[123] - 130 CAMILLO DE MEIS Parole dette sul suo feretro dal Prof

Transcript

[123] - 130 CAMILLO DE MEIS Parole dette sul suo feretro dal Prof
[123] - 130
CAMILLO DE MEIS
Parole dette sul suo feretro
dal Prof. A. MURRI
Lutto pari al presente provò raramente la Facoltà medica di Bologna. Se il nostro dolore potesse trasparire
qual è nella verità del sentimento comune a tutti noi, spoglio di quei sospetti che sono inseparabili da ogni
cerimonia convenzionale e livellatrice, io penso che una viva sorpresa si susciterebbe intorno a noi e un
coro di voci profane ci chiederebbe: ma dunque Angelo Camillo De Meis era uomo da meritare davvero
così intenso rimpianto?
Pochi sapevano che quest'uomo era tale che tutta una nazione non ha chi sostituirgli. Intorno a lui si
aggirava una folla inconsapevole. La sua natura privilegiata era così fine che, a non guardarci ben dentro,
si rischiava di non capirne nulla. Capitava a lui, come a tutti coloro che offrono a considerare di se molteplici aspetti: chi non lo riguardava che da un lato (e sono i più) ne faceva stima inadeguata. Ma voi, che lo
conosceste, sapete voi dirmi se la sua sterminata coltura, la sua critica acuta e felice, la versatilità del suo
ingegno, quella bontà d'angiolo o le sue virtù civili meritano di suscitare maggiormente l'ammirazione
nostra? Io non so. Questo so nullameno, che una sola di tali doti sarebbe stata valevole a procacciargli la
riverenza degli onesti e dei savi. Eppure ahimè! tutto quel meraviglioso meccanismo cerebrale, per cui
tante energie potevano così bene accumularsi per poi svolgersi in mille faville di bene, di vero e di bello,
ora è rotto per sempre! I pochi dotti, che sapevano valutare i prodotti del sapere aristocratico del De Meis,
non troveranno più così facilmente chi li appaghi: quei pochissimi, ma eletti studenti, che s'accendevano
di fiamma scientifica alle parole di lui, troveranno mute le aule universitarie; e dove, dove noi troveremo
più quella benignità così spontanea, quell'amicizia così delicata, quell'indulgenza così educatrice, quel
tratto così incoraggiante, quella sollecitudine così fervida, che a nessuno di noi vennero mai meno?
So che la lode menzognera dei morti non vale molto più della calunnia ai viventi; ma, se non mi fa
velo 1'affetto caldissimo, ch'io portavo a quell'uomo raro, è difficile esagerar la lode
(1)
che dobbiamo al
collega perduto. Ah! perchè io non so ritrarvi i suoi meriti insigni? Non è vero che questo non vi darebbe
conforto, poiché, per paradossale che sembri, il pensiero di una vita eccellente, se ci sforza al pianto
quando la consideriamo perduta, ci solleva l'animo quando riflettiamo che fu.
Sarà anche, se volete, un sentimento egoistico, ma allorché uno di noi s'eleva ad altezze inusitate,
pare che tutta la specie si senta nata a più alti destini e in questo sentimento confuso della nobiltà nostra
troviamo appagato 1' amore di noi medesimi, risvegliata la speranza del nostro continuo salire.
Quale virtù mancava al De Meis?
Io non riesco a scoprirla. Ci fu tempo che, vedendolo io sempre imperturbato e indulgente dove, tale
io non sapevo essere, pensai gli facesse difetto una qualità che non mancò mai nei veramente e
grandemente buoni — lo sdegno per l'ingiustizia trionfante. Ma venne il giorno che un suo vecchio amico
si rese ingiusto e fu secondato dagli eventi : oh ! allora vidi De Meis completo e, se la nostra fosse stata
ancora età da santi , credo che avrei creduto quell' uomo degno d' altari.
E dei santi infatti non c' è vita, ch' egli non avesse letta, ché, quantunque libero del tutto da ogni fede
religiosa, era il più fervente ammiratore di Cristo. Collo sforzo costante verso la perfezione ideale Camillo De Meis era pervenuto a nutrire la sua grande anima non d'altro che di pensieri d'amore ; onde
avvenne che negli ultimi tempi di vita sua, essendo spessissimo incosciente, non espresse nel delirio né
un' idea, né un desiderio, che non fossero purissimi. Quel cervello mirabile, anche nel suo dissolversi, dimostrò la sua peregrina natura !
Camillo De Meis non fu semplicemente un medico e non fu neppure un filosofo nel senso moderno
della parola: fu piuttosto un filosofo di quelli, che da Aristotile a Herbert Spencer, coll’estendersi enorme
dello scibile, si son fatti sempre più rari. Se per l'indole degli studi prediletti, per il felice connubio
dell'arte e del sapere, per la grande varietà di coltura, per la tendenza a trattare gli alti problemi della
filosofia naturale , io dovessi pensare a qualche vivente, che gli somigli, mi si presenterebbero alla mente
Du Bois Reymond e Huxley.
Per lui non e' era differenza di antico e di moderno : conoscitore accuratissimo degli antichi egli meravigliava spesso i giovani medici colla conoscenza delle opere più recenti. La storia l'attraeva irresistibilmente: storia delle arti e delle scienze, storia politica, tutto egli conosceva con mirabile precisione.
Modestissimo non esponeva mai il tesoro di cognizioni, che aveva raccolto, ma se s'avveniva con un
geografo, con un filosofo, con un grecista entrava nelle più minute o nelle più alte controversie e, per
confessione de' suoi stessi contradittori, n’usciva vittorioso il più spesso. Conoscere il latino, il greco
antico e moderno, il francese, l'inglese, il tedesco e lo spagnolo potrebbe bastare anche ad un esigente: ma
Camillo De Meis sentì il bisogno di studiare anche il sanscrito, 1'arabo e il russo. Nella filosofia era così
versato e felice, che Bertrando Spaventa, Francesco Fiorentino e Vittorio Cousin 1' ebbero in altissimo
pregio. Il “Dopo la laurea” è un libro, che per consenso unanime ogni letterato vorrebbe avere scritto.
Laonde se per un verso la Facoltà di Filosofia e di Filologia avrebbe potuto invidiare alla nostra il De
Meis, le opere da lui pubblicate sui tipi vegetali e sui tipi animali lo rendevano desiderabile piuttosto alla
Facoltà di Scienze Naturali. Né mancano scritti di lui, che fanno fede di quanto valesse anche nelle
scienze politiche. Ma coloro, ch'ebbero la ventura di udirlo dalla cattedra e l'ingegno per comprenderlo,
affermano unanimi che nessuno scritto può rendere immagine delle sue lezioni; infiammato
dall'argomento, egli metteva allora il frutto immane di tanto lavoro e di tante meditazioni in servizio del
suo pensiero e ne prorompevano le sintesi più felici.
Non c’è forse disciplina medica che il De Meis non abbia insegnato, né si sa dire quale di esse insegnasse con maggiore competenza, con più vivo ardore : Anatomia e Medicina teorico-pratica a Napoli,
dove poi insegnò anche Antropologia, Semeiotica a Parigi, Fisiologia a Modena, Storia critica della
medicina a Bologna.
Ma ricordare lo scienziato, il collega, 1'amico senza toccare del cittadino sarebbe fare sfregio ad una
figura stupenda. De Meis non poteva essere uno studioso egoista; fu uomo di gran cuore e partecipava
con sentimento vivissimo alla vita politica anche quando ne pareva più allontanato. Fu moderato e dei più
decisi, tanto che, se quella sua ammirevole mitezza poteva per un momento venir meno, era per le
opinioni politiche meno temperate. Perfino a quel suo più che fratello, Francesco De Santis, pel cui
carattere e pel cui ingegno non trovava parole adeguate alla propria ammirazione, non sapeva menar
buone le idee di ardito progressista.
A chi sa, che l'indole della scienza porta che senza tregua sia distrutto 1'errore esistente o conquistato
un nuovo vero, potrebbe sembrare, strano, che una natura tanto intimamente compenetrata di questa
tendenza perennemente rinnovatrice fosse invece affatto conservatrice in politica. Conservare quel poco,
ch'è noto, è funzione molto modesta d'uno scienziato; ma conservare, poi, tutto equivarrebbe proprio a
perpetuare tutti gli errori, tutto l'ignoto, tutti i misteri, cioè significherebbe precisamente assicurare
l'opposto del sapere. Ma s'ingannerebbe chi s'immaginasse il De Meis quasi uno di quei bimbi seri, che
non sentirono mai fremere nulla dentro il loro petto, che la paralisi del volere e la vacuità del pensiero si
studiano di nascondere assumendo con gran sussiego la più che comoda missione di conservare le
conquiste dei nonni. Tutt'altro!Il cuore giovanile di Camillo De Meis non ebbe palpiti che per una
rivoluzione: egli fu congiurato e ribelle, soffrì la confisca de' beni, meritò la condanna a morte, sfuggì al
tiranno e ramingò tapinando, immolò studi, cattedra, ricchezza, i conforti della famiglia, la vista del suo
paese adorato, tutto sé stesso ad un'idea!Né pertanto dee recar maraviglia se, allorquando per un impreveduto concorso di eventi quest'idea, che i conservatori d'allora chiamavano un sogno od un crimine,
divenne una splendida realtà, De Meis fu così pienamente consolato che d' allora in poi nulla gli apparve
mai, che sembrasse a lui opera più degna del conservare il frutto, di quella rivoluzione, a cui tutti i suoi
sospiri giovanili erano stati rivolti.
Nascere in un'Italia a pezzi, così indegna del suo passato da sentire appena vergogna dell'oppressione
straniera, e vedere da tanti troni crollati sorgere, miracolo insperato, la patria una e libera, non doveva
dunque bastare? Noi benediciamo riconoscenti quest'opera santa e la benediranno ogni tempo le
generazioni venture: noi c' inchiniamo qui riverenti e commossi dinanzi alle spoglie di uno di quella sacra
schiera, che ci risollevò a dignità di liberi. Quest'opera stupenda, come ogni umana cosa, può e deve
migliorare ancora: ma al nostro mite e discreto collega pareva quasi che il chiedere di più fosse un
peccare contro quella, ch'egli reputava prima fra le virtù - la moderazione. Come padre, che colpito
1
reiteratamente nella sua prole vede alfine fiorire l ultimo dei nati e non ha pensieri né cure, che non sieno
per conservarlo, come che sia, al suo smisurato affetto, così il nostro De Meis visse la seconda parte
dell’esistenza sua onoratissima tutto beato di quest'Italia, che occupava intero il suo cuore e non gli
consentiva altri amori. Ma per accorgersi come 1' animo suo fosse tuttavia pronto alle idee più nuove e
più radicali bastava allontanarsi dalla questione politica: così, ad esempio, egli considerava come ingiusto
il diritto di proprietà ereditario.
Tanto valore scientifico e civile era nondimeno un tesoro nascosto. Camillo De Meis non ebbe seggio
al Senato, non all'Accademia dei Lincei, neppure a questa delle Scienze in Bologna. Quali curiosi
raffronti non suggerirebbe quest'oblio quasi universale d'un uomo, che tutta la vita sua nobilissima sacrò
alla patria e alla scienza! Uomini, quali il Briquet, il Trousseau, Claude Bernard, Victor Cousin, Gr. Pepe,
Gioberti, Manzoni, Silvio e Bertrando Spaventa, Francesco De Sanctis, Camillo di Cavour, Luigi Carlo
Farmi, Marco Minghetti procurarono al De Meis la compiacenza, che viene dal sapersi stimato
spontaneamente da pochi, ma supremi giudici.
Egli non voleva altro: se non fosse stato schivo di certe lustre esteriori, non si sarebbe così
ostinatamente chiuso tra i suoi libri, poiché egli sapeva tanto bene, quanto Giacomo Leopardi, che, se tu
non ti lodi da te o non ti fai lodare da qualcuno, non puoi sperare che gli altri «spontaneamente facciano
motto, per grandezza di valore che tu dimostri, per bellezza d'opere che tu faccia. Mirano e tacciono
eternamente; e, potendo, impediscono che altri vegga. Chi vuole innalzarsi, quantunque per virtù propria,
dia bando alla modestia. Ancora in questa parte il mondo è simile alle donne; con verecondia e con
riserbo da lui non s'ottiene nulla». È vero: non s'ottiene il titolo di accademico, di senatore, d'eccellenza,
non il saluto della folla, non 1'ammirazione degl'ignoranti, ma si conquista ciò che nessuno può dare: la
dolce, incomparabile contentezza di sé, la persuasione che colla propria vita dignitosa e feconda si lascia
l'insegnamento che le anime elette sentono il bisogno di fare il proprio dovere, non lo stimolo di riceverne
premio.
La facoltà medica di Bologna ascrive a suo onore che dal seno di lei sia uscito il rarissimo esempio:
essa augura all'Italia molti giovani che senza mire di volgare profitto, affascinati dalla luce del bene,
s'accendano di tenace e intenso amore per una nobile idea e la portino ad atto, come fece De Meis,
consacrando ad essa con un culto perenne le opere migliori della vita loro.
Ed ora a te, Abruzzo forte e gentile; a te le preziose reliquie del cittadino che ci desti: ma la colta
Bologna non si stancherà mai di venerare a gara con te la benedetta memoria dell'illustre tuo figlio.
(1)
Eppure fui accusato proprio d'esagerazione! Esagerazione 1'avere affermato che l'Italia “non ha chi sostituire al De Meis”
(Illustrazione Italiana, marzo 1891, n. 13). Ma Bologna, ch'era l'unica Università, nella quale s'insegnava la Storia critica della Medicina,
aspetta ancora e aspetterà un degno successore del De Meis. Il critico, lo capisco, non era obbligato a sapere il futuro, ma poteva, almeno,
sapere il passato prossimo, ch'era questo: a Napoli volevano un insegnamento della Storia della Medicina e il Ministro bandì il concorso: si
presentarono cinque concorrenti, ma tali che Commissione esaminatrice, Consiglio Superiore e Ministro si trovarono perfettamente d'accordo
nel negare a tutti anche la nomina a straordinario.
Un'altra delle mie esagerazioni sta nell’aver io detto che il De Meis pareva così pieno di virtù che, se l'epoca fosse stata propizia alle
santificazioni, io l’avrei creduto un santo: forse il critico ha temuto ch'io volessi esporre davvero anche l'immagine del Prof. De Meis alle
turbe dei cattolici. Ma io parlava di virtù civili e di queste il nostro amico n'aveva tante da disgradarne più d'uno, che figura nel calendario
della Chiesa: l'esagerazione vera sta nel preconcetto che un uomo vissuto con noi non potesse essere sommamente buono, come quelli che lo
scrittore dell'”Illustrazione” stima degni di quella dignità religiosa. È affar di fede! Ma di ciò non si deve saperne male a lui, perché
veramente bisognava aver conosciuto l'uomo per darne degno giudizio. Gaspare Finali, che pure fu Ministro due volte, mi ha narrato che
incontratosi un giorno con Silvio Spaventa sentì dirsi «Oh! Finali: io e te siamo Senatori, De Meis non era!!». Ma Silvio Spaventa era dei
pochi, che conoscessero il nostro collega così bene da potere esprimere nobilmente tant'ammirazione per lui! Anch'io aveva lamentato l'oblio
dei contemporanei verso Camillo De Meis, ma 1'avevo attribuito alla sua incomparabile modestia. Confesso che devo ricredermi. L'arguto
scrittore dell'”Illustrazione” offre di quel fatto una spiegazione che vale a mille doppi la mia. Eccola colle sue proprie parole «Il De Meis non
fu senatore, né accademico dei Lincei, neppure membro dell'Accademia delle Scienze di Bologna! Ciò si spiega con la circostanza che i
moderati al potere preferivano colmati di favori i radicali.» Ma sicuro! Ed io, grullo: non averci pensato! La colpa è tutta dei radicali. Forse
l'Italia non corre, a rovina per lo spirito demagogico del Senato e delle Accademie regie? Se c'era nei moderati un po' di moderazione nel loro
amore sviscerato pei radicali, forse Camillo De Meis non sarebbe stato sacrificato alle ambizioni di questi e avrebbe onorato col nome suo
anche il Senato Italiano!