissime, quasi sentissero e capissero i suoi ordini, giravano in tondo sul palmo della mano come se stessero su di una giostra. Queste fortunate bestiole poi erano nate e vivevano nella foresta calda e profumata, abitavano nei tronchi e si cibavano della saporita pasta degli alberi. Benedette da Dio, secondo Corradino facevano una vita da pacchia! La stagione umida era alle porte e le vacanze collegate a essa erano alla fine. Il caldo era afoso e appiccicoso; i primi violenti scrosci tambureggiavano rumorosi sulle lamiere, di notte, e le pozzanghere larghe e melmose ovunque, ti obbligavano a larghi giri, ma ti infangavano comunque i piedi. Mà camminava scalza nel parco e, sotto la pensilina gocciolante, Corradino rileggeva ancora la storia della regina Ginevra nel castello di Camelot. Questa regina era come sua madre: bellissima, bionda e dagli occhi cerulei, e come sua madre pareva si fosse invaghita di un altro uomo e forse era scappata con lui. Non era ben chiaro come poi fosse finita la storia a Camelot, né esattamente nemmeno quella di sua madre. Il fatto certo era che un giorno sua madre era scomparsa e a lui mancava tuttora. Soffriva e la aspettava ancora e forse come il povero re Artù disperava ormai di vederla di nuovo un giorno. Questa storia che lo riempiva di angoscia, la leggeva ogni tanto di nascosto, perché suo padre, quando lo aveva scoperto a piangere con quella maledetta storia di abbandoni, gli aveva nascosto il libro (poi ritrovato) e fatto uno strano discorso. Per molti anni aveva saputo che la sua mamma era morta un brutto giorno, di malaria o d’altro, ma poi la storia non aveva retto a lungo a tante contraddizioni. La fotografia di lei nella stanza di suo padre mostrava una donna ancora viva. Alcune volte qualcuno aveva parlato di lei, quando era partita. Altre volte era stata nominata; 18 19 FRANCESCO FALCONE CORRADINO, E... L’INFERNALE JET-SET e poi non c’era nessuna tomba da nessuna parte. E nella sua stanza la sua foto, ancora più viva, di lei che ridendo sollevava in aria Couragin, grande poco più di una pantofola (era l’unica di loro insieme). Dopo quella era stato certamente abbandonato! Alla fine di lei si evitò di parlare davanti a Corradino e così il mistero fu ritenuto esorcizzato, secondo gli adulti... Corradino non aveva mai elaborato questo lutto, lo aveva rimosso; così collegato a tanti dubbi, pian piano aveva stabilito che Mà era sua madre. Ormai da anni pervicacemente aveva stabilito così. Perciò lui dunque ricordava anche come avesse succhiato il latte da Mà e persino il suo saporino. Cosicché ora Mà, con tutto l’amore e la responsabilità di una madre, non lo avrebbe più lasciato. Bisognava convincersene, pur se quella maledetta storia di Ginevra lo ricacciava nell’angoscia di sempre. Quando compì i dodici anni, in quei giorni, si ritrovò in una nuova situazione difficile. La avvertì quasi di colpo, per quanto già una serie di segnali si erano ammucchiati in lui da alcuni anni e premevano per rivelarsi. Spiava la sera la sua Mà quando, prima di coricarsi, si infilava sotto la doccia. E questo gli procurava vergogna, emozione, rimorso, curiosità, e piacere. Uno strano piacere. Cominciò a diventare geloso dei commenti e dell’intimità che il vecchio Mbomo si prendeva con la sua Mà quando, arrivando con il vecchio catorcio, lei gli portava la brocca col succo di frutta fresca per dissetarlo e ridere un po’ insieme. Questo gli precluse spesso, in seguito, la gioia di andare a gustare gli aromi della segheria e di tornare con lui a casa cantando sul polverone. Tante cose lo turbarono, mentre lui cresceva alto e snello, biondo e dagli occhi cerulei, bello come sua madre. Ci furono delle cose che lo turbarono di più e altre cose che furono prontamente soffocate, ma che gli fecero più danno che se le avesse affrontate e magari lo avessero anche travolto! Altri pensieri si stavano formando in lui, e non c’era nessuno che glieli spiegasse, gli parlasse, gli facesse compagnia nella testa, lì, dove ne aveva bisogno. Mà lo adorava con tutta l’anima da sempre e a questo punto forse anche questo divenne un altro bel guaio. Couragin ora l’avrebbe voluta tutta per sé, sempre attenta a lui, come da quando era stata assunta; e ora che lui diventava grandicello sembrava gliela volessero sottrarre per destinarla ad altre occupazioni in villa. Temeva che, crescendo ancora, gliela avrebbero portata via del tutto. E rifiutava di crescere. Questo tarlo cominciava a essere una fissazione, perché Mà e i suoi insetti, sinora, erano stati tutto il suo mondo. L’Istituto Grenoble gli procurava tanti libri e con essi cominciò controvoglia a crescere, affannato, col fiato corto, perché a questa crescita così veloce non era preparato. Intanto si distaccava dai pensieri e dai giochi semplici di quella solitaria vita in colonia che sinora lo avevano appagato. Poi anche il suo fantasticare (abitudine mai dismessa) era diventato più esigente ed era costretto a scivolare continuamente nel più facile sogno fantasioso, ancor più che nell’immaginazione di reali possibili eventi. E questa attrazione dell’irreale lo isolava e diventava alla fin fine quasi l’unico mondo vero e appagante per lui. 20 21 FRANCESCO FALCONE CORRADINO, E... L’INFERNALE JET-SET Aveva letto, su di un almanacco, di un famoso circo di pulci ammaestrate a Parigi. Progettò, e si mise di buzzo buono, con le sue punaises per allestire un numero da esibire nei grandi teatri europei, e le bestiole sembravano essere docili e disponibili più di quanto avesse mai sperato. Era ormai arrivato a insegnar loro alcuni esercizi, così che Spartacus e Julius (le più combattive e grandi) si incolonnassero con le sei più piccole in formazione decrescente e così, in parata, facessero un giro intero nel largo vassoio di vetro dei cocktails per poi distribuirsi immobili sui bordi. Al rumore di un colpo di rametto sul bordo di vetro, si scatenavano poi una sull’altra tutte insieme, in una specie di curiosissima zuffa acrobatica, salendo sul dorso delle più grandi e rotolando poi buffamente. Per il vero, ben poco Corradino aveva loro seppur faticosamente insegnato, quanto piuttosto aveva scoperto per caso questa istintiva loro predisposizione a tale esibizione, attribuendosene poi il merito. Nessuno spettacolo circense fu però mai attuato e presentato al pubblico perché il padre un giorno, venutone a conoscenza, volle esaminare questo fenomeno del quale si faceva un gran parlare in villa, tra la servitù e i boys. Appena Couragin fece sfilare in ordine compatto le sue bestiole nel vassoio, traendole dal box nel quale esse attendevano in trepidazione, si scatenò un drammatico imprevisto. Il padre, pallidissimo, chiamò il giardiniere-domestico Soussu perché afferrasse di gran corsa le cimici già pronte allo spettacolo e le eliminasse immediatamente e nel modo più rapido e totale, in quanto pericolosissimi insetti della famiglia delle triotomine e portatrici del morbo detto “trepanosomiasi”. Couragin non sapeva, non avrebbe mai immaginato, che quelle cimici avevano ammazzato sua madre! Suo padre fece il grande errore di non ritenere utile in quel momento precisare questo importante vitale dettaglio. Lo fece molti anni dopo, quando era ormai troppo tardi e il dramma non era più evitabile. In quel momento l’austero, irreprensibile Taddeo Correggio, severo funzionario dell’Impero Italiano, addetto agli affari commerciali, quasi console in terra d’oltremare, fracassò il cuore di Corradino, per una prima volta. Talvolta essere un uomo di poche parole non è una virtù e può cambiare il destino e la sorte di tante persone, e sembra incredibile che una tale inezia causi tante impreviste conseguenze. Le bestiole scoppiettarono e sfrigolarono per un attimo fra le fiamme e una parte del mondo affettivo di Couragin, devastato dalle lacrime, bruciò con esse. Le brevi spiegazioni circa la pericolosità patologica che le cimici rappresentavano, non furono nemmeno udite dalla sconvolta creatura che in quel momento si sentì sola, sopraffatta da un padre prepotente e crudele che aveva ucciso i suoi migliori amici. Couragin si era rifugiato nella sua stanza in singhiozzi. Mà lo raggiunse per cercare di consolare e mitigare questo suo ulteriore grande abbandono, ma anch’ella dopo diverse valutazioni sul tipo d’intervento da attuare, sbagliò completamente approccio e psicologicamente fu perciò quasi associata alla crudeltà del padre nel giudizio di Corradino. La notte Couragin manifestò agitazione e smanie quasi febbrili. Certamente era in preda a incubi e ciò suggerì a Mà, quella notte, di stargli più vicino. 22 23 FRANCESCO FALCONE CORRADINO, E... L’INFERNALE JET-SET Fu così che la brava donna lo prese in braccio nel suo letto, come faceva tanti anni prima, per non farlo sentire solo. Corradino nell’inquieto dormiveglia si accorse dell’amore di Mà, sentì il suo corpo caldo e morbido che lo stringeva e, nell’abisso di disperazione in cui era piombato, ebbe come un brivido, un brevissimo sussulto e si bagnò. Per la prima volta nella sua vita si bagnò con una donna! La cosa fu talmente rapida e inaspettata che a mala pena se ne rese conto, ma fu un altro avvenimento conseguente, causato da quelle cimici, che lo marchiò per la vita. Associò forse il dolore al sesso e l’emozione, così inconscia e profonda che ne derivò, lo confuse per sempre. Mà fu molto discreta e molto attenta a non prenderlo più nel suo letto. In parte si sentì turbata perché anche lei aveva un suo imbarazzante segreto. Circa un mese dopo Couragin, che aveva in parte accantonato il dolore per i suoi insetti perduti, dovette affrontare un altro shock che gli procurò ancora più sbigottimento e disperazione. L’affetto che aveva per Mà non si era affievolito, per quanto lei ragionevolmente avesse sostenuto le ragioni del padre; anzi si era rafforzato, era diventato più esclusivo, più esigente dopo quella drammatica nottata. Quando Mà la sera tardi, in silenzio, sgusciava dal suo batik colorato e, col suo corpo nero e la schiena arcuata, si dirigeva verso le docce, gli appariva bella e irreale come una vivente statua di mogano. Conosceva quel legno scuro e ambrato e le sue venature, come arterie brune, nei riflessi. Aspettava che l’acqua finisse di scrosciare e lei, lucida e tenebrosa, riappariva nel suo vano con i suoi seni poderosi e il ventre levigato e accogliente che in un attimo spegneva nel candore del suo camicione da notte. Corradino in segreto la aspettava, la spiava ogni sera così, in silenzio, combattendo talvolta contro il sonno che lo assaliva. Spesso lei si dirigeva poi verso la veranda per gustare per un’ora il fresco tiraggio ventoso del fiume nel buio della notte. In una notte particolarmente afosa (e lui aveva ormai quasi quattordici anni), decise dunque di raggiungerla sulla veranda. Nel coro dei ranocchi e dei grilli e di tutte le altre voci notturne che popolavano la vegetazione attorno alla vasta villa, lui trovò, silenziosa, la veranda vuota. Scoprì dopo una lunga ricerca, lei, invece, nel letto di suo padre. Quello che spiando vide, che capì, che sentì nell’oscurità, gli spezzò il cuore una seconda volta. E stavolta lui pensò davvero di non voler sopravvivere. 24 25